Scritti sulla tortura e il degrado morale del nostro tempo

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piccolo cane che peraltro adorava. E questo solo per poter trasferire il senso di impotenza e umiliazione che provava nell’essere sottoposto ad abusi dai suoi compagni di scuola e dal suo insegnante di pianoforte. Allora si chiede se chiunque sia capace di essere un torturatore. La risposta che si dà è che ci sono persone nel mondo che preferirebbero morire che far male a qualcuno, ma che non si deve sottostimare il potenziale di violenza insito nel senso di impotenza e mancanza di controllo sulle nostre vite, come negli Stati Uniti del dopo 11 settembre. A questo si deve poi aggiungere la brutalità istituzionalizzata dei riti di iniziazione, passaggio o sanzionatori nelle scuole e nell’esercito, dove i tormentatori sono considerati eroi e le vittime dei frignoni. Come hanno dimostrato gli esperimenti di Stanley Milgram e Philip G. Zimbardo, in un ambiente che approva un certo tipo di condotta, tutto è possibile, e persone comuni possono essere indotte con relativa facilità a diventare temporaneamente dei torturatori e questo senza particolari motivazioni personali se non quello di compiacere una figura autorevole o comunque un’autorità. Il titolo dell’articolo di Milgram pubblicato da Harper’s magazine era, non a caso, “The torturer in everyman” (Il torturatore nell’uomo qualunque). Detto questo, non si deve tirare troppo la corda con le spiegazioni ambientali. Non è assolutamente vero che chiunque potrebbe diventare un torturatore o un omicida seriale. In particolare, sarebbe bene tenere a mente che questo stesso genere di ricerche sperimentali hanno rivelato una realtà più complessa di quel che si crede. Mentre è vero che due terzi si trasformavano in volonterosi carnefici in ossequio all’autorità ed all’autorevolezza di chi stava sopra di loro – poiché è quasi sempre una questione di rapporti asimmetrici di potere –, è altrettanto vero che l’umanità testata in laboratorio si raggruppava in tre grandi categorie. Circa un terzo dei partecipanti era pronto a torturare anche fino alla morte. Un altro terzo era indeciso ma troppo sensibile alle sirene del conformismo, del gregariato e della forza. Il restante terzo era formato da Giusti, ossia individui solidali, che potremmo definire “animati”, ossia provvisti di una coscienza universale non irretita da affiliazioni razziali, nazionalistiche, di genere, di culto ed ideologiche varie. Questi ultimi si rifiutavano con determinazione di diventare complici. Inoltre, quando si eliminavano le barriere e il “carnefice” si trovava a diretto contatto con la “vittima”, la percentuale di “strumenti del potere”, scendeva a circa un terzo. Quindi l’empatia può battere il conformismo e l’ottemperanza automatica. Se un altro scienziato dissentiva rispetto a chi dirigeva l’esperimento i “torturatori” si fermavano quasi subito, a dimostrazione che Milgram non aveva misurato il grado di obbedienza ma piuttosto il livello di autorevolezza di cui godevano gli scienziati in genere, che spingeva le persone comuni a ritenere che le loro esitazioni e dubbi erano infondati, visto che l’esperto non li invitava a desistere. Infine i risultati peggiori si sono ottenuti in società più coese e conformiste, mentre all’aumentare del tasso di individualismo si accresceva anche la percentuale di chi si chiamava fuori. In pratica, tutto indica che una personalità non-autoritaria e narcisistica difficilmente diventa un torturatore e questo spiega perché gli eserciti ed i regimi debbano condurre selezioni rigorose del personale, scartando un gran numero di candidati. Più preoccupante è constatare che la gran parte della gente (in Argentina, in Cile, nell’Italia dei fatti di Genova, nella Trento occupata dove si torturava in via Brigata Acqui) è perfettamente in grado di far finta di niente se


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