Il Ribelle (Aprile 2009)

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MASSIMO FINI

do, poco dopo, erano state sequestrate altre due ragazze in un villaggio vicino. Questa era la sua maniera di difendere la dignità della donna (in Occidente ci riempiamo la bocca con la "dignità della donna", ma quando una ragazza viene stuprata in pieno giorno nel centro di una città, gli strenui difensori di questa dignità si girano dall'altra parte). Quando nel 2001 gli americani attaccarono l'Afghanistan appoggiandosi, sul terreno, ai Tagiki di Massud, una giornalista inglese penetrò in territorio afgano travestita da uomo. I Talebani la scoprirono e la arrestarono. Avrebbero potuto farne quel che volevano, usarla a fini di ricatto come abbiamo visto fare tante volte in Iraq con i civili, stuprarla o sottoporla a sevizie e umiliazioni anche peggiori, tipo Abu Ghraib dove la "cultura superiore" ha dato il meglio di sé, o semplicemente dimenticarsela in prigione perché avevano altro cui pensare perché erano in una situazione impossibile avendo di fronte, sul terreno, uomini di pari valentia guerriera mentre dal cielo gli irraggiungibili B52 americani bombardavano a tappeto le loro linee. Invece la trattarono con il rispetto che sempre si deve a un prigioniero, uomo o donna che sia, la interrogarono e, appurato che non era una spia come avevano ragione di sospettare, la riportarono al confine e la liberarono. E lei si convertì all'Islam. Nell'Afghanistan talebano esisteva un "Corpo per la promozione della Virtù e la punizione del Vizio" il cui compito era quello di vigilare sulla morale, in particolare quella sessuale. I Talebani sono degli integralisti religiosi, dei puritani, dei sessuofobi se si vuole. Possono essere feroci e crudeli ma lo stupro non solo è estraneo alla loro mentalità, lo considerano un delitto gravissimo, più dell'omicidio, perché offende la morale e la donna di cui hanno un'alta concezione anche se in modo diverso dal nostro. Continuamente le cronache e i reportage occidentali si occupano, lacrimando, delle disastrose condizioni in cui versa "questo martoriato Paese" (come se si fosse "martoriato" da solo e non fossimo stati noi a ridurlo nelle condizioni in cui è): il tasso di disoccupazione viaggia fra il 40 e il 50%, la corruzione, nel governo, nell'amministrazione pubblica, nella polizia, è endemica, i "signori della guerra" hanno ripreso a spadroneggiare e a taglieggiare (un camionista che attraversi l'Afghanistan deve passare fra i 20 e i 30 posti di blocco, pagando ogni volta il "pizzo"), la sicurezza non esiste, il mercato della droga impera, oggi l'Afghanistan produce il 93% dell'oppio mondiale. Nessun cronista e nessun inviato però si chiede mai com'era, da questi punti di vista, la situazione dell'Afghanistan sotto i Talebani. Perché il confronto sarebbe devastante. La disoccupazione non c'era. Per il semplice fatto che, come in tutte le realtà tradizionali, ogni famiglia, contadina o artigiana che fosse, viveva sul suo e del suo. L'ingresso dell'economia di tipo occidentale l'ha disgregata. Facciamo un esempio, piccolo ma significativo. Le donne afgane continuano a portare il burqua. I burqua erano confezionati da famiglie di artigiani afgani; adesso li fanno i cinesi. Perché i cinesi, con le loro macchine, fanno in poche ore decine di burqua là dove una famiglia afgana per confezionarne uno ci metteva una giornata. Ergo, migliaia di persone hanno perso il loro lavoro.


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