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all’indie e al grunge cui guardava. Tin Machine (EMI, 1989, 6,8), comunque, nella sua grezza violenza, risulta un disco esuberante e divertente che spazza via il precedente senza tanti complimenti: se di ritorno al rock si deve trattare, allora è necessario togliere tutto e suonare diretti, live, pochi overdub, occasionali contributi del solo Take m e a n y w h e r e . . . In un 1989 che vede grandi nomi risollevarsi da un Kevin Armstrong e amplificatori sparati. Soprattutto con un sound coerente con se stesso e con decennio diverso da quello di Bowie, ma spesso altrettanto incerto (Lou Reed torna con New York, le intenzioni, insieme nitido e violento, spazioso e aggressivo, messo insieme con la produzione di Neil Young con Freedom, Dylan con Oh Mercy), il un Tim Palmer in ascesa. Duca tira fuori un’altra mossa di quelle a sorpreDalla semi-jam boogie dell’iniziale Heaven’s In sa: conosciuto il chitarrista Reeves Gabrels l’anno Here, dove Gabrels ci mette poco prima di iniziare prima e iniziata la collaborazione (che durerà a scatenare i suoi assalti sonori, al punk antinazidieci anni) approntando una versione di Look sta di Under The God, dall’umbratilità suggestiva Back In Anger per uno spettacolo di beneficenza, di Prisoner Of Love fino alle spensierate Amazing decide di coinvolgerlo nel suo nuovo progetto, i e Baby Can Dance c’è parecchio che funziona; ed Tin Machine. Ovvero, un gruppo rock nel quale esce fuori anche un po’ di classe nell’eleganza Bowie sarà semplicemente il cantante e il chitarriflessiva di I Can’t Read, suggestiva nel sottrarre rista ritmico. Gabrels è invece solista rumoroso e dove il resto del disco trova la sua forza, diciamoaudace, e la scelta del rock fragoroso, nell’anno lo, in un salutare “casino”. Poco importa se qua e là in cui esordiscono i Nirvana e con l’indie-rock si esagera, col senso della misura che viene diUSA che mostra buona vitalità già da un po’, ha menticato nelle tasche interne delle giacche nere il significato di un cambiamento di rotta, di uno stacco violento con l’era del pop laccato. L’idea del che costituiscono la divisa della band (soprattutto gruppo e la nuova maschera da semplice cantante per opera dei texani della sezione ritmica), vedi Sacrifice Yourself; se Pretty Thing non è all’altezza nascondono l’esigenza di ricominciare ad occudel modello Pixies; se il ritornello di Run sabota parsi direttamente della propria musica, senza un po’ una bella strofa o se la cover di Lennon deleghe, in sala prove con gli altri. Working Class Hero non è evocativa come quella Tutto sensato: come detto Bowie ha bisogno di della Faithfull, insomma se non è un capolavoro: una mossa radicale per uscire dall’impasse creativa e dalla dittatura con cui il manager ha inaridito il compito della necessaria scrollata è svolto con successo, il suono incendiario brucia via il pop l’artista. Peccato che questa venga minata dall’erleccato, e anche se Bowie quando si diverte non rore fondamentale di chiamare come sezione viene preso sul serio (vedi Lodger o, in futuro, ritmica i fratelli Hunt e Tony Sales (già in Lust For Earthling), l’album viene guardato con simpatia Life). I due si riveleranno potenti, precisi e capaci di improvvisare, ma anche legati a un’idea vecchia (probabilmente dovuta anche a un certo sollievo di critici e fan). e semplicistica di rock, che rende di fatto la democrazia nella band auspicata dal leader (pardon, Intanto però, scaduti anche i diritti sul vecchio catalogo in possesso della RCA, è tempo di ristampe: dal cantante) un ostacolo allo sviluppo del prol’allora ancora indipendente Rykodisc, specializzagetto secondo le sue piene potenzialità di vera ta nell’ambito, si assicura l’operazione, celebrando avanguardia, rimanendo indietro anche rispetto attore e il trucco che lo fa rimanere in piedi anche se si inclina). Il Bowie-manager sorride contando le montagne di biglietti venduti, l’artista è messo peggio dell’alieno di Roeg alla fine del film del ‘76. Urgono provvedimenti drastici.

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