S&A 131 Settembre-Ottobre 2018 pp36-272

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PUNTI DI VISTA SUL VIADOTTO POLCEVERA NESSUN ERRORE PROGETTUALE

V

oglio approfittare dell’occasione che mi si offre per chiarire una volta per tutte una circostanza che spesso in questi giorni ho sentito emergere: i carichi attuali sono più gravosi di quelli dell’epoca di progettazione del viadotto Polcevera. Non è vero!

I carichi di progetto dell’epoca (carichi convenzionali: allora come oggi!) risultano in molti casi maggiori degli attuali anche perché affetti dal cosiddetto incremento dinamico che, in funzione della luce, li amplificava. Per i ponti di prima categoria, e tali sono tutte le opere d’arte costruite negli anni Sessanta sulle arterie principali italiane, si utilizzavano i cosiddetti carichi militari, unitamente ai carichi civili il cui effetto globale - se raffrontato a quello indotto dai carichi mobili attuali - risulta quasi sempre più gravoso. Piuttosto, è la fatica dei materiali indotta dai milioni di cicli di carico e scarico (transito dei veicoli) che crea problemi agli elementi strutturali sollecitati. L’opera di Morandi, uno dei massimi Esponenti dell’Architettura Strutturale nel mondo, va contestualizzata quindi rapportata all’epoca in cui si progettava essenzialmente con riferimento alla resistenza piuttosto che alla durabilità ritenendo che il c.a. avesse una durata e un comportamento pressoché esente da degrado. Tuttavia, la genialità di Morandi nell’ideazione delle sue strutture - e in particolare dei ponti, notoriamente le strutture più esposte agli agenti aggressivi ed alla fatica -, è consistita proprio nel progettare i cosiddetti stralli in c.a. a sezione omogenea, con una particolare attenzione alla durabilità dell’opera. Egli, infatti, previde di ricoprire i cavi principali di acciaio - cui sono affidati i carichi permanenti - con una guaina protettiva in c.a. prefabbricata che, successivamente, veniva precompressa per mezzo di cavi secondari e poi resa solidale ai cavi principali mediante iniezioni di malta; in tal modo, il comportamento della sezione del singolo strallo così inguainato diventava nei riguardi dell’esercizio (azione dei carichi accidentali) quello di una sezione omogenea di c.a. sempre interamente reagente. Con tale accorgimento si otteneva, tra l’altro, il duplice vantaggio di proteggere i cavi principali in acciaio armonico dagli agenti aggressivi e di ridurre i fenomeni di fatica negli stralli stessi. In poche parole, ai cavi di acciaio armonico (cosiddetti principali) si affida il compito di sopportare i carichi permanenti mentre i carichi mobili sono affidati alla collaborazione tra gli stessi cavi principali e la guaina di c.a.p. che li avvolge, con una sensibile riduzione del fenomeno della fatica nei cavi principali.

È scontato che il sistema funzioni e sia efficace fin quando la guaina in c.a.p. risulta interamente reagente e cioè sempre compressa. Nessun errore progettuale, quindi, come alcuni vanno affermando, ma solo purtroppo una carenza di controlli - che d’altra parte interessa la quasi totalità delle strutture del nostro Paese - ha fatto sì che il degrado progredisse fino a portare il viadotto al collasso. Sarebbe stato sufficiente condurre negli anni idonee campagne di indagine mirate all’individuazione dell’effettivo degrado del complesso strutturale o, meglio, di alcuni suoi elementi (gli stralli) per avere la possibilità di programmare e pertanto di eseguire i necessari interventi di ripristino e di consolidamento, giungendo perfino all’adeguamento antisismico della stessa; ciò, soprattutto, in considerazione del fatto che non da oggi la ricerca applicata ci fornisce nuovi materiali, nuove tecnologie e strumenti di calcolo adeguati. Al giorno d’oggi, al contrario di un’opera d’arte di nuova progettazione, la durabilità di una struttura già esistente non è pienamente definibile: dopo eventi - anche catastrofici - avvenuti in tutto il mondo e per tipologie di ponti le più varie, si è presa coscienza dell’importanza del progettare le strutture in genere, ma soprattutto quelle dei ponti, con particolare cura e attenzione alla loro durabilità al fine di ottenere forti economie in termini di costi di manutenzione ma, specialmente, di vite umane. Pur tuttavia, è altrettanto importante mantenere e consolidare tutte le opere esistenti che abbiano una valenza storica, architettonica o strategica da un punto di vista socio-economico: ciò perché i costi di una loro demolizione e di una successiva ricostruzione sono spesso insostenibili per la società. Demolire e ricostruire, dunque, non sempre è più conveniente, come spesso gli sprovveduti affermano. Un’analisi attenta del degrado o dell’incipiente dissesto, da condurre con metodologie e tecniche peraltro non sempre sofisticatissime - ma soprattutto con sapienza e sapendo cosa cercare - portano a escludere la demolizione e la ricostruzione come unica soluzione per il ripristino della viabilità in presenza di un ponte danneggiato. In definitiva, una diagnostica adeguata - così come un progetto mirato a prolungare la vita utile di un’opera d’arte - sono e saranno gli aspetti che nel prossimo futuro gli Enti proprietari e Gestori delle strade italiane dovranno curare con particolare attenzione. Prof. Ing. Lucio Della Sala, Cattedra di Costruzione di Ponti presso la Scuola di Ingegneria dell’Università degli Studi della Basilicata


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