Accenti - Numero 2

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nonché l’uso limitato di metodi quantitativi di gestione dei dati sociali, a cui Hughes preferiva la pratica dell’osservazione delle persone in situ. Dal punto di vista degli interessi tematici, quello relativo alle “professioni” attraversa pressoché tutto l’arco della biografia intellettuale di Hughes e rappresenta il contributo più originale – se non per certi versi pionieristico – su cui la recente sociologia dei gruppi professionali2 prende spunto. Hughes parte da una critica all’idea funzionalista di professione – allora predominante – come attività nobile, prestigiosa e disinteressata. Questa costruzione concettuale quasi mitologica è secondo l’Autore ben lungi dall’essere esente da pregiudizi. In altre parole, la prospettiva funzionalista riproduce ingenuamente il discorso che i professionisti – si pensi al medico o all’avvocato – fanno su loro stessi per legittimare una posizione sociale di privilegio. L’errore sta, dunque, nel trattare come pura categoria analitica ciò che è invece un costrutto storico, legato ai processi di costruzione sociale degli agenti:3 “Dal momento che il linguaggio riguardante il lavoro è così carico di giudizi di valore e di prestigio e di una scelta difensiva di simboli, non dovremmo stupirci che i concetti degli scienziati sociali che studiano il lavoro siano portatori di un tale carico, poiché il legame dei concetti della scienza sociale con il linguaggio comune rimane stretto a dispetto dei nostri sforzi di separarli. La differenza è che il giudizio di valore nel discorso comune è naturale ed appropriato [...] mentre nel discorso scientifico il concetto carico di valore può oscurare la vista” [p. 268]. La sospensione di giudizio richiesta dall’esperienza di studio del mondo del lavoro diventa un problema metodologico che si risolve – parafrasando Thomas Kuhn – nei puzzle-solving della tradizione di Chicago. Hughes si avvale, in particolare, del metodo comparativo, che gli permette di collocare ogni professione nei termini del posto che occupa in mezzo ad altre attività lavorative. In questo quadro, egli ottiene una maggiore profondità analitica applicando allo studio di quelle professioni cui generalmente si attribuisce valore elevato, i concetti sviluppati in relazione alle occupazioni più basse e viceversa. Così, la ricerca dell’autonomia e di una posizione protetta speciale nel mercato del lavoro è una dimensione comune a tutti i gruppi occupazionali, seppur declinata in forme e livelli diversi. Per sottrarsi ad ogni specie di stereotipo o retorica, l’Autore invita inoltre a situare l’oggetto di studio in una dinamica temporale. Egli considera cioè la traiettoria biografica e professionale degli individui, ma entro i movimenti ininterrotti che si manifestano all’interno delle formazioni collettive e istituzionali alle quali gli stessi individui appartengono. Questa prospettiva definisce la pratica di ricerca come tensione costante verso la scoperta di relazioni di interdipendenza della singola parte con il tutto: ogni occupazione è analizzata sia come processo si elabora attraverso un impegno di campo, “a contatto con il succo empirico della vita” [p. 111]. 2 Come precisa Claude Dubar (1998), la Sociologia dei gruppi professionali si distingue dalla più tradizionale Sociologia delle professioni per l’importanza che, attraverso il termine “gruppo”, attribuisce alle pratiche relazionali e alle forme identitarie connesse allo svolgimento di una particolare attività professionale. 3 Hughes sposta il focus d’analisi su un’idea di “professione” che è stata più tardi definita come folk concept: una categoria, cioè, di uso comune disponibile ai membri dei vari gruppi sociali per organizzare la loro percezione della realtà.

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