Il Pezzente di Denari (1°cap.)

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soldi su soldi. Sapevo che questo colloquio poteva cambiare la mia vita, cercavo di concentrarmi, di tranquillizzarmi, non potevo fallire. Avevo avuto tanti insegnamenti su come trattare con le persone, su come presentarmi in pubblico, ma un conto era parlare dei soldi e dei destini degli altri, un conto per se stessi. Adesso in gioco c’ero io. Solo io. Ero consapevole della grande opportunità. Io figlio di una lavandaia e cameriera tuttofare per le famiglie ricche della costa versiliese, dovevo riuscire questa volta a spiccare il salto, per non rimanere un ordinario impiegato di banca, magari una targa in ricordo del lavoro svolto con dedizione una volta divenuto anziano e poi una dignitosa pensione. Quella giornata di metà dicembre doveva e poteva cambiare la mia vita. E la cambiò. Arrivai alla banca dopo aver percorso a piedi il lungo lago, traversai il Pont du Mont Blanc guardando ammaliato quei palazzi austeri, le imperiose banche e i grandi alberghi: mi parevano impenetrabili. Lo erano. Stamani avrei provato a cercare un varco per entrarci. Prima di andare all’ingresso guardai il lago, cercavo un elemento a me familiare: l’acqua. Ma anche questa come l’aria era piatta, fredda e distante indifferente ai destini degli uomini; non era il mare, profumato di inebriante salmastro, paterno e materno al tempo stesso, rincuorante nella sua immensità, questa era acqua di lago stagnante e inodore. Mi concentrai, respirai forte, arrivai davanti all’entrata. Gli uffici erano chiusi al pubblico a quell’ora; suonai, al citofono una voce in francese mi chiese chi fossi e cosa desiderassi. Il marmo nero, freddo e con un che di superbo, con cui era rivestita la superficie dei muri esterni m’intimidiva. Cercando il migliore accento possibile risposi in quella lingua che avevo un appuntamento per le due del pomeriggio con Mister John John. Il nome di questo alto funzionario pareva un po’ ridicolo, la porta però, quasi avesse udito quel nome, immediatamente si aprì. Entrai e un addetto mi venne incontro pregandomi di seguirlo. Salimmo al primo piano, arrivammo in una stanza luminosa con ampi divani, comode poltrone e moderni quadri alle pareti, difesi da teche di cristallo, dal che presunsi fossero pure degli originali. Fino a quel momento avevo visto quadri simili solo sui libri di scuola o nei musei. Mi sfilai il cappotto, immediatamente e con gentilezza quel signore lo prese e lo pose in un armadio a muro accanto alla porta, mi salutò e uscì dalla stanza. Mi accomodai su di una poltrona morbidamente accogliente con i suoi soffici cuscini Pochi secondi e da dietro un’altra porta apparve una ragazza sui trent’anni. Bella ma non vistosa, in giacca e pantaloni chiari azzurri, camicetta rosa, elegantemente imprenditoriale senza offuscare il suo lato femminile, buona scia di profumo intorno, occhiali da vista con montatura leggera, accativante sorriso d’ordinanza. Senza esitazione mi parlò in inglese e fece strada, alla porta dell’ufficio 18


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