Synaxis 24 3 (2006) - quaderni 20

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Il concilio di Gerusalemme in At 15,1-35 e le tradizioni giudaiche

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È chiaro che in questo raduno, così come viene presentato da Luca, la Chiesa apostolica prende le sue distanze dalla legge. Essa matura la coscienza che non si è salvati in forza di essa, bensì mediante la fede in Gesù. Le clausole proposte da Giacomo, che si appella a Mosè letto ogni sabato nelle sinagoghe (15,21), finalizzate forse a facilitare un rapporto comunionale tra giudei e pagani, stabiliscono tuttavia un legame con essa. Emerge, pur nella differenziazione e nel superamento, l’aspetto della continuità tra la legge e la fede in Cristo. Possiamo notare che lo stesso Giacomo, che si appella a Mosè, propone una lunga citazione dei profeti. Si può dire allora che l’intervento di Giacomo miri a stabilire una relazione non solo con la legge, ma con tutta la Scrittura, comprendente legge e profeti. La legge è definita da Pietro come un giogo. La prospettiva è negativa: si tratta infatti di un giogo che nessuno poté mai portare (v 10). Tale caratterizzazione sorprende; Pietro infatti, nella visione del lenzuolo contenente ogni specie di animali (c 10), invitato a mangiare, si professa rigoroso osservante della legge. Si avverte nella dichiarazione di Pietro di At 15,10 un certo influsso paolino. Anche il giudaismo presentava talora la legge come un giogo; la prospettiva però era positiva. Nel nostro testo invece è negativa: la legge è un giogo da non imporre a nessuno. Quanto poi alle clausole di Giacomo, queste sembrano ricondursi a Lev 17-18. Esse si riferiscono a degli aspetti della legge irrinunciabili alla mentalità giudaica. Alcuni interpreti sostengono che esse siano proposte per facilitare l’unione tra giudei pagani alle mense, secondo altri invece esse mirano a dare una configurazione giuridica ai pagani convertiti alla fede cristiana. Per conto nostro, l’assenza di qualsiasi scopo nel testo ci ha fatto pensare che esse mirano a facilitare un più ampio rapporto comunionale tra popoli storicamente lontani, ma uniti ormai nella stessa fede. Il fatto poi che Giacomo prima menzioni Mosè e poi citi un profeta, lascia supporre che egli miri a stabilire, pur nel superamento, un rapporto di continuità tra l’AT e i cristiani provenienti dal paganesimo. La loro venuta era prevista dai profeti ed essi entrano, in qualche modo, anche nella legge. Infine nel metodo assembleare, Luca stabilisce anzitutto una continuità tra la prassi giudaica comunitaria, attestata anche nei documenti di Qumran e presente nei casi citati da Stemberger, e la vita della Chiesa. Possiamo dire che la Chiesa primitiva, nel metodo assembleare, riveli una continuità con la prassi giudaica. Il modello offerto da Luca mostra però le


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