Bart Moeyaert
l’oca e suo fratello
illustrazioni di
Gerda Dendooven traduzione dal nederlandese di
laura pignatti
per mamma e papĂ BM
INDICE
Ci siamo • 13 Uno, due, tre • 18 Un’ottima proposta • 24 Altrettanto • 26 È duro morire • 30 Il biglietto • 34 Molto importante • 38 Sorpresa • 41 Fatto e finito • 45 Miomiomio • 48 Domenica • 51 Sottinteso • 53 Noi • 59 Presidente • 61 Mah cosa? • 63 Il ratto • 65 Nodo • 68 Metro • 71 Ma • 72 Senza cuore • 76 Pennuti • 81 Ritrovato • 85 Ciao, mio caro • 89
L’agnello • 92 Il lato notturno • 95 Ulla ulla • 97 Buonanotte • 99 Il cugino • 100 Aiuto • 103 Il bucato • 106 Di nuovo • 109 Abbastanza • 112 La felicità • 119 L’utilità dei tacchini • 122 Va bene • 125 Perdono • 127 Cresciuto • 130 José • 132 Lo zerbino • 134 L’esempio • 138 Ah • 140 Ricordi • 146 Consolazione • 148 Niente • 150 Sopra • 153
Ci siamo
«Ehi, fratello», disse l’oca. «Senti un po’, mi vuoi spiegare una buona volta il motivo per cui le oche volano fino in Spagna proprio quando qui comincia il periodo migliore?». «Perché le oche non hanno vestiti per l’inverno», rispose suo fratello. «Ma figurati!», disse l’oca. «Certe rimangono qui anche quando fa un freddo tremendo e davanti alla rimessa si ammucchiano cumuli di neve». «Eppure noi due dobbiamo pensare alla partenza», disse il fratello. «A Vila do Bispo fa sempre un bel calduccio». «E i tacchini, allora?», disse l’oca. Il fratello sospirò spazientito. Quando rispose, la sua voce veniva dal profondo: «I tacchini non sanno volare. Se sapessero volare, stai certo che partirebbero anche loro». «Però neanche loro hanno i vestiti invernali, eppure se ne stanno qui belli tranquilli. E non muoiono mica di freddo». «Ma cosa vuoi saperne tu? Noi finora siamo sempre andati in Spagna, in inverno. Noi lì, ad arrostirci al sole, e loro qui, ad arrostirsi anche loro, ma nel forno, con una cipolla nel sedere». 11
«In che senso?», disse l’oca. «Nel senso che la devi smettere, ecco in che senso! Ce ne andiamo a Vila do Bispo come sempre, e poi in primavera torniamo qui, punto e basta». Suo fratello aveva sempre l’ultima parola, non voleva sentire ragioni. L’oca avrebbe potuto protestare, protestare all’infinito, ma tanto non sarebbe servito a nulla. Avrebbe solo finito per rovinarsi l’ultima giornata lì, proprio ora che cominciava a essere piacevole. «E va bene», disse, e attraversò il ruscello per andare nella rimessa a preparare la valigia. Strada facendo guardò con invidia i tacchini che stavano appollaiati tutti insieme a giocare a carte. «Ve ne andate anche quest’anno?», gli domandò un tacchino. «Be’, mi tocca», rispose l’oca. «Mio fratello vuole così. Lui è il più vecchio, e quindi comanda. Non posso rimanere qui da solo a morire di freddo». «Morire di freddo?», ripeté il tacchino, mentre raccoglieva le carte. «Ma perché, è quello che succede qui?». Gli altri tacchini alzarono la testa. Anche loro non avevano mai sentito parlare di morire di freddo. 12
«Be’, pare che qui esca fumo dal camino, che mettano un albero dentro casa, con le luci, e poi un giorno viene fuori la contadina», dissero. L’oca rimase in attesa, ma non seguì nient’altro. «E poi?», chiese. «E poi cosa?». «E poi cosa fa la contadina?». «In che senso, scusa?». «In tutti i sensi: cosa fa la contadina?». «Te l’abbiamo già detto: la contadina viene fuori». Sembrava che mancasse qualcosa. L’oca aveva immaginato una storia più gradevole. «Viene fuori e cosa fa? Lava le scale davanti alla porta di casa? Va a mungere una mucca? Canta? Se viene fuori mentre noi siamo in Spagna sarà per fare qualcosa, no?». I tacchini si guardarono tra loro e si strinsero nelle spalle. «Mah, le oche…», disse uno. «Le oche non hanno tutte le rotelle a posto», disse un altro. E ripresero a giocare a carte. Solo il tacchino che aveva parlato per primo, continuò a guardare l’oca e suo fratello. Disse: «Non capiamo cosa vuoi dire. Anche noi l’abbiamo sempre trovato un po’ strano, questo fatto della contadina che viene fuori. È come se mancasse qualcosa, è vero, ma per noi la cosa finisce lì». 13
«Ah, è... è come una sorpresa», disse l’oca. «Macché sorpresa e sorpresa», disse il tacchino. «Un bel giorno la contadina viene fuori per noi tacchini: uno ne esce vivo, un altro si addormenta, un altro ancora a un tratto sparisce e non c’è più. Le cose stanno così, cioè, più che stare così, vanno così. E non c’è niente da fare». «E della cipolla nel sedere, ne sapete qualcosa?». Il tacchino si strinse nelle spalle. «Dicono tante cose. Per esempio che certe pecore d’inverno sanno di menta. E che i cani una certa sera possano stare davanti al caminetto». Guardò le carte che aveva in mano. «Noi ci facciamo delle domande, ma non ci affanniamo a trovare delle risposte. Le cose vanno così. Ti scegli le carte, e poi stai a vedere cosa succede». «Non l’avevo mai considerato da questo punto di vista», disse l’oca. Le tre pecore dal pelo ruvido che un po’ più in là facevano finta di ruminare, in realtà stavano imprecando. Ogni tanto cadeva qualcosa dalla bocca dell’una o dell’altra. Una sola pecora ebbe il coraggio di dire a voce alta cosa pensava. «Ma sei ancora qua? Su, sbrigati, vattene 14
in Spagna e lascia in pace quelli che rimangono a casa». L’oca finse di non avere sentito il suo tono ruvido. «Non mi sembrava di averti fatto una domanda», disse educatamente. «In modo indiretto, sì», disse la pecora. «Ho sentito qualcosa sulle pecore che sanno di menta». «Be’, e allora?». La pecora continuò a ruminare, lanciò una rapida occhiata alle sue comari, e poi disse con tono esitante: «Sì, è vero. Le cose stanno così. Una ne esce viva, una si addormenta, una a un tratto non c’è più, e certe pecore cominciano a sapere di menta. Dentro, da qualche parte». «Dentro dove?». «Te l’ho detto: da qualche parte». Anche qui, sembrava che mancasse qualcosa. «Dentro una casa?», disse l’oca. «In un ovile? Sotto un covone? Se voi cominciate a sapere di menta mentre noi siamo a Vila do Bispo, dovrete pur essere da qualche parte, no?». «Mah, le oche», disse una delle pecore scuotendo la testa. «Le oche sono un po’ ritardate», disse un’altra. 15
Solo la pecora che si era rivolta all’oca per prima, continuò a guardarla. «Non sappiamo cosa intendi», disse. «A noi è sempre sembrato un po’ strano – dentro, da qualche parte al chiuso – ma quando arriveremo a quel punto, vedremo dove sarà». «Ah... sarà una sorpresa», disse l’oca. «Ma quale sorpresa!», sbottò la pecora. «Vai, vai, corri». Il messaggio era inequivocabile. L’oca salutò i tacchini e si limitò a fare un cenno con la testa alle pecore. Doveva andare a preparare i bagagli. Pensò all’erbetta tenera davanti alla casa di Vila do Bispo e all’acqua, quando ci avrebbe immerso le zampe, e che era meglio evitare di mangiare troppo, prima di volare. Il cane nella sua cuccia fece spaventare l’oca. Disse: “Guarda che la pecora ha ragione”. L’oca pensò: “Tipico”. Naturalmente il cane prendeva le difese di quegli esseri ottusi. Il cane continuò ad annuire. Era gentile, in realtà. «Ti conviene partire subito, prendi e te ne vai in Spagna con tuo fratello, perché basta un attimo ed è già troppo tardi». 16
«Che vuol dire, troppo tardi?». «Troppo tardi e basta», disse il cane. «Non posso dirti altro». L’oca lì per lì rimase senza parole. «Sei un tipo fedele, tu, ma sei anche un po’ falso. Ovviamente non mi stai dicendo tutto. Perché una sera all’anno ti lasciano stare davanti al caminetto e lì vedi di più. Su, dimmi, che ne sai delle lucine sugli alberi e della musica che scende dal cielo? Davvero ci sono pecore che sanno di menta e tacchini con una cipolla nel sedere?». «Cric-crac», fece il cane, e serrò strette le mascelle. Si guardava intorno spaventato, perché lui sentiva un sacco di cose che l’oca non sentiva. A quel punto l’oca, suo fratello, i tacchini, le pecore e il cane videro uscire la contadina. La contadina attraversò l’aia, afferrò un tacchino e se lo portò in casa.
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