Ciò che dirò all’Altro Mappe dell’alterità
Bastos Vilas Boas Larissa Brosio Riccardo Dognini Anna Sillari Erica Zani Giorgia
Hanae
La storia di inizia prima della sua nascita col padre, che giovanissimo, lascia l’università per trasferirsi in Italia dove gli zii già lavoravano come venditori di tappeti. Hanae nasce qui, in Italia, più precisamente in provincia di Bergamo, dove cresce immersa fra le due culture che compongono la sua identità.
Marocco
Storie di ospitalità Hanae, Atika, Nora. Tre voci evocano colori, sapori, aromi e suoni della loro terra d’origine, il Marocco, e riflettono sul loro legame col Paese che le ha accolte, l’Italia. Descrivendo riti e tradizioni, percorrono un filo teso tra diverse generazioni e culture, tra diversi Paesi, tra ieri e oggi, e raccontano il concetto di ospitalità nelle sue diverse sfaccettature: dagli usi e costumi radicati nella tradizione, ai ponti che si possono creare tra persone culturalmente lontane, fino alle connotazioni più intime e personali che l’ospitalità può assumere.
Atika è nata e cresciuta a Casablan-
ca con i genitori e i suoi fratelli. Si laurea in Economia e Commercio in Francia, dove molti giovani marocchini andavano per crearsi un futuro, ma non fa per lei e quindi si trasferisce in Italia col padre. Da allora parte delle sue radici sono piantate anche in un piccola città della Monza-Brianza.
Nora
Anche la storia di inizia prima della sua nascita. La madre è originaria dell’entroterra del Marocco, vicino a una catena montuosa (nella zona di Fès), da un’etnia che ha origine asiatica; il padre invece è originario della città di Marrakech, ma vive a Riyad. La sua identità è ramificata già dal principio, in una commistione di culture.
Architettura
Una commistione di culture
Riad “Le case fuori possono anche non sembrare le più belle, ma appena apri la porta trovi interni riccamente decorati, stanze molto ben curate e ornate.”
Il riad è uno dei due principali tipi di case tradizionali marocchine, spesso con due o più piani intorno a un giardino interno simmetrico centrato intorno a una fontana. I riad erano le case signorili della città dei cittadini più ricchi, come i mercanti e i cortigiani che erano in grado di costruire palazzi che includevano giardini interni. Lo stile di questi riad è cambiato nel corso degli anni, ma la forma di base è ancora usata nei progetti di oggi. In molti casi, specialmente per i palazzi, i giardini erano circondati da una galleria.
La progettazione edilizia tradizionale in Marocco e nel resto del Nord Africa, può essere fatta risalire all’Islam. I costumi e le leggi islamiche hanno originariamente contribuito alla pianificazione delle case e dei quartieri in Marocco, ponendo enfasi sulla distinzione fra spazi privati e spazi pubblici.
Le case marocchine erano concentrate verso l’interno, il che permetteva la privacy della famiglia e la protezione dalle intemperie. Questa focalizzazione verso l’interno era espressa con un giardino o un cortile interno posto al centro, e la mancanza di grandi finestre sulle pareti esterne di terra battuta o di mattoni di fango. Questo principio di progettazione trovava anche un sostegno nei costumi sociali della società islamica, che dava grande valore alla privacy e incoraggiava una separazione tra spazi familiari privati (dove le donne vivevano e lavoravano) e spazi semi-pubblici dove gli ospiti esterni venivano ricevuti.
L’apertura nel tetto lascia entrare luce e aria, e in un clima secco e caldo, l’apertura è importante perché modifica il clima interno e contribuisce alla ventilazione naturale. Serve anche come protezione dal sole e dal vento, perché i muri sono abbastanza alti, i raggi del sole non raggiungono il cortile fino al pomeriggio e allora l’aria calda sale, e si crea una convenzione che ventila le stanze.
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Pianta di una casa araba tradizionale. 1. Il cortile 2. Le stanze che circondano il cortile
Grand salon Hanae: Le case fuori possono anche non sembrare le più belle, ma appena apri la porta trovi interni riccamente decorati, stanze molto ben curate e ornate. Atika: Forse la stanza più importante è il salotto, in particolare quello in stile marocchino che diventa il cuore di ogni celebrazione. In Italia non si trovano, e bisogna farli arrivare direttamente dal Marocco. Noora: Spesso le case però hanno due salotti, quello occidentale, simile a quelli che abbiamo in Italia, e uno tradizionale marocchino, che sono tendenzialmente molto grandi. Hanno una struttura in legno bassa con un grande materasso, tutto rivestito con un tessuto particolare che viene arredato con dei grandi cuscini ed è fatto apposta per riposare. Atika: Questi divani vengono fatti su misura per ogni casa, e le famiglie più ricche possono cambiare spesso i tessuti con stampe sempre alla moda.
Il salotto è consacrato come stanza centrale della vita quotidiana marocchina. Svolge il duplice ruolo di luogo in cui riunire la famiglia e soprattutto di luogo di festa e di preparazione del rituale (es. al Ramadan o alle cerimonie che scandiscono il ciclo di vita dell’individuo: battesimi, matrimoni, funerali). Proprio questa stanza apre più che in altre occasioni la “piccola famiglia” all’esterno. Il salone assume dunque i confini di uno spazio consacrato al rapporto con l’Altro in una progressione che distingue inizialmente il Sé familiare dall’Altro
familiare (la famiglia estesa), dallo straniero (che si concretizza nell’uso generico del termine “invitati”), fino ad arrivare alla sfera della relazione con il divino (ricordata dalla presenza di immagini del Corano). I colori di una casa in stile Marocchino sono quelli della terra della sabbia a cui fanno contrasto le mattonelle tipiche del Marocco. I mobili devono essere rigorosamente in legno scuro mentre poltrone e pouf, immancabili, sono arricchiti da tessuti preziosi.
Feste
Condivisione e convivialità
Festa del sacrificio
“In quei giorni si sentono i versi di animali provenire dai cortili di molte case.” “Dall’uccisione del montone si mangia carne per una settimana intera: è un momento di grande convivialità.”
La festa del montone prevede il sacrificio di un animale che può essere un bovino, un caprino, un ovino o un camelide (più famiglie possono partecipare insieme all’acquisto di un animale più grande).
In Marocco le ricorrenze religiose (che seguono il calendario lunare) e familiari sono un’importante momento di convivialità e concordia con il prossimo: le persone si riuniscono per festeggiare, mangiare insieme e condividere ricordi.
La festa del sacrificio (īd al-aḍḥā), in Marocco nota come festa del montone, è la festa che i musulmani celebrano ogni anno nel mese lunare di Dhu l-Hijja, durante la quale si pratica un sacrificio rituale che ricorda il sacrificio sostitutivo effettuato con un montone da Abramo, sul punto di sacrificare il figlio Isacco a Dio prima di venire fermato dall’angelo. È quindi per eccellenza la festa della fede e della totale e indiscussa sottomissione a Dio. Nei giorni della festa del montone una norma islamica
vieta qualsiasi tipo di ascesi e di digiuno, essendo considerati questi i “giorni della letizia”. Secondo tradizione le persone acquistano un animale vivo da uccidere il giorno della festa. La sua carne viene successivamente divisa preferibilmente in tre parti uguali, una delle quali va consumata subito tra i familiari, la seconda va conservata e consumata in seguito e la terza viene destinata ai poveri della comunità, che non hanno i mezzi economici per acquistarla.
Ramadan
Nel calendario islamico, il Ramadan è il nono mese dell’anno, di 29 o 30 giorni (in base all’osservazione della luna crescente), nel quale, secondo la tradizione islamica, Maometto ricevette la rivelazione del Corano “come guida per gli uomini di retta direzione e salvezza”. Secondo la pratica islamica, è il mese in cui si pratica il digiuno. Durante questa ricorrenza annuale, considerata uno dei Cinque Pilastri dell’Islam, dall’alba al tramonto i musulmani si asten-
gono dal consumo di cibi e bevande e dalla pratica di attività sessuali. Dal digiuno sono esentati i minorenni, gli anziani, i malati, le donne che allattano o in gravidanza. Le donne durante il ciclo mestruale e chi è in viaggio sono solo temporaneamente esentati. Il Ramadan è ovunque un momento di condivisione e di unione. È usanza invitare i propri vicini e amici a condividere tutti insieme il pasto serale e a recitare preghiere.
Durante il Ramadan i fedeli musulmani sono invitati alla recita di preghiere, ad azioni di beneficenza e alla pratica dell’autodisciplina.
Durante il mese di digiuno sono previsti due pasti principali, uno poco prima dell’alba, il suhur, l’altro subito dopo il tramonto, chiamato iftar. Il suhur è un pasto leggerissimo, a volte consiste in un semplice sorso d’acqua, ma la scelta è libera: dipende da quanto si è mangiato durante la notte. L’iftar si celebra invece al calare del sole: si comincia mangiando un dattero in ricordo del modo in cui il profeta Maometto spezzò il digiuno. Solitamente si alternano tre portate, la prima composta da un numero dispari di datteri seguiti dall’acqua, da bere a piccoli sorsi per poi recitare la preghiera del Maghrib. Terminato questo rituale si può mangiare serenamente: solitamente si comincia con una zuppa a base di lenticchie, pollo, avena e patate chiamata harira. L’ultima portata è in genere la più abbondante e varia a seconda di quanta fame ha il fedele.
sinistra: ogni sera si interrompe il digiuno iniziando con un dattero. La tradizione vuole che se ne mangi sempre un numero dispari. destra: Harira, zuppa tradizionale che si consuma durante il Ramadan.
Nora: Il Ramadan è un’occasione importante per stare insieme, anche se rispetto ad altre ricorrenze, come la festa del Montone, si parla di un gruppo di persone più ristretto, i familiari o amici stretti, con cui si trascorre già la maggior parte del tempo. C’è un clima familiare, più caloroso. Hanae: Durante l’īd al-fiṭr, a fine Ramadan, invece, ci si riunisce tra i parenti di tutta la famiglia: si va in moschea a pregare tutti insieme, poi si torna a casa e si condivide il pasto. È anche tradizione fare regali ai bambini.
Īd al-fiṭr, ovvero la festa della rottura, segna la fine del Ramadan e l’inizio del nuovo mese lunare, Shawwal. È un giorno gioioso e di ringraziamento nei confronti di Allah per aver sostenuto i fedeli nello sforzo per osservare il digiuno e per obbedire ai suoi
comandamenti. Le strade prima silenziose si animano e in molti organizzano banchetti tra amici e familiari, si scambiano doni e preparano dolci tradizionali che poi vengono condivisi.
Matrimonio
Atika: I matrimoni sono feste molto importanti, organizzati molto in grande: capita che durino anche diversi giorni, ed è normale che la sposa si cambi d’abito anche sette volte. Nora: Sì! La celebrazione è molto sopra le righe, ci si riunisce in cerchio e si canta e si balla tutti insieme. Ci sono spesso tantissimi invitati: il matrimonio di mio zio è durato più giorni e ogni giorno venivano gruppi di ospiti diversi: erano troppi per essere invitati tutti nello stesso momento. Può succedere che i vicini sentano la festa dalle loro case e si uniscano, o addirittura si imbuchino: a me è capitato un sacco di volte di imbucarmi a un matrimonio!
Il matrimonio in Marocco consiste in una cerimonia che viene celebrata secondo riti e costumi ancestrali, nel rispetto delle tradizioni marocchine. Essendo il Marocco un Paese di tradizione musulmana, la celebrazione del matrimonio rispetta anche i precetti dell’Islam. Si mangia e si balla per tutta la durata della festa, organizzata in pompa magna: la sposa cambia diversi abiti a seconda delle varie tradizioni regionali e viene portata su una sorta di trono chiamato hammerya, caricato a spalla e fatto girare tra gli invitati. Il banchetto è in genere costituito dagli animali ricevuti in dono, cucinati allo spiedo o in forma di tajin alle prugne; ci possono essere inoltre pollo alle olive e limone condito, oltre agli immancabili dolci e al tè alla menta.
sinistra: alla fine della festa gli sposi vengono caricati su portantine decorate con ornamenti preziosi e trasportati dai familiari fino alla loro vettura.
sopra: i festeggiamenti a una festa di matrimonoio. sotto: il Caftano verde e oro è uno degli abiti da sposa che si indossa in particolare durante la cerimonia dell’henné.
La cultura culinaria Atika: Il cibo è un importante veicolo di ospitalità nel mondo marocchino: in generale chi visita la casa deve mangiare qualcosa prima di andarsene. La cucina marocchina vede grande presenza di carboidrati, conditi con olio e burro: i piatti sono molto unti, calorici e saporiti. Inoltre è ricca di piatti dolci: si usano frutta secca, come le mandorle, e miele. Nei piatti salati elemento importantissimo è la carne, anche se costosa: viene cucinata con tante spezie. Nora: Vero! I tipi di carni più consumate sono principalmente manzo, agnello, montone e pecora. La carne è per esempio alla base del cous cous ma non solo. Questo viene servito ad esempio di venerdì, giorno di preghiera per l’Islam e importante momento di ritrovo con famiglia e con amici. Di solito il cous cous è salato, ma ne viene fatta anche una versione dolce con cannella e zucchero a velo. Altra importante occasione di incontro familiare è il Ramadan, nello specifico quando viene spezzato il digiuno: si inizia con i datteri e poi viene servita l’harira, zuppa a base di carne e verdura e poi dolci. Anche la tajine è un piatto importante della cultura marocchina: viene servita in un piatto in mezzo alla tavola così che tutti possano mangiare da questi. Così viene favorita la convivialità!
Tavola tipica marocchina: al centro viene messo il piatto principale (in questo caso il cous cous) e vicino tanti contorni, verdure varie, olive e zuppe.
La cucina marocchina è ricca di contaminazioni date dall’interazione del Paese con altri popoli nel corso dei secoli. Ha influenze berbere, mediterranee, arabe e moresche.
Hanae: Esattamente. Il tavolo è colmo di portate: il piatto principale viene messo al centro e i vari contorni, compreso il pane. Tutti i cibi vengono accompagnati dal té o in generale da bevande gassate. La cucina marocchina è ricca di pietanze dolci: il te è molto zuccherato e vengono serviti pasticcini e biscotti con frutta secca o con miele. La tavola per gli ospiti è sempre abbondante. In generale anche chi non ha molto trova il modo di abbondare per gli ospiti. Questo perché l’ospitalità è molto importante nei paesi arabi per motivi religiosi, quindi bisogna presentare il cibo e il servizio migliore!
Nora: Assolutamente. Si inizia a preparare ore prima perché la preparazione di molti piatti è laboriosa e perché è importante fare porzioni sostanziose. Tra l’altro se chi ospita non fa tanti cibi e in grandi quantità viene visto in maniera negativa: si ritiene che si sia impegnato poco o che la presenza dell’ospite non sia gradita. Ad esempio le persone più tradizionaliste cucinano tutto in casa perché ciò denota più impegno e cura. Il cibo dice molto, si comunica attraverso il cibo e tramite la cura con cui è servito. Gira tutto intorno al cibo, è il cibo a unire le persone: non ci si incontra nemmeno se non si mangia insieme.
“Il cibo dice molto, si comunica attraverso il cibo e tramite la cura con cui è servito. Gira tutto intorno al cibo, è il cibo a unire le persone: non ci si incontra nemmeno se non si mangia insieme.”
sinistra: un piatto di tajine, piatto di origine berbera cotto nel caratteristico piatto con lo stesso nome. sopra: piatto di cous cous.
I piatti e le bevande La cucina marocchina è molto saporita e si basa principalmente su carne e verdura, arricchite da spezie. Vi è un piatto principale che spesso è il cous cous, accompagnato da vari contorni come delle verdure e dal pane. Il cous cous è fatto da carne e da tante verdure, come zucca, olive e insalatine fresche composte da lattuga, pomodoro, cipolla e cetriolo. Il burro utilizzato per questo piatto viene stagionato per anni. Come antipasti vi sono lo zaalouk, insalata cotta che è a base di melanzane, condite con spezie (cumino, pepe, coriandolo) e la pastilla, sformato a base di carne (piccione o pollo), condita con mandorle e cannella, Altro piatto importante è la tajine che è fatta in umido e può essere di sole verdure, oppure di carne o di pesce. Il suo nome deriva dal caratteristico piatto in cui viene cotto che è fatto di terracotta ed è composto da due parti: una parte inferiore piatta e circolare e una parte superiore conica che viene messa sopra il piatto durante la cottura. Anche l’harira è un piatto importante della cucina marocchina: viene mangiata in occasione del Ramadan e dei matrimoni ed è una zuppa a base di carne, di pomodori e di verdure. Altre pietanze tipiche sono: le lenticchie alla marocchina che vengono accompagnate da pomodori e da peperoni e vengono molto speziate, l’insalata marocchina, ricca di pomodori, cetrioli, olive e peperoni, la loubia, zuppa di fagioli bianchi piccanti e il qotban, spiedini di agnello o di manzo. Il pane accompagna le pietanze dolci e salate e può essere di diversi tipi: il batbout, il
msemmen, l’harcha, tutti a base di semola, lievito e farina e il baghrir, cialda che viene immersa nel miele. Importanti sono anche i dolci che di solito sono pasticcini o biscotti arricchiti da frutta secca o miele. Un dolce marocchino è il kaab el ghzal (“corna di gazzella”), biscotti a forma di mezzaluna ripieni di mandorle aromatizzati all’arancia. Altri sono la shebakia, dolce fritto con miele e sesamo, i ghoriba, biscotti alla semola e il sellou, piatto a base di farina di mandorle e semi di sesamo, cucinato in occasione di festeggiamenti.
Piatto di zaalouk, insalata cotta cremosa, le cui melanzane sono cotte sul fuoco per ottenere un gusto affumicato.
La cerimonia del tè Nora: Bevanda per eccellenza è il tè che è di solito alla menta ed è molto zuccherato. Appena arriva l’ospite, viene portato accompagnato da pasticcini e biscotti con mandorle e con miele, ma anche da pietanze salate. Hanae: Il tè viene bevuto più volte al giorno e viene fatto secondo procedimenti specifici. Nella teiera viene fatta bollire l’acqua e vengono aggiunte le foglie di tè, poi viene aggiunta ancora acqua calda a cui si aggiungono le foglie di menta, più di rado queste vengono messe direttamente nel bicchiere. L’infusione dipende dalle preferenze familiari: per ottenere un sapore più forte si lasciano le erbe più ad infusione. Lo zucchero di solito viene messo direttamente nella teiera per ottenere un sapore più omogeneo che si amalgami con la menta. Il tè viene poi servito dall’alto in dei bicchieri colorati. Atika: È molto buono! Vengono di solito aggiunte ad esso anche erbette fresche, salvia, rosmarino, chiodi di garofano. Il tè è servito caldo e nonostante in estate in Marocco vi siano alte temperature risulta molto rinfrescante ed energizzante. In generale viene bevuto molte volte al giorno. Quando vi sono ospiti, vengono anche serviti anche caffè e latte, oltre al tè con i dolci. Il tè comunque viene bevuto da tutti in Marocco, compresi i nomadi del deserto che nonostante abbiano legami solo nella loro comunità sono molto accoglienti. Solitamente bevono e servono tè allo zafferano, più corposo di quello alla menta.
Il tè è la bevanda prediletta del Marocco, viene bevuta molte volte al giorno.
Nora: Il tè e lo zucchero sono due elementi molto importanti per la cultura marocchina. Ad esempio per fare le condoglianze alle persone è abitudine portare un tozzo di zucchero per preparare il té. In questo modo si favorisce un momento di riunione familiare. Offrire il tè è segno di benvenuto, di condivisione, di cordialità e di tradizione.
Fasi della cerimonia Il té marocchino è solitamente alla menta, ma d’inverno in assenza di essa viene usata la mente essiccata o un’erba particolare chiamata chiba o assenzio maggiore che dà un sapore più amaro e concentrato. La cerimonia del tè è molto articolata e affascinante. Per la preparazione si bolle l’acqua che viene messa da parte. Poi si aggiungono le foglie di tè e vi si versa una piccola quantità di acqua: il tutto viene mescolato e versato in un bicchiere. In questo modo si ha l’essenza del tè. Viene ripetuta la medesima azione, ma questa volta il bicchiere in cui viene versata la miscela contiene il risciacquo del tè che verrà poi gettato via.
Il té viene servito nella teiera e viene messo in un bicchiere dove si forma una particolare schiuma.
Si rimette l’essenza del tè nella teiera e si aggiunge dell’acqua, poi si ripone la teiera sul fuoco. Una volta che l’acqua è bollita, la teiera viene tolta dal fuoco e in essa vengono aggiunti la menta e lo zucchero. Il tè viene versato in un bicchiere e poi rimesso nella teiera: quest’azione viene ripetuta due o tre volte per amalgamare bene gli ingredienti. Si versa una piccola quantità di tè in un bicchiere solo per poterlo assaggiare e poi viene lasciato a riposo per circa cinque minuti. Infine viene servito in dei bicchieri di vetro tenendo la teiera in alto, a circa quaranta centimetri perché si crei uno strato di schiuma sulla superficie del té. I bicchieri sono decorati e sono in vetro perché questo materiale disperde il calore velocemente e dunque permette di bere l’infuso a una temperatura piacevole.
la tipica merenda marocchina composta da tè, pane e pietanze salate.
Estetica
Cura del corpo e abbigliamento
Atika: Dico la verità, quando si accoglie un ospite che viene da un altro luogo, non importa da dove venga. Anche se è italiano, inglese, cinese o giapponese e non parla la lingua, viene accolto come sono accolte le persone che parlano la stessa lingua. Ricordo che noi a casa abbiamo il bagno turco, e quando arriva una persona a casa, una volta che finisce di mangiare gli viene proposto di fare un bagno lì. Nora: È vero, anche chi non ne possiede uno in casa di solito porta l’ospite o va con gli amici ai bagni turchi pubblici e resta lì anche per più di due ore: i trattamenti si fanno spesso in compagnia, sono un modo per incontrarsi e rilassarsi insieme. Ci sono vari trattamenti, ma penso che il passaggio fondamentale sia lo scrub con guanto abrasivo: è un’esfoliazione benefica, importantissima per la pulizia della pelle e non esiste che non venga fatta! Atika: Si usano anche tante erbe profumatissime, fiori e sali profumati, che vengono sparsi nell’acqua. Una volta usciti ci si sente pieni di energia positiva, ed è come essere una persona nuova! per questo quando si finisce si danno vestiti puliti all’ospite e viene fatto un disegno utilizzando l’henna sulla pelle come segno di accoglienza: diventa un simbolo di pace, dimostra che non c‘è odio verso di loro ma anzi che tu vuoi bene a quella persona. Nora: Non solo! durante altre occasioni gioiose la stessa erba viene utilizzata per disegnare motivi floreali sulla pelle delle donne. Prima di un matrimonio, è consuetudine applicare alla sposa e a tutte le invitate l’hennè su mani e piedi: queste decorazioni sono il simbolo della festa, servono a mettere in mostra il fatto che si è preso parte alla cerimonia.
Marrakech, una donna marocchina all’ingresso di un bagno pubblico. Si tratta di un hammam tradizionale caratterizzato da due ingressi distinti per uomini e donne, come suggerisce la scritta illustrata sopra la soglia.
Hanae: A proposito di mettersi in mostra, il vestiario non è certo da meno! Sopratutto durante le feste, tutto deve essere fatto per bene quando si indossano vestiti tradizionali e sono fondamentali eleganza e pulizia, sia per gli uomini che per le donne. Ora non è insolito vedere tentativi di fusione tra stile tradizionale e moderno: anche mia zia per ogni nuova festa fa ricamare un abito nuovo, secondo la sua visione personale di vestito elegante.
Hammam
Il bagno turco è una tradizione marocchina molto antica che si ispira alle terme romane. L’hammam, infatti, nasce come luogo d’incontro, dove un tempo gli uomini intrecciavano relazioni favorevoli e concludevano interessanti affari, mentre le donne ampliavano la rete di amicizie e si confidavano. Per alcuni ha anche valenza religiosa, tant’è che molti hammam si trovano poco lontani dalle moschee e hanno lo scopo di purificare una persona prima
della preghiera. Si tratta di luoghi molto apprezzati, anche per i benefici fisici che apportano. Le temperature elevate e l’umidità dentro l’hammam facilitano la sudorazione e l’espulsione delle tossine, oltre a favorire l’idratazione delle vie respiratorie e la luminosità della pelle. Il calore inoltre scioglie le tensioni muscolari, provoca la vasodilatazione che aiuta la circolazione e contribuisce allo sviluppo di endorfine che favoriscono il benessere psicofisico.
Un hammam situato sotto alla moschea Hassan II a Casablanca, Marocco. Per ora non può essere utilizzato e rimane aperto solo per i visitatori.
Il rito originale si svolge in vari passaggi. Il primo è il savonage, durante il quale si viene ricoperti con uno speciale sapone nero esfoliante, ottenuto mescolando olio di olive nere, acqua e sali minerali. Presenta una consistenza pastosa e burrosa che aiuta a eliminare le impurità della pelle donandole luminosità senza ungerla o irritarla. Trascorsa circa mezz’ora dall’applicazione del sapone, immersi nel calore dell’hammam, ci si risciacqua e si passa alla fase due: il massaggio esfoliante con il guanto di kessa. Si tratta di una pratica benefica per la pelle, ma che non è molto vicina al concetto europeo di “massaggio”:
Sapone nero esfoliante in forma di pasta cremosa
l’esfoliazione infatti viene eseguita molto vigorosamente con l’obiettivo di eliminare le impurità e tutta la pelle morta. Dopo lo scrub, il personale del centro aiuta nel risciacquo con acqua calda, con l’obiettivo di eliminare tutta la pelle morta. Si procede poi con l’applicazione del ghassoul o rhassoul, un’argilla dalla consistenza fangosa che addolcisce l’epidermide e mantiene l’equilibrio dei pori. Terminato l’ennesimo risciacquo con secchiate di acqua, si passa finalmente alla fase più rilassante, un massaggio con puro olio di argan, utile per combattere la disidratazione della pelle e donarle elasticità e morbidezza.
Argilla secca da cui viene ricavato il ghassoul
Macina marocchina usata per estrarre l’olio di argan
Moschea di Hassan II, Casablanca, Marocco. In questa stanza riservata agli uomini, i fedeli possono praticare il rituale di pulizia e purificazione prima di recarsi a pregare.
Henna L’henné o henna è una pianta dell’area mediterranea le cui foglie vengono macinate per formare una polvere fine, mescolata in seguito con dell’acqua per creare una pasta densa dalla consistenza simile al fango. La pasta viene tradizionalmente applicata a mano sulla pelle con l’aiuto di un pennello, un bastoncino o una cannuccia di plastica molto fine. Una volta indurita, la pasta si rompe e si stacca dalla pelle lasciando un intricato motivo colorato che può lasciare il segno per diverse settimane.
destra e sotto: alcuni esempi di henna dai motivi floreali, applicati su mani e piedi tramite un apposito beccuccio sottile.
Foglie di henna ridotte in polvere.
Henna applicato su piedi, mani e unghie. Un esempio di design geometrico con al centro l’occhio, elemento simbolo di protezione, racchiuso in una forma a diamante.
In Marocco, l’hennè viene più comunemente applicato per decorare mani e piedi, ma può anche essere usato per colorare i capelli, le unghie e la barba. Riconducibile alle antiche comunità nomadi berbere, l’henna veniva utilizzato per celebrare quasi ogni evento gioioso: tuttora molti marocchini percepiscono i tatuaggi henna come un simbolo di buon auspicio e credono che siano utili ad allontanare la cattiva sorte e il malocchio, specialmente se il disegno include l’hamsa o mano di Fatima, un’occhio oppure forme di diamante. Altre decorazioni tipicamente usate sono forme e linee geometriche, motivi intrecciati, a ricciolo o floreali.
Mehndi I tatuaggi con henna sono una tradizione fondamentale nei matrimoni: solitamente la sera prima della cerimonia nuziale viene organizzata una festa, chiamata mehndi, durante la quale la sposa, le parenti e le sue amiche si riuniscono per chiacchierare della vita coniugale. In questa occasione viene applicato l’henna su mani e piedi della sposa per segnare il passaggio dalla giovinezza all’età adulta. Secondo questo rituale, più scura sarà la tonalità dell’henna, dunque più a lungo il disegno permarrà sulla pelle, maggiore sarà l’amore tra i due futuri sposi. Anche le donne delle famiglie degli sposi si fanno tingere, ma i disegni sono generalmente meno elaborati.
Le mani della sposa, al centro, insieme a quelle delle invitate, decorate durante la cerimonia. Il giallo e l’arancio sono tradizionalmente i colori indossati dalle invitate in questa occasione.
Abiti I capi di vestiario marocchini affondano le loro radici nella tradizione e vengono realizzati con diversi tipi di tessuto, cuciti in modo diverso a seconda delle necessità metereologiche e le zone di provenienza (come la regione del Sous, il deserto, la catena montuosa dell’Atlante, Fez ecc.). Gli abiti più importanti per le donne sono djellaba e caftano, mentre per gli uomini djellaba e djabadour. Gli abiti tradizionali in Marocco hanno molta importanza, principalmente per esigenze culturali: nessuno può pensare di prender parte a una celebrazione senza indossare un capo tradizionale.
sinistra: Fez, Marocco. uomo seduto con djellaba e copricapo tarboush. destra: Due donne in djellaba con kab e velo camminano per la medina di Chefchaouen.
La djellaba è una lunga tunica, dalla vestibilità larga, indossato sia dagli uomini che dalle donne. La versione femminile presenta solitamente più tonalità, mentre per gli uomini prevalgono colori semplici e più naturali. Possono avere il kab, un cappuccio la cui funzione un tempo era quella di proteggere dal vento e dalla polvere, ma che ora viene usato principalmente a scopo ornamentale. Soprattutto per le donne, la djellaba viene utilizzata spesso come capo per uscire perché conforme agli insegnamenti dell’Islam, in più è comodo e può essere indossato assieme al velo. Gli uomini invece lo indossano spesso nelle occasioni speciali, assieme al tradizionale copricapo rosso chiamato tarboush e le scarpe belgha. La cucitura più utilizzata per decorare le djellaba è denominata sfifa: si tratta di un tipo di motivo tradizionale che dona particolarità alle cuciture.
sopra: tipiche scarpe belgha in pelle con vari decori e ricami. sotto: dettaglio di alcune djellaba esposte al mercato, decorate lungo i bordi con cucitura sfifa.
Caftano Il caftano è un altro capo importante nella moda marocchina: si tratta di abiti molto simili alle djellaba, ma senza cappuccio e con decorazioni molto più elaborate e preziose. Il caftano è molto lussuoso ed elaborato, tradizionalmente viene fabbricato usando tessuti preziosi, per questo viene usato durante le occasioni speciali e generalmente non lo si indossa per uscire quotidianamente. I caftani sono un capo
essenziale per la sposa nel giorno del matrimonio: sono in assoluto gli abiti più belli e ricercati e non vengono indossati per stare fuori casa. Possono essere indossati sotto alla tikshita, un’altra veste decorata con bottoni tradizionali fatti a mano, presenti nella parte anteriore e sulle maniche. Insieme a caftano e tikshita, viene indossata in vita anche una cintura.
sinistra: caftani variopinti esposti in un bazar di Asilah. destra: tikshita in velluto verde indossato da una sposa, impreziosito da cintura e gioielli elaborati.
Ospitalità In Marocco
Atika: Il Marocco è un paese che accoglie e ospita tante persone. L’ospitalità è fondamentale, si divide quello che si ha e lo si offre: non importa se hai fatto da mangiare solo per te; se arriva qualcuno, gli offri quello che hai! Anche i visitatori che non appartengono al nucleo familiare vengono accolti come ospiti stretti.
“Il Marocco è un paese che accoglie e ospita tante persone. L’ospitalità è fondamentale, si divide quello che si ha e lo si offre.”
Hanae: Seppur faccia parte della tradizione onorare l’ospite, l’apparenza è molto importante anche nell’ospitalità: la classe ricca è tenuta a mostrare la propria ricchezza, a ostentare il proprio status, e c’è un ampio divario rispetto a quella povera. Nora: Io non ho mai notato una differenza nella concezione dell’ospitalità tra le classi sociali. L’ospitalità viene probabilmente vissuta allo stesso modo da tutti: ovvero mangiare tutti insieme e condividere gli spazi! Atika: Non importa nemmeno la lingua che parli: vengono accolti tutti alla stessa maniera, con un clima di festa. Cercano di farti sentire accolto, ben voluto, come se fossi una persona che conoscono da tanti anni. Anche nei luoghi più periferici del Paese. Hanae: È vero. Inoltre, la religione unisce molto le persone di culture diverse. Io ho dei vicini di casa berberi e, anche se non capisco il loro dialetto, durante le festività c’è molta condivisione tra le nostre famiglie. In Marocco il vicino di casa è considerato famiglia.
Tre donne cucinano assieme nel villaggio di Ourika. Una di loro indossa il niqab, velo islamico che lasca scoperta solo la zona degli occhi. L’hijab, invece, ricopre il collo e la testa delle altre due protagoniste.
I Berberi I Berberi o, nella loro stessa lingua, Imazighen (al singolare Amazigh), che significherebbe in origine “uomini liberi”, sono le popolazioni autoctone di quei territori nord-africani corrispondenti agli stati di
Marocco, Algeria, Tunisia, Libia e Mauritania. Il nome berbero è un calco del vocabolo francese “berbère”, derivante dalla parola araba “barbar”, ovvero “uomini che parlano ad alta voce”.
Ourika è un villaggio berbero situato nel sud del Marocco, a 30 chilometri da Marrakesh.
Anche nelle aree rurali e più povere del Marocco il trattamento riservato agli ospiti resta sacro.
“Non importa nemmeno la lingua che parli: vengono accolti tutti alla stessa maniera, con un clima di festa.”
“In Marocco il vicino di casa è considerato famiglia.”
Una famiglia accoglie visitatori provenienti da altri Paesi nel salotto riservato agli ospiti, decorato con le tipiche ceramiche.
Spesso viene allestito un piccolo salotto esterno anche sui tetti delle abitazioni, che normalmente sono piatti.
Ospitalità
Ieri e oggi
“Era normale ospitare per giorni interi un parente che arrivasse a casa tua senza preavviso.”
Hanae: Prima della Rivoluzione araba (o Primavera araba) il Marocco era molto aperto agli estranei, era un porto dove andavano e venivano persone e culture diverse. In passato, la moschea non era solo luogo di culto, ma anche il posto dove si ospitavano le carovane in viaggio. Nora: Infatti, stando ai racconti dei miei parenti, l’ospitalità era molto più sentita una volta, negli anni ‘70 e ’80. Era normale ospitare per giorni interi un parente che arrivasse a casa tua senza preavviso. Ora, invece, c’è più individualismo: ti invito a cena solo se tu inviti me. Le festività non si celebrano più, come la festa del Montone - quasi l’equivalente del Natale: una volta si stava insieme e ci si scambiava i regali, ora le persone non desiderano più stare in famiglia. La volontà di stare insieme per un’occasione e le tradizioni sono due cose distinte. Atika: Secondo me l’ospitalità non è cambiata; sono cambiati invece alcuni aspetti della cultura e della società. Anche se fuori dalle città grandi c’è ancora arretratezza, e in periferia si guadagna poco, per un ospite la tavola è sempre imbandita.
La Primavera araba in Marocco
Un berbero versa il tè dall’alto perchè vi si introduca l’aria. Oltre a creare piacevoli bolle nel bicchiere, l’ossigeno rende digeribile l’acqua molto calda.
Le proteste in Marocco del 2011-2012 si inseriscono nel contesto della Primavera araba, una serie di agitazioni che interessò diversi Paesi arabi tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011. La protesta marocchina esprimeva l’insofferenza crescente nei confronti del potere monarchico del re Mohammed VI, salito al trono nel 1999, e il desiderio di
riforme costituzionali che bloccassero la prassi per cui il sovrano si assegna il potere decisionale in diverse questioni, mentre il governo e il parlamento sono privi di poteri reali. La protesta, ad ogni modo, fu più contenuta, grazie anche al consenso più o meno diffuso di cui gode la monarchia.
“Secondo me l’ospitalità non è cambiata; sono cambiati invece alcuni aspetti della cultura e della società.”
Scorci di vita quotidiana nel villaggio berbero di Ourika.
Spazio culturale dall’11° secolo, la piazza Jemaa el-Fna di Marrakesh è un patrimonio dell’UNESCO che ospita spettacoli musicali, religiosi e artistici.
I volti delle persone autoctone sembrano parte inscindibile del paesaggio e come il paesaggio si trasformano. Il Marocco è una commistione di etnie, culture e tratti somatici diversi, non esiste un’unica identità rigidamente definita.
Ospitalità
Atika: Quando siamo arrivati in Italia, noi ci siamo trovati bene con i nostri vicini. La mia vicina ha insegnato l’italiano a mia madre, e mia madre ha insegnato a lei il francese.
In Italia
Hanae: I miei genitori sono arrivati in Italia nel 1997 dopo essersi sposati. Nell’Italia dell’epoca, il diverso faceva molta paura, il velo e il burkini attiravano sempre occhiate strane. Era difficile senza sapere la lingua, ma mia madre si è data da fare: ha fatto dei corsi, ha studiato, ed è diventata mediatrice culturale. I miei genitori si sono integrati subito, e così non ho vissuto l’esperienza avuta da altri miei coetanei, che pur essendo solo bambini, sono diventati il tramite tra due culture diverse.
“Il diverso faceva molta paura, il velo e il burkini attiravano sempre occhiate strane.”
Atika: Certo, stabilire legami con le persone originarie di un Paese in cui arrivi è un po’ difficile, ma lo è anche entrare nella stessa comunità marocchina trapiantata lì: tra immigrati c’è poca accoglienza. Hanae: A proposito del rapporto con le persone italiane: avendo portato il velo per alcuni anni, ho avvertito alcuni pregiudizi. Il velo è un messaggio forte che dice chiaramente “sono musulmana”. Però ho incontrato anche persone che mi hanno accolta, che mi facevano domande perché erano curiose e volevano capire, e mi sono sentita ospitata. Ho trovato degli amici. Quando le persone fanno domande, si abbattono i muri.
Una bagnina di origine araba indossa il burkini, il costume da bagno per le donne islamiche, mentre svolge il proprio lavoro.
Il burkini
Il velo
Il burkini è il costume da bagno islamico femminile, che ricopre il capo e gran parte del corpo, ed è stato creato dall’australiana di origine libanese Aheda Zanetti, che ebbe l’idea nel 2004. Il nome nasce dalla fusione tra le parole burqa e bikini. Notare che il burqa è il velo integrale (anche gli occhi ne sono coperti) e quindi il burkini non ne assume realmente le caratteristiche.
Il velo islamico comprende diverse tipologie, che variano a seconda della cultura di provenienza. Nel Corano non c’è l’obbligo vero e proprio di velarsi il capo, ma la raccomandazione di coprire le parti belle del corpo, che si estende anche al sesso maschile in un’ottica generale di decoro pubblico. Difatti, Il velo si è diffuso in tutta l’area mediterranea almeno fin dal quarto secolo avanti Cristo ed era un elemento distintivo delle donne di classi elevate.
“Quando le persone fanno domande, si abbattono i muri.”
In Italia, circa un terzo delle persone immigrate è di religione musulmana.
Una manifestazione in Italia contro la xenofobia e il razzismo.
“La mia vicina ha insegnato l’italiano a mia madre, e mia madre ha insegnato a lei il francese.”
Scuola del Design A rescue Ship for the Mediterranean Semiotica del progetto, a.a. 2021/2022, Prof. Salvatore Zingale, PhD candidate Daniela D’Avanzo