Progetti possibili per una nuova attivazione della centrale nucleare di Caorso

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Diario di un giorno. Il paesaggio appare modesto e semplice ai miei occhi: il suo silenzio e il suo verde pallido dei primi giorni di marzo invitano alla calma ed alla serenità. Superato l’argine maestro, segno e confine tra l’Oasi e la campagna più agricola, si apre un paesaggio ricco di verdi scuri e color ocra diversi in sfumatura e tonalità: antichi alberi ricoperti da rampicanti ci chiudono la vista verso il grande fiume; piccoli prati, alternati a boschetti artificiali di pioppi, animano il pianeggiante terreno articolandolo di tinte e matrici. Dall’alto dell’argine maestro ogni cosa appare piccola e solo lasciandolo alle nostre spalle e immergendoci nel sottobosco fitto e disordinato di sterpaglie è possibile capire l’eterogeneità delle specie vegetali. Il fango è dappertutto: lungo la strada si allungano le ombre lasciando inevitabilmente il fondo morbido e umido; orme di vario tipo costellano i bordi della carraia e delle pozzanghere. Il silenzio mi circonda ed ogni passo che faccio fa scricchiolare sotto i miei piedi foglie ed erba secca. Man mano che mi addentro nella boscaglia scorgo vecchie rovine di cascine completamente abbandonate e riassorbite dai rampicanti. La curiosità si fa forte e cerco di spingermi sempre verso di loro ma è impossibile raggiungerle: fango e rovi chiudono la strada e la vecchia carraia scompare lasciando solo foglie e un folto sottobosco impossibile da percorrere. Desidero ardentemente scoprire cosa ha vissuto là ma la natura non mi da risposta e solo l’immaginazione può provare a delineare scene e azioni passate. Superati i primi terreni coltivati, prevalentemente a maggese e paglia, mi addentro tra i gruppi regolari dei pioppeti: qua il terreno cambia colore, da un verde smeraldo chiaro e rassicurante si passa a marrone scuro secco. Nei pioppeti è raro che cresca qualcosa ad altezza sottobosco: le continue cure dei proprietari delle coltivazione mantengono ordine e pulizia! Il mio sguardo scorre allora verso la vegetazione naturale che segue la Veccia Nure, la quale si presenta acquitrinosa e densa: alcuni gruppi di nutrie vivono sul bordo del torrente creando non pochi disagi alle piccole arginature. Qui i canneti fischiano al passare del vento e mi lasciano sempre in allerta per guardare o girare di scatto la testa all’accenno del minimo rumore. Non vi è argine a dividermi dall’acqua ma solo canneti e salici: il dolce declino del terreno non lascia intravedere un limite netto tra questi due elementi naturali. Passeggiando con particolare tensione lungo i bordi di questo canale scorgo una coppia di aironi cenerini che alla mia vista spiccano il volo spaventati, verso una vecchia cascina abbandonata in lontananza. Afferro il binocolo che odora di cuoio e polvere e inizio ad osservarli: la loro agilità e leggerezza li rende affascinati e seducenti. Le loro zampe lunghe gli permettono di muoversi in acquitrini densi e fangosi conferendo loro un’andatura calma e regale. Il loro batter d’ali è vigoroso e

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rilassato: seguendo il vento freddo si adagiano alle correnti e si appoggiano con grazia centinaia di metri


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