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Periodico del Master in Giornalismo dell’Università Iulm - Campus Multimedia In-formazione - Facoltà di Comunicazione, relazioni pubbliche e pubblicità
Anno XI
w Numero V
ATTUALITÀ
Temporary shop e coworking: la crisi è tamponata?
PP.
L’Italia spezzata
w Marzo 2014 w http://www.campusmultimedia.net/labiulm/news/
12-15
PAGINE 4-11
SPORT
Anche in Italia il curling conquista nuovi appassionati
PP.
20-21
Al Sud assicurare un’auto costa il doppio che al Nord, per le imprese è più difficile l’accesso ai crediti e gli studenti emigrano dopo il diploma. Il Belpaese, a più di 150 anni dall’Unità, viaggia ancora a due velocità. Ma non per la ‘ndrangheta
SPETTACOLI
PP.16-17
Cinema: arriva il digitale, addio alla pellicola?
Gli Appennini uniscono il Paese
Giovanni Puglisi
È diventata davvero stucchevole! Con tutti i problemi e le situazioni, spesso drammatiche, che attanagliano l'intero Paese, dalle “Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno”, per usare una citazione manzoniana, che è quasi un must letterario, i salotti intellettuali e i faccendieri di Palazzo continuano a discettare sulla "questione meridionale" oppure parallelamente sulla “macro-regione del Nord”, le due facce strumentali della stessa medaglia. Un anno fa, poco più, poco meno, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, intervenendo a Palermo, nell'unica celebrazione siciliana del 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia, ha dovuto ricordare che non esiste un Nord senza il Sud e, contestualmente, non può esistere un Sud senza il suo Nord. (continua a pag. 24)
SPETTACOLI/2
PP.
18-19
Quando i fan salvano le serie: la tv è “partecipata”
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Pagina 2
SoMMarIo
I
l giornale che avete in mano è un prodotto molto particolare. E’, insieme, la palestra degli allievi del Master di Giornalismo Iulm – Campus Multimedia, e il biglietto da visita di una Università dove si studia Comunicazione (la prima ad averlo proposto in Italia) e che sceglie di comunicare at-
LaB Iulm
Una scommessa e una vetrina traverso il lavoro formativo dei suoi studenti. Non era mai accaduto prima che la testata di una scuola di giornalismo prendesse il mare aperto e venisse distribuita insieme a un giornale “adulto” e prestigioso come Prima comunicazione.
Per i trenta ragazzi del Master è un impegno forte, che li proietta immediatamente a contatto di un pubblico specializzato e attento, quale quello di Prima. Ma questa occasione senza precedenti è anche la prima vetrina in cui
mettersi in mostra, da giornalisti, misurandosi con l’attualità, l’inchiesta, il costume, la cultura, i cambiamenti sociali e le trasformazioni di Milano, la città dove i ragazzi del master studiano e imparano il mestiere del giornalista. Per
l’Università Iulm è una scommessa che confidiamo sarà ben riposta. E non è rituale il ringraziamento a Prima Comunicazione per un’ospitalità che, a sua volta, è un beneaugurante attestato di fiducia a chi comincia ad affacciarsi a una professione complessa e difficile. Ma anche entusiasmante. (I.B.)
QUESTO NUMERO
L’Italia spezzata Diretto da Ivan Berni e Giovanni Puglisi (responsabile)
In redazione:
Eliana Biancucci, Carlotta Bizzarri, Benedetta Bragadini, Matteo Colombo, andrea Cumbo, Micaela Farrocco, Enrico Lampitella, adriano Lo Monaco, Lorenzo Matucci, Giulio oliani, Maurizio Perriello Nicolò Petrali, Jacopo rossi, antonio Torretti, Claudia Vanni. Mariella Laurenza, adriano Palazzolo, Stefano Scarpa, Cosimo Firenzani, Cinzia Caserio, Federico Fumagalli, Elena Iannone, alessandra Teichner, Daniele Lettig, Barbara Montrasio, Girolamo Tripoli, Matteo Palmigiano, roberta russo, Federica Palmieri, Marco Demicheli. Registrazione: Tribunale di Milano n.477 del 20/09/2002
via Carlo Bo, 1 20143 - Milano 02/891412771 - labiulm.redazione@iulm.it Stampa: Graficart snc - Biassono (Milano)
Master in Giornalismo Campus Multimedia In-Formazione Direttore: Giovanni Puglisi responsabile didattico: angelo agostini Caporedattore: Ivan Berni responsabile laboratorio redazione digitale: Paolo Liguori Tutor: Silvia Gazzola Docenti: angelo agostini (Storia del giornalismo, Editing e Deontologia) Camilla Baresani (Scrittura creativa) Marco Capovilla (Fotogiornalismo) Toni Capuozzo (Videoreportage) Maria Piera Ceci (Giornalismo radiofonico) Marco Boscolo (Data Journalism) andrea Delogu (Gestione dell’impresa editoriale-TV) Luca De Vito (riprese e montaggio) Giuseppe Di Piazza (Progettazione editoriale e Giornalismo Periodico) Dario Di Vico (Giornalismo economico e finanziario) Guido Formigoni (Storia contemporanea) Giulio Frigieri (Infodesign e mapping) Sabrina Giannini (Videogiornalismo) Marco Giovannelli (Digital local news) Bruno Luverà (Giornalismo e società) Caterina Malavenda (Diritto penale e Diritto del giornalismo) Matteo Marani (Giornalismo sportivo) Marco Marturano (Giornalismo e politica) Sandro Petrone (Giornalismo televisivo) Massimo Picozzi (Criminologia e Giornalismo) andrea Pontini (Gestione dell’impresa multimediale) Marco Pratellesi (Gestione delle imprese editoriali Web) Giuseppe rossi (Diritto dei media e della riservatezza) alessandra Scaglioni (Giornalismo radiofonico) Claudio Schirinzi (Giornalismo quotidiano) Gabriele Tacchini (Giornalismo d’agenzia) Vito Tartamella (Giornalismo scientifico) Fabio Ventura (Trattamento grafico dell’informazione) Marco Subert - Vito Cosenza - Francesco Del Vigo (Social Media Curation) Presidente: Giovanni Puglisi
Vice Presidente: Gina Nieri Amministratore Delegato: Paolo Liguori Direttore generale: Marco Fanti Consiglieri: Gian Battista Canova, Mauro Crippa, Vincenzo Prochilo, Paolo Proietti
labiulm.campusmultimedia.net youtube.com/clipreporter
Il problema è antico quanto l’Unità d’Italia. Siamo un paese spaccato come un melone, però passano i decenni e - da un grande progetto all’altro, da una cassa del Mezzogiorno sprecona a un miraggio federalista mai concretizzato - le differenze fra Nord e Sud rimangono e si approfondiscono. Prendiamo il caso di questa crisi infinita: non è vero che tutto il paese ne soffre allo stesso modo. Il sud ne soffre molto di più, perché si spegne anche quel poco di speranza legata agli insediamenti produttivi, alla possibilità di un rilancio legato a quel poco che c’è. Ma se quel che c’è è il nulla, e se la politica sembra far di tutto per rendere impossibile fare impresa, innovazione e ricerca perché al sud il credito costa più caro, le infrastrutture sono a pezzi e le università sono lasciate alla deriva, allora corre il dovere di raccontare, ancora una volta, quanto sia velleitario parlare di crescita e nuova occupazione. Senza il sud non c’è l’Italia. Sarebbe ora di capirlo, senza prendersi in giro.
DOSSIER LE 2 ITALIE Prigionieri di due Italie
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Prendo la borsa e vado al Nord
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Su e giù per lo Stivale senza fine
L’abolizione del valore legale del titolo di studio spacca l’Italia
L’ex ministro Profumo “Studenti, viva la mobilità”
6 7
Assicurazioni: Napoli, oh carissima...
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Sedriano: quei bravi ragazzi del Nord
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Credito alle imprese: il denaro costa di più nel Mezzogiorno
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L’inchiesta Infinito
ATTUALITÀ
Coworking, la collaborazione è un’impresa
12
Tempo di temporary shop
14
13
Milano, la condivisione tra la musica e il sociale Francesca Zorzetto: “Obiettivi, durata, target: i segreti del successo”
SPETTACOLI
15
Digitale Anno Zero: la rivoluzione dei grandi schermi
16
Antonio Sancassani: “Il cinema Mexico mi ha salvato la vita”
17
I cinema degli oratori
16
A far la serie tivù comincia tu
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Curling Stones
20
“Sul ghiaccio grazie a James Bond”
21
SPORT
20
L’attrezzatura
IULM NEWS LabIulm
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LAB Iulm
G
EDITORIALI
La Grande bellezza, l'Oscar che non vogliamo vincere
* Gianni Canova
ufano, gufano. Starnazzano, pontificano, decretano. Sparano condanne senza appello e diventano lividi di astio alla sola idea che La grande bellezza di Paolo Sorrentino possa vincere l’oscar. La rete, in questi giorni, ribolle di astio. Chi osa spendere parole di apprezzamento per il film viene subito colpito da frizzi, lazzi e starnazzi. E’ capitato anche a me, che non ho mai fatto mistero di quanto mi piaccia La grande bellezza: non passa giorno che non riceva almeno una mail in cui, nel migliore dei casi, mi si dà dell’incompetente e mi si invita ad andare a zappare la terra. Noi italiani siamo fatti così: ci lamentiamo per anni dello stato di crisi del nostro cinema e poi, quando un film italiano piace al mondo, vince i Golden Globe e si appresta a conquistare
l’oscar, gli spariamo addosso. Siamo gelosi, invidiosi, livorosi. Godiamo del nostro pavoneggiarci per essere “fuori dal coro”. In Francia, in Germania o in Inghilterra, quando un film è candidato all’oscar, l’opinione pubblica sente quasi il dover “morale” di “cantare in coro”, e di sostenere all’unisono l’eccellenza della cultura nazionale. Da noi no. Noi siamo solisti. Noi dobbiamo distinguerci. Noi ci facciamo belli del nostro presunto “anticonformismo”. Siamo critici, noi. Severi, accigliati, intransigenti. Cioè individualisti, fanfaroni, ignoranti. a me, lo confesso, La grande bellezza è piaciuto molto. Non so se è un bel film. Non pretendo che il fatto che piace a me sia un indicatore di valore assoluto. So che l’ho visto 6 o 7 volte, e credo che lo rivedrò ancora. ogni volta che lo vedo, colgo con chiarezza tutti i suoi difetti, le sue imperfezioni, le sue fragilità. E tuttavia succede con questo film una cosa analoga a quella che può succedere con una donna: sai che ha quei difetti, eppure ti fa impazzire. Forse, ti fa impazzire proprio per quei difetti. rapimento ed estasi.
Perché mi piace? Perché penso che sia un film potente. Molto fisico. Nel suo continuo attrito fra vitalismo e indolenza, tra frenesia e immobilità, fra i corpi di carne degli umani e i corpi di pietra delle statue, è molto più che una “dolce vita” dei nostri tempi cafoni. È un un mix di nichilismo, cinismo e disincanto che ha il coraggio di mettere in scena non sentimenti nobili, non storie di riscatto, non temi sociali e civili, non messaggi rassicuranti, non denunce urlate e ringhiose, ma semplicemente la scoperta di quanto l’uomo sia
divisione sta travolgendo abitudini consolidate fino a prefigurare un vero e proprio cambio di paradigma. Non solo l’auto privata si usa sempre meno per gli spostamenti brevi in città: molti hanno rinunciato, o stanno rinunciando, al possesso di un automobile personale. L’affermazione del car sharing sembra annunciare la fine delle seconde auto, quelle dei giovani e giovanissimi, quelle usate dalle signore per lo shopping, quelle del professionista che alla Bmw o audi d’ordinanza affiancava una citycar
per i suoi movimenti metropolitani. La car sharing mania sta facendo a pezzi l’antico status symbol delle quattro ruote. La celebre frase un po’ bullesca: “Mi sono fatto il Cinquino”(ola Mini, o il Toyotino) , andrà definitivamente in pensione. Fra qualche settimana, a Milano, i grandi operatori dell’auto in affitto saranno cinque e si potrà scegliere “a la carte” fra Smart, Fiat Cinquecento, Volkswagen Up (con il nuovo servizio Twist), le auto elettriche di EVai e la miniflotta multimarche del servizio Guidami, il più
miserabile. Esattamente come faceva La dolce vita di Fellini. anche quello non piacque più di tanto agli italiani. anche quello fu deriso, stroncato, osteggiato. Con motivazioni analoghe a quelle con cui oggi stroncano Sorrentino: non c’è sviluppo narrativo, c’è poco racconto (come se un film dovesse per forza basarsi sui modelli di narrazione forte tanto cara alle fiction della Tv generalista…). oppure. ci sono episodi gratuiti (qui l’episodio della suora, là – in Fellini – quello del “falso miracolo”). Qualcuno arriva addi-
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rittura a dire che La grande bellezza non gli piace perché scopiazza Fellini. Guarda caso, sono quasi sempre gli stessi che poi adorano Tarantino per la sua estetica citazionista. Misteri della fede, e della cinefilia. Sorrentino ha il grande merito - secondo me – di aver realizzato un film che non dice al suo pubblico ciò che questi vorrebbe sentirsi dire, e che anzi va da un’altra parte. Senza compromessi, senza ipocrisie. Un film che ci mette di fronte alla percezione dell’irrilevanza. Della vanitas vanitatum. Forse è per questo che gli italiani non lo sopportano. Perché ci dice che la “grande bellezza” evocata dal titolo, purtroppo, non ci appartiene più, non ci riguarda. Perché non la sappiamo riconoscere. Non la vediamo neppure, che si tratti di un rudere archeologico o di un film. Che il livore della rete sia l’estremo tentativo di esorcizzare la paura della cecità che sentiamo crescerci dentro?
* Docente IULM e Preside della Facoltà di Comunicazione, relazioni pubbliche, pubblicità
Car sharing, amore metropolitano
a
Ivan Berni
i primi di febbraio erano 90mila. Ed è scontato pensare che in tempi brevi si arriverà a superare la soglia psicologica dei 100mila. Milano si è innamorata del car sharing e nulla fa pensare che si tratti di una cotta momentanea. Dallo scorso settembre, quando venne lanciato di Car2go – il servizio organizzato da Mercedes Benz con oltre 600 Smart messe in strada – la progressione è stata inarrestabile. L’uso dell’auto in con-
vecchio sulla scena. In posizione d’attesa il gruppo Bmw con le sue Mini, che però chiede al Comune di limitare il “suo” car sharing al centro. Tutti, o quasi, alle stese tariffe superaccessibili: da 0,24 a 0,29 centesimi di euro al minuto tutto compreso. La chiave di volta di questo travolgente successo è l’incrocio dell’offerta del servizio con la tecnologia digitale. Si attiva la app sullo smartphone, si prenota l’auto più vicina, si accede con una card e il gioco è fatto. Costa solo il tempo d’uso. Bassissimo o nullo il prezzo dell’abbonamento (19 euro il Car2Go), niente spese per benzina e assicurazione. In più zero spese per l’ingresso nell’area C (il ticket costa 5 euro al giorno) e per la sosta, gratuita in tutta città. Il sistema non obbliga a riconsegnare la vettura in qualche luogo predestinato: le macchine si possono lasciare ovunque. Dodici anni fa, quando si avviarono i primi esperimenti di car sharing, ci si attendeva che il pubblico scegliesse sulla base di un’opzione politico- ideologica: condivido l’auto perché così faccio il bene del mondo, oltre al mio. Così non ha funzionato, perché il servizio era scomodo (le piazzole di sosta a chilometri di distanza); inefficiente (poche auto: il rischio di non trovarne
una al momento del bisogno era assai alto); costoso e dalla gestione complicata. L’uovo di Colombo è stata la scoperta che oltre ad Sms, What’s up, mail, Tweet, musica, fotografie e video ci si poteva scambiare anche l’auto. a prezzi insospettabilmente bassi. ora la convenienza del car sharing potrebbe, persino, cominciare a impensierire i tassisti, a loro volta in guerra con le agenzie di noleggio auto con conducente, divenute d’un tratto pericolose concorrenti per via - ancora una volta – di una app (la Uber) che permette di prenotarle al volo a prezzi di poco superiori a quelli di un taxi. Insomma, la tecnologia digitale sta riuscendo a farci muovere in modo più intelligente, meno costoso e inquinante e, probabilmente, meno nevrotico di quanto abbiamo fatto finora. Si rassegnino gli idolatri dell’auto feticcio. E anche i tassisti.
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Prigionieri di due Ital
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LaB Iulm
DoSSIEr
Dalla formazione universitaria al mercato del lavoro, dagli investimenti all’accesso al credito per le imprese: il divario Nord-Sud si amplia sempre di più
C
Enrico Lampitella
ome scrisse Giustino Fortunato nel 1899 in una lettera indirizzata a Pasquale Villari: “Che esista una questione meridionale, nel significato economico e politico della parola, nessuno lo mette in dubbio”. Ma che a distanza di un secolo dalla denuncia dell’illustre meridionalista, l’annoso problema del divario tra Nord e Sud Italia persista ancora in tutta la sua drammaticità, questo è un fatto intollerabile. Sul tema, è uscito recentemente anche un libro della coppia Stella-rizzo intitolato “Se muore il Sud”. Un’inchiesta sullo stato di degrado del Meridione e le responsabilità della sua classe dirigente. Infatti l’Italia di oggi si presenta come un paese spaccato in due. Da una parte il Nord, che nonostante stenti in termini di crescita rimane comunque una macroregione ricca e industrializzata. Dall’altra parte c’è il Sud-Italia, povero, con investimenti esigui e una disoccupazione galoppante. Un solco che si allarga sempre di
altri indicatori di sviluppo. Come l'industria e in particolare il manufatturiero meridionale che ha perso quasi 160mila posti di lavoro. Insomma, un paese che procede a due velocità. Perché il meridione è un luogo ridotto alla desertificazione industriale, dove crollano Pil e investimenti. In 5 anni il Pil del Mezzogiorno è crollato del 10%, quasi il doppio del Centro-Nord (-5,8%). Se si ragiona poi in termini di Pil pro capite, il divario è ancora più netto. Tutte le regioni del Sud si collocano sotto la media nazionale di 25.176 euro pro capite. Nel 2012 la regione più ricca è stata la Valle d’aosta (34.415) seguita da Lombardia (33.443).
Tutte le regioni del Sud in termini di Pil pro capite sono sotto la media nazionale di 25.176 euro
Nel Mezzogiorno invece, ad eccezione dell’abruzzo (21.144), tutte le altre regioni sono rimaste ampiamente sotto i 20mila euro pro capite. La regione più
Condizioni, che spingono i giovani e in generale chi è in cerca di un lavoro a emigrare. Infatti, un fenomeno che sta assumendo proporzioni preoccupanti, è quello dell’esodo di massa della popolazione dal Sud verso il Centro-Nord. I dati sull’emigrazione inclusi nel rapporto Svimez sono impietosi: in vent'anni sono emigrate 2,7 milioni di persone. E solo negli ultimi 10, si sono spostate dal Mezzogiorno 1 milione e 300mila persone, di cui 176mila laureati, che rispetto al decennio precedente sono quasi raddoppiati. Ma l’emigrazione molto spesso avviene anche ante lauream. Infatti 1 diplomato del Sud su 5 va a iscriversi in un ateneo del nord. Una tendenza che non stupisce, se si considera che nella classifica dei dieci migliori atenei italiani, pubblicata dal Censis e divisa per tre categorie: piccoli, medi e grandi, gli atenei delle città del sud occupano le ultime posizioni. Scalzati da quelli di Milano, Torino, reggio Emila, Pavia, Siena, Bologna e Camerino. ad esempio tra i piccoli, l’orientale di Napoli e l’università di reggio Calabria sono ultima e penultima. Mentre la Federico II è il fanalino di coda tra le mega. Tra i quattro
Negli ultimi 10 anni si sono spostate da Sud a Nord 1 milione e 300mila persone, di cui 176mila laureati
più, visto che il divario NordSud riguarda molti settori. Dalla formazione universitaria al mercato del lavoro, dagli investimenti all’accesso al credito per le imprese, così come tutti gli
IL SUD CHE RESTA
povera è stata la Calabria, con soli 16.460 euro pro capite. anche i consumi delle famiglie meridionali non vanno meglio, in calo del 9,3%, oltre due volte in più del Centro-Nord (-3,5%).
politecnici in classifica invece, quello di Bari non raggiunge il podio. Per le nuove generazioni del Mezzogiorno così, le porte d’accesso al lavoro continuano a essere sbarrate. anche la durata della disoccupazione si è allungata, così come la transizione scuola-lavoro. La scolarità per i giovani residenti al Centro-Nord dura un anno in
In 10 anni al Sud più morti che nati. Non accadeva dal 1918. In base alle elaborazioni dei dati del censimento 2011 ora allineati alle anagrafi, emerge che il decennio appena trascorso ha rappresentato un momento straordinario nella crescita del Paese. Dal 2001 al 2011 la popolazione è cresciuta del 42,8 per mille, soprattutto al Centro-Nord (63,9 per mille contro il 5 del Mezzogiorno), un livello che non si registrava dagli anni ‘70. Il Mezzogiorno ha perso il tradizionale ruolo di bacino di crescita italiana: nel 2012, al Sud i morti hanno superato i nati, un risultato che si era verificato solo nel 1867 e nel 1918. Mentre nel 2012 i minori di un anno, 531mila, hanno raggiunto lo stesso numero degli over 76. In dieci anni, inoltre, al Sud hanno perso popolazione i comuni sotto i 5mila abitanti, soprattutto nelle aree interne e quelli con più di 100mila abitanti, per effetto delle migrazioni.
più dei loro coetanei meridionali, ma al Centro-Nord l’inserimento nel mercato del lavoro avviene ben sei anni prima. Mercato del lavoro che nel Sud Italia continua a deteriorarsi. Gli occupati nel Mezzogiorno, sono scesi nei primi mesi del 2013 sotto la soglia dei 6 milioni. Non accadeva da 36 anni, dal 1977. Solo nel primo trimestre del 2013 il tasso di disoccupazione tra i giovani dai 15 ai 24 anni ha raggiunto il 51% nel Mezzogiorno, mentre al centro nord si è fermato al 36%. aumenta inoltre il numero dei “Neet”, i giovani che non studiano e non lavorano e che, stando ai dati Istat, a oggi sono 3 milioni e 327mila. Dei quali quasi 2 milioni sono donne e 1 milione e 850 meridionali. Ma non è tutto. Vivere al sud vuol dire anche pagare tariffe più care anche per una semplice assicurazione rc
IL SUD CHE SE NE VA
auto, piuttosto che avere un accesso al credito più svantaggioso per le Pmi. Dal rapporto della Banca d'Italia sulle economie regionali, si scopre che l'evoluzione del quadro congiunturale nel corso del 2013 e in previsione del 2014, mostra un ulteriore ampliamento del divario fra centro nord e mezzogiorno. La causa principale di questa situazione, è addebitabile principalmente alla classe dirigente del paese e nella fattispecie quella del Sud. amministratori della cosa pubblica, che per decenni hanno fatto politica elargendo e sperperando i soldi della Pa, incrementando rendite di posizione esclusivamente per accaparrarsi il consenso elettorale. allo stato attuale, siamo un paese incapace di pianificare delle politiche socio-economiche di medio e lungo periodo, che colmino il gap tra le regioni
Alla fine del 2012 la popolazione italiana è salita a 59 milioni 685mila abitanti, con un incremento di 291mila unità, concentrate quasi tutte al Centro-Nord (278mila). Nel Sud, invece, ci sono state 5mila nascite in meno, a testimonianza dell’invecchiamento della popolazione, e dell’insufficiente ricambio generazionale dovuto alla bassa fecondità. Le previsioni sulla distribuzione demografica in Italia da qui ai prossimi 50 anni sono nette, Il Sud conta di perdere ancora 4,2 milioni di abitanti rispetto all’incremento di 4,5 milioni al Centro-Nord. Nonostante l’incremento degli immigrati, la tendenza che si prospetta è di un anziano ogni tre abitanti, e una sostanziale parità tra le persone in età lavorativa e quelle troppo anziane o troppo giovani per farlo, con conseguenti problemi di welfare e di sostenibilità del sistema.
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Su è giù senza fine per lo Stivale DoSSIEr
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Così si muove un esercito di 155mila pendolari
S
del Nord e quelle del Mezzogiorno. La questione meridionale è stata fino ad ora sistematicamente derubricata, senza comprendere che la rinascita del Mezzogiorno è l’unico modo per ridare slancio alla crescita dell’intero paese. Così le potenzialità del meridione come: il clima, le bellezze artistico-naturali, le energie rinnovabili e tutte le altre realtà che potrebbero contribuire a far ripartire il paese aprendo una nuova fase di reindustrializzazione, continuano a essere marginali. Come l’energia solare, l’eolica, le biomasse e su tutte la logistica, che nel Mezzogiorno e nel Mediterraneo potrebbero essere un driver di sviluppo. Per la sua posizione geografica infatti, il Mezzogiorno dovrebbe avere un potenziale vantaggio competitivo strategico per lo sviluppo, che dovrebbe spingere maggiormente a un potenziamento delle strutture logistiche e commerciali. Ma per creare sviluppo non serve solo movimentare, ma anche “lavorare” i transiti, sviluppando la retro o interportualità, preferibilmente in regime fiscale di “Zona Franca” o “Speciale”. Invece ad oggi al Sud non esiste un piano industriale credibile, e gli unici presidi sul territorio sono stati realizzati e gestiti molto spesso a discapito della salute dei cittadini e dell’ambiente ( Vedi l’Ilva di Taranto). L’unico settore in
crescita in controtendenza con i dati negativi, è il settore agricolo meridionale, che registra un +3,5%. Il doppio del CentroNord. Settore che traina con se tutta l’industria agroalimentare del Mezzogiorno. anche se probabilmente, a frenare questo trend positivo alla fine del 2014, potrebbe essere l’allarme sociosanitario della “Terra dei fuochi”. Un disastro ambientale che non solo sta mettendo in ginocchio il settore agroalimentare Campano, ma sta creando anche una sfiducia endemica nei confronti delle istituzioni da parte dei cittadini delle province campane di Napoli e Caserta, che chiedono legittimamente maggiori controlli sulla filiera agroalimentare e la certificazione delle terre sane da quelle inquinate dai rifiuti tossici. In definitiva, le ricette per arginare questo esodo e ricostruire un tessuto produttivo sano al sud sono due. Innanzitutto ripartire dall’export del Mezzogiorno, che grazie ai distretti dell’agroalimentare, energie rinnovabili, aeronautica e automotiv è in rialzo del 14%. In secondo luogo sfruttare al meglio i “Fondi di Coesione” europei che in gran parte sono rivolti al Sud. Sono 44 miliardi di euro, che sommati agli altri contributi statali arrivano a 70 miliardi, da spendere in tempi rapidi per rendere il Sud un luogo dove i cervelli non fuggono ma si importano.
ono gli eroi delle coincidenze sui binari della Tav Milano-Napoli. I pendolari di lungo raggio, razza di invisibili che ogni settimana corrono su e giù per lo stivale cercando di mettere insieme lavoro e famiglie. Sono figli della crisi e dell’italianissima arte di arrangiarsi. Per cinque giorni lavorano a Milano, Torino e Genova. Spesso ricoprono posizioni di responsabilità e qualche volta con stipendi da 56mila euro a mese. al Nord vivono nei residence o in appartamenti divisi coi colleghi. E il venerdì partono, per tornare a casa da mogli, figli, fidanzate, genitori e amici. Perché se il portafogli sta a Nord il cuore è rimasto a Sud. Sono l’esercito di 155mila pendolari di lungo raggio che nel weekend affollano stazioni e aeroporti per ritornare alle loro case, spesso a diverse centinaia di chilometri. La settimana tipo di un pendolare di lungo raggio mediamente si svolge in tre contesti ricorrenti:
Anna, palermitana, è a Milano da un anno e mezzo. Studia Veterinaria.
l’ufficio, l’albergo e il treno o l’aereo a seconda dei casi. Naturalmente, con la valigia costantemente aperta, l’indirizzo mail aziendale sempre reperibile, i ristoranti e gli scontrini della lavanderia. alfonso Ceravolo, “senior manager” della società di consulenza e revisione contabile “PricewaterhouseCoopers” (Pwc), con sede a Milano, è uno dei tanti meridionali costretti a spostarsi su e giù per l’Italia per lavorare. Ma allo stesso tempo ha deciso di non rinunciare alla propria casa e alle proprie ori-
gini. La categoria che su tutte paga il prezzo più alto dell’assenza di un tessuto produttivo valido nel Mezzogiorno. “Premetto che ho un figlio piccolo di 3 anni e il venerdì mattina per me è una gioia ritornare a casa da mia moglie e mio figlio – ci tiene a precisare Ceravolo – La mia sveglia suona alle sei del
Al Nord vivono nei residence o in appartamenti condivisi. Il venerdì ritornano a casa dalle famiglie
mattino perché dall’hotel porto via il trolley con i miei effetti personali e il porta abiti. Dopo 8/9 ore filate di lavoro prendo il taxi direzione Linate. Ho acquistato una carta che mi consente di fare il check-in fino a venti minuti prima del decollo, quindi a volte se il mio aereo parte alle 20 capita che alle 19 io sia ancora in riunione dall’altro lato della città. Una volta arrivato a Napoli però, il mio viaggio non è
Vittorio, di Napoli, è a Milano da 2 anni per lavoro. È ingegnere.
che corro prendendo la Tav, è quello di perdere l’ultima coincidenza del venerdì sera. Per soli 10 minuti di ritardo, i tempi del mio ritorno a casa si dilatano ulteriormente, con costi maggiori perché a quel punto sono costretto a prendere il taxi da Napoli a Caserta. Una vera e propria odissea. E’ interessante notare, come il numero dei pendolari sia in crescita. Nel 2012 sono aumentati di 15mila unità rispetto al 2011. In generale, mantenendo la residenza a Sud ma lavorando al Centro-Nord, questi occupati falsano la realtà del lavoro nell’area di riferimento. Nel 2012 gli occupati residenti al Sud ma con un posto di lavoro al CentroNord oppure all’estero erano circa 156mila, con un aumento rispetto all’anno precedente in termini percentuali dell’8,7% verso il Centro-Nord e del 48,6% verso l’estero. Il profilo medio di un pendolare di lunga distanza è prevalentemente maschio e anche giovane, single, oppure si
Oriana, di Melfi è a Milano da un anno. Studia Lettere
ancora finito. Perché per raggiungere Caserta, devo prendere altri mezzi che spesso impiegano più tempo dell’aereo. Infatti, a volte preferisco optare per
Nel 2012 i pendolari sono aumentati di 15mila unità rispetto al 2011 raggiungendo quota 156mila
il treno ad alta velocità che mi porta direttamente in stazione centrale. Poi da li prendo la coincidenza per Caserta. Il rischio
Anna, di Avellino, a Milano da due anni studia economia alla Cattolica
tratta di giovani che vivono ancora in famiglia, dipendenti a termine e collaboratori. Soprattutto impiegati full-time nell’industria. Il 70% dei pendolari ha meno di 45 anni, circa il 90% è dipendente, ma è curioso rilevare che di questi il 30% ha un contratto a termine. Ed è un dato in aumento. In altre parole mentre fino ad oggi ci si spostava a Nord per un impiego medio alto, adesso lo si fa anche per sopravvivere. (Enrico Lampitella)
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Prendo la borsa e vado al Nord
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Studiare al Sud conviene, ma sono in continuo aumento i diplomati meridionali che lasciano le loro regioni, incoraggiati anche dall’assegnazione di sussidi accademici. Non senza polemiche
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Andrea Cumbo Chiara Daffini
ono giovani, determinati, con i libri sotto braccio. Prendono un treno o un aereo e vanno a studiare a Nord. Mantengono la residenza nel Comune d’origine e si trasferiscono dove un giorno sarà più facile inserirsi nel mondo del lavoro, malgrado il sacrificio delle famiglie sia maggiore, in molti casi doppio. Il flusso migratorio degli studenti universitari dal Sud Italia verso le regioni settentrionali continua e cresce. Secondo i dati raccolti dal Movimento consumatori, Palermo è la città meno costosa per gli studenti; seguono Napoli, roma e Perugia, mentre Milano, Venezia e Padova hanno gli affitti e le tasse universitarie più alti. Tuttavia proprio il capoluogo lombardo e Torino sono le mete più quotate, davanti a Genova, Parma, Padova e Venezia. Le tasse saranno infatti anche proporzionate al reddito della popo-
LA POLEMICA
lazione locale, ma a incidere sulla retta è soprattutto la fama dell’ateneo, tanto che le università più care sono anche quelle considerate più prestigiose. I dati parlano chiaro. Secondo il rapporto 2013-2014 della Federconsumatori, lo studente che sceglie la Lombardia paga
Gli studenti del Sud scelgono il prestigio e le maggiori possibilità di lavoro offerte dagli atenei del Nord
in media 1402,64 euro, contro i 1294,104 euro del Veneto e i 1094,386 del Piemonte. Se la regione meno costosa è la Puglia (861,968 euro), sorprendono Emilia romagna e Toscana, che chiedono rispettivamente 906,63 e 919,474 euro, meno di Lazio (1089,01 euro), Campania (1008,99 euro) e Sicilia (1092,48 euro). restringendo il campo ai singoli atenei, le dieci università più care d’Italia sono tutte nel settentrione, con in testa il Po-
litecnico (1627 euro annuali in media) e la Statale (1467 euro) di Milano. al contrario le più economiche sono l’aldo Moro di Bari (516 euro in media all’anno) e la Statale di Sassari (528 euro all’anno). Nonostante studiare al Nord costi il 28% in più rispetto al Sud, l’esodo non si arresta. Le ragioni sono da ricercare nella complessa situazione economica del Paese e nella forbice che ancora separa le regioni settentrionali da quelle meridionali. rispetto ai decenni precedenti è aumentato il numero dei laureati in Italia, motivo per cui non basta solo una laurea, ma bisogna averne una di valore. Ecco perché gli studenti del Sud scelgono il prestigio e le maggiori possibilità di lavoro offerte dagli atenei del Nord. La situazione lavorativa dal Lazio in giù è molto più difficile sia da un punto di vista occupazionale che retributivo. Secondo una ricerca di almalaurea, nel 2012 il differenziale di disoccupazione tra Sud e
Nord era di 17,8 punti percentuali, con una crescita decisamente più elevata nel Mezzogiorno (+4%) rispetto al Settentrione (poco più dell’1%). al contrario la quota di occupazione dei giovani laureati lo
scorso anno al Nord era del 51%, mentre al Sud sfiorava appena il 36%. Sono quindi soprattutto i residenti al Sud a spostarsi in cerca di lavoro e per motivi di studio (39,5%): al Nord si trova un impiego più facil-
L’abolizione del valore legale del titolo di studio spacca in due l’Italia
Molto spesso nel nostro paese la dicotomia Nord/Sud si va ad incrociare con un altro importante dualismo che è Stato/Mercato. Succede anche nel campo dell’istruzione pubblica, in particolar modo se l’oggetto del dibattito è il sistema universitario italiano. E allora ecco che i “mercatisti”, cioè coloro che ritengono che lo Stato si debba far da parte per lasciare più spazio ai privati, ogni tanto tornano alla carica chiedendo che venga definitivamente abolito il valore legale del titolo di studio. al contrario, molte realtà sindacali di settore e difensori dell’università pubblica si battono perché venga mantenuto lo status quo. Ma partiamo dall’inizio: che cos’è il valore legale del titolo di studio? E’ un sistema, che varia da paese a paese, volto ad indicare il grado di ufficialità e la validità di un titolo di studio. In parole povere, quel valore che fa sì che il titolo conseguito da uno studente non sia semplicemente un “pezzo di carta” ma un certificato riconosciuto dalla legge. Come funziona questo sistema? Senza entrare troppo nei dettagli possiamo dire che l’autorità pubblica attraverso dei metodi di “riconoscimento”, “accreditamento” e “autorizzazione”, stabilisce quali sono gli istituti scolastici che possono rilasciare titoli di studio “ufficiali”. ora, cosa c’entra tutto questo con Nord e Sud del paese? In effetti le due cose sono collegate, sia per un discorso di qualità dell’istruzione pubblica, sia relativamente alla meritocrazia degli studenti. Negli ultimi 3 anni, infatti, i “100 e lode” nelle scuole superiori del Mezzogiorno sono stati il doppio rispetto a quelli del Nord, mentre sia i test Pisa dell’ocse che i test Invalsi dimostrano che gli studenti del Nord sono mediamente più preparati. Il problema si ripropone allo stesso modo anche per il voto di laurea. La classifica delle università italiane mostra una differenza abissale tra le migliori (al Nord) e le peggiori (al Sud), differenza ancora più ampia rispetto alle scuole superiori. Con questo tipo di sistema, comunque la si voglia guardare, gli studenti più meritevoli vengono
penalizzati. Il motivo è chiaro: un 100 e lode conseguito al Politecnico di Milano ha di fatto lo stesso valore legale di un 100 e lode attribuito dall’Università di Bari. Per queste ragioni sono in molti a pensare che l’abolizione del valore legale del titolo di studio sarebbe il primo passo verso la realizzazione di un sistema più moderno ed efficiente di certificazione dei titoli di studio. Un sistema (come quello statunitense)che vedrebbe competere sul mercato agenzie di certificazione pubbliche e private, esterne all’ordinamento scolastico, ma pur sempre riconosciute dal Ministero. Un meccanismo, insomma, volto a favorire la concorrenza fra le università e la meritocrazia fra gli studenti. Non tutti però, come abbiamo detto, sono d’accordo con questo approccio. I contrari all’abolizione sostengono che un tale sistema creerebbe atenei di serie a, dove studiare costerebbe moltissimo e atenei di serie B, dove finirebbero tutti coloro che non possono permettersi le università migliori. Inoltre –dicono – in questo modo verrebbero fortemente penalizzate le università del Sud, già falcidiate dai tagli all’istruzione. Ecco perché la soluzione che propongono è, a loro dire, esattamente il contrario della liberalizzazione del settore. E cioè la creazione di un sistema di diritto allo studio universale che possa permettere al singolo studente di scegliere liberamente l’ateneo da frequentare, indipendentemente dalla condizione economica di partenza o dalla regione di provenienza e l’omogeneizzazione del sistema di contribuzione con tasse eque e fortemente progressive in modo da attenuare le disuguaglianze. resta da capire se “liberalizzare” in modo responsabile voglia davvero dire aumentare il divario fra ricchi e poveri. Siano essi studenti o atenei. Il dibattito va avanti dai tempi di Einaudi. Così come l’evidente inadeguatezza del nostro sistema universitario. (Nicolò Petrali)
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“Per gli studenti la mobilità è un valore aggiunto” L L’INTERVISTA
’ex Ministro dell’istruzione Francesco Profumo vede positivamente questo dinamismo interno, segno che gli studenti ricercano sempre più la qualità formativa. resta il problema del divario tra due Italie, ma la responsabilità principale è delle regioni.
mente e si guadagna meglio: la retribuzione è superiore del 16,4%, percentuale raddoppiata rispetto al 2008. Gli occupati con laurea di primo
Palermo è la città meno costosa per gli studenti, mentre Milano, Venezia e Padova hanno affitti e tasse più alti
livello guadagnano infatti in media 1.001 euro al mese, contro gli 844 euro dei colleghi del Sud (+13%). Davanti a questo panorama non stupiscono i dati relativi alle borse di mobilità emesse dal Ministero dell’Istruzione con il Decreto del Fare dello scorso 21 giugno. 899 borse da 5.000 euro per i meglio diplomati che hanno scelto di frequentare l’università (statale, privata, purché non telematica) fuori dalle regioni di residenza. 8 borse su 10 (in tutto 715) sono andate a maturati del Sud. Solo il 9% al Nord. Una delle ragioni di questa disparità è la differenza nei criteri di valutazione tra gli istituti superiori, poiché tra i parametri di assegnazione delle borse c’è il conseguimento di almeno 95/100 all’esame di Stato. Secondo i
dati Miur relativi al 2013, tra Nord e Sud ci sono 10-12 punti di differenza nel confronto tra i migliori della scuola: la media più brillante a Milano è di 86.5, contro il 96.5 di Catanzaro. E’ questo uno dei motivi che ha indotto il Ministro dell’istruzione Carrozza a istituire il provvedimento del “ventesimo percentile”: per acquisire il bonus necessario a scalare la graduatoria delle facoltà a numero chiuso, gli studenti devono rientrare nel 20% dei più meritevoli della propria scuola. Ciò consente di livellare le disparità tra le due Italie per quanto riguarda l’accesso ai corsi con test d’ingresso vincolante, ma non colma il dislivello sui sussidi allo studio, visto che sette richieste su
Delle 899 borse di mobilità emesse dal Ministero dell’Istruzione, 8 su 10 sono andate a maturati del Sud
dieci provengono dal Sud. C’è un dato che però unifica il Paese: anche quest’anno, per il quarto consecutivo, le rette universitarie sono aumentate, con un incremento del 3% rispetto al 2012. Da Milano a
La migrazione degli studenti meridionali verso le città del Nord è in aumento. Come mai? Tale migrazione è sempre stata rilevante. L’affluenza si era leggermente attenuata quando furono introdotti i corsi di studio 3+2 rispetto a quando le facoltà erano tutte a ciclo unico. adesso il fenomeno sta riprendendo, pur nel diverso contesto normativo. In questi
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I giovani cercano la qualità formativa, non si accontentano del pezzo di carta ultimi anni diversi studenti iniziano l’università vicino a casa, con la triennale, per poi completare gli studi nelle città del Nord, con la magistrale. Nell’ultimo periodo c’è stato un aumento di spostamenti, determinato però dal fatto che gli studenti non si accontentano e investono sulla qualità della loro formazione, soprattutto in un momento in cui è molto difficile trovare lavoro.
Studiare fuori casa costa. Considerando le maggiori difficoltà economiche delle famiglie italiane rispetto al passato, come spieghiamo il persistere del fenomeno migratorio? allora come oggi questo è in parte determinato dalle opportunità che si possono profilare
L’EX MINISTRO FRANCESCO PROFUMO
al Nord, opportunità connesse al tirocinio e alla possibilità di trovare un lavoro. Poi entra in gioco anche la questione della qualità, dato che sono state riscontrate differenze significative tra i vari atenei e molto spesso le grandi università del Nord presentano offerte formative di maggiore qualità.
Questa “fuga di cervelli” potrebbe arrecare danni ulteriori all’economia del meridione? Quali le conseguenze culturali? Non credo che sia un problema sociale: in tutti i Paesi normali la comunità di studenti è mobile e la mobilità è un valore aggiunto. Le università del Sud, se diventano migliori, saranno in grado di attrarre studenti anche da altre città e da altri Paesi.
Ritiene che la suddivisione dei fondi per l’assegnazione delle borse di studio sia coerente con il costo della vita e il numero di studenti nelle varie città o ci siano delle diseguaglianze? Nelle città del Sud sicuramente l’ammontare delle borse è inferiore rispetto a quello delle grandi città del Nord. In parte è lo Stato a erogarle e in parte gli enti regio-
nali, che in molti casi, specialmente al Sud, investono ancora troppo poco nella formazione universitaria, penalizzando di conseguenza gli atenei del territorio. Questo è un problema che però dovrebbero risolvere le regioni, non dipende dai singoli atenei.
Che cosa ne pensa del provvedimento del ventesimo percentile istituito dal Ministro Carrozza? Il motivo per cui è stato attuato è che ci sono scuole del Sud in cui i criteri di valutazione sono molto più lassi rispetto al nord. ora, posto che il livello di intelligenza è omogeneo in tutta Italia, è evidente che ci sia una disparità nei criteri. Disparità che va corretta, con questo o con altri provvedimenti.
“ ”
Le regioni del Sud investono poco nell’Università, a discapito degli atenei Quindi solo un’attenzione verso la qualità? Non ci sono altre ragioni di convenienza economica o di altro genere? Non c’è in realtà una convenienza economica per gli studenti nello spostamento verso il Nord. Se vogliamo, il rapporto tra convenienza e facilità di accesso ai corsi a numero chiuso è più favorevole al Sud e per le famiglie comporta sempre un grande sacrificio mandare i figli a studiare lontano da casa. La verità è che oggi i giovani sono molto più attenti alla qualità, alla trasparenza e all’efficienza organizzativa, non si accontentano insomma di un semplice pezzo di carta. (Andrea Cumbo Chiara Daffini)
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Assicurazioni: Napoli, oh carissima... Stipulare una Rc auto al Sud può costare tre volte in più. “Troppe truffe” dicono le compagnie. Ma in 20 anni i sinistri sono diminuiti del 40%
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Claudia Vanni
rendiamo il caso di una ragazzina vesuviana. La chiameremo Concetta. Patente fumante e incontenibile voglia di mettersi alla guida. Tra lei e la macchina, un grande ostacolo: l’assicurazione. “Ma ce l’hanno tutti papà, ho compiuto da un pezzo 18 anni! Me la prendi papà?”. “Concetti’ come devo dirtelo? Non è che non vogliamo, non possiamo”. Per una diciottenne, il prezzo rc auto infatti è proibitivo: parlando in soldoni, se la neopatentata risiede a Napoli, dovrà sborsare circa 3500 euro per coprire le spese assicurative di un’autovettura di 1.300 cc; sorte simile a Bari e reggio Calabria. Va decisamente meglio ai trentini, bolzanini e ancor di più agli aostani che pagheranno 1700euro circa. La metà rispetto al Sud del Paese. Ne viene fuori un’Italia divisa in due, anche tra gli automobi-
listi. Milano è leggermente sotto la media, fissata a 2700/2800 euro, che viene invece sforata dai capoluoghi di regioni centrali come Firenze e Bologna. L’aumento più significativo dell’rc auto negli ultimi dodici mesi, è stato registrato a Potenza e Campobasso (+16%), che raggiungono rispettivamente 2.394€ e 2.188€, cifre comunque al di sotto del valore medio nazionale. L’oscillazione dei costi assicurativi tra Nord e Sud non colpisce solo i diciottenni. ad
A Napoli un neopatentato paga 3537 euro per assicurare la propria auto, ad Aosta la metà
esempio, un cinquantacinquenne di genere maschile alla guida di un’autovettura di 1.200 cc. con guida estesa ai minori di 26 anni, a Napoli, anche se in classe Bonus Malus di massimo sconto,
paga una tariffa media di 1.212€, sostanzialmente invariata rispetto a quella dello scorso anno. Situazione analoga a roma, dove il medesimo assicurato pagherebbe una tariffa media di 675€, a fronte di tariffe medie inferiori ai 350€ a Bolzano o aosta. Facendo un confronto poi dei prezzi assicurativi per l’auto negli ultimi vent’anni, indipendentemente dalle differenze geografiche, si registra un aumento del 216% (Ministero, “Conto nazionale delle infrastrutture e trasporti 2011-
18enne F, C.U. 14 - (autovettura 1.300 cc., benzina) 1 ottobre 2013 1 ottobre 2012 var. % 2013-2012 Provincia prezzi di stima prezzi prezzi di stima prezzi listino pagati listino pagati listino pagati
Torino Genova Milano Bolzano Trento Venezia Bologna Firenze Perugia Roma Napoli L'Aquila Bari Reggio Calabria Palermo Cagliari media 21 prov.
2.781 2.856 2.547 1.796 1.937 2.631 2.985 2.970 2.626 3.139 3.537 2.364 3.252 3.248 2.923 2.840 2.668
2.840 2.895 2.535 1.726 1.702 2.522 3.052 2.999 2.675 3.099 3.349 2.375 3.111 3.147 2.980 2.958 2.880
2.517 2.637 2.261 1.604 1.730 2.368 2.869 2.873 2.351 2.857 3.763 2.109 3.170 3.271 2.807 2.670 2.488
2.550 2.552 2.214 1.585 1.542 2.246 2.896 2.841 2.317 2.838 3.539 2.061 3.011 3.238 2.804 2.761 2.700
10,48% 8,29% 12,66% 11,96% 11,94% 11,10% 4,03% 3,39% 11,70% 9,88% -6,01% 12,10% 2,58% -0,70% 4,14% 6,37% 7,22%
11,41% 13,43% 14,54% 8,88% 10,35% 12,29% 5,39% 5,56% 15,43% 9,22% -5,39% 15,20% 3,34% -2,82% 6,29% 7,13% 6,67%
Provincia
2012” dal 1990 al 2011). Secondo uno studio adusbef l’incremento è addirittura del 245% , “mentre nello stesso
Nel 2011 sono stati 54mila i sinistri fasulli: per le assicurazioni è questa la causa dei rincari Rc auto
periodo - fa notare il report - i sinistri sono diminuiti del 40%”. Negli ultimi due decenni, la crescita esponenziale delle tariffe rc auto è quindi una costante, così come il divario nei
prezzi tra Nord e Sud. Tra i fattori responsabili dei rincari, additati dalle compagnie assicurative, ci sarebbero gli incidenti fasulli, su cui i privati farebbero la “cresta”. Nel 2011 sono stati più di 54mila i sinistri-truffa in Italia, circa il 2% del totale registrato nell’anno. Le percentuali più basse sono al Nord; stabili nell’Italia centrale. Diminuiscono gli incidenti falsi al Sud (da 6,55% a 5,66%), che continua però a detenere il primato. Il miglioramento è merito esclusivo della Campania, unica regione meridionale in cui
40enne M, C.U. 1 - (autovettura 1.300 cc., benzina) 1 ottobre 2013 1 ottobre 2012 var. % 2013-2012
Torino Genova Milano Bolzano Trento Venezia Bologna Firenze Perugia Roma Napoli L'Aquila Bari Reggio Calabria Palermo Cagliari media 21 prov.
prezzi di stima prezzi prezzi di stima prezzi listino pagati listino pagati 561 505 570 537 581 522 604 554 485 426 509 458 336 335 357 351 362 341 387 373 508 455 532 486 616 537 657 596 639 574 671 616 513 473 529 499 670 592 680 618 1.191 1.070 1.223 1.148 457 409 474 441 765 622 799 694 859 744 892 811 636 554 661 602 577 503 610 543 572
581
596
626
listino -1,67% -3,78% -4,72% -6,00% -6,58% -4,51% -6,20% -4,68% -2,98% -1,45% -2,64% -3,57% -4,25% -3,68% -3,92% -5,38%
-4,03%
pagati -5,89% -5,90% -7,01% -4,62% -8,33% -6,41% -9,85% -6,72% -5,32% -4,20% -6,76% -7,25% -10,39% -8,24% -8,02% -7,49% -7,09%
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Le banche non concedono prestiti e il tessuto economico boccheggia
Credito alle imprese: nel Mezzogiorno il denaro è più costoso
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Enrico Lampitella
na delle condizioni che allarga maggiormente la forbice tra nord e Sud, è l’accesso al credito per le imprese. a settembre del 2008, prima della crisi finanziaria, le imprese italiane avevano ottenuto dalle banche 62 miliardi di nuovi prestiti. Cinque anni dopo, nello stesso mese, appena 30.Flessione ri-
l’incidenza si è ridotta significativamente (da 9,58% a 7,32%), riconfermandosi comunque la zona d’Italia in cui il fenomeno è più diffuso, con Napoli e Caserta da bollino rosso. Nel capoluogo partenopeo è accentuata anche la componente di veicoli in circolo, non assicurati. Nelle province del Sud si sfiora il 12% di auto non coperte da assicurazione, con la punta estrema di quasi il 30% a Napoli; mentre al Nord il valore scende al 4,6%. L'ania (l'associazione delle imprese assicuratrici) nel suo rapporto 2012-2013 evidenzia che «delle oltre 240 mila cause civili pendenti davanti a un giudice di pace, circa 150 mila sono concentrate in Campania e, di queste, 108 mila nella sola città di Napoli. Di quelle rimanenti, altre 26 mila riguardano la Puglia, mentre 18 mila sono quelle presenti in Sicilia e quasi 10 mila in Calabria. Escludendo il Lazio (e in particolare la città di roma), con circa 16 mila cause civili pendenti, le rimanenti regioni d'Italia si suddividono in modo uniforme appena 23 mila procedimenti». Insomma, la Campania assorbe da sola il 61% di tutti i processi per i risarcimenti danni da incidente stradale che ingombrano gli uffici dei giudici di pace. E la città capoluogo, da sola, copre il 45%, più di tutto il resto d'Italia messo insieme, Campania a parte.
Il tasso d’interesse al Nord si attesta al 6,2%, al Sud al 7,9%: qui le imprese faticano a restituire i prestiti
conducibile alla chiusura al credito nel Sud. Il circolo vizioso oramai è noto: le imprese non hanno accesso al credito o lo hanno a condizioni svantaggiose, le banche lamentano enormi sofferenze e il tessuto economico del Mezzogiorno boccheggia. E qualcuno, per non soffocare, sceglie di dislocare. Magari a Nord, dove i tassi sono nettamente inferiori. In generale, al Sud nel 2012 i prestiti sono scesi dell’1,4%, a fronte della stazionarietà del Centro-Nord (0%). L’effetto del credit crunch, evidenziato periodicamente dagli aggiornamenti di Bankitalia sugli stock,
è ancora più drammatico per i finanziamenti. Guardando in generale i dati degli ultimi 12 mesi si osserva nell’ultimo anno un incremento dei tassi d’interesse per le imprese.
Il livello medio di riferimento per le nuove operazioni infatti, a settembre 2012 era 3,46%. E nonostante lo spread italiano sia sceso in un anno più di 100 punti base rispetto a quello tedesco, i vantaggi non si ripercuotono in maniera positiva sul sistema produttivo. Se si analizza il settore economico di appartenenza delle imprese beneficiarie di prestiti, nel Sud la dinamica più negativa riguarda le costruzioni, mentre nel Centro-Nord è il manifatturiero a essere più colpito, scontando una drastica caduta della domanda interna. Quanto al tasso di interesse, al Centro-Nord si attesta al 6,2% mentre al Sud schizza al 7,9%. Il divario di 1,7 punti percentuali tra le due aree, riflette l’elevata rischiosità delle imprese meridionali. Imprese che fanno fatica a restituire i prestiti: a dicembre 2012 le sofferenze interessano il 5,2% del totale meridionale, contro l’1,5% dell’altra ripartizione. al Sud crollano pure i prestiti alle famiglie (-0,4%), mentre al Centro-Nord sono in crescita dello 0,2%. Il deterioramento del quadro macroeconomico ha spinto le imprese a limitare i prestiti per investimenti, con conseguente peggioramento della qualità
del credito, più marcato per le regioni meridionali. al CentroNord infatti, criteri più selettivi di valutazione del merito creditizio permettono alle banche maggiori possibilità di erogazione di finanziamenti. «al
Sud, purtroppo per le economia italiana, le cose vanno peggio - dice Gregorio De Felice, analista capo del Gruppo Intesa San Paolo - E le banche si adeguano. L'accesso al credito mediamente costa di più rispetto al Nord. E questo è dovuto soprattutto a una giustizia più lenta, al rischio di credito peggiore, a una crescita
Sono 600 milioni di euro a cui si sommeranno a partire dal 2014, 200 milioni di euro l’anno. Un ruolo importante per allentare le condizioni di accesso al credito delle Pmi meridionali, lo potrebbero esercitare anche i Consorzi di Garanzia Collettiva Fidi (Confidi) . attraverso questo strumento infatti le aziende
più bassa, per citare alcuni fattori. Sono del Sud e quindi conosco bene queste situazioni». Per quanto l'erogazione del credito, venga valutata dagli istituti di credito caso per caso, i dati aggregati secondo De Felice sono inequivocabili: «Se per un cattivo credito i tempi della giustizia sono già lunghissimi a Milano, a Napoli piuttosto che a Catanzaro sono ancora più lunghi». Fatto che, aggiunto alle rigide prescrizioni europee in materia di rischio bancario di “Basilea 3”, scoraggerebbe gli istituti a finanziare le imprese. Questa è un'inefficienza dovuta né alle imprese né alle banche, ma al sistema in generale e a quello della giustizia in particolare. Il tutto si ripercuote sulle banche e sulle imprese. E questo ha un prezzo». Un prezzo che pagano soprattutto le Pmi del Sud. Via Nazionale intanto, fa sapere che i fallimenti d’impresa sono aumentati in tutte le aree del paese. Per fermare questa ecatombe, il Governo Letta ha previsto nella Legge di Stabilità un Fondo di garanzia per le Pmi.
possono avere quantità, costo e durata del finanziamento a condizioni molto vantaggiose, mentre le banche possono trovare nei Confidi un importante strumento di intermediazione e garanzia. Purtroppo molti di questi consorzi del Sud, oltre ad essere sottodimensionati rispetto a quelli operanti nel Centro-Nord, hanno problemi di equilibrio reddituale non dipendenti dall’erogazione delle garanzie, ma piuttosto da una
La Legge di Stabilità prevede 600 milioni di euro per le Pmi, a cui si sommano altri 200 all’anno a partire dal 2014
struttura delle voci di costo e di ricavo non in linea con gli obiettivi di equilibrio gestionale. Tra le poche novità di rilievo, va segnalata l’introduzione dei cosiddetti “mini-bonds”, nel tentativo di favorire lo sviluppo di canali di finanziamento delle imprese, alternativi al credito bancario. Imprese che sono in affanno, ma che vogliono tornare a respirare.
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Quei bravi ragazzi del Nord Pagina 10
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Appalti, querele, inchieste e arresti. Viaggio nel primo comune lombardo sciolto per mafia, dove la figlia del presunto boss era in consiglio comunale e il sindaco è stato accusato del reato di corruzione. Ma i cittadini sembrano non essersi accorti di nulla
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Matteo Colombo Andrea Cumbo Adriano Lo Monaco
e non fosse per il Cartello con la scritta “SedrianoSidrian” non sarebbe stato facile distinguere questo paesotto da altri dell’alto milanese, diventato famoso per essere il primo Comune lombardo sciolto per presunte infiltrazioni mafiose. Palazzi lunghi e orizzontali, capannoni industriali e un ipermercato circondato da villini, dove le strade hanno i nomi di ragazzi uccisi a qualche centinaia di chilometri da qui, come rosario Livatino e Peppino Impastato. I Sedrianesi C’è poca voglia di parlare da queste parti. Quando chiedi alle persone cosa ne pensano dello scioglimento del Comune, si mettono a braccia conserte e un po’ infastiditi rispondono che loro non ne sanno granché, quasi come non ci fosse nulla da aggiungere. Eppure alfredo Celeste, ex sindaco del Pdl, era molto popolare a Sedriano. Quando era stato scarcerato aveva deciso di ringraziare gli abitanti del suo paese per la solidarietà ricevuta, addirittura informandoli sul pannello elettronico del Municipio e offrendo aperitivi al bar centrale. Il 19 ottobre, qualche giorno dopo lo scioglimento del Comune, è stata organizzata una manifestazione dalla Carovana antimafia ovest di Milano nella quale erano presenti circa trecento persone dei paesi limitrofi, solo una cinquantina di Sedriano. Un mese dopo, passeggiando per le vie cittadine, le reazioni alla vicenda sono sempre le stesse: “Non son di qui” e “No, guardi, non m’interessa”. C’è anche chi affretta il passo o cambia strada alla vista di una telecamera. Proviamo ad avere maggiori in-
formazioni in un locale frequentato spesso dall’ex sindaco. I baristi ci liquidano parlando di alfredo Celeste come di una persona cordiale: “Veniva qui ogni tanto e salutava sempre”.
Passeggiando per le vie cittadine, le reazioni sono sempre le stesse: “Non sono di qui”
Usciamo dal locale, a pochi passi ci sono tre giardinieri che lavorano in una villa del centro. Hanno una divisa con il mar-
ciale inaugurato nel novembre del 2011. L’ex sindaco Celeste avrebbe presentato il presunto boss Eugenio Costantino ai titolari del centro commerciale per l’apertura di una gelateria. Cerchiamo di avere delle risposte dai gestori dei locali, ma poco dopo siamo fermati dall’addetto alla sicurezza che ci avverte di non poter rilasciare dichiarazioni, invitandoci ad uscire perché non hanno niente da raccontarci
Il Sindaco alfredo Celeste lo conoscono tutti da queste parti. L’ex Sindaco, eletto nel 2009 in una
chio “Garden”, l’azienda a cui era stata affidata la manutenzione del verde cittadino prima dello scioglimento del Comune. alla guida della “Garden” c’è aldo De Lorenzis che, secondo l’accusa, è legato per motivi di parentela alla storica ‘ndrina dei Musitano, insediata nel confinante Comune di Bareggio. La sentenza di uno dei tre è lapidaria: “Da quando il Comune è stato sciolto non abbiamo più il verde pubblico”. L’ex statale 11 è invece la casa del Bennet, il centro commer-
“Quando tu non prendi i soldi sei invincibile” spiega con convinzione, poi legge uno dei documenti investigativi della Dda di Milano, che lo definisce “persona fondamentalmente onesta”. Un elemento confermato dall’ordinanza di applicazione degli arresti domiciliari, dove si legge che l’ex sindaco “aveva paura ad accettare
Alfredo Celeste
Teresa Costantino
Eugenio Costantino
tanti libri di teologia, diverse immagini ed icone religiose.
coalizione di Centro-Destra, girava per il paese anche nei giorni dello scioglimento del
Celeste subito dopo lo scioglimento del Comune spiegava che le accuse si sarebbero dimostrate false
Comune per spiegare che le accuse contro di lui si sarebbero dimostrate false. È disponibile a parlare e ci accoglie a casa sua; arredamento semplice,
Ester Castano
anche un solo euro”, aggiungendo però che “tale aspetto di incorruttibilità vada limitato alla sola diretta accettazione, per paura, di somme di denaro”.
L’accusa sostiene, infatti, che l‘ex giunta avrebbe favorito alcune aziende presenti sul territorio. Tra gli esempi ci sarebbero stati i lavori di ristrutturazione di Villa Colombo: una dimora nobiliare che si trova nel centro del Paese. Gli investigatori hanno
intercettato una telefonata di Marco Scalambra, chirurgo e titolare di alcune cooperative e marito di uno dei consiglieri comunali di maggioranza, che parlando con un esponente del Pdl diceva: “Con Linda (ex assessore all’urbanistica n.d.r) stiamo facendo benissimo. Vogliamo Villa Colombo… ci danno Villa Colombo”.
Una frase, che secondo gli investigatori, sarebbe tra le ragioni dell’accusa di corruzione nei confronti del Sindaco (articolo 319 c.p.), visto che confermerebbe un interesse per i lavori del Comune da parte di Scalambra.
L’accusa sostiene che l‘ex giunta avrebbe favorito alcune aziende presenti sul territorio lombardo
Un’affermazione che però il sindaco dimissionato respinge con forza, sostenendo che in realtà Scalambra non puntava a ottenere questo appalto, ma “era un attivista del partito ed esultava perché era stato raggiunto un grande obiettivo. Per noi l’acquisizione di Villa Colombo era come un gol”. C’è poi la questione di Teresa Costantino, ex consigliere comunale di Sedriano e figlia di Eugenio Costantino, un imprenditore accusato di essere un affiliato della cosca di‘ndrangheta Di Grillo-Mancuso. al telefono raccontava di controllare diversi voti nella zona del Magentino, che avrebbe offerto anche ad uno dei candidati sindaco della zona. “È un millantatore” ripete più volte alfredo Celeste: “Era uno che si inventava le cose; basta vedere quanti voti ha preso la figlia:
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DoSSIEr
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soltanto 31”. Costantino è anche l’uomo al centro dell’indagine che ha portato all’arresto dell’ex assessore Domenico Zambetti.
Celeste dice di non avere rimpianti e si difende citando atti e documenti. Quando gli chiediamo cosa farebbe se potesse tornare indietro, abbassa la voce e scuote la testa: “È un destino contaminato dall’inizio”. Poi ammette: “Questa presunta vicinanza con Costantino ci avrebbe comunque compromesso”. L’ex sindaco ritiene comunque di non avere nulla da nascondere, tanto da aver pubblicato gli atti nel sito del Comune.
C’è poi la questione di Teresa Costantino, ex consigliere di maggioranza e figlia del presunto boss Eugenio
analoghe: in questo modo avremmo evitato lo scioglimento del consiglio. L’opposizione – precisa – ha subito presentato la mozione di sfiducia”.
Tuttavia, questo atteggiamento viene considerato eccessivamente clemente dai gruppi extra-consiliari. Ivan Biondi, di Sinistra di Sedriano, si chiede dove fosse l’opposizione quando emergevano continui sospetti sull’influenza mafiosa nell’amministrazione. Biondi sostiene che sia necessario coinvolgere l’opinione pubblica: “Dobbiamo spiegare ai sedrianesi che la ‘ndrangheta
L’opposizione, dentro e fuori il Comune Giuseppe Pisano, ex sindaco Pd e capo dell’opposizione del consiglio sciolto, solleva invece una questione morale sul caso di alfredo Celeste. “L’amministrazione comunale deve essere al di sopra di ogni sospetto – sostiene – quando arrivano accuse del genere un sindaco si deve dimettere, come è successo negli altri Comuni lombardi coinvolti in situazioni
L’INCHIESTA “INFINITO”
La vicenda dello scioglimento del Comune di Sedriano si inserisce nel più ampio filone di indagini che hanno portato all’arresto, il 10 ottobre 2012, dell’ex assessore regionale alla casa Domenico Zambetti. Quest’ultimo avrebbe comprato un pacchetto di 4 mila voti da alcuni esponenti della ‘ndrangheta, tra cui spicca il nome del presunto boss Eugenio Costantino. “Elegante e dotato di una buona dialettica, sempre ben vestito e dotato di una certa cultura,
adesso è arrivata a casa loro”. Una linea condivisa dalla Carovana antimafia, che coinvolge gli attivisti di tutti i comuni del magentino. Uno dei leader, Igor Bonazzoli, ci spiega che il processo di sensibilizzazione deve
L’ex sindaco ha querelato la cronista Ester Castano con l’accusa di diffamazione pluriaggravata
partire dal basso, coinvolgendo i giovani. “Ma le risposte della politica – lamenta – tardano ad arrivare”. Igor e Ivan sono poco più che ragazzi, con l’entusiasmo e la volontà di difendere la propria terra dagli interessi degli uomini d’onore. anche Erika In-
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nocenti ed Ester Castano, croniste del settimanale alto Milanese, sono due normali venticinquenni con il sorriso sulle labbra e la serenità di chi non si trova al centro di un ciclone mediatico. Per alfredo Celeste e il suo entourage però, gli articoli delle due giornaliste sono stati una costante spina nel fianco, dando vita a una battaglia legale ancora aperta. Ester Castano racconta che dopo ogni articolo veniva convocata dal comandante dei Carabinieri, che le faceva leggere una lettera di diffida da parte del sindaco. Nel 2011 Celeste l’ha querelata con l’accusa di diffamazione pluriaggravata per i suoi articoli. Lo scorso 18 dicembre è stata assolta perché il fatto non sussiste. C’è poi la questione di un articolo sui compensi dell’avvocato Gior-
La cronistoria dei fatti di Sedriano
gio Bonamassa, legale dell’ex sindaco che, ritenendo lesiva della sua reputazione una locandina del settimanale, aveva inviato una lettera alle edicole della zona per chiedere di non esporla.
“La Castano si vanta di aver parlato di ‘ndrangheta prima del commissariamento del Comune – tuona Bonamassa, – ma non hanno mai scoperto un bel niente!”. Sta di fatto che le due ragazze, insieme ai colleghi di alto Milanese, hanno ricostruito minuziosamente la vicenda dei presunti legami politico-mafiosi della zona. Quando uscirono le prime accuse, i principali oppositori del sindaco pidiellino in consiglio furono i rappresentanti di Lega e Udc. I grillini invece criticavano fortemente le manifesta-
Per il momento la politica rimane fuori dal Comune, che resterà commissariato fino al 2015
zioni anti-Celeste, a dir loro troppo politicizzate. Per il momento la politica rimane fuori dal Comune, che resterà commissariato fino al 2015. Una situazione ancora confusa, piena di contraddizioni e lati oscuri, in una piccola realtà del Nord Italia che una mattina di ottobre si è svegliata, quasi senza accorgersene, senza amministrazione comunale. Come se non fosse successo nulla.
Costantino è in grado di interloquire anche con persone di una determinata fascia culturale”: questo è quanto si legge nel rapporto della Dda, guidata dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini, che gli affibbia “un ruolo di cerniera con gli ambienti politici e imprenditoriali”. Proprio gli “ottimi rapporti confidenziali” tra Costantino e il sindaco di Sedriano, Alfredo Celeste, sono il punto centrale dell’accusa contro il sindaco dimissionato.
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La collaborazione è un’impresa
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Coworking: una pratica sempre più sostenuta dai Comuni, che stanziano fondi per incoraggiare l’iniziativa
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ondivisione di spazi fisici e di progetti. In una parola: coworking. È una delle nuove frontiere del lavoro e dell’imprenditoria. Nato agli inizi del nuovo millennio nei Paesi anglosassoni, si è presto diffuso nelle grandi metropoli, specie europee. Dei circa 2.300 spazi sorti nel mondo dal 2006, infatti, la maggioranza ha sede
A Milano voucher da 1500 euro per chi lavora negli spazi registrati nell’elenco del Comune
all’interno dell’Unione europea: Germania in testa e a seguire Spagna, Inghilterra e Italia. Una realtà che da alcuni anni, complice la crisi del mondo del lavoro, sta conoscendo una significativa crescita. Non a caso lo scorso 4 dicembre si è tenuto al Parlamento di Bruxelles un incontro interamente dedicato al tema, che ha segnato il varo dell’inclusione del coworking all’interno dei programmi di agevolazione dell’ecosistema europeo per le startup. Con la motivazione che “il lavoro di comunità”, come ha detto nell’occasione Neelie Kroes, la vice
presidente della Commissione europea, «offre una speranza al bisogno urgente di crescita, di occupazione e di innovazione». anche in Italia l’emergere di questa nuova organizzazione del lavoro, non è passata inosservata e ormai da alcuni anni sono sempre più frequenti gli incontri tra coworkers e amministrazioni locali, per comprenderne le potenzialità, le linee di sviluppo, scambiare esperienze e capire in
che modo la macchina pubblica può incoraggiare queste aggregazioni. Il Comune di Milano è stato uno dei primi ad interessarsi al fenomeno e, dopo aver ascoltato le istanze degli imprenditori, ha scelto di assecondare le realtà già presenti sul territorio, evitando la realizzazione di uno spazio comunale e incoraggiando la domanda. Dal marzo 2013,
dunque, ha proceduto con un bando per la realizzazione di un elenco qualificato dei coworking e, grazie all’intesa con la Camera di Commercio, sono stati stanziati 300.000 € (100.000 € dalla Camera di Commercio e 200.000 € dal Comune) per l’erogazione di voucher da 1500 € ciascuno ai lavoratori che ne facciano richiesta. Cifra che viene stanziata in più trance e che corrisponde a circa la metà
di un affitto medio di una postazione per un anno. «Per entrare nell’elenco comunale – spiega Giuseppina Corvino, la responsabile della Direzione centrale delle politiche del lavoro – il gestore dello spazio deve essere iscritto alla Camera di Commercio e deve rispettare precisi requisiti: non offrire meno di 10 postazioni lavorative, essere in regola con
le norme per la sicurezza sul lavoro, garantire l’accesso ai disabili, avere la Wi-fi, stampanti, fax, una sala riunioni e tutti quei mezzi necessari allo svolgimento di un’attività, oltre ad essere in grado di promuovere eventi, tipo workshop». La registrazione nell’elenco comunale è sinonimo di affidabilità e permette al lavoratore che decide di trovare spazio in un ambiente di lavoro condiviso di orientare al meglio la sue
zazione. Il 70% di loro è laureato, spesso ha anche conseguito un master, mentre il restante 30% ha un diploma. Hanno tra i 25 e i 40 anni e si occupano degli ambiti professionali più disparati: dalla comunicazione ai servizi alle imprese, dal design e architettura a quello della progettazione web, dal campo artistico a quello economico». ad accomunare figure professionali così distanti per
scelta. a dicembre 2013, secondo l’ultimo aggiornamento disponibile, sono 111 le domande di accesso al finanziamento pervenute e 40 gli spazi di coworking approvati. Sulla base dei dati registrati dal Comune è possibile anche tracciare il profilo medio di questa tipologia di lavoratori. «Si tratta – afferma la dottoressa Corvino – di uomini e donne con un’altissima scolariz-
competenze e età è la volontà di mettersi in gioco. Innanzi un mercato del lavoro sempre più contratto, c’è il giovane ventenne che, invece di aspettare di avere il posto fisso, crea in autonomo, talvolta assieme a qualche compagno di studi, le basi per la propria attività, come c’è il quarantenne che, perso il lavoro o dopo anni e anni di lavoro autonomo, decide di reinventarsi, lanciando una start up. Ma per fare il salto, oltre a una buona idea, sono indispensabili tanto coraggio e un forte spirito di auto imprenditorialità. Due tratti che un buon coworker non può farsi mai mancare.
Hanno tra i 25 e i 40 anni; si occupano degli ambiti più diversi: dalla comunicazione al design
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Milano, la condivisione tra la musica e il sociale
Viaggio nei centri dove “fare rete” è una realtà consolidata e in sviluppo
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SUL WEB
Se siete in cerca di un forum di discussione dove si parli di coworking, vi stupirà sapere quanto possa essere difficile trovarne uno. A digitare il termine su un motore di ricerca, si ottengono moltissimi link. Aldilà della consueta Wikipedia che spiega in cosa consiste questa forma di lavoro, ci sono i siti dove vengono annunciate nuove aperture oppure conferenze in questa o quella città d’Italia, dove viene affrontato l’argomento del lavoro condiviso. Ci sono poi quelli dei diversi Hub che pubblicizzano il proprio lavoro e presentano il profilo dei coworkers. Ma di forum nessuna traccia. A cercare meglio, è possibile trovare uno spazio per le discussioni proprio sui alcuni dei siti di queste nuove start up. Dove si fanno domande e vengono pubblicate informazioni utili alla pratica del coworking. La domanda più ricorrente è come se ne possa aprire uno in tempi rapidi; perché è la burocrazia ciò che scoraggia di più l’iniziativa. Col tempo coworkingproject.com è diventato uno dei siti più seguiti per chi ne vuole sapere in fatto di coworking. Sulla home page, infatti, sono frequenti le pubblicazioni in merito alle buone pratiche delle amministrazioni locali a sostegno delle start up e si possono rivolgere domande per ricevere qualche consiglio. Per entrare a far parte del variegato spazio dei coworking, d’altronde merita affidarsi a chi ha adottato da tempo questa pratica.
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due passi dal centro di Milano, tra le strade della Chinatown, ha trovato spazio uno dei coworking più grandi della città. È Impact Hub Milano ed è il primo nodo italiano di una rete internazionale che conta oltre 7000 membri e 60 Impact Hubs in tutto il mondo. Fornire un’infrastruttura a start-up innovative ad alto impatto sociale, ambientale e culturale è il suo obiettivo. Varcato il cortile d’ingresso di via Paolo Sarpi 8, si entra in un accogliente e luminoso loft completamente ristrutturato. Un ambiente di lavoro condiviso, dove ogni professionista mantiene la propria autonomia, ma dove si cerca, soprattutto, di incoraggiare le sinergie, al fine di realizzare progetti comuni. Qui i coworkers sono circa un centinaio e possono contare su un sistema di social network interno alla rete Hub che consente lo scambio di idee e competenze tra professionisti che possono portare avanti lo stesso progetto pur lavorando in Paesi diversi. È il primo pomeriggio e molti sono alla scrivania in-
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Esco fuori e vedo altra gente, stringo nuove relazioni. Il coworking è questo tenti a lavorare ai loro pc. C’è chi è impegnato con dei clienti nella sala riunioni e chi si ferma a fare due chiacchiere e bere un caffè nella zona cucina. Seduto alla sua scrivania in cartone riciclato, c’è alberto Conte. Lui ha 49 anni e per svariato tempo è stato il manager di una multinazionale americana in Europa, fino a quando la sua «cronica irrequietezza» lo ha portato su un'altra strada: quella della bicicletta. «Sono sempre stato un appassionato di bici, perciò ho pensato di impiegare la mia
passione per progettare percorsi di turismo slow». Da quando si è messo in proprio, ha realizzato diverse guide agli itinerari da fare pedalando o a piedi. recentemente ha lavorato per il Touring club e con diversi enti (regione Lombardia, Emilia, Toscana, Lazio, provincia di asti) per rilievi Gps e la realizzazione di nuovi percorsi. Dopo aver fondato Itineraria, la sua impresa, ha cominciato a girare su e giù per lo Stivale senza avere un ufficio proprio. Da qui «è nata l’esigenza di trovare una scrivania presso un coworking» spiega. «Esco fuori, ho l’opportunità di vedere la gente, con le ricadute pratiche che comporta. Ho scoperto, infatti, che la mia vicina di scrivania era una grafica, ci siamo messi a parlare e oggi lavora per me. Il coworking è questo, è uno scambio di competenze». Poco distante parlotta con due colleghe Franco Barbieri, 52 anni, fondatore di una rete di imprese votate alla sostenibilità nelle sue diverse declinazioni: ambientale, energetica, manageriale, di impresa sociale. Brianzolo di origine, si è laureato in Management all’Università del Connecticut ed è stato un dirigente di Fiat auto fino al 2003. oggi è presente in altri due Impact Hub italiani, oltre a quello milanese. Non si definisce un ambientalista:«Quello che cerco di far capire è che il rispetto dell’ambiente sul mercato rappresenta un business. Quel che dico ai miei clienti, siano essi hotel, industre, pubbliche amministrazioni, è che per essere un brand devono avere un valore aggiunto, ossia essere sostenibili per essere più competitivi. «ad Impact Hub – dice – instauriamo sinergie per la nostra rete di imprese, troviamo nuovi stimoli». Distante un centinaio di metri da qui, in un bel loft di via Bramante 8, c’è un altro coworking, ma di diversa concezione. Si chiama Indiehub ed è la creatura di andrea Dolcino, 36 anni, ingegnere del suono ed ex responsabile di contenuti audio-visivi in una ditta di ap-
plicazioni per smartphone. «Noi - spiega Dolcino, oggi in veste di imprenditore - ci comportiamo come una Major musicale senza esserlo di fatto. Siamo in grado di seguire il prodotto musicale in tutte le sue fasi: dalla registrazione, alla post produzione, dall’animazione di una videoclip, alla grafica di copertina del cd, fino alla sua divulgazione tramite
clienti». Gaetano Petronio ha 31 anni e nel 2012 ha fondato la sua agenzia di stampa, la Gpc. La molla che lo ha fatto scattare verso la strada impervia dell’autoimprenditorialità «è stato il desiderio di lasciare libero sfogo alle mie idee e suggestioni». L’Illustratore e animatore in 3D, Enzo Benedetto, 38 anni, è il decano (si fa per dire) della squadra. Mentre
ufficio stampa e l’organizzazione di eventi con la band». I coworkers, perciò, sono lavoratori autonomi, ma sono altresì in grado di lavorare come un corpo unico. al suo interno il loft ospita un ampio studio per l’incisione dei dischi, una stanza per i ricevimenti, 12 postazioni di lavoro e una cucina. Un elemento, quest’ultimo, «assolutamente prezioso, perché nei momenti di pausa è il punto di aggregazione e di scambio idee, dove possono nascere tanti progetti» spiega sorridente il neo imprenditore. I coworkers qui sono tutti molto giovani. Valentina Stucchi e Camilla Pagani, 27 e 28 anni. hanno fondato insieme a un amico la Milano music consulting, una società di consulenza musicale e da inizio settembre hanno deciso di puntare su Indiehub. «Per noi dice Valentina - è il luogo di lavoro ideale. Grazie allo studio di registrazione, infatti, conosciamo molti artisti che poi possiamo proporre a hotel, agenzie eventi, wedding planner che sono i nostri abituali
il più giovane del gruppo ha 26 anni, si chiama Gabriele Simoni, ed è l’unico lavoratore direttamente alle dipendenze di Indiehub in qualità di tecnico del suono. In pochi mesi di attività i frutti non sono tardati ad arrivare. Grazie, infatti, alla collaborazione con un’etichetta discografica indipendente, la Nau (translitterazione di «now», adesso) di Gianni Barone, sono già stati prodotti 4 dischi jazz ed è in corso di registrazione un album rock. Dalla sinergia tra Dolcino e Barone, inoltre, è nata una rassegna interamente dedicata alla musica jazz. Una serie di house concert per poche pochissime orecchie selezionate, in modo da incrociare domanda e offerta nello stesso spazio e promuovere giovani band d’avanguardia. «Siamo una novella start up – sottolinea Dolcino – ma la fiducia è tanta. La nostra forza è la capacità di comportarci come players estremamente flessibili, capaci di giocare sia da soli che in gruppo. (Lorenzo Matucci)
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Un nuovo format per nuove esigenze di marketing. Il negozio cambia veste e diventa uno strumento diretto di comunicazione con il consumatore
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Carlotta Bizzarri Micaela Farrocco
ascono e chiudono all’improvviso, mutando continuamente pelle. Non sono i classici negozi, anche se a prima vista possono ingannare. Non sono discount né outlet, sebbene i prezzi siano competitivi. Per certi versi ricordano gli stand nelle fiere e nei mercatini, ma con un tocco moderno e contemporaneo. Sono i temporary shop, i negozi temporanei, detti anche pop-up store, una 'moda americana' che sta progressivamente conquistando il nostro paese. oggi più di 70 sono gli spazi dedicati in maniera esclusiva e permanente nella sola Milano e circa 110 nel resto d'Italia. E, se ancora è presto per parlare di boom, certo è che sono moltiplicati negli ultimi anni. "Ma attenzione, gli spazi sono fissi, di temporanee ci sono le insegne delle aziende che cambiano in media ogni 30-40 giorni - spiega Massimo Costa, autore del libro ‘Temporary retailer: verso una nuova professione’ - E’ una realtà sempre più diffusa, una nuova formula di comunicazione e vendita usata da aziende di qualsiasi settore". Non si tratta solo di affittare
uno spazio, ma dare dei servizi alle aziende che si ospitano: servizi di vendita, di comunicazione, organizzazione eventi, design. L’obiettivo è quello di creare uno spazio vivo, una contaminazione creativa per legare l’evento a un messaggio duraturo.
espongo la mia merce per soli 2800 euro, in fiera ne pagavo 1800 per nove giorni”. Se è vero che la crisi economica può aver dato un impulso allo sviluppo di queste realtà, secondo Giulio di Sabato, presidente di assomoda, si tratta
brand emergenti, pmi e giovani designer per farsi conoscere" e un modo per le grandi aziende di "entrare in contatto con il consumatore finale" aggiunge il presidente di assomoda.
Ma cosa identifica un vero
Ma cosa spinge un artigiano ad affittare uno spazio in un temporary? Non tutti hanno un negozio fisso. “Chi ce l’ha magari è in periferia e coglie l’occasione per farsi conoscere anche in zone centrali della città – spiega Simone Paco responsabile della casa editrice
I temporary sono una realtà sempre più diffusa, una vera e propria formula di comunicazione
Panna & Co. photoalbum altri invece scelgono di fare gli ‘ambulanti’ perché mantenere un negozio per 12 mesi, oggi, è troppo oneroso”. Per Moreno Spei, artigiano toscano, pagare l’affitto in mesi morti per il commercio come febbraio-marzo non è più possibile con questa crisi. “ Per questo ho deciso di sfruttare il temporary da due anni – dice prima facevo le fiere, ma ora mi costa troppo. In una via centrale di Milano per un mese
in fondo di una "normale evoluzione del settore in una società liquida come la nostra". Una professione nuova che affonda le radici nel passato, dai venditori ambulanti dei tempi del re Sole, ma che si concilia benissimo con la società attuale, in cui “il temporaneo è la cifra distintiva e le aziende hanno bisogno di ottimizzare il tempo con lo spazio e lo spazio con il tempo” dice di Sabato. Un'evoluzione che può essere "un ottimo viatico per
temporary shop? "Prima regola: non essere un mero outlet o un discount – prosegue Giulio di Sabato - secondo: trasmettere al consumatore la filosofia del brand; terzo: coinvolgerlo in un'esperienza multisensoriale". Come fare però a sapere in anticipo chi esporrà e dove? Il problema è proprio questo. a volte infatti il semplice volantinaggio, il giro di email e di inviti su Facebook non bastano a pubblicizzare l’evento. Spesso a sapere che
uno spazio è adibito a temporary è solo chi abita nella zona. “ormai i milanesi si sono abituati – dice amanda, assidua cliente dei temporary - si mettono direttamente in contatto con il commerciante e lo seguono nei suoi spostamenti”. Se si tratta di una realtà ancora poco diffusa nel resto d’Italia, certo è che chi l’ha sperimentata giura di essere più che soddisfatto. Non solo per i vantaggi economici derivanti dall’abbattimento dei costi fissi (canoni di affitto degli immobili ecc.), ma anche dal rapporto umano e dallo spirito di convivenza che si crea tra i
Più di 70 spazi dedicati in maniera esclusiva e permanente nella sola Milano e circa 110 nel resto d’Italia
commercianti che condividono lo stesso spazio. “Moreno lo considero mio padre – dice una commerciante del settore tessile rivolgendosi al suo compagno di stanza, collega d’affari nel temporary di via del Torchio - Si impara molto mettendo insieme varie esperienze e lavorando fianco a fianco con persone che operano in settori diversi dal proprio. E, con la crisi che morde, non posso che guardare ai temporary come a un’ancora di salvezza”.
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Obiettivi, durata, target ecco i segreti del successo L’INTERVISTA
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FRANCESCA ZORZETTO, GIORNALISTA ED ESPERTA DI VISUAL MERCHANDISING
Eliana Biancucci
otenziare lo spazio fisico negozio. Nei primi anni del 2000 le aziende si rendono conto che i media tradizionali non bastano più per fare branding e che per entrare in una comunicazione più diretta con i consumatori il mezzo più potente è proprio il negozio. Il temporary store nasce da questa nuova esigenza. Francesca Zorzetto, giornalista ed esperta di visual merchandising e di retail marketing, si occupa da anni della progettazione di temporary e pop up store e in collaborazione con Francesco Catalano ha dedicato il libro Temporary Store. La strategia dell’effimero proprio a questo fenomeno.
Come è nato questo format? a sperimentare per prima il pop up store, la formula itinerante affine al temporary, è stata nel 2003 l’azienda brasiliana oceanic che ha organizzato un tour per tutto il Paese vendendo la sua collezione di cosmetici a bordo di furgoncini Fiat Doblò e personalizzando i prodotti in base al luogo di distribuzione. Il pop up è quindi spesso uno spazio costruito ad hoc, il temporary invece ha uno spazio già definito come una location temporanea o un negozio sfitto.
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Chi ha sperimentato il temporary store è rimasto soddisfatto e lo ripropone
Verso che direzione sono andate le prime esperienze italiane? I pionieri italiani a Milano hanno scelto location o store fissi. Tra questi lo spazio Sidecar in Corso Garibaldi è stato uno dei primi.
Che vantaggi presenta un temporary rispetto al negozio tradizionale? Molte aziende utilizzano gli spazi temporanei in previsione dell’apertura di negozi tradizionali: in questo caso il temporary serve a testare la citta’ piu’ adatta o la location migliore all’interno di una città per garantirsi una maggiore visibilità. I grandi brand che non hanno negozi monomarca (come Philips, Nivea, Vernel) sono riusciti attraverso questo format a raccontarsi ai consumatori in maniera diversa trasmettendo un unico valore identitario del marchio.
Quali sono i segreti per realizzare un temporary di successo? L’obiettivo è senza dubbio fondamentale: se non si stabilisce in partenza l’esperienza è destinata a fallire. Nella progettazione del temporary bisogna aver ben chiaro cosa ci si propone: promuovere un prodotto, riposizionarsi, testare un nuovo mercato, presentarsi al consumatore in maniera diretta, valutare un’eventuale apertura.
Esiste una durata ideale di permanenza in uno spazio
temporaneo? a seconda dell’obiettivo la durata può essere variabile. Generalmente però per riuscire ad avere visibilità non si può rimanere meno di una settimana così come è sconsigliabile andare oltre i 21 giorni perché si rischia di andare incontro ad un calo di attenzione.
Altri fattori di successo? Bisogna certamente stabilire un target di riferimento. Nella scelta dell’architettura pensare ad uno spazio speciale teatralizzato e a creare un’atmosfera sensoriale che coinvolga i clienti. Per funzionare poi un temporary store deve essere sostenuto da degli eventi che generino traffico e promosso bene prima, durante e dopo. anche al termine del periodo stabilito per l’esposizione bisogna tenere viva l’attenzione su di esso attraverso il web. Un ruolo fon-
damentale è rivestito poi dalle scelte di co-marketing: è necessario trovare delle partnership funzionali alla propria attività, un media partner ad esempio è spesso trainatore di successo.
Come si valutano i risultati di un temporary? Gli strumenti per valutare i risultati devono essere stabiliti a monte. I più intuitivi e semplici da utilizzare sono l’indice di affluenza, il tempo medio trascorso dai clienti in negozio e il tasso di conversione, ovvero la percentuale di vendita rispetto al traffico totale generato.
In Italia questo format ha preso piede con netta prevalenza a Milano rispetto al resto del Paese. C’è una motivazione precisa? Certo, Milano è la vetrina italiana per il retail, la piazza che ha più visibilità a livello internazionale e anche dal punto di vista immobiliare offre grandi opportunita’ di affitto di spazi temporanei. altre città come ad esempio roma e Venezia hanno dei limiti strutturali che rendono difficoltosa la disponibilita’ di spazi. Le location che vedranno una maggiore espansione del fenomeno in futuro sono molto probabilmente quelle turistiche: i numerosi temporary progettati gia’ a Forte dei Marmi e Portofino ne sono la prova.
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SPETTaCoLI
Addio alla pellicola: a giugno scatterà la rivoluzione digitale. A Milano sono molti i cinema che rischiano di chiudere
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Maurizio Perriello
l Capodanno 2014 è passato alla storia come una delle tappe più importanti per l’evoluzione tecnologica del cinema. Da quella data, infatti, le sale cinematografiche nazionali hanno adottatole modalità di proiezione esclusivamente digitale. Che tradotto vuol dire: addio pellicola. Un’autentica rivoluzione nel modo di fruire i film, con inevitabili ripercussioni a livello economico, sociale e culturale. Tuttavia il 31 dicembre 2013 segna uno switch off soltanto parziale per la celluloide, poiché la proroga alla riconver-
Lo switch-off digitale penalizza monosale e monoschermi: l’adeguamento tecnologico richiede dai 50 ai 70mila euro
sione, tanto invocata dagli esercenti, è divenuta realtà: i gestori delle sale, infatti, avranno tempo fino al 30 giugno 2014 per digitalizzarsi. a patto, però, che si iscrivano al registro Impianti Digitali della Cinetel – con annessa comunicazione degli estremi dell’impianto da installare– entro e non oltre la fine dell’anno. Un sospiro di sollievo per quel 30% di esercizi, principalmente monosala, che ancora non ha compiuto il passaggio al digitale. Perché il costo per singolo schermo si aggira tra i 50 e i 70mila euro: una cifra spesso fuori portata per i bilanci dei cinema piccoli e d’essai. Su 3936 schermi attivi in Italia, infatti, soltanto 2648 hanno completato l’ammodernamento richiesto. Ma il Bel Paese, in questa come in altre questioni, è in ritardo rispetto al resto d’Europa e del mondo, come la Francia e gli USa, a cui una volta contendevamo
primati di produzione e di pubblico. Quel migliaio circa di sale non ancora digitalizzate rischia la chiusura. Una su quattro, per capirci. Perfino in “un’isola felice” per il cinema come la Lombardia, che vanta il maggior numero di schermi rispetto alle altre regioni (circa il 14% del totale italiano), dei quali circa la metà concentrati nel milanese, le prospettive non sono felici. Proprio a Milano, nel corso degli ultimi vent’anni, si è assistito ad un aumento del numero degli schermi (da 82 a 216), parallelamente alla “paradossale” riduzione del numero di cinema (da 69 a 46). Un dato che testimonia la proliferazione di multisala e multiplex, che da soli possiedono ormai il 40% degli schermi. E tutti digitalizzati. Lo strapotere economico
e distributivo ha gradualmente tagliato fuori i piccoli locali parrocchiali e di quartiere, dove lo spettatore poteva fruire della visione dei film cosiddetti «di qualità». Il pubblico meneghino ha dovuto
Su 3936 schermi attivi in Italia sono solo 2648 quelli che si sono digitalizzati. In Lombardia sono 390 su 547
assistere nel corso degli ultimi due decenni alla scomparsa di alcuni cinema storici – si pensi a quelli che fino a poco tempo fa animavano Corso Vittorio Emanuele – tra i più frequentati e apprezzati della città. . Nomi che ormai dicono qualcosa soltanto ai cittadini più mezza età, ai nostalgici, agli intenditori. E la lista ha tutta l’aria di non essersi chiusa.
I CINEMA DEGLI ORATORI
Il rischio che il capoluogo lombardo perda un’ulteriore parte del suo patrimonio di sale è reale. E a farne le spese sarà la vita culturale della città. Perché la sala cinematografica svolge un ruolo sociale e urbanistico, di presidio e vivibilità del territorio oltre che in termini economici per l’offerta di cinema. «Senza locali di spettacolo e di aggregazione i quartieri e la città si spengono» dice Lionello Cerri, presidente dell’associazione degli Esercenti (anec) «Perché se anche è vero che la produzione di film è aumentata, gli incassi e le presenze hanno subito una flessione. Se chiuderanno le piccole monosale forse le percentuali del fatturato-cinema non cambieranno di molto, ma l’effetto culturale sarà deflagrante».
A Milano si contano 200 sale cinematografiche parrocchiali. Il passaggio al digitale e le catene dei multisala mettono a serio rischio la sopravvivenza di questi centri di aggregazione, tanto piccoli quanto centrali soprattutto nella formazione visiva dei futuri spettatori. Non nasconde le sue preoccupazioni Angelo Chirico, responsabile delle Sale della Comunità: «Lo switch-off rappresenta un cambiamento radicale che in molti non possono affrontare. Le garanzie di incasso e di distribuzione rispetto ad un multisala sono troppo inferiori». È la stessa Comunità, infatti, a curare la contrattazione delle pellicole con i distributori tramite il settore Itl Cinema. Le sale parrocchiali hanno costi abbordabili e sono una grande risorsa in termini progettuali. Al loro interno lavorano migliaia di volontari culturali anche per 365 giorni all’anno. Se dovessero chiudere, in molte zone della Lombardia sparirebbe del tutto la possibilità di andare al cinema.
Una scena del film “T
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“Il Cinema Mexico mi ha salvato la vita” L’INTERVISTA
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a scena del film “The Cameraman”, con Buster Keaton
Chiara Daffini
ntonio Sancassani, dal bancone del suo cinema d’essai ormai entrato nel cuore dei meneghini, parla della digitalizzazione e ci racconta la sua storia, quella del Mexico.
L’obbligo di conversione al digitale mette davvero in pericolo i piccoli cinema? Sì, il Mexico è uno degli ultimi cinema non multisala di Milano. Siamo rimasti in quattro: il Mexico, l’arlecchino l’ariosto e il Palestrina. Vorrei essere l’ultimo che chiude. I mono-schermi sono da molto in difficoltà, ma adesso cominciano a essere in crisi anche i cinema con 2-3 sale, non dico a Milano città, ma sicuramente in provincia.
Quanto costa digitalizzarsi? Quando l’ho acquistato io, il proiettore, tre anni fa, costava 70.000 €. Quando questi proiettori li fanno in 4 in tutto il mondo, non c’è concorrenza, quindi i prezzi sono molto elevati. Prima o poi tutti saranno costretti ad abbandonare la pellicola, anche perché ormai i film, in primis quelli americani, vengono prodotti solo in formato digitale, con costi decisamente meno elevati per le majors.
ANTONIO SANCASSANI, TITOLARE DELLA SALA STORICA DI VIA SAVONA
Che cosa favorisce le multisale rispetto ai cinema di piccole dimensioni? Nel nostro Paese i grandi distributori non hanno convenienza a far proiettare i loro film nei cinema piccoli, perché non possono assicurare la stessa copertura delle multisale. Quindi s’innesca un sistema di esclusive ad alcuni grandi esercenti ed esclusione dei piccoli. Poi c’è il fattore digitalizzazione, un costo notevole che tanti non riescono ad ammortizzare. E quindi chiudono. all’estero non è così. In austria, per esempio, se uno esce con un film e la distribuzione è piccola ma c’è molta richiesta
di sostegno ai cinema piccoli? Con le sovvenzioni regionali c’è sì un rientro del 30% a fondo perduto, però ci sono anche una parte che deve pagare l’esercente e un’altra che copre la regione. Per erogare i finanziamenti, la regione vuole che dimostri con le reversali della banca che hai pagato. Tre anni fa ho ricevuto la sovvenzione dalla regione Lombardia per digitalizzare, perché il Mexico fa parte della federazione Cinema d’essai, è nell’Europa Cinéma e proietta film di spessore. ovviamente non sono mancati i problemi legati alla fideiussione.
ché la proiezione non è realizzabile. Con la brutta figura che ci fai e la perdita degli incassi di tutta la serata.
Allora perché la digitalizzazione? Insomma, avrà pure i suoi vantaggi… E’ una grande opportunità sia per l’abbattimento dei costi di produzione sia per la conservazione e la restaurazione di vecchi film, che non rischieranno di andare perduti. Inoltre con il proiettore digitale è possibile assistere a un evento molto meglio che dal vivo, perché si possono vedere da vicino i dettagli grazie ai primi piani. Poi le majors americane con questo sistema controllano anche
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Il Palestrina non è ancora digitalizzato, l’ariosto lo ha fatto da poco e le multisale dell’Eliseo e del Colosseo hanno tirato fino alla fine, per ottenere dei contratti convenienti con la
A rischiare sono per lo più i cinema di quartiere e quelli parrocchiali Sony. a rischiare sono per lo più i cinema di quartiere e quelli parrocchiali, anche se questi hanno il vantaggio di non dover pagare il personale.
Però la maggior parte delle sovvenzioni è stata erogata alle sale parrocchiali. Perché? Siamo nel Paese del Papa. Battute a parte, anche se sono concorrenti “sleali”, sono ben contento che restino aperti, perché creano la cultura cinematografica, il pubblico di domani.
da parte degli esercenti, lo Stato provvede a stampare il resto delle copie. In Francia c’è la multiprogrammazione: un mono-schermo ha la possibilità di programmare un minimo di 3 film, cambiando gli orari, in modo che tutti possano vedere e programmare più film. Ma le sovvenzioni non sono
Oltre ai costi, che inconvenienti può dare la conversione al digitale? Problemi tecnici. Le macchine digitalizzate sono molto fragili, perché sono computer e non aggeggi meccanici come la pellicola. Se si verifica un guasto puoi spegnerlo e sperare che si resetti e riparta, ma se ciò non accade, sei costretto a mandare la gente a casa, per-
molto di più la distribuzione. arriva l’hard-drive, l’esercente lo scarica nella pancia del server, ma può essere proiettato – tramite chiave di accesso – solo il giorno in cui è prevista la programmazione. Prima e dopo è bloccato.
Come si presenta il panorama cinematografico milanese?
E il Mexico? Il Mexico mi ha salvato la vita. L’ho preso negli anni Settanta, quando i primi locali che chiudevano erano quelli delle periferie, perché iniziavano le televisioni libere. avevo un tumore allo stomaco e me lo tolsero. Dopo l’operazione ero molto depresso. Il fatto di realizzare il mio sogno, quello di proiettare film d’essai e avere un certo tipo di programmazione, mi ha aiutato a reagire. Il Mexico è la mia vita e sarà l’ultimo a chiudere. E fin che sarò vivo io continuerà a fare solo cinema.
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A far la Serie comincia tu
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La tv del terzo millennio è ormai “partecipata” dallo spettatore. Lo testimoniano le fiction, che vengono salvate dalla cancellazione nei palinsesti, ma anche programmi prodotti e addirittura in parte scritti dagli appassionati
U
Benedetta Bragadini Giulio Oliani
na Tv partecipata, condivisa, diffusa su diverse piattaforme. E’ la tv del terzo millennio, in cui i ruoli classici restano (attore, sceneggiatore, regista, produttore) ma dove si aprono scenari inediti perché cambia il rapporto con il pubblico. Dimenticate lo spettatore che, spaparanzato sul divano, si imbatte per caso in una puntata
Sono i fanatici che chiedono all’autore di andare avanti, è il pubblico che costruisce la serie di successo
generica di un telefilm e fissa inerme il piccolo schermo. L’evoluzione è iniziata, anzi è già a buon punto. Il pubblico diventa non solo fan, ma anche autore e persino produttore nell’era di una televisione fatta sempre meno dal network e sempre più dagli appassionati. Ecco a voi lo spettatore 2.0.
Forum e Fandom Il concetto è lo stesso di quando i nostri nonni si ritrovavano a casa del fortunato che possedeva una tv per vedere insieme “Lascia o raddoppia”. oggi però il gruppo d’ascolto non è più fisico ma virtuale e si chiama forum. Il gusto del discutere di una puntata, condividere un’opinione resta. Cambia solo il modo, o meglio il mezzo: non più la voce ma la rete. Ma non finisce qui: il forum ha anche a che fare con quello che gli studiosi chiamano “fandom”. In pratica una comunità di appassionati che condividono un interesse o, per me-
glio dire, una sorta di “venerazione” per questa o quella serie tv. Le tre ere del fanatismo Qualcuno ricorderà i Trekkies, ovvero i fan di Star Trek: nel 1967 la NBC voleva cancellare la serie ma ricevette quasi un milione di lettere di protesta grazie ad una campagna capillare e fu costretta a firmare per una terza stagione. Nasce così, spontaneamente, il culto televisivo e diventa quasi un rito. Poi il “fandom” entra nella vita quotidiana e diventa una risorsa a cui i produttori si appoggiano per fare ascolto. In principio fu Twin Peaks, per cui all’inizio degli anni ’90 fu creato il primo forum, oltre al tormentone “Chi ha ucciso Laura Palmer?”. Qualche anno dopo fu la volta di X-Files, con le avventure soprannaturali degli agenti speciali Mulder e Scully. Ma il vero fanatismo arriva nel 2004 con un prodotto che crea dipendenza: Lost. Dopo nulla è più stato come prima. La serie, che racconta le peripezie di alcuni sopravvissuti a un di-
CASI ITALIANI
sastro aereo su un’isola, ha creato dei veri e propri fan 2.0. Sono gli appassionati che chiedono all’autore (l’osannato J. J. abrams) di andare avanti, è il pubblico che costruisce la serie, anche grazie ad un seguito studiato a tavolino ancora prima della messa in onda. Inoltre da Lost in poi l’esperienza di fruizione si prolunga anche oltre l’episodio. Lo spettatore guarda una puntata, ne parla nel forum, magari scrive
Le fan fiction a volte sono così convincenti da spingere gli sceneggiatori a rivedere la trama
o commenta una recensione, scarica il sottotitolo, partecipa alla “Lost Experience”, un gioco on line, destinato a rivelare indizi sulle stagioni seguenti.
Fan fiction: quando gli appassionati suggeriscono storie agli autori Per non parlare di un altro fenomeno che sta letteralmente
esplodendo in rete: quello delle fan fiction, storie costruite dai patiti di quella particolare serie tv utilizzando personaggi e ambientazioni. Molti appassionati vogliono dare una propria visione, creando situazioni inedite ma sempre in qualche modo inserite nella trama originale. Il fan, insomma, da spettatore passivo diventa autore. E a volte le storie sono così convincenti da portare gli sceneggiatori a rivedere le loro decisioni: è il caso di Glee, te-
Un Medico in Famiglia, I Cesaroni, Squadra Antimafia e Don Matteo sono alcune delle produzioni italiane che hanno ottenuto più successo negli ultimi anni. Qualcuna è riuscita ad arrivare anche all’estero, come Il Commissario Montalbano, venduta in ben 65 Paesi nel mondo tra cui USA e Giappone. Un caso particolare è rappresentato da Romanzo Criminale. La serie di Sky, consacrata dai buoni ascolti e applaudita dalla critica per la cura cinematografica nella regia e nella fotografia, è stata talmente apprezzata negli Stati Uniti che la rete Starz ha deciso di produrne una versione americana.
Il cast di Romanzo Criminale
Una scena de Il Commissario Montalbano
lefilm-musical che racconta le vicende di un coro scolastico americano, dove la relazione
I seguaci arrivano persino a mettere mano al loro portafoglio per salvare il loro telefilm preferito
saffica tra le due cheerleader Brittany e Santana è stata immaginata proprio dai fan che hanno scritto migliaia di racconti online sulla possibile coppia, costringendo i creatori della serie addirittura a inserirla nel telefilm.
Lo “spettautore”: il caso Frammenti Ma gli spettatori possono diventare anche autori nel vero senso della parola: l’ultima frontiera si chiama Frammenti. a metà tra fiction e reality, è già diventato un fenomeno in rete grazie alla falsa pubblicità di un medicinale. Gli “spettautori” devono infatti aiutare il protagonista, un giornalista, a investigare sul misterioso Letenox, che cancella la memoria, risolvendo misteri, enigmi e complessi rompicapo.
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GLOSSARIO SPETTaCoLI
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Per chi non riesce ad orientarsi nel complesso universo della serialità ecco un piccolo glossario, realizzato da Daniela Cardini, docente di Tecniche e generi della fiction radiotelevisiva presso il Corso di laurea in Comunicazione, Media e Pubblicità dell’Università IULM.
FICTION: termine che solo in Italia sta ad indicare prodotti narrativi televisivi di finzione, introdotto con la nascita delle tv commerciali, in cui i palinsesti si riempiono di programmi di importazione (telefilm). oggi in contrapposizione a serie tv è usato per indicare i programmi seriali di produzione italiana. Es. I Cesaroni, Un medico in famiglia
SERIAL: programma di importazione a puntate aperte. E’ usato da chi era giovane negli anni ottantaNovanta come sinonimo di telefilm. Es. Sex and the city, E.r. -Medici in prima linea, Grey’s anatomy
SERIE TV: programma televisivo di importazione statunitense, prodotto a partire dalla fine degli anni Novanta. Si caratterizza per la possibilità di essere fruito su più media, per la qualità dei contenuti e l’estetica particolarmente curata. Intorno ad esso si creano spesso fenonemi di fandom. Es. romanzo Criminale, Lost.
SIT COM: programma tv a episodi a contenuto comico. Si presenta in 2 formati: da 24 e 7 (sketch com) minuti. Es. Camerà Cafè, The Big Bang Theory, How I met you mother
SOAP OPERA: programma seriale a puntate potenzialmente infinito di origine statunitense . E’ l’unico
che non ha un inizio nè una fine ma “semplicemente continua”. Si caratterizza per la tematica amorosa e setimentale. Es. Centovetrine, Beautiful.
TELEFILM: termine coniato nei primi anni ottanta per indicare i programmi di importazione preva-
lentemente statunitensi che venivano trasmessi nei palinsesti italiani. Sembra voler indicare l’unione tra i mondi distanti del cinema e della tv. Es. Supercar, Hazzard.
TELENOVELA: versione latina della soap opera, da cui si differenzia per la conclusione. Es. Il segreto.
L E 10
SERIE PIÙ SCARICATE
ILLEGALMENTE NEL
2013
TORRENTFREAK.COM HA REALIZZATO LA SUA TRADIZIONALE CLASSIFICA DELLE SERIE PIÙ SCARICATE NELL’ANNO DAL SITO BITTORRENT. IL NUMERO TRA PARENTESI INDICA I DOWNLOAD DELL’EPISODIO PIÙ SCARICATO DI CIASCUNA SERIE.
Il fan finanzia la serie La passione dei fan per una serie può essere talmente grande da portarli a mettere mano al portafoglio per salvare il loro programma preferito. È il caso di Veronica Mars, serie che segue le vicende di una liceale con un talento per l’investigazione. Dopo tre stagioni, nel 2007 la Warner Bros Tv che lo produceva decise di chiudere la serie, nonostante le diecimila barrette di cioccolato Mars inviate alla rete per protesta. Lo scorso anno, però, il creatore rob Thomas si affidò a Kickstarter, un sito di crowdfunding, letteralmente “finanziamento collettivo”: tramite un piccolo contributo economico fornito, singolarmente, da un largo numero di persone si sovvenziona un progetto con una somma stabilita in anticipo. ai fan fu chiesto di raccogliere in un mese due milioni di dollari per produrre un film tratto dalla serie. La risposta superò le aspettative: in ventiquattr’ore la cifra richiesta era già stata raggiunta e, a fine mese, Thomas si trovò un budget di quasi sei milioni di dollari per la pellicola che
approderà nelle sale americane il prossimo 14 marzo.
Il fenomeno dei fansubbers Per chi ama vedere una serie straniera in inglese, rappresentano la salvezza. Sono i “fansubbers”, seguaci
I fansubbers mettono la conoscenza della lingue straniere al servizio degli altri appassionati
dei telefilm che alla propria passione uniscono la conoscenza delle lingue straniere mettendole a disposizione di altri fan. Come? Traducendo e sottotitolando in italiano la puntata della serie appena trasmessa all’estero. In questo modo i fan possono evitare di attendere mesi prima di vederla doppiata. Ma c’è anche un rovescio della medaglia: negli ultimi anni si è registrato un consistente calo degli ascolti delle serie tv nei palinsesti italiani, proprio a causa di una fruizione immediata e in lingua originale grazie alla (o per colpa della) rete. Dietro i fansubber, giovani tra i 17 e i 30 anni, ci sono siti che
coordinano la loro attività, cercando di non lasciar scoperto nessun telefilm. ognuno deve rispettare parametri e regole precise di traduzione, sincronizzando i sottotitoli con le battute cui si riferiscono. Un duro lavoro: per ogni puntata di un’oretta circa devono tradurre più di 120 frasi.
Il fan nei panni del suo beniamino: i cosplayers alcuni appassionati si lasciano talmente trasportare dai personaggi delle proprie serie preferite da volerli sostituire. Si comprano oggetti e costumi di scena, li indossano e iniziano ad imitarne gesti e comportamenti. È il cosplay, fenomeno nato in Giappone che inizialmente riguardava manga e cartoon ed oggi si è esteso anche alle serie, in particolare fantasy, come Il Trono di Spade. Questo hobby interessa numerosi fan che organizzano annualmente dei ritrovi, alcuni dei quali sfociano in giochi di ruolo. In Italia il più famoso è il Lucca Comics and Games, che ogni anno, tra ottobre e novembre, attira decine di migliaia di visitatori.
1) GAME OF THRONES, 2011, USA, (5.900.000) Sette nobili famiglie lottano con ogni mezzo per conquistare il Trono di Spade
2) BREAKING BAD, 2008, USA, (4.200.000) Professore di chimica malato di cancro si improvvisa produttore di droga 3) THE WALKING DEAD, 2010, USA, (3.600.000) Le vicende degli umani sopravvissuti in un mondo invaso dagli zombie
4) THE BIG BANG THEORY, 2007, USA, (3.400.000) L’incontro tra quattro giovani scienziati socialmente inetti e un’aspirante attrice 5) DEXTER, 2006, USA, (3.100.000) Di giorno ematologo della polizia di Miami, di notte serial killer di criminali
6) HOW I MET YOUR MOTHER, 2005, USA, (3.000.000) Ted cerca l’anima gemella nella City del nuovo millennio con l’aiuto di 4 amici 7) SUITS, 2011, USA, (2.600.000) Genio espulso dal college trova lavoro da uno dei migliori avvocati di New York
8) HOMELAND, 2011, USA, (2.400.000) Un eroe tornato dopo 8 anni di prigionia in Iraq nel mirino di un agente della Cia 9) VIKINGS, 2013, Canada, (2.300.000) Le avventure del vichingo Ragnar Lodbrok e della sua famiglia
10) ARROW, 2012, USA, (2.200.000) Dal fumetto al piccolo schermo: un playboy milionario si trasforma in supereroe
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Dopo il boom ottenuto durante i giochi di Torino 2006, è pronta una nuova sfida: le Olimpiadi invernali di Sochi. Ma anche a Sesto San Giovanni è possibile lanciare le pietre sul ghiaccio
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Antonio Torretti
ei siti d’informazione c’è una colonna, solitamente a destra, definita “infame” perché è quella che porta le visite maggiori pur essendo, sostanzialmente, priva di grandi contenuti a scapito di curiosità o gossip. Strano a dirlo ma in Italia si tratta allo stesso modo una serie di sport, considerati minori rispetto al Dio Pallone, che poi appassionano tantissime persone. Facciamo un esempio concreto: nel 2006, alle olimpiadi invernali svoltesi a Torino, oltre quattro milioni di italiani erano incollati davanti alla televisione per guardare le finali
A guardare in tv la sfida tra Italia e Canada nel 2006 sono stati più di cinque milioni di telespettatori
di uno degli sport meno conosciuti del pianeta: il Curling. al termine della manifestazione seguì pure un boom di iscrizioni, puntualmente andate perdute nel giro di un anno. Eppure, nell’anno delle olimpiadi invernali di Sochi, c’è da scommettere in un nuovo (inaspettato?) exploit di questa, tanto divertente quanto scono-
L’ATTREZZATURA
sciuta, disciplina.
Bocce sul ghiaccio? Le origini di questo sport sono antichissime: la prima apparizione risalirebbe al 1511 (vi è persino traccia in un dipinto del pittore fiammingo Bruegel il Vecchio del 1565). Fu praticato per la prima volta alle olimpiadi invernali nel 1924 ma poi restò fuori dal programma fino al 1998. Ma esattamente di cosa si tratta? Il curling è uno sport di squadra concettualmente simile alle bocce ma sarebbe riduttivo dire che l’unica differenza è che si pratica su una superficie ghiacciata. Lo scopo è quello di far scivolare una particolare pietra di granito, detta stone, verso il centro di un’area di destinazione formata da 4 anelli concentrici e chiamata “home”. In ogni partita si sfidano due squadre formate da quattro giocatori che a ogni mano di gioco (in totale sono dieci) tirano due stones a testa. La traiettoria viene influenzata dall’azione delle scope da curling che, utilizzate sulla superficie ghiacciata, ne modificano l'attrito (questa procedura si chiama sweeping). a decidere la strategia della squadra è lo skip (il capitano) che osserva le posizioni delle stone e comanda ai compagni quando e come effettuare lo sweeping.
“Cacciatori nella neve”, Bruegel il Vecchio, 1565
Boom dopo Torino 2006 Il curling è praticato in 37 nazioni, con il Canada che, con oltre un milione di tesserati, fa
Le origini di questa disciplina sono rintracciabili già nel 1511 nel dipinto del pittore Bruegel il Vecchio
il ruolo di Paese guida in questo sport. In Italia fino al 2005 i partecipanti erano meno di 500 con una storica predominanza nel nord -est. Nel nostro Paese arrivò tra il 1925 e il 1930, più che altro nelle località sciistiche con lo scopo di essere uno svago per i turisti stranieri. Ben presto però questa pratica divenne talmente coinvolgente da por-
tare all’organizzazione, nel 1955, del primo campionato italiano maschile. Con le olimpiadi di Torino 2006, e la conseguente importante visibilità , per la prima volta gli italiani hanno avuto modo entrare direttamente a contatto con le gare di curling. Il gradimento andò ben oltre ogni ottimistica previsione con uno share che in occasione della partita Italia-Canada (vinta a sorpresa dagli azzurri) superò i 5 milioni di telespettatori. a olimpiadi concluse questo interesse televisivo, nelle sedi dove era possibile la pratica del curling , si trasformò in un gran numero di iscritti ai corsi per principianti. Il 2006 e il 2007 sono stati
Tra le peculiarità del curling ci sono sicuramente i materiali utilizzati. Si tratta di oggetti tutt’altro che banali e presi come modello anche da alcune aziende: la Goodyear, per esempio, ha studiato l’azione della stone e della scopa sul ghiaccio per progettare gli pneumatici da neve. Ma ecco nel dettaglio i principali oggetti di questo sport: Le scarpe hanno due suole diverse: una è progettata per il piede che deve scivolare, l’altra invece per evitare di cadere. Nel primo caso il materiale di cui è composta la calzatura è solitamente il Teflon anche se ci sono delle particolari solette che possono essere applicate alle scarpe comuni. Nel secondo caso invece la suola è di gomma (o materiali simili) ed è progettata per creare aderenza e ridurre l’usura.
Partita amatoriale tra giocatori canadesi nel 1909
Un esempio di scarpa da curling, con la suola in gomma per dare stabilità al giocatore
anni straordinari per il curling italiano che ha così abbondantemente raddoppiato il numero dei praticanti.
Gra
La squadra maschile del Jass Curling Club è stata fondata nel 2002. Attualmente milita in serie C
Si tratta, comunque, di piccoli momenti: attualmente esistono 21 club per un totale di 400 tesserati, abbastanza comunque per l’organizzazione di campionati di Serie a , di Serie B (divisa in Est e ovest) e di Serie C. La situazione a Milano La capitale del curing padano è Sesto San Giovanni dove si
La pietra con cui si gioca, o stone, è realizzata con un particolare tipo di granito proveniente esclusivamente da due cave del Galles e della Scozia perché è solo lì che si rintracciano le qualità adatte per la lavorazione: la grana finissima e l’assenza di quarzo. Questa speciale pietra ha una resistenza agli impatti tripla rispetto al normale granito. La parte inferiore, detta corona, è fatta di uno speciale granito scozzese più durevole e ha uno spessore che va dai 5 ai 7 millimetri. Il manico è di plastica dura e viene fissato forando la pietra esattamente al centro del diametro. Una volta finita, lucidata e levigata, la stone è pronta per essere usata e pesa circa 18 chilogrammi. Il costo per una stone nuova è di circa 1300€ e le squadre, in Italia, le acquistano direttamente dalla FISG che è il fornitore unico nel nostro Paese.
Alcune pietre: i diversi co
Un esempio di scar gomma
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IL CAMPO DA GIOCO
Il campo (45x4,4 mt) è delimitato da due linee laterali, una linea posta a tre quarti del campo (sia dalla parte da cui si effettua il lancio sia dalla parte opposta) e chiamata “hog line” e una linea che segna la fine del campo. La stone viene eliminata se: - non supera completamente la hog line; - supera completamente la linea di fondo o tocca una delle due linee laterali; - se viene rilasciata dopo la hog line.
“Sul ghiaccio grazie a James Bond”
L’INTERVISTA
ALBERTO CANIATTI, PRESIDENTE DEL JAAS CURLING CLUB
cano perché si divertono. E la condizione dei vostri impianti? Noi abbiamo un solo campo che condividiamo con i giocatori di hockey con la possibilità di allenarci solo il lunedì. Siamo parecchio indietro rispetto agli svizzeri, che sono capaci di giocare a St.Moritz all’aperto e con -20°.
Adriano Lo Monaco
Gran Bretagna-Svezia, Vancouver 2010
trova la sede del Jass Curling Club. a conoscerlo sono in pochi, a essere iscritti ancora meno, circa venti per l’esattezza. La squadra, fondata ufficialmente nell’ottobre del 2002, milita in serie C ed è esclusivamente maschile ma, negli ultimi anni, anche per le donne è stato possibile partecipare ad attività agonistiche in virtù di una nuova formula che prevede alcuni tornei con team composti da entrambi i sessi. Come spesso accade negli sport minori, chi pratica questa disciplina è molto motivato e lo fa per passione perciò l’impegno e gli sforzi sono sicuramente maggiori rispetto alla media.
Lunghi capelli bianchi raccolti in un codino e fisico asciutto del miglior maratoneta. Lui è il milanesissimo alberto Caniatti, un 66enne chirurgo in pensione. adesso, per tutti, è “Il Presidente”. È dal 2002 alla guida dirigenziale e tecnica del Jass Curling Club di Sesto San Giovanni, squadra che milita nel campionato di serie C.
Presidente, perché il curling è uno sport così poco considerato? Poco considerato e molto denigrato, dato che spesso ci dicono: «voi giocate a bocce». Se uno vuole paragonare il curling a qualche altra attività deve far riferimento ad almeno tre sport. Le bocce per i colpi di precisione, il biliardo per l’effetto che si dà allo stone e gli scacchi per la mentalità strategica degli atleti in campo. È necessario che lo skip abbia il carattere per coordinare tatticamente la squadra e per non regalare punti agli avversari. Sbaglia chi crede che il curling non sia uno sport. Dietro c’è un
La Federazione non vi aiuta economicamente? Fino allo scorso anno pagava i giudici, adesso nemmeno quello. Ci manteniamo da soli, usciamo i soldi di tasca nostra con quote annuali.
grande lavoro atletico con esercizi mirati per massa e cardio.
Qual è la tradizione italiana di questo sport? Il curling nasce a Cortina e da lì viene anche la nostra preparazione. Dopo le olimpiadi di Torino 2006, invece, è stato fatto un lavoro fantastico a Pinerolo. Loro ormai hanno un campo dedicato con più piste,
hanno una cultura completamente diversa dalla nostra. Considera che i loro insegnanti di educazione fisica indirizzano gli studenti verso il curling. oggi un ragazzino che vuole cimentarsi in questo sport comincia verso i dieci anni. anch’io ho cercato di fare del mio meglio per diffonderlo nelle scuole. Ho notato che c’è un grande movimento di curler non agonisti, che gio-
Ci sono vari tipi di scope che si diversificano dal tipo di spazzolata e di effetto che si vuole dare alla stone. Nel corso degli anni c’è stata un’evoluzione nei materiali utilizzati. Le precedenti versioni erano fatte con crini di cavallo, sostituiti nel corso degli anni da materiali sintetici che hanno il vantaggio di non perdere fili sul ghiaccio, cosa che nel curling può essere decisiva. Il costo minimo per una scopa da curling è 180€.
pietre: i diversi colori del manico indicano due diverse squadre
n esempio di scarpa da curling, con la suola in gomma per dare stabilità al giocatore
Diversi esemplari di scope da curling
Il vostro organigramma conta circa venti persone. Non sono un po’ poche? Noi facciamo di tutto per tesserare nuovi atleti organizzando corsi di avviamento. Molti ne escono entusiasti, ma dopo non si iscrivono. Forse perché Milano offre l’impossibile dal punto di vista sportivo e i ragazzi preferiscono altro.
Qual è l’obiettivo principale del vostro club? Progredire. Non abbiamo velleità di vincere il campionato, sappiamo di essere indietro a livello nazionale. a noi interessa divertirci e andare a bere insieme dopo le partite. È uno sgarbo se chi vince non offre da bere agli altri.
Da chirurgo a presidente e allenatore di un club di curling. Come mai? Vidi un film di James Bond (agente 007 – al servizio segreto di sua Maestà, ndr) nel quale si giocava a curling e lo trovai subito interessante. Dopo un paio di anni ho cominciato. all’inizio ero da solo, poi in due, in tre, in quattro. Stava nascendo una squadra.
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IULM NEWS
Aziende, la sfida dei social
Sempre più imprese utilizzano almeno un social come canale di comunicazione. Secondo una ricerca sono aumentate, in due anni, del 30%
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Micaela Farrocco
e aziende italiane si convertono ai social, ma con il freno a mano tirato. Questo è quanto emerso dalla terza edizione dell’osservatorio “Il SocialMediability delle aziende in Italia”, promosso dall’Executive Master in Social Media Marketing & Web Communication. 720 aziende (piccole, medie e grandi), appartenenti a 6 diversi settori (alimentare, arredamento, banche, sanità, moda, pubblica amministrazione), sono state analizzate per tre anni partendo dal monitoraggio dei loro siti web. obiettivo: analizzare la qualità dell’uso dei social media come canali di relazione, comunicazione e marketing.
Dallo studio è emerso che, dal 2011 al 2013, la percentuale di imprese che hanno fatto un salto dal “no social” ad “almeno un social” è passata dal 49,9% al 63,8%. a trainare la diffusione dei nuovi canali di comunicazione sono state soprattutto le aziende più grandi. Per queste
A trainare la diffusione sono state le aziende più grandi. Per loro i social costituiscono ambienti “imprescindibili”
infatti i social media costituiscono ormai ambienti “imprescindibili”. Se nella precedente rilevazione infatti era il 57,3% delle stesse a gestire almeno un social, nel 2013 tale percentuale è salita all’81,1%. Una
crescita che allarga il divario, già registrato negli anni precedenti, tra le grandi (da un lato) e le piccole e medie realtà (dall’altro), il cui ricorso a tali mezzi è aumentato di solo il 7% circa rispetto al 2011. La causa va rintracciata nelle diverse capacità di investimento. Sì perché i social sono gratuiti ma per essere gestiti richiedono un consistente utilizzo di risorse specializzate. “Le grandi aziende – spiega il professor Guido Di Fraia, responsabile del Master in Social Media Marketing & Web Communication Iulm – hanno compreso meglio le potenzialità dei social media semplicemente perché, rispetto a piccole o medie realtà, hanno maggiori possibilità di investire, di rivolgersi a consulenti specializzati
rest (18,1%), non monitorati nelle rilevazioni precedenti. Da un punto di vista quantitativo i dati mostrano quindi un incremento, a dimostrazione del fatto che le aziende abbiano compreso i benefici che i nuovi mezzi di comunicazione possono portare (più visibilità, crescita della reputazione e maggiori possibilità di vendita). Bisogna lavorare però sul “come” utilizzino questi canali.
Guido Di Fraia, responsabile del Master in Social Media Marketing e Web Communication Iulm
che aiutano a comprenderne al meglio le potenzialità”. Facebook si conferma il canale più popolare, scelto dal 75% delle aziende (rispetto al 71,1% del 2011). Seguono Twitter, Linkedin e YouTube (utilizzati rispettivamente dal 45,1%, dal 44,1% e dal 51,2% delle aziende presenti sui social media, rispetto al 39,8%, al 35,7% e al 32% del 2011), Google Plus (17,2%) e Pinte-
”L’errore che si fa è quello di usare lo stesso contenuto e linguaggio per tutti i canali”, chiarisce Di Fraia. ogni mezzo ha invece la sua logica di comunicazione, la sua intrinseca specificità. “Se il linguaggio televisivo viene riproposto su Youtube – continua Di Fraia – si fanno dei pasticci”. anziché cogliere le differenze di ciascun mezzo si cade spesso in un processo di “normalizza-
zione”. Tutto va bene su tutto. Le aziende non hanno, in alcuni casi, compreso la specificità del singolo mezzo, “questo è quello che manca - spiega il
Le imprese spesso non hanno compreso la specificità dei nuovi media, utilizzati come quelli tradizionali
professore – troppo spesso i nuovi media vengono utilizzati come media tradizionali”. La comunicazione è concepita come quella tipica dei vecchi mass media: ad una direzione. Si parla più che chiedere. “Si ha quasi soggezione quando ci si apre all’interazione con l’utente”, spiega Di Fraia. Prima infatti di “sbilanciarsi” e inserire sul proprio sito web i link che rimandano ai canali Facebook o Twitter, le aziende perdono un sacco di tempo a monitorare come reagiscono gli utenti. In altre parole si apre una pagina Facebook ma si tiene nascosta, almeno in una fase iniziale. Per aprirsi fin da subito a questi canali basterebbe invece investire in figure professionali specializzate, che sappiano gestire e controllare al meglio il flusso di post, commenti, foto che circola su queste piattaforme. “aggiornarsi, investendo in formazione”, secondo Di Fraia. Solo così le aziende diventeranno più “social” abbandonando le vecchie regole del marketing.
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Laurea: le istruzioni per l’uso IL SEMINARIO SULLA TESI
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li esami sono agli sgoccioli e un ciclo di studi sta per finire. Il giorno si avvicina, ma come far sì che in quella data gli unici dottori siate voi e non chi vi soccorre in preda a un attacco d’ansia? Pur senza arrivare a casi estremi, laurearsi è una grande soddisfazione ma senza dubbio anche uno stress. Per questo è stato pensato il seminario che si terrà venerdì 7 marzo dalle 13.30 alle 16.30 nell’aula 146 dell’Università IULM. Come scegliere l’argomento della tesi? Che metodo usare per essere incisivo ma esaudiente? Come vincere l’insicurezza che fa ammutolire davanti alla commissione? a queste e molte altre domande risponderà Massimo Bustreo, dottore di ricerca in Interazioni umane: psicologia dei consumi, comportamento e comu-
nicazione e docente di Psicologia del turismo all’università IULM. Destinatari privilegiati sono gli studenti al terzo anno dei corsi di laurea triennale e al secondo della magistrale, ma l’incontro è comunque aperto a tutti. Un programma denso di spunti utili. Si parte con la gestione del tempo e delle informazioni, ovvero come progettare la
Se la Iulm resta “Senza Parole” GLI IULM MOVIE AWARDS
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er una sera la Iulm veste i panni dell’ “academy” e lancia gli Iulm Movie awards. Il 24 febbraio al cinema San Carlo verrà decretato il vincitore del Concorso “Senza Parole”, indetto da Iulm e Moviemax, decicato alle web series. In gara le due proposte arrivate in finale, “Zona 01” di Mattia Conti e “The World of silent words” di Elisa Mirani e Nicolò Piccione, saranno valutate da una giuria d’eccezione: oltre al presidente Maurizio Nichetti, i video saranno giudicati da Luca Bernabè (Ciak), Giuseppe Di Piazza (giornalista e scrittore), Giorgio Gosetti (direttore noir festival), Fabrizio Ievolella (Magnolia), Chiara Maffioletti (Corriere della Sera), Michele Verna (Direttore Generale assolombarda). Tra i membri anche Daniela Dagnino di Moviemax che,
dopo la presentazione della puntata pilota delle due web series finaliste, consegnerà il premio. Nel corso della serata però ci sarà spazio per tanto
In sala verrà proiettato ogni genere di pellicola: dai documentari agli spot, passando dai cortometraggi
altro. Dai documentari agli spot pubblicitari, passando dai cortometraggi, ogni genere di pellicola verrà proiettata in sala. Si inizierà con #Educazionesentimentale13 (il 21°episodio de I mostri, 1963), un cortometraggio realizzato dagli studenti del corso di “Storia del cinema italiano 2013” , coordinato dal Dottor Davide Preti. Sugli schermi anche “lo spot andato al cinema”: Bricocenter
nianze personali e confronti con studenti e neo laureati. Un aiuto concreto per risolvere parte delle numerose preoccupazioni da laureando, nonché alcuni suggerimenti teorici e tecnici, utili per risparmiare tempo, ottimizzare la fatica e migliorare lo studio. E arrivare prima all’orario dell’aperitivo.
di Giovanni abitante, vincitore del premio “Miglior idea creativa Movi&Co 2013”. Nella sezione documentari verranno presentati i due lavori di Davide Preti e Fabrizio Lecce, finalisti del concorso Technit 2013. L’evento si concluderà con il documentario “In Utero Srebrenica” di Giuseppe Carrieri, dottore di ricerca IULM, vincitore nel 2013 di innumerevoli riconoscimenti (al Jazeera Documentary Film Festival, Europe orient Film Festival, Festival del Cinema dei diritti Umani di Ginevra, Festival del Cinema dei diritti Umani di Napoli).
INAUGURAZIONE DELL’ANNO ACCADEMICO
Si terrà giovedì 6 marzo alle 10.30 in aula magna la cerimonia di apertura dell’anno accademico 20132014. Presieduto dal Rettore Giovanni Puglisi, l’evento vedrà gli interventi del Professore Stefano Paleari, Presidente della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI) e del Professore Vincenzo Trione, Vicepreside della Facoltà di Arti, turismo e mercati e Coordinatore della laurea triennale in Arti, design e spettacolo e della laurea magistrale in Arti, patrimoni e mercati.
prova finale e interagire con il docente relatore, passando poi alla fase di realizzazione e di stesura dell’elaborato, con i problemi tecnici annessi, per arrivare poi alla discussione orale e al controllo emotivo nei momenti di forte tensione. Un capitolo, ovviamente, sarà destinato al pensiero rincuorante della festa di laurea. E non mancheranno testimo-
Dall’alto, tre fotogrammi di Zona01, The World of silent words e In Utero Srebrenica
L’inaugurazione dell’anno accademico è un’occasione per riflettere sull’università, le possibilità che essa offre e i problemi riscontrati da chi studia e chi insegna. Un modo per discutere insieme a personalità ricche di esperienza i punti cruciali del panorama attuale in ambito universitario e professionale. L’università può infatti essere un trampolino di lancio per il mondo del lavoro, ma bisogna saperne sfruttare gli strumenti e cogliere le occasioni disseminate lungo il percorso di formazione.
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Nord-Sud: il superamento della crisi non passa da steccati separatisti
Creare autostrade della comunicazione educativa
segue dalla prima Basterebbe una semplice infarinatura geografica per cogliere il senso elementare ed essenziale della considerazione, che, scivolando nel gergo politico, diventa una forte lezione di etica sociale con un forte richiamo alla solidarietà nazionale e alla sussidiarietà economica. Naturalmente sia la solidarietà, che la sussidiarietà non sono mai slegate da una puntuale e severa indagine socioculturale, che deve inquadrare il problema in modo non parziale e non ideologico. Dopo gli anni dell'acritica e ipocrita solidarietà ispirata al modello assistenzialistico (per tutte vada il richiamo storico-politico alla Cassa per il Mezzogiorno), da qualche tempo ormai, ahimè, un ventennio! siamo sommersi e offesi dalla retorica del Nord e, più da recente, del Grande Nord, la Macro-regione del Nord. oltre la praticabilità tecnicogiuridica della questione, che si scontrerebbe subito con le prima parole della Carta Costi-
tuzionale, la riproposizione del modulo retorico-politico della separatezza dei territori, è sostenuta soltanto da motivi e da modelli politico-ideologici privi di ogni legittimazione morale ed economica. abbiamo già vissuto il fallimento della esperienza sudista, per potere non sol credere, ma anche solo pensare a ricominciare con una "nuova" esperienza nordista centrata sul modello della fiscalità regionale. Non credo sfugga a nessuno che nel Terzo Millennio il superamento della crisi non passa attraverso l'erezione di mura o di steccati separatisti, bensì attraverso la creazione di autostrade della comunicazione educativa, che semplificando conoscenze e processi diano agli Italiani, proprio a tutti gli italiani, la percezione, prima che il vissuto, della coesistenza cooperativa e della sussidiarietà operosa. La linea virtuale che separa e, insieme, unisce il Nord e il Sud non è orizzontale, come è stata finora, con lo stravagante
risultato di separare aree regionali ugualmente operose e in pari tempo ugualmente sofferenti, solo in ragione di una norma legislativa, nazionale o europea, e in misura spesso irrazionale, o comunque senza una ragione economico-produttiva reale. Un esempio valga per tutti: il confine impercettibile tra Lazio e Campania in quella zona di vero e proprio confine che è la Ciociaria laziale o, sul versante campano l'alto Sannio. Cosa differenzia in termini economico-sociali e anche produttivi le realtà d'impresa privata e pubblica della provincia di Frosinone da quelle di Benevento o anche di Caserta? Eppure le ragioni della separatezza geografica dividono norme, regole e fortune. L'unica cosa che accomuna, ahimè, quelle zone è l'invasività della criminalità organizzata, che - oltre ogni bizantinismo giuridico - annoda e scioglie abitudini, regole ed economie. Le mafie, poi riescono all'interno di queste cesellature giu-
ridico-politiche a ritagliarsi spazi di manovra e agii economico-finanziari strepitosi, finendo talora con il diventare l'unica vera e propria multinazionale, senza confini reali o virtuali, a grande profitto e a poco, pochissimo costo. In alcuni casi - pochi o molti che siano - dove non arriva o non può arrivare la solidarietà nazionale o europea arriva quella mafiosa. Che vergogna! Che delitto! allora, che fare? recuperare una prospettiva culturale e morale nazionale, dove la linea di demarcazione virtuale, ma anche reale!, sia la coscienza civile, innanzi tutto contro la criminalità mafiosa, che oggi si annida sia al Sud, che al Nord, ma soprattutto a favore di un modo diverso di concepire lo stare nella società della conoscenza e della produttività delle giovani generazioni innanzi tutto, senza pregiudizi di provenienza, di appartenenza culturale regionale, senza forme di palese o occulta ghettizzazione socio-antropologica.
Sì, sono anche necessarie forme di sostegno economico e giuridico, nazionali e europee, ma non all'insegna dell'intervento straordinario, simile alla elemosina di Stato da Prima repubblica, ma attraverso forme di cooperazione sussidiaria verso le imprese e verso i giovani piuttosto che verso le pubbliche amministrazioni (università comprese), tanto al Sud, quanto al Nord. In altri termini interventi replicabili solo a verifica di risultati e non attraverso automatismi legislativi pluriennali, privi di metodo e merito valutativo dei risultati. occorre avere il coraggio di sapere chiudere l'inutile e l'inefficace, prima di chiedere nuove risorse o qualsivoglia tipo di nuovi interventi ordinari o straordinari che siano. Solo così Nord e Sud si troveranno lungo la dorsale verticale dei nostri appennini, finalmente uniti dalle nostre montagne e mai più separati dalla stupidità degli uomini, soprattutto di potere. Giovanni Puglisi