SentieriselvaggiMagazine n. 09 (11/10/2013)

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VENEZIA 69 derive e le menzogne di questo materiale umano fornitogli dal suo sceneggiatore. Forse oggi il grande regista americano è ancor più disilluso sul futuro del cinema di quanto non lo fosse in passato, come sottolineano le ripetute istantanee nei titoli di testa e di coda a ritrarre sale cinematografiche in rovina e bobine di pellicola abbandonate. “Questo film è fatto per uscire dalle sale, per il post-cinema. Lo abbiamo concepito per il video perché il cinema sta cambiando e le sale chiuderanno presto”, ha detto Schrader in conferenza stampa. È curioso come da questo punto di vista, nel suo abbinare la trasformazione tecnologica a quella dis-umana raccontata in The Canyons, Schrader si avvicini molto a quella parabola erotico-compulsiva sul passaggio al video raccontata nel bellissimo film gemello Autofocus. La freddezza di The Canyons non coinvolge, né intende farlo, quindi tiene a distanza, creando però un disorientamento quasi catatonico, un eyes wide shut tra cocainomani che non hanno più nemmeno la forza di citare Whitney Houston o i Genesis (American Psycho), né quella di ricordare gli ultimi film veramente amati al cinema (e “le

anteprime non contano” ricorda giustamente la sofferente Lindsay Lohan). I tre protagonisti di questo noir erotico, ambientato durante la preproduzione di un piccolo film che forse non si farà mai, più che anime dannate, appaiono allora come corpi plastici fantasmatici, apparizioni che attraversano le scene come

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monadi imperturbabili e neutre che, a scapito dei ripetuti amplessi consumati nel corso del film, sembrano essenze prive di carne, simulacri di una “realtà” post-umana, sospesa in un tempo indefinibile tra passato (gli anni ‘80 come detriti immarcescibiili), presente (il film da fare o non fare) e futuro (il mondo digitale).


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