Medioevo n. 254, Marzo 2018

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letteratura il de amore sprezzare ogni terrena ricchezza e donarla a chi ne ha bisogno». È evidente il richiamo alla largesse, che rappresenta uno dei principi fondamentali dell’ ideale cavalleresco. L’amante deve dunque essere misurato nelle parole e nel portamento, perché l’eccessivo sfoggio di abbigliamenti costosi lo farebbe sembrare un vanaglorioso agli occhi della donna.

Elogio della gelosia

Affinché l’amore possa crescere e conservarsi, è necessario inoltre che gli amanti si frequentino raramente e superando diverse difficoltà. Piú l’incontro è difficoltoso, maggiore è il desiderio del piacere che si accresce. Secondo la raffinata psicologia dell’autore, è la vera gelosia a nutrire l’amore: se qualcuno infatti metterà gli occhi sulla donna amata, la si amerà e desidererà ancora di piú. Al contrario: quando la soddisfazione del piacere è troppo frequente o addirittura scontata, l’amore si affievolisce, decresce. Anche l’eccessivo scambio di parole è negativo per il nutrimento amoroso, cosí come la povertà dell’amante, che sarà preoccupato piú per il suo patrimonio che per la sua donna. Avidità e malizia – sentenzia Cappellano – sono acerrimi nemici dell’amore, in quanto contrari ai precetti della cortesia cavalleresca. Infine la donna si allontana se l’uo-

il ruolo della donna

Un brusco ribaltamento Nella terza parte del trattato di Andrea Cappellano non solo il ruolo dell’amore, ma quello della donna viene stravolto rispetto alle due precedenti. Qui troviamo, infatti, una vera requisitoria contro la figura femminile, nella quale compaiono espressioni di una veemenza inusuale. Scrive l’autore: «Ogni donna non solo è naturalmente avida ma è anche invidiosa e maldicente delle altre, rapace, dedita al piacere della pancia, incostante, chiacchierona, disobbediente e renitente ai divieti, superba e vanagloriosa, bugiarda, ubriacona, berlingatora, incapace di segreti, troppo lussuriosa, pronta a ogni male e incapace di amare con sentimento di cuore. E come Epicuro crede che il sommo bene consiste nel saziare la pancia, cosí la donna crede che le lodi di questo mondo stanno nella ricchezza e nell’avarizia». A destra particolare di un capolettera miniato raffigurante Maria di Champagne che compila la raccolta delle favole di a Esopo. XIII sec. Parigi, Bibliothéque de l’Arsenal. Nella pagina accanto miniatura dal manoscritto Sphaerae coelestis et planetarum descriptio (De Sphaera), attribuito a Cristoforo de Predis, raffigurante l’influenza di Venere: il giardino d’amore e la fontana della giovinezza. 1470 circa. Modena, Biblioteca Estense.

Maria di Champagne

Una musa dal multiforme ingegno Conosciuta anche come Maria di Francia per via delle sue origini, Maria di Champagne, protettrice e ispiratrice di Andrea Cappellano, fu una donna di grande cultura: conosceva il latino, il francese e l’inglese. Fu anch’essa letterata e poetessa presso la corte inglese dei Plantageneti dopo essersi trasferita

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dalla Francia. Nella seconda metà del XII secolo compose dodici lais, brevi composizioni spesso musicali, che venivano poi cantate dai giullari bretoni. Maria ne fece un genere del tutto originale sotto forma di novelle sentimentali e cortesi che influenzarono la letteratura dell’epoca. Leggenda e folklore si

fondono nell’eleganza dei versi che la poetessa mette in opera, collocando le avventure di cavalieri e dame tra l’Inghilterra e la piccola Bretagna. Mise inoltre in versi la celebre opera di Enrico di Saltrey l’Espurgatoire de Saint Patriz. Tradusse dall’inglese una sua raccolta di favole esopiane, a cui diede il titolo di Ysopet. marzo

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