13 - Chi sono i Rohingya

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Ciò che dirò all’Altro Mappe dell’alterità

Martino Biancardi, Lara Macrini, Alessandro Raimondo, Silvia Sghirinzetti, Lucrezia Valentini



Suleiman, guardiano Rohingya per la clinica medica MSF

I Rohingya sono come le altre etnie in Myanmar: vogliamo solo vivere qui. Vogliamo solo la nostra libertà, avere i nostri mezzi di sussistenza e dormire la notte senza preoccuparci.


Sembra incredibile essere riuscito a trovare finalmente un attimo di respiro. Non ricordo nemmeno bene come ci sono arrivato fin qui, solo una lunghissima tratta e un viaggio confuso che sembrava interminabile.


Nulla di nuovo per quelli come me, sembra già un traguardo essere riuscito a rimanere in Rakhine così a lungo e a sopravvivere ai campi profughi. Qui la gente sembra quasi come me, sembrano tutti fuggire da qualcosa, ma a differenza dei campi profughi sembra esserci meno incertezza; c’è qualcosa di rassicurante riguardo questa barca. E poi le persone qui con me sono strane, non ho mai visto così tanta gente diversa tutta insieme, e alcuni di loro non saprei proprio capire da dove vengono. In Myanmar c’erano persone diverse, noi Rohingya, i Karenni, i Bamar, gli Shan, ma in qualche modo vedevi che ci assomigliavamo, mentre qui sembra proprio che le pesone siano diverse, come se venissero da tutto il mondo.


Nonostante tutto questo però non riesco a fare a meno di pensare a cosa stia succedendo a casa. In Rakhine quando sono partito stava andando tutto sempre peggio. Per loro noi non siamo cittadini, possiamo contare solo su noi stessi perché lo stato non ci dà niente. Ho visto cose indescrivibili, azioni che non sembra nemmeno degli uomini possano fare e che ancora oggi mi tormentano, il tutto mentre casa mia era avvolta dalle fiamme e i Nasaka, la polizia di frontiera, ci scacciavano. Da qualche anno ormai sapevamo che stava succedendo, e temevamo il momento in cui sarebbe accaduto a noi, osservando i bagliori in lontananza dai villaggi dei nostri fratelli.




All’improvviso ci siamo ritrovati senza nulla, e non avevamo un posto dove andare. L’unica cosa che potevamo fare per sfuggire a morte certa era seguire i nostri fratelli in Bangladesh. Abbiamo raggiunto Cox’s Bazar, dove si trova ormai la maggior parte dei Rohingya e dove si può contare su un po’ di aiuto, ma le persone sono davvero tante e le condizioni difficili. E soprattutto, non è casa nostra. Siamo stati obbligati ad andarcene da un paese che non ci considera cittadini, ma rimane la nostra terra.


Su questa nave come ho già detto ci sono un sacco di persone. Anche a Cox’s Bazar ce n’erano a migliaia, ma essendo per maggioranza Rohingya era difficile vedere delle differenze sostanziali. Qui parecchi uomini sono a capo scoperto. In patria è normale vedere persone con la taqiyah, ma qui oltre a berretti non vedo molti uomini che si coprono. E la maggior parte porta dei pantaloni stretti o dei jeans. Gli unici che ho incontrato che indossano il lonngi come me sono persone che vengono dal Myanmar.




Anche le donne sono diverse, alcune più di altre. Vedo donne musulmane, che portano un hijab o un niquab esattamente come le donne rohingya, ma molte di quelle che sono qui non hanno alcun tipo di velo. Sapevo che le donne buddiste del Myanmar girano con la testa scoperta, ma è strano vederlo dal vivo, e soprattutto con abiti quasi maschili, in certi casi anche con i pantaloni.


Tuttavia, nonostante tutti i vestiti delle donne che vedo su questa nave, continuo a preferire quelli della mia terra. Certamente alcuni sono molto particolari e bizzarri, ma raramente vedo stoffe colorate e eleganti e motivi variopinti come quelli del nostro paese.



Oltre ai vestiti tradizionali, un’altra pratica molto comune tra le donne Rohingya è il trucco e la decorazione della pelle con diverse polveri e paste. In Myanmar, il trucco era così importante che le ragazze non venivano ammesse a scuola a meno che non lo avessero sul viso.

Il thanaka ad esempio è un tipo di protezione solare che risale a secoli fa, ed è molto comune vederlo sui volti delle donne. Viene prodotto dalla corteccia di un albero che si trova nelle parti aride centrali del Myanmar, macinata in una pasta gialla con una pietra piatta chiamata kyauk pyin. Capita che vengano usate anche altri tipi di paste o polveri come quella di legno di sandalo. L’uso di questi cosmetici portava in parte un senso di normalità e di familiarità nella vita delle donne nei campi in Bangladesh.




“” Hasina, giovane Rohingya al campo di Teknaf

Quando applico il senahar, mi sento felice con me stessa. Non sento tristezza nel mio cuore.


Traditional henna

Shahida Win (tradotta da Mayyu Ali) Henna handwork at Rohingya wedding So boastful tradition and heritage Outstanding and quite graceful Artwork that shines up Fiancée whose heart xbeats restlessly To apply henna before the wedding The bridegroom who awaits to see On velvet and smooth palms Redly and redly circular patches Henna art like the heart At the full-moon night Singing traditional song for fiancée Bridesmaids do disco dance The moment of fun and joy During the predawn Grinding leaves of the henna Artworks of henna in forms and framings Apply and decorate the fiancée Full happiness of traditional gathering Tradition of Rohingya fiancée and history of henna Ever incomparable tradition we maintain!


Le donne Rohingya decorano anche la pelle con pasta di hennè (mohdi) come espressione colorata di fede, identità e celebrazione. Il colorante naturale dal colore vermiglio brillante, ricavato dalle foglie spezzate della pianta dell’henné macinate con acqua e succo di limone, adorna le mani delle donne e delle ragazze Rohingya nei loro giorni più speciali, in particolare i matrimoni e le feste islamiche semestrali. La pasta viene applicata su mani e piedi creando disegni anche molto intricati, viene lavata via in poche ore, dopo che il colore si è indurito e dura dalle tre alle quattro settimane. Nei campi profughi le piante di henné erano scarse, ma veniva acquistato in tubetti al mercato per mantenere questa tradizione e regalare gioia alle bambine.


Nella tradizione islamica, si dice che il profeta Maometto abbia usato l’henné per una varietà di scopi, incluso come rimedio naturale e tintura per capelli. La maggior parte di noi uomini Rohingya brizzolati segue fedelmente questo esempio, tingendo la barba e i capelli di un arancione brillante con il modhi. Ci capita spesso di usare le foglie e le radici in medicina per curare disturbi come il mal di testa e il diabete.



La religione è una parte importantissima della nostra vita, noi Rohingya seguiamo l’islam sunnita, una minoranza religiosa rispetto al resto della popolazione del Myanmar che è buddista. Anche in situazioni di incertezza come questa l’aiuto e la fiducia in Allāh ci aiutano ad affrontare la vita nei campi profughi. Ricordo che quando ancora vivevo nel mio paese forze armate e altri abitanti di villaggi vicini vandalizzavano e distruggevano le nostre moschee continuamente.



Spesso ci ritrovavamo a dover spostare e pulire immondizia lasciata davanti ai nostri luoghi di culto, molte volte questi “attacchi” erano proprio guidati da quei monaci buddhisti che ci vedono come un pericolo per la loro comunità. Collaborando con le forze dell’ordine hanno bruciato e distrutto villaggi senza nessuna conseguenza, solo per cacciarci dalla nostra terra. Mio padre ne sarebbe inorridito, era un háfes, i più grandi conoscitori del Corano e vedere un luogo di culto così deturpato l’avrebbe devastato.


“” Hafsar, anziano arakanese di Sittwe

Circa il 50% di quelli che si fanno chiamare Rohingya musulmani hanno la stessa scuola di pensiero dei talebani. Loro studiano nelle madrasse (Scuole religiose islamiche). La loro ideologia è la stessa dei talebani. Le autorità lo sanno e ne discutono con noi. Azad, residente a Sittwe

Si vociferava che armi e munizioni sono state trovate in parecchie moschee dopo le violenze di Giugno. Secondo me è quasi sicuramente vero, ho sentito la polizia e le autorità parlarne, ma il governo non ne ha detto nulla a riguardo, non so il motivo.


Quasi ogni giorno qui sulla nave vi è una qualche celebrazione religiosa che dura anche più giorni. Nel nostro piccolo l’atmosfera è abbastanza allegra nonostante la situazione in cui ci troviamo. Quando ero ancora rifugiato nel campo profughi mi ricordo di quando abbiamo festeggiato i quattro giorni del Eid al-Adha, il giorno in cui il profeta Abramo fu disposto a sacrificare suo figlio per un bene superiore. Solitamente verrebbero sacrificati agnelli, polli e vitelli per sfamare i più poveri, ma il cibo era scarso e non ne avevamo a disposizione.


Abbiamo fatto il possibile e nonostante ciò abbiamo potuto consumare un pasto tutti assieme in seguito a un momento di preghiera. Noi uomini abbiamo anche costruito varie giostre con i pochi materiali a nostra disposizione per far divertire e distrarre i bambini durante questo periodo di festa.



Purtroppo il rito che veniva praticato più spesso a casa e nei campi profughi era però quello funerario. Non avevamo molto tempo, il morto doveva essere sepolto prima che facesse buio secondo il Corano. Davo sempre una mano a preparare e lavare la bara, i movimenti e le tecniche sono diventati familiari oramai. Prima le donne vestivano e preparavano la salma e un uomo poi doveva avvolgere un telo attorno al morto. Successivamente in sei bisognava alzare la cassa da morto per trasportarla al suo luogo di sepoltura. Tutto il campo ci seguiva, vestiti di bianco da tradizione, in una lunga processione che poteva durare anche più di un’ora in base a quanto fosse lontano il cimitero.


Ricordo ancora l’ultima festa a cui ho partecipato prima di andarmene dal mio villaggio. Era il matrimonio di mia sorella Younus, cadeva di venerdì, come la maggior parte di questi riti.

Ci stavamo preparando già da una decina di giorni e la sposa era oramai chiusa in casa con tutte le parenti per prerarasi da un paio d’ore. Il suo promesso sposo non poteva assolutamente vederla prima della cerimonia, si pensa porti cattiva sorte. In giro per le strade del villaggio i bambini correvano ridendo, con fiori intrecciati nei loro capelli e le guance truccate con i simboli tardizionali. Il sole era calato quando arrivò il grande momento: musica e rulli di tamburi annunciavano l’arrivo dello sposo e dopo l’Esha (preghiera della notte) l’Imam del villaggio venne invitato nella casa della sposa per celebrare il Nikah (matrimonio); mia sorella uscì raggiante su di una portantina, diretta alla casa del suo nuovo marito.



Sayedah e Mushtaq mi hanno detto, così come ho sempre saputo, che le abilità culinarie sono sempre state un attributo importante per le spose, ma che hanno effettivamente assunto più importanza nei campi. Gli anziani Rohingya vedono la cucina come un mezzo per le generazioni più giovani per mantenere un legame con la loro cultura.


Le origini della nostra cucina sono una sintesi di diversi ambienti e influenze culturali: il mio popolo ha vissuto per secoli lungo il confine culturale tra l’Asia meridionale e il sud-est asiatico, e la sua cucina riflette i sapori distintivi e le tecniche di cottura di entrambe le regioni.

gorur gusso Manzo al curry piccante

disco fira Crêpe di farina di riso ripiena di cocco

maitta mas salon Sgombro essiccato al curry

issamas di hassah salon Gamberi al curry con fagioli

bara mas salon Pesce barile al curry

foerr sada mas salon Pesce pomfret al curry

zafani mas salon Pesce tilapia al curry tradizionale

moris sura Insalata di peperoncini verdi schiacciati

kela gas or boli baza Gambo di banana al curry


Piatti di pesce come l’issamas di hassah salon, affrontano una minaccia reale. Noi Rohingya siamo stati a lungo la spina dorsale dell’industria della pesca dello Stato di Rakhine, rendendo il pesce, così come hilsa e gamberi, una caratteristica principale della nostra cucina. Ma tutto è cambiato nel 2017, quando le autorità del Myanmar hanno emesso un divieto assoluto alla pesca per i Rohingya in tutto lo stato.



Jamil Ahmed, insegnante Rohingya al campo di Kutapalong

Stiamo dimenticando il sapore del nostro cibo qui. A casa non usavamo molte spezie perché il nostro cibo era fresco. I Rohingya erano soliti catturare i nostri pesci, allevare polli e mucche, coltivare le nostre verdure. Il cibo del campo non è fresco e non è della nostra cultura.


“”

Ora usiamo le spezie del Bangladesh per dargli un sapore migliore. Ci sono molti bambini molto piccoli qui, molti senza genitori. Per loro questo nuovo gusto è tutto ciò che conoscono. Temo che sapranno solo i nomi del cibo Rohingya, ma mai il suo vero sapore.



Nella mia famiglia, come nelle altre, era solito mangiare in casa, uomini e bambini mangiano prima e le donne e le ragazze più grandi mangiavano dopo che gli uomini hanno finito.



Guardandomi attorno vedo molte donne in dolce attesa, per i Rohingya ci sono molte restrizioni per le donne incinte, soprattuto nel periodo dell’allattamento.

Durante la gestazione è pensiero comune di molti Rohingya che le donne non possano mangiare carne di manzo o bere acqua fredda (solo acqua calda o tè). Anche Younus quando rimase incinta seguì questa tradizione.

Nei 40 giorni dopo il parto le donne devono mangiare solo riso, peperoncino e per chi può permetterselo anche pesce essiccato, si crede che questi alimenti facciano bene alla madre per accellerare il recupero di forze ed energie. Verdure e fagioli son vietati in questo periodo.

È usanza allattare i bambini al seno fino al compimento del secondo anno di vita.


“” Sulieman, anziano Rohingya di Sittwe

Non esiste un libro di cucina Rohingya. Come può esserci se non possiamo leggere o scrivere la nostra storia?


Ho sentito parlare di una donna, una certa Sharifah Shakira, che ha fondato la Rohingya Women’s Development Network per aiutare le donne Rohingya a costruirsi un’identità oltre il matrimonio attraverso programmi di alfabetizzazione e formazione professionale. So che qualche anno fa ha pubblicato un libro, il RWDN Cookbook, che potrebbe essere il primo libro di cucina Rohingya in assoluto. So che però è disponibile solo in inglese, che molti Rohingya non parlano.


Per ognuno di noi fuggito dall’oppressione in Rakhine e rifugiato in giro per il mondo è molto difficile integrarsi con i locali e farsi accettare dalla comunità, se non si conosce la lingua locale. Soprattutto in Bangladesh, dove moltissimi necessitano di aiuti e cure, siamo diventati un peso per la loro economia e per questo si sentono costretti a reinpatriarici in Myanmar.


Ci assicurano che saremo protetti, ma nessuno di noi ha intenzione di tornare a quell’inferno. Per questo è importante istruire il nostro popolo, affinché sempre più persone imparino a comunicare e a prendere parte nelle comunità locali. Soprattutto in Bangladesh, dove è la lingua è considerata molto importante per unificare la nazione. Se conosciamo la loro lingua possiamo diventare parte di loro.


Confido che la possibilità di ricevere una buona istruzione cambierà la vita di molti Rohingya. Fino ad ora siamo stati costretti a studiare di nascosto, ma grazie ad alcuni giovani coraggiosi e agli aiuti delle varie associazioni umanitarie le cose stanno cambiando.




Per chi di noi è appena arrivato e non riesce a imparare in fretta è possibile comunque farsi capire dai locali e dagli interpreti che parlano il Chittagong. Arriviamo in Bangladesh come un popolo frammentato, proveniente da regioni diverse e parliamo una lingua che ne mescola molte altre, ma grazie a questo dialetto possiamo provare a comunicare.


La scrittura è un altro problema. Un tempo ne possedevamo una simile a quella araba, ma è andata perduta dopo il periodo della colonizzazione britannica. Per questo motivo tra i Rohingya sono stati usati a lungo l’Inglese, l’Urdu e il Birmano per scrivere.


Quando ero piccolo invece era molto comune utilizzare il sistema Hanifi, che prende elementi dalla scrittura araba, birmana e latina. Ancora adesso lo usano in molti, ma penso che tra i giovani sia più usato il Rohingyalish, perchè adotta unicamente le lettere latine e può essere utilizzato sulle tastiere di computer e cellulari. È un’invenzione recente, ma per fortuna molto semplice da imparare.


“” A. K. Rahim, sociolinguista per Translators without Borders

Noi stessi non ci sediamo a un tavolo e decidiamo che questa sia la parola standard, tutti questi termini sono descrittivi, nel senso che provengono dalla comunità, piuttosto che prescrittivi dove deciso. Cerchiamo di allontanarci il più possibile da questo.



Il Rohingyalish ha 28 lettere, compresi i suoni ç e ñ. Il suono sh è molto presente, ma essendo indicato dalla sola lettera “c” non c’è il rischio di perdere il filo durante la lettura. Ci sono anche due modi diversi di pronunciare l’h, rappresentati da “x” e “h”, come nelle parole xáñc (anatra) e húci (felicità).


Il vocabolario Rohingya non è definito come nelle altre lingue. Essendoci affidati per molto tempo alla tradizione orale, la nostra lingua è in continua evoluzione. Cambia insieme al popolo assorbendo da ogni luogo e cultura con cui entra in contatto.


Buiggattu mone sa, gan gai balla Anche una persona muta desidera cantare bene


Per questo motivo in Rohingya abbiamo molte espressioni particolari. I nostri proverbi fanno parte della nostra cultura, sono come piccole pepite di saggezza che tutti noi conosciamo e da cui ci sentiamo uniti.

Alcuni artisti si ispirano ad essi per dipingere, come Enayet Khan. Ricordo la sua tela rappresentante un proverbio che dice “anche una persona muta desidera cantare bene”. Significa che non importano le difficoltà, ognuno ha le proprie aspirazioni.


C’è una tradizione orale tra i Rohingya che si esprime attraverso poesie e canzoni. Le poesie/ canzoni in stile tarana esprimono emozioni (spesso legate alla disperazione, alla malinconia e alla paura). Possono essere recitati o cantati, talvolta con l’uso di strumenti musicali come tabla (piccoli tamburi) e juri (strumento tradizionale simile a una chitarra). I canti costituiscono un mezzo per mantenere viva la storia e preservare la nostra identità collettiva.


Il mandolino, è lo strumento musicale a corde più popolare nella nostra comunità. Il mandolino è usato per accompagnare le canzoni dei generi tarana, baittalyi, hori, qawali e koras. Qualsiasi programma comunitario, come un matrimonio o un picnic, sarebbe incompleto senza una serenata al mandolino.


Mi hanno parlato di Muhammed Tahe, un musicista Rohingya che con l’arrivo della pandemia ha scritto una canzone per sensibilizzare il nostro popolo all’igiene e alla pulizia.


“” Muhammed Tahe, musicista Rohingya di Tasnimarkhola

Ho fatto questa canzone perché la consapevolezza è la migliore arma in questa lotta per rimanere in salute. La maggior parte dei Rohingya non può seguire gli annunci fatti attraverso altoparlanti nei campi, così ho cercato di trasmettere alcune informazioni cruciali sulla pandemia in una canzone tradizionale nella nostra lingua.


mike Megafono in argilla

fathelar gora Vaso d’acqua in argilla

sarak aeronee Supporto per lampada al cherosene

goru Stauetta di una mucca

horia Pentola con bocca larga

loda Pentola d’acqua con beccuccio

Altre forme artistiche presenti nella mia comunità sono le lavorazioni delle ceramiche e la tessitura di cesti. Forme, tecnologie e tradizioni sociali, la ceramica rohingya è legata alle tradizioni ceramiche di tutto il subcontinente indiano. Gli uomini e le donne Rohingya lavorano insieme per creare vasi d’argilla, usando il tornio e gli strumenti per modellare.

La metà superiore della brocca è fatta dagli uomini e la parte inferiore è fatta dalle donne. Le donne sono necessarie per collegare il collo del vaso al fondo. Gli uomini non possono farlo. Gli uomini non possono fare la parte inferiore e le donne non possono fare la parte superiore - è sempre stato così.


I ragazzi e le ragazze Rohingya iniziano a imparare la tessitura di cesti in giovane età, iniziando con un semplice strumento multiuso a forma di girandola chiamato forfori, per poi passare ai cesti di base utilizzati nella vita rohingya. Dalle trappole per la pesca alla conservazione del grano, al trasporto di prodotti o di sporcizia, utilizziamo i cesti in ogni aspetto della vita. La produzione di cesti ha un ritmo stagionale, con i contadini che spesso passano giorni durante le stagioni dei monsoni a trasformare scorte di bambù in strumenti utili e esteticamente belli. Abbiamo almeno 17 diversi modelli di tessitura. Ora nei campi, abili artigiani hanno iniziato a innovare il loro mestiere, utilizzando queste antiche tecniche di tessitura per creare giocattoli moderni e oggetti decorativi - come un fantasioso serraglio di animali, biciclette e risciò.

aari Cestello di misurazione riso

sammua Cestino portapacchi

kearor bomm Trappola per granchi

tala Cappello da contadino

mura Sgabello

sallun bol Palla


La maggior parte degli oggetti e degli utensili costruiti tramite metodi tradizionali vengono utilizzati non solo nelle case di ognuno ma anche per la coltivazione, l’allevamento e la pesca, attività molto importanti nello Stato Rakhine. Nell’ultima in particolare, che include la pesca marina, la pesca d’acqua dolce e l’acquacoltura, le creazioni tradizionali svolgono un ruolo fondamentale, comprese le barche in legno.

Nonostante ne esistano di moltitipi, tutte le imbarcazioni riflettono la semplicità e le pratiche tradizionali degli utensili costruiti manualmente.




La maggior parte delle attività come la pesca che svolgevamo in Myanmar hanno però perso la magia che avevano nel simboleggiare l’unione della comunità, trasformandosi in semplici risorse e capacità da sfruttare per sopravvivere quando siamo scappati in Bangladesh. Lì infatti non avevamo il diritto di lavorare e contribuivamo alla pesca in cambio di pochi soldi e parte del pescato.


Oltre a ripensare alle attività principali, ho cercato di mantenere vivide nei miei ricordi e continuare anche dopo la fuga tutte le altre nostre tradizioni, dagli sport ai giochi.


Quello a cui sono più legato è il chinlone, lo sport nazionale del Myanmar, giocavo spesso a questo gioco quando ero ancora nel mio villaggio. Si gioca con una palla fatta a mano intrecciando il rattan e il campo è molto simile a quello da pallavolo, ma invece di usare le mani, si gioca con i piedi, le ginocchia e la testa. Si sfidano tre giocatori per ogni squadra giocando tre round da 15 punti ciascuno. Ricordo che intorno a Natale, a casa, ogni villaggio organizzava tornei di chinlone, presenziati dai capi villaggio e da altri dignitari. Anche se riuscivamo a giocare nei campi Rohingya in Bangladesh in modo improvvisato, l’emozione, l’eccitazione e la competitività non erano mai le stesse di un vero gioco di chinlone.



Un altro sport molto amato dai Rohingya è il boli khela, una specie di wrestling. In Myanmar eravamo soliti tenere un evento annuale di questo sport, nei mesi da dicembre a marzo. Venivano allestite bancarelle temporanee per una o due settimane e invitati visitatori dai paesi vicini. Per lo più partecipavano uomini Rohingya. I giochi di solito iniziavano nel pomeriggio, ma le persone iniziavano a riversarsi dalla mattina per godersi la fiera. C’erano tre livelli nel torneo: per giocatori professionisti, per lottatori di medio livello e per i principianti. Ciascuno di questi gruppi aveva circa da dieci a quindici giocatori in competizione, e ogni giocatore era accolto nell’arena con tamburi e tabla (o tamburi a mano) che suonavano in sottofondo. Questi tornei e queste feste stanno diventando però un ricordo del passato, purtroppo non era possibile organizzare tali giochi nei campi profughi.


Seppur la maggior parte dei giochi all’aperto venissero giocati da uomini, ce n’erano diversi al coperto popolari tra le donne, come il paach guti. Questo gioco richiede almeno due persone per giocare e cinque piccole pietre o biglie rotonde. Ricordo molte versioni del gioco, una ad esempio consisteva nel posizionare quattro pietre a terra, lanciare la quinta in alto, raccogliere rapidamente le prime quattro e prendere la quinta prima che tocchi il pavimento. In un ambiente in cui le ragazze non avevano la libertà di praticare sport all’aria aperta, giochi come il paach guti offrivano loro un modo per godersi il tempo libero. I giochi all’aperto erano poi ancora più rari per le ragazze nei campi profughi in Bangladesh.


Pervin Akter, giovane Rohingya al campo di Teknaf

Vogliamo maggiori opportunità per le ragazze di praticare sport in modo che possano sviluppare i propri talenti e condurre una vita migliore.

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La mia speranza più grande è di poter concludere il mio viaggio lasciandomi alle spalle tutte le atrocità e la violenza che noi Rohingya abbiamo dovuto subire, continuando a coltivare e a far scoprire a tutti coloro che incontrerò le tradizioni e la storia del nostro popolo.


Suleiman, guardiano Rohingya per la clinica medica MSF

Vorrei che le persone potessero guardarci e vederci per quello che siamo. Voglio solo che le persone sappiano chi sono i Rohingya.


Bibliografia e sitografia

Ringraziamo Simone R. P., per le sue testimonianze e fotografie del viaggio in Myanmar. • Rohingya Cultural Memory Centre. https://rohingyaculturalmemorycentre.iom.int/ • Rohingya language foundation. https://rohingyalanguage.jimdofree.com/about-1/ • David Palazon for Rohingya Cultural Memory Centre. https://davidpalazon.com/rohingya-cultural-memory-centre/ • The New Humanitarian. https://www.thenewhumanitarian.org/fr • APPNA for Rohingya camps. https://appna.org/appna-rohingya-relief/ • OXFAM International. Breaking barriers for Rohingya refugee women. https://www.oxfam.org/en/breaking-barriers-rohingya-refugee-women • Vv.Aa. (2018). Culture, Context and Mental Health of Rohingya Refugees: A review for staff in mental health and psychosocial support programmes for Rohingya refugees. Geneva, Switzerland. United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR). https://www.unhcr.org/protection/health/5bbc6f014/culture-context-mental-health-rohingya-refugees.html • Vv.Aa. (2021). ‘Not just a refugee’: A peek into the Rohingya traditions. Amnesty. https://www.amnesty. org/en/wp-content/uploads/2021/07/ASA1342442021ENGLISH.pdf • Michael, S. (2021). On Genocide in Myanmar and the Loss of Rohingya Foodways. LITERARY HUB. https:// lithub.com/on-the-myanmar-genocide-and-the-loss-of-rohingya-foodways/ • Renaud, P. (2017). Rohingya refugees in Bangladesh. https://www.renaudphilippe.com/series/rohingya • Vv.Aa. (2017). A wedding provides an occasion for hope in a Rohingya refugee camp. The World. https:// theworld.org/stories/2017-12-28/henna-happiness-and-hope-wedding-rohingya-refugee-camp • Kilcoyne, C. (2018). Rohingya refugees fish in troubled waters. The Guardian. https://www.theguardian.com/ artanddesign/2018/jun/15/rohingya-refugees-fish-in-troubled-waters-photo-essay • Yap, C. (2021). Rohingya Cultural Memory Centre in Bangladesh helps to preserve the crafts and identity of the refugees. De51gn. https://de51gn.com/rohingya-cultural-memory-centre-in-bangladesh-helps-to-preserve-the-crafts-and-identity-of-the-refugees/ • Vv.Aa. (2017). Ball game brings rare joy to Rohingya refugee boys. Arab News. https://www.arabnews.com/ node/1186176/offbeat • Sagolj, D., Djurica, M. (2017). In Rohingya refugee camp, a wedding is celebrated. Reuters. https://www.reuters.com/article/us-myanmar-rohingya-wedding-idUSKBN1EM1AK • Kilcoyne, C. (2018). Wearing tradition, thanaka in a Rohingya camp. Reuters. https://widerimage.reuters. com/story/wearing-tradition-thanaka-in-a-rohingya-camp • Htoo, S. E. (n.d.). Small Scale Fishermen in Rakhine State. Journal of Burmese Scholarship. https://journalofburmesescholarship.org/issues/v1n1/4b-SawEhHtoo-en.pdf • Vv.Aa. (2019). Being Rohingya in Myanmar: “We hold our frustration inside because we cannot speak out”. Medecins Sans Frontieres. https://www.msf.org/story-rohingya-central-rakhine-myanmar • Brady, H. (2018). One Way Rohingya Refugees Hold Onto Their Identity: Traditional Makeup. National Geographic. https://www.nationalgeographic.com/culture/article/rohingya-refugees-girls-bangladesh-thanaka-paste-makeup • Vv.Aa. (2020). Rohingya girls are keeping up traditional make-up after fleeing Myanmar. International Rescue Committee. https://eu.rescue.org/article/rohingya-girls-are-keeping-traditional-make-after-fleeing-myanmar, https://www.theguardian.com/artanddesign/gallery/2018/jul/12/wearing-thanaka-rohingya-refugee-camp-in-pictures • Rubin, E., Bronstein, P. (2017). The unwanted: a haunting look at the rohingya who escaped ethnic cleansing. The Intercept. https://theintercept.com/2017/10/29/rohingya-crisis-myanmar-photos/ • Testaverde, M., Moroz, H., Dutta, P. (2020). Labor Mobility as a Jobs Strategy for Myanmar: Strengthening Active Labor Market Policies to Enhance the Benefits of Mobility. World Bank, Washington, DC. https://olc. worldbank.org/content/infographic-labor-mobility-and-migration-policy-myanmar • Forino, G. (2017). Religion is not the only reason Rohingyas are being forced out of Myanmar. The conversation. https://theconversation.com/religion-is-not-the-only-reason-rohingyas-are-being-forced-out-of-myanmar-83726 • Tun, S. Z. (2017). Where the Rohingya once lived. Reuters. https://www.reuters.com/news/picture/where-the-rohingya-once-lived-idUSRTS1JXG5 • Dasgupta, K. (2017). Art and the Rohingya of Kathmandu. The Kathmandu Post. https://kathmandupost. com/art-entertainment/2017/09/17/art-and-the-rohingya-of-kathmandu • Mahmud, F. (2019). In Pictures: Rohingya refugees in Bangladesh two years on. Aljazeera. https://www. aljazeera.com/gallery/2019/8/25/in-pictures-rohingya-refugees-in-bangladesh-two-years-on


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A rescue Ship for the Mediterranean Semiotica del progetto, a.a. 2021/2022 Prof. Salvatore Zingale, PhD candidate Daniela D’Avanzo


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