Terre di Confine Magazine #3

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trasporto della vita durante lunghissimi viaggi spaziali al fine di popolare pianeti lontani e perpetuare la propria specie. Negli anni Settanta, la teoria sull’origine extraterrestre della razza umana, rilanciata da autori come Von Daniken, costituiva un forte argomento ‘antireligioso’, capace di attirare la curiosità di molti lettori ma restando pur sempre di nicchia; Spazio 1999 ebbe il coraggio di sdoganarlo in televisione. Insomma, Gerry e Sylvia Anderson erano riusciti a creare uno show che si discostava nettamente dagli altri, producendo episodi ‘cerebrali’ di notevole contenuto artistico, trattando temi fino ad allora ignorati da programmi televisivi simili (perché scomodi o perché ritenuti di scarso interesse presso il pubblico, sempre più orientato al materialismo e al consumismo), e facendolo da una distanza di sicurezza: venticinque anni nel futuro. L’arrivo di Fred Freiberger (e quindi l’ingresso degli Americani in produzione) cambia tutto e riporta il telefilm entro canoni più ‘accettabili’ per l’audience televisiva. L’innovazione più evidente (e grave, per i fan) è la colossale interruzione della continuity, in termini di personaggi e di ambienti. La maestosa sala comando della base lunare, con annesso ufficio rotante di Koenig, viene smantellata per far posto a un centro di controllo grande quanto uno sgabuzzino, e alcuni dei personaggi principali vengono sostituiti senza fornire spiegazione alcuna. I temi morali e le atmosfere austere lasciano il posto al classico telefilm d’azione, con trame prevedibili e uno humour spesso fuori luogo. Le uniformi vengono rese più colorate, con decorazioni di ogni tipo, e le

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