25 aprile pensieri e passioni 1

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Lo raggiunsi piú tardi, seduto sul piede di una colonna. Mi vide venire e non alzò il capo. Gli chiesi se era quello il modo di farsi provocare, se era cosí che si tenevano i segreti. — Se tu fossi con Fonso, — gli dissi, — ti avrebbero fucilato da un pezzo. Sei come Giulia, — dissi piano, — non sai tener la bocca chiusa. Mi guardava perplesso e quieto. — Voglio andare da Fonso, — disse. — Non voglio piú tornare a casa dalla vecchia. Me l'aspettavo, e lasciai che parlasse. Lui sapeva un cortile a Torino dove facevano recapito le staffette di Fonso. I portinai lo conoscevano. Era stufo di donne. Voleva trovarsi in montagna, restare con gli altri. — È difficile, — dissi. — Se ti volessero ti avrebbero chiamato. Chi sa dove sono adesso i reparti. I tedeschi rastrellano dappertutto. Poi gli dissi che doveva ubbidire alla mamma e restare con me. — Non sai tenere la bocca chiusa. Se ci ricaschi ti rimando dalla vecchia. In quei giorni si leggevano notizie di scontri sulle montagne, di concentramenti tedeschi, di un'offensiva risoluta a sterminare i patrioti. Era comparso un manifesto di una grossa mano di ferro che stritolava banditi e sotto scritto “Cosí muore chi tradisce”. Anche i fascisti inferocivano. Da Torino, da tutto il Piemonte, quasi ogni giorno si parlava di condanne, di sevizie mai viste. “Se Nando è ancora vivo, — dicevo, — è un miracolo”. Passeggiavo la sera con padre Felice in un gran corridoio dove per mezz'ora i ragazzi vociavano prima del silenzio. Dino strillava in mezzo agli altri e qualche volta le buscava. — Quel ragazzo, — disse padre Felice, — lo vede? È un vero figlio della lupa, uno dei frutti della guerra. Padre e madre in prigione, lui sopra una strada. Chi ne ha colpa? — Ne abbiamo colpa tutti quanti, — dissi, — abbiamo tutti detto evviva. Padre Felice stringeva il breviario sotto il gomito. Si riscosse, crollando le spalle — Comunque sia andata, — disse, — tocca a noialtri rimediare. Non è il solo. Poi apriva il breviario, sbirciando i ragazzi. Del breviario avevamo parlato un mattino. Gli avevo chiesto di lasciarmelo sfogliare, non ci avevo capito gran che — era tutto pieno di preghiere in latino, di salmi e gloria, di giaculatorie, vangeli, e meditazioni. Vi si leggeva di feste, di santi; per ogni giorno c'era il suo, decifrai storie orribili di patimenti e di martiri. C'era quella dei quaranta cristiani buttati nudi a morire sul ghiaccio di uno stagno ma prima il carnefice gli spezzava le gambe; quella di donne fustigate e arse vive, di lingue tagliate, d'intestini strappati. Stupiva pensare che le pagine ingiallite di quell'antico latino, le barocche frasi consunte come il legno dei banchi, contenessero tanta vita spasmodica, grondassero di un sangue cosí atroce e cosí attuale. Padre Felice mi disse che del breviario bisognava recitare soprattutto l'officio. Delle storie dei santi disse che molte erano entrate in quelle pagine chi sa come, eran pura leggenda, e che da un pezzo si attendeva che l'autorità rivedesse il testo e lo sfrondasse. A leggerlo bene ogni giorno ci voleva troppo tempo. — Ma quello che importa, — gli dissi, — non sarà se un martirio è avvenuto davvero. Si vuole che chi legge non dimentichi quanto costa la fede. Padre Felice annuí, chinando il capo. — Piuttosto, — gli dissi, — serve a qualcosa rileggere sempre le stesse parole? — Trattandosi di preghiere, — disse padre Felice, — non conta la novità. Tanto varrebbe rifiutare le ore del giorno. Nel giro dell'anno si riassume la vita. La campagna è monotona, le stagioni ritornano sempre. La liturgia cattolica accompagna l'annata, e riflette i lavori dei campi. Questi discorsi mi calmavano, mi davano pace. Era il mio modo di accettare il collegio, la vita reclusa, di nascondermi e giustificarmi. Le poche volte ch'ero uscito per Chieri e mi ero spinto fino al viale d'accesso, non avevo veduto che piazzette tranquille, bassi portici, e chiese, rosoni, portali. Era incredibile che in questo e negli altri paesi, dappertutto in provincia, scorresse il sangue, si tendessero agguati, non ci fosse piú legge. Quel vecchio mondo del culto e dei simboli, della vigna e del grano, delle donnette che pregavano in latino ma capivano in dialetto, dava un senso ai


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