LAmbaradan Aprile 2009

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il mio canto libero rale, le quali hanno l’effetto di conformare il contenuto del diritto di proprietà delle aree comprese nelle singole differenziate zone, corrispondenti alle tipologie descritte nel D.M. 2 aprile 1968. È alla disciplina degli strumenti urbanistici che occorre rifarsi per accertare la (eventuale) attitudine alla edificazione (e i limiti di densità edilizia) della specifica area in rapporto alla “zona territoriale omogenea” in cui essa è compresa (in termini, Corte di Cassazione, I sezione, 13 agosto 2008, n. 21568). Non è mancato per la verità, qualche tentativo di superare il rigido bipolarismo tra suoli edificabili e suoli agricoli, ma non ha avuto grande diffusione nella giurisprudenza. Chi scrive ne ricorda un paio in materia di espropriazione di aree destinate ad attività di cava, nei quali a fronte della indiscussa destinazione agricola dei terreni, l’indennità è stata determinata secondo il criterio del valore venale (sul punto, Cassazione civile, I sezione, 22 febbraio 2000, n°1975; 6 novembre 1999, n°12354). Si è trattato però, di eccezioni che non hanno cambiato la regola madre. Detto sistema non risulta sostanzialmente innovato dalle disposizioni di cui alla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, (legge finanziaria per il 2008), commi 89 e 90, posto che sia le disposizioni del Testo Unico in materia di espropriazioni (D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327), sia le norme più recenti della legge finanziaria pongono a base della scelta dei criteri di liquidazione dell’indennità di espropriazione e della determinazione del risarcimento a seguito di occupazione appropriativa il carattere edificabile o meno dei terreni interessati. In questo quadro si inserisce la sentenza della Corte di Appello trentina, qui annotata, alla quale era stato chiesto di quantificare l’indennità di esproprio per un’area che, pur ricompresa dal PRG all’epoca vigente nella macro zona agricola, rientrava tra le “aree sciabili e sistemi piste-impianti” disciplinate dall’articolo 41 delle norme tecniche di attuazione del PRG. La Corte d’appello, dopo avere verificato che la rigida applicazione dei predetti criteri, avrebbe condotto nel caso concreto a risultati quantomeno “anomali”, supera motivatamente la predetta rigida dicotomia o meglio gli effetti pratici che questa avrebbe determi-

nato nella specie. Questa infatti, richiamato il principio che le indennità di esproprio debbano “corrispondere ad un minimo di serietà, congruità ed affidabilità”, principio garantito pure dall’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 (come valorizzato dalla sentenza della Corte Costituzionale n°349/07), ha osservato che ove si fossero applicati al caso concreto i valori tabellari agricoli, l’area espropriata avrebbe avuto un valore complessivo di poco inferiore a 5 mila euro, a fronte d’un valore venale, ricavato dagli atti di compravendita di terreni aventi le medesime caratteristiche, prossimo ai 600 mila euro. Questa clamorosa discrepanza di valori ha indotto la Corte a verificare, ferma la destinazione urbanistica a zona agricola, le caratteristiche dell’area in questione. È stato così accertato che il terreno oggetto dell’esproprio, seppur compreso in zona agricola, avesse tuttavia “destinazione a sede dello svolgimento degli sports invernali” e che ciò rilevasse sotto almeno due profili. In primo luogo, perché la predetta destinazione non era in effetti riconducibile ad alcuna delle varie possibilità di sfruttamento che potesse definirsi “agricolo” dei fondi, secondo l’accezione civilistica. In secondo luogo, perché detta destinazione consentiva una, seppur limitata, attività edificatoria, connessa all’esecuzione di insediamenti, attrezzature di servizio ed infrastrutture relative allo svolgimento degli sport invernali. Donde anche per questa ragione aveva poco senso trattarla alla stregua d’un’area agricola “sic et simpliciter”. La Corte ha così ritenuto che la condizione dell’area oggetto di esproprio, indubbiamente particolare, fosse più vicina a quella dei suoli edificabili, rispetto a quella dei terreni agricoli. Da qui la convinzione che nel caso di specie, la quantificazione della indennità di esproprio dovesse essere eseguita disapplicando i valori tabellari in quanto non contemplanti, in base alla loro stessa struttura e composizione, le possibilità effettive e legali di destinazione ad usi diversi da quelli agricoli. D’altra parte, osserva la Corte, ove si applicassero i

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