Quaderni della Pergola | La gentilezza

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ma allo stesso tempo colto, e allora si appassiona. Non bisogna avere paura di utilizzare i meccanismi massivi di comunicazione come, appunto, la TV per condurre il pubblico verso il teatro; d’altra parte, gli attori che ci hanno preceduto lo hanno sempre fatto, è soltanto negli ultimi vent’anni che si è sviluppata una forma di sciovinismo culturale.

stato così per me, anche quando non avevo ancora tutto questo seguito: ho sempre cercato il confronto con gli spettatori. Testare che tipo di risposta c’è stata verso il mio lavoro è importante; io rispetto il pubblico che mi segue perché ha decretato il mio successo, dandomi conferma che un certo tipo di percorso funzionasse per me.

Qual è il sentimento che guida ogni scelta in questa importante fase della sua carriera di attore?

C’è stato un momento in cui ha percepito questo enorme cambio di popolarità nei suoi confronti?

Nella mia testa adesso il percorso porta a un’apertura verso fasi nuove, anche avendo la fortuna di potermi muovere su mezzi espressivi differenti. Senza perdere la gentilezza, vorrei osare su tutti quanti i terreni in cui si può esprimere un attore. Per me è il momento di intraprendere scelte delicate che cercherò di compiere in maniera da non tradire le tante persone che mi seguono.

Direi che in quest’ultimo anno, con l’uscita anche della fiction La porta rossa e con la Rai che ha trasmesso in repliche più volte le puntate passate delle varie serie da me interpretate, sono cambiate tante cose… Io sono sempre lo stesso, il mio approccio verso questo mestiere è identico a quello di dieci anni fa, e mi tengo stretto questo modo di essere perché mi aiuta ad affrontare anche quegli aspetti del mio lavoro che mi piacciono di meno, ovvero gli effetti dell’uso di uno strumento – la popolarità – che comporta un prezzo da pagare. Ma è un prezzo che si paga volentieri… La prima volta io ho recitato al Carignano nel 2004, insieme a Franco Branciaroli e poi sempre nello stesso anno con Massimo Popolizio; i teatri erano pieni perché la gente veniva a vedere loro, e in quel periodo ricordo che mi domandavo sempre: riuscirò a diventare bravo come vorrei? Un giorno in teatro ci sarà qualcuno che viene per me? Sono interrogativi che non bisogna mai smettere di farsi perché potrebbe sempre esserci un periodo di risacca, di fermo dal punto di vista del lavoro e della popolarità: in questo mestiere bisogna sempre metterlo in conto.

Trova mai che possa essere faticosa questa apertura costante verso ‘l’altro’ richiesta dalla pratica del suo mestiere?

Sì, a volte può esserlo, è vero… Certi giorni, magari durante il periodo delle prove, sei talmente stanco e non hai voglia di ‘spogliarti’, in senso metaforico intendo: recitare è un po’ come fare uno striptease dell’anima: ci si spoglia di ciò che si è per riuscire a trovare certe sfumature di un nuovo personaggio, si scava nella propria interiorità. Altri giorni esci dallo spettacolo e non ti andrebbe, proprio a causa dello sforzo fisico appena compiuto sulla scena, di fermarti a salutare così tante persone, ma io so che l’incontro con la gente è imprescindibile. È sempre


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