SIN n.48 2011

Page 3

3

3 DICEMBRE 2011

ospedale/Il San Raffaele a Taranto si farà

Un nuovo progetto S

ambiente e sicurezza/Lo dice l’annuale rapporto di Legambiente

L’Ilva oggi è più sicura I

l rapporto annuale “Ambiente e Sicurezza” dello stabilimento Ilva di Taranto è diventato ormai tradizione. Siamo al terzo anno consecutivo della pubblicazione. Un crescendo di novità positive, sia sul piano della compatibilità ambientale, che su quello della sicurezza dei lavoratori. Subito due dati su tutti: il primo è che l’emissione di diossina è stata stabilizzata a 0.4 nanogrammi per metro cubo, quindi nei limiti previsti dalla legge. Anzi, secondo l’ultima rilevazione dell’ARPA, a novembre 2011, il dato sarebbe ancora più basso: 0.2 nanogrammi. Il secondo è che da tre anni e mezzo non si registra un infortunio mortale e gli incidenti gravi sono ridottissimi, quasi vicini a zero. “Due risultati ottenuti con il costante impegno dell’Azienda del Gruppo Riva Fire - ha detto il presidente Emilio Riva nel corso della presentazione del rapporto - ed all’investimento di quattro miliardi di euro in nuove tecnologie per l’adozione di sistemi meno inquinanti e più sicuri”. Taranto, a questo punto, ma già da qualche anno, non è più la città a maggior inquinamento in Italia. E i dati, poiché vengono da fonti esterne allo stabilimento, cioè da Legambiente, sono sicuramente attendibili. L’Ilva, nei giorni scorsi, ha anche ottenuto, dopo tanto lavoro, la certificazione AIA, cioè l’Autorizzazione Integrata Ambientale, importante traguardo a salvaguardia della salute dei cittadini del territorio. Chi lo avrebbe mai detto? Eppure ormai è così, tanto che l’ingegner Adolfo Buffo - responsabile del Gruppo per i settori in questione - ha affermato con certezza che lo stabilimento siderurgico di Taranto può ormai essere preso a modello nell’intera Europa. “Le caratteristiche dei nostri impianti, in fatto di salvaguardia dell’ambiente e della salute di chi ci opera, sono i più moderni che esistano, addirittura più avanti rispetto a quelli adottati da stabilimenti più nuovi di quello tarantino”. A conclusione della presentazione del rapporto 2011 ha preso la parola il vice presidente del Gruppo Riva Fire, Fabio Riva, che ha evidenziato le difficoltà nel mercato dell’acciaio. “Dal drastico calo di consumi del 2009 le cose vanno un po’ meglio - ha detto - ma non siamo ancora tornati ai livelli di massima produzione registrati nel 2008. Ma non possiamo e non abbiamo alcuna intenzione di mollare. Ci impegneremo per far funzionare lo stabilimento di Taranto a pieno ritmo, anche perché solo in quel momento si raggiungono i maggiori vantaggi nella produzione. Da Taranto - ha concluso Riva - non ci sposteremo”. Francesco Persiani

i farà il nuovo ospedale a Taranto, ma senza la quota milanese della fondazione San Raffaele di don Verzè. Il caso “San Raffaele del Mediterraneo” tiene banco e monopolizza una buona fetta della riunione fiume di una giunta regionale. Il governatore Vendola non sembra intenzionato a fare passi indietro rispetto alla lettera in cui ha invitato Comune di Taranto e fondazione jonica a sospendere il bando per il concorso di idee progettuali sul nuovo ospedale che era stato immaginato con la fondazione San Raffaele prima della bufera giudiziaria che ha portato l’impero di don Verzè sull’orlo del fallimento. Vendola accoglie il suggerimento arrivato dopo la sua lettera dal capogruppo del Pdl, che lo ha invitato a riferire in aula per trovare in Consiglio la strada più breve per dare un nuovo ospedale a Taranto: “Quello di Palese mi sembra un percorso ragionevole. Penso che torneremo qui in Consiglio regionale e discuteremo molto francamente”, afferma il governatore. Vendola però, non ci sta a ritenere il percorso che si è interrotto, un errore. “Dovrebbe essere abbastanza comprensibile la ragione che mi ha indotto a suo tempo a riferirmi al San Raffaele di Milano - spiega Vendola con un Comune economicamente dissestato, un’Asl più che dissestata, una situazione abbastanza precaria degli apparati tecnico-amministrativi, come si fa ad allestire un eventuale appalto da 150 milioni di euro in una città ridotta com’era Taranto? Qualcuno ha dimenticato cos’era Taranto qualche anno fa? Oggi, però - aggiunge - questa storia rischia di essere un polverone polemico infinito e allora torniamo qui, in Consiglio regionale, fermo restando che l’obiettivo dev’essere confermato”. Su questo non ci sono passi indietro da fare: “Taranto ha bisogno di un grande ospedale pubblico con ricerca e didattica - insiste il governatore - perché con-

Il San Raffaele di Milano

tinua a essere un punto particolarmente sensibile della domanda di salute, perché Taranto ha una concentrazione di patologie legate alla sua storia industriale. Per questo continuo a pensare che Taranto abbia bisogno di un ospedale di livello mediterraneo, che abbia laboratori di ricerca e di centri per la didattica”. L’obiettivo non cambia, ma deve cambiare il progetto, l’architettura societaria che era stata studiata. L’assessore al Bilancio, Michele Pelillo, il tarantino della giunta Vendola che ha seguito tutto l’iter non senza polemiche, a stento ieri riusciva a nascondere l’umore nero per quel progetto che era già arrivato al bando. “Sto preparando una comunicazione sull’impostazione del bilancio di previsione e sui vincoli del patto di stabilità”, si giustifica l’assessore. Con Vendola, nel corso della giornata, avrà due faccia a faccia, uno, il più lungo, prima della riunione di giunta che riporta a zero il conteggio per il nuovo ospedale. Resta l’incognita sul futuro della fondazione jonica. La partita è stata riaperta. Francesco Iato

taranto/Industriali in protesta; sindacati contro ambientalisti

Città di paradossi bari/Il fenomeno anche a Barletta: fermate 8 persone

Tangenti alle Entrate I

“dipendenti infedeli”, come sono stati definiti dagli investigatori, si sono difesi e hanno respinto le accuse. “Mai preso tangenti”, hanno detto ai giudici durante gli interrogatori di garanzia, “abbiamo sempre sanzionato gli imprenditori a cui facevamo visita”. Eppure le carte dell’inchiesta parlano chiaro e dicono altro. Secondo i militari della Guardia di Finanza gli ispettori delle Agenzie dell’entrate di Bari e Barletta le mazzette le avrebbero prese eccome. Non necessariamente in denaro, spiegarono, ma anche attraverso regali e “altre utilità”. E così c’era anche chi si accontentava di un paio di scarpe della “Nike” del valore di 60 euro. Chi invece preferiva chiudere un occhio facendosi offrire un pranzo di 200 euro al ristorante. E poi, oltre a quelli che chiedevano denaro, c’era anche chi gradiva un orologio “Breil” o la sistemazione lavorativa per un figlio, magari a Londra o in una nota sala ricevimenti sulla Murgia. Uno scenario che il gip del tribunale di Trani Roberto Oliveri Del Castillo, nelle 64 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare, non esita a definire “di una gravità evidente che desta sconcerto: incessanti richieste/pretese di denaro e continui flussi di somme o utilità a mo’ di tangenti che favoriscono gli ingranaggi di un illecito sistema ormai radicato, ramificato e collaudato”. Lo avrebbero attuato, secondo le indagini della Guardia di finanza, 8 funzionari delle Agenzie dell’entrate

accusati a vario titolo di concussione, millantato credito, truffa e in un caso di rivelazione di segreto d’ufficio. In carcere sono finiti Michele De Cesare, Giuseppe Rizzi, Antonio Di Leo, Pietro Pappolla, ai domiciliari Luigi Pesce, Saverio D’Ercole, Luca Lerro e Nunzia Ciminiello. Avrebbero ottenuto tangenti per “ammorbidire” i controlli e le verifiche fiscali in piccole aziende, palestre, ristoranti, sale ricevimenti, panifici e parrucchieri. A far saltare il coperchio è stato il titolare di un panificio di Molfetta, “la sola punta dell’iceberg” come l’ha definita il magistrato Michele Ruggiero che ha coordinato l’inchiesta. Secondo fonti inquirenti il pagamento delle tangenti lascia pensare all’esistenza di un vero e proprio “tariffario” che tiene conto dell’ammontare delle sanzioni da infliggere e del numero degli ispettori incaricati (o “interessati”, dice il gip) alla verifica. Il capo della procura di Trani Carlo Maria Capristo ha invitato altri imprenditori a denunciare episodi simili e definito l’Agenzia delle Entrate “una struttura sana”, parlando di “casi isolati”. Nei confronti dei quali saranno comunque adottati provvedimenti disciplinari, primo tra i quali la sospensione dal servizio. Per quanto riguarda i dipendenti arrestati, fa sapere la direzione generale dell’Agenzia dell’Entrate, uno era già stato licenziato l’anno scorso e due erano in pensione. Giovanni Di Benedetto

G

li industriali scendono in piazza a Taranto per protestare contro la pubblica amministrazione. Forse è la prima volta che accade in Italia. Ed accade a Taranto, città martoriata oltre che dalla crisi globale, anche dalla situazione di dissesto che permane da oltre quattro anni, seppure in via di risoluzione. Una città dove tutto è fermo. Fermi i lavori pubblici, rallentati e ridotti i pagamenti per lavori di manutenzione già eseguiti. Insomma, più che stagnazione, recessione. A Taranto, ormai, funziona solo la grande industria. E meno male che ci sono Ilva, Eni, Cementir, con i loro enormi stabilimenti e l’indotto che creano. “Quando gli imprenditori scendono in piazza a manifestare - si legge in un documento di Confindustria - c’è evidentemente qualcosa nel sistema che gira nel verso sbagliato e che deve essere riportata nella giusta direzione”. “Madre” di tutti i freni, a giudizio degli industriali ionici, sono gli ostacoli, le negazioni e le contrapposizioni che si frappongono alla crescita del territorio. E’ la cultura antindustrialista, che si manifesta in forme diverse e si scontra con la vera vocazione della città - ormai da oltre mezzo secolo - che non è quella turistica, per la quale nulla o poco è stato fatto, ma quella industriale. In parole semplici hanno un bel dire, per Confindustria, gli ambientalisti ad oltranza che, per esempio, chiedono la chiusura dell’Ilva o almeno dell’area a caldo. Sarebbe la fine, il declino inesorabile della città. Stesso discorso vale per la necessità di consentire a Eni e Cementir di apportare quelle modifiche e quei potenziamenti impiantistici che renderanno gli stabilimenti più competitivi ed in grado di reggere sul mercato. Non è esente da critiche, tutt’altro, la pubblica amministrazione comunale. Non a caso la manifestazione si è svolta nei pressi del Municipio. Un’ammini-

Taranto

strazione che balbetta, sempre indecisa sul da farsi, che prende tempo e non dispone, per non indisporre qualcuno. I veti incrociati si susseguono ed il territorio ne sta pagando un prezzo altissimo. Tanto in considerazione che ci sono poi una serie di opere già pronte, solo da cantierizzare: la costruzione della nuova centrale Eni (180 milioni), l’ammodernamento della Cementir (170 milioni), la costruzione del nuovo ospedale San Raffaele (200 milioni), la piastra logistica del porto (190 milioni) e le innumerevoli opere di bonifica delle aree degradate. Per ognuna di queste opere c’è un percorso diverso, ma tutti hanno una caratteristica in comune: è una corsa a ostacoli, tra veti e assurde prese di posizione. Difficile, alla fine, individuare un responsabile certo. Insomma Taranto è in un imbuto, che si fa sempre più stretto. Se ne può uscire - sostengono gli industriali - solo se tutti insieme decidiamo di percorrere la stessa strada e nella stessa direzione. Non a caso, pensate, con gli industriali, con i padroni, in piazza c’erano anche i sindacati. E proprio questi ultimi stavano per arrivare allo scontro con gli ambientalisti. Cose mai viste prima d’ora. Francesco Persiani


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.