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Due chiacchiere con Obaro Ejimiwe, in arte Ghostpoet, giunto al terzo lavoro con Some Say I So I Say Light, in uscita il 6 maggio

Ghostpoet Faccia a faccia con un fantasma

Vero e proprio fenomeno dell’anno scorso, celebrato nel Regno Unito e accolto con entusiasmo altalenante qui in Italia, Obaro Ejimiwe, noto come Ghostpoet, ha il pregio di aver saputo coniugare suggestioni provenienti da variegati ambienti musicali declinandole in una chiave tipicamente british. Una chiacchierata interessante sotto diversi punti di vista, quella che abbiamo avuto con lui; di fronte c’è una persona piuttosto concreta, con un’idea molto chiara della sua musica, restia a riconoscere collegamenti diretti con altri filoni o artisti e, soprattutto, molto ponderata nel rispondere. Obaro non è esattamente un individuo rapito dal trasporto nel parlare del proprio lavoro: è misurato e professionale nelle risposte, nella stessa misura in cui lo può essere la sua musica. Non è nemmeno un interlocutore ostile però, tutt’altro. Si dimostra anzi disponibile e cortese, malgrado i numerosi problemi incontrati prima della chiacchierata tra voli aerei e mezzi di trasporto vari. Professionalità

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e distacco a parte, la chiacchierata dà uno sguardo alla nuova formula live e si attarda sulle impressioni suscitate in lui dall’Italia e dai festival nostrani a cui ha partecipato. La prima domanda può apparire scontata. Non sei più un ragazzino e il tuo esordio musicale è parecchio recente, per cui viene spontaneo chiedersi cosa ci sia stato prima dell’esordio. Come inizia la storia di Ghostpoet? Inizialmente ho vissuto tutto come un hobby, seppure molto importante, prima che divenisse una carriera vera e propria. Mi ci dedicavo ogni sera, una volta finito il lavoro. Ai tempi lavoravo per una compagnia di assicurazioni. Poi mi sono trasferito a Coventry, ho messo la mia musica su Myspace e ho aspettato che la cosa diventasse più seria e di raggiungere il livello che volevo. Attraverso il web, poi, Brownswood ha notato la mia musica e il seguito è che ora siamo qui a Milano a parlarne (ride).


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