8 - Mahari e Aminat

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CIÒ CHE DIRÒ ALL’ALTRO / What I will tell to the Other / Ce que je dirai à l’Autre / Mappe dell’alterità Maps of alterity Cartes de l’altérité

S. Aliberti / A. Cattaneo / I. Montrasio / L. Puca / M.Tafel / M. Vimercati


Questo libro racconta il viaggio di Mahari e Aminat, due giovani che partono rispettivamente dall’Eritrea e dall’Etiopia per lasciare i loro paesi. Si incontrano ad Addis Abeba, la prima tappa del loro itinerario, e da lì proseguono insieme verso il Mediterraneo. Questo percorso sarà la loro occasione per raccontarsi aneddoti e storie riguardo alla loro vita nel corno d’Africa e le loro aspettative sul futuro, dando vita a un dialogo di reciproco scambio. Il viaggio segue una delle principali rotte di migrazione dall’Africa Orientale, parte dall’Etiopia, passa per il Sudan, la Libia e infine li porta in Italia. Una volta situatisi in Italia Mahari e Aminat resteranno in contatto, raccontandosi anche come procede la loro nuova vita. Mahari e Aminat sono personaggi che narrano le proprie storie personali, ma che in realtà incarnano la quotidianità di migliaia di persone che ogni giorno tentano di lasciare il proprio paese.



Mahari ha iniziato il suo viaggio dall’Eritrea e racconta ad Aminat come mai lo ha intrapreso. Le spiega della dittatura che non lascia libertà a nessuno e che è dovuto scappare per fuggire al servizio di leva obbligatorio a tempo indeterminato. L’eritreo deve anche raggiungere il fratello, che prima di lui si è rifugiato all’estero e grazie al quale sta facendo questo viaggio. L’Eritrea è uno dei paesi più poveri al mondo e Mahari sta tentando di costruire una vita diversa per sé e per la sua famiglia. In Eritrea migliaia di prigionieri di coscienza e politici sono ancora detenuti in condizioni spaventose, tortura e altri maltrattamenti sono comuni e non sono permessi partiti di opposizione, media indipendenti o organizzazioni.


In risposta a Mahari, Aminat, spiega che sta lasciando l’Etiopia nel pieno di un conflitto con la regione del Tigray. È preoccupata per la sua famiglia, per i suoi amici e non sa cosa troverà quando un giorno tornerà a trovarli. Ripensa al kocho comprato al mercato, alla vita che si era costruita ad Addis Abeba, ma sa anche che partire è l’unica soluzione per trovare condizioni migliori. L’Etiopia è situata nell’Africa orientale e costituisce uno degli stati più popolati dell’area. La sua capitale è Addis Abeba, importante centro che vede anche l’influenza del periodo coloniale italiano, durato dal 1936 al 1941. La città ospita uno dei mercati più grandi della regione, dove è possibile acquistare beni di vario genere, tra cui il kocho. Si tratta un impasto ottenuto dalla lavorazione e dall’essiccazione dell’Ensete, pianta simile al banano. Solitamente viene affettato e mangiato insieme a tè e caffè.


In mezzo a tutti gli edifici di Addis Abeba Mahari pensa a quelli di Asmara, capitale eritrea. Sa che sono stati costruiti nel periodo coloniale italiano, ma non sa molto altro, se non l’aulò cantato da suo nonno che la sua famiglia tramanda da anni. In questo aulò suo nonno parla di Mussolini e di quando ha dichiarato le leggi razziali e dice: “Poiché Mussolini dice tante cose assurde, voglio dire un aulò potente quanto il tuono! O palazzi asmarini! O palazzi asmarini! Speriamo che sarete occupati da noi abissini!” L’aulò è una rima recitata e cantata con lo scopo preciso di lodare, condannare, accusare e difendersi. Vengono affidati alla memoria degli ascoltatori in varie occasioni, per esempio nei matrimoni, nei funerali, e così via. Si tramandano tramite il racconto.


Aminat dice all’amico di essere andata via di casa giovanissima, aveva solamente 15 anni quando è arrivata ad Addis Abeba per lavorare come domestica. È riuscita a frequentare solamente la scuola primaria, ma le sarebbe piaciuto continuare a studiare. La maggior parte della popolazione in Etiopia vive in zone rurali e dipende fortemente da agricoltura di sussistenza, le opportunità di lavoro sono molto scarse, soprattutto per le donne. La migrazione interna è un fenomeno molto diffuso: molte ragazze decidono di spostarsi dalle zone rurali verso i centri urbani per cercare lavoro, così da aiutare economicamente le proprie famiglie. A causa di condizioni lavorative molto dure, senza un lavoro ed una adeguata istruzione, queste donne si ritrovano in una condizione sociale particolarmente svantaggiata, in cui le opportunità di crescita individuale e professionale sono molto limitate.


Mahari descrive ad Aminat dove abita. Lui è di Keren e condivide la sua casa con la numerosa famiglia. L’amica sa a cosa si sta riferendo perchè anche lei vive in un tukul. Collegata all’abitazione la famiglia possiede anche una stalla con degli asini. Mahari aiuta spesso il padre allevatore portando questi animali al mercato di Keren ogni lunedì. Keren, città di montagna, è uno dei maggiori centri agricoli dell’Eritrea, in particolare per la frutta e la verdura. Il tradizionale mercato degli animali è un ambiente tipicamente maschile e si tiene ai margini della città, nel caravanserraglio. É possibile trovarci ovini, cammelli ed asini.


È il 19 gennaio e Aminat pensa ad un momento molto importante per lei e la sua famiglia. Si tratta del Timkat, nota anche come Epifania ortodossa. Lei è particolarmente legata a questa festa perché ricorda l’anno in cui era andata con i genitori presso la città di Axum in occasione della celebrazione. Il Timkat è una festa religiosa che si trascorre insieme ai propri cari e che celebra il battesimo di Cristo sulle rive del Giordano. È la più colorata tra le feste e dura tre giorni, in cui si alternano danze e preghiere. È il momento in cui ogni chiesa porta in processione il proprio Tabot e lo conduce verso un ruscello o laghetto, dove le acque saranno benedette. Al termine della cerimonia, tutti i fedeli cercano di toccare l’acqua per ricevere la benedizione.



Mahari sente che uno degli altri viaggiatori diretto con loro in Europa si chiama Awet, come il suo fratellino. Con queste foto il giovane mostra i componenti della sua famiglia. Il padre Biniam è agricoltore e si occupa del bestiame, ma non è l’unico a lavorare in famiglia. Naomi è incinta e partorirà a breve un altro figlio. La nonna è una figura importante per Mahari, la quale vive con loro e aiuta con la gestione dei figli. Generalmente le persone eritree vivono insieme in grandi gruppi familiari. L’uomo è considerato come il capo della famiglia, mentre la donna è responsabile dell’organizzazione delle attività domestiche. Recentemente, però, entrambi i coniugi hanno iniziato a lavorare. In Eritrea c’è un alto valore attribuito al parto naturale e i parti in casa, eseguiti da ostetriche, sono la norma. Tradizionalmente, gli eritrei si prendono cura dei membri anziani della famiglia e lo considerano un dovere importante. Questo valore culturale è abbracciato dagli eritrei più giovani.


Durante il viaggio, Aminat porta con sé una foto del villaggio di Amhara, dove è nata ed ha trascorso la sua infanzia, prima di trasferirsi nella capitale. Ha dei ricordi felici di quei momenti. Aminat cerca di spiegare a Mahari il motivo del suo viaggio, del perchè, nonostante amasse l’Etiopia, ha dovuto intraprendere il percorso. Spesso le famiglie spingono le figlie a migrare così che inviino parte dei guadagni a casa. In Etiopia, le donne hanno meno possibilità di accedere all’istruzione formale e gli insuccessi e abbandoni scolastici spingono queste ragazze ad andare all’estero. Molte di queste decidono di migrare verso il Mediterraneo, avventurandosi in viaggi lunghi e pericolosi attraverso diversi stati dell’Africa, con la speranza di trovare un luogo sicuro e vivere in condizioni sociali migliori.


Iniziano a passare i giorni e Mahari ha sempre più nostalgia di casa. È domenica e ripensa a cosa avrebbe fatto insieme alla sua famiglia. Gli manca stare assieme a loro e mangiare il ga’at a colazione, il suo piatto preferito. Per pranzo, invece, la mamma solitamente prepara il kitcha e l’injera come accompagnamento allo zighinì. Il profumo dello zighinì appena sveglio è un ricordo che tiene stretto. Il ga’at è un porridge fatto di farina e acqua, servito in una ciotola con una rientranza al centro dove si mescolano burro e berberé; lo yogurt è messo sui lati e mitica il piccante. Il kitcha è un pane di grano non lievitato e cotto al forno, mentre, lo zighinì è uno spezzatino, viene servito su diverse injera. La maggior parte dei pasti viene consumata con le mani, da un unico piatto posto al centro e su un tavolo basso. La cucina eritrea è portatrice di un valore culturale elevatissimo che si esprime sia nella condivisione che attraverso il collegamento con la natura.


L’amica si lascia trasportare dai discorsi sul cibo eritreo. Queste due cucine hanno molte cose in comune. Anche la ragazza ha ben impresso il momento del pasto, in cui tutti siedono attorno allo stesso piatto per mangiare l’injera. È un momento bellissimo, di condivisione e convivialità. E poi la cerimonia del caffè, Aminat la ricorda benissimo, durante la quale discute con i presenti di temi politici, oppure di pettegolezzi di paese. L’injera è un pane spugnoso, sottile e di forma tonda, che viene preparato con acqua e farina di teff. Viene sempre servito come base per stufati speziati di carne o verdure.


È il 29 maggio e Mahari per la prima volta non potrà partecipare al Mariam Dearit Festival. Gli anni precedenti, insieme alla sua famiglia, si svegliava all’alba e si preparava indossando gli abiti tradizionali della festa. Poi camminavano fino al Santuario per prendere un posto all’ombra dell’albero sacro dove migliaia di visitatori erano soliti ritrovarsi per la celebrazione. Mahari racconta cosa avviene durante questa giornata alla sua amica. È un momento di festa durante cui si alternano preghiere, musica e danze. A cerimonia conclusa solitamente la sua famiglia si riunisce insieme agli amici per un picnic. Il Santuario di Mariam Dearit è il luogo di culto dove viene venerata la Madonna nera inserita nella cavità di un maestoso baobab e considerata da tutti la regina e protettrice del paese. Ritenuto portatore di fertilità, l’albero è considerato sacro non solo per i cristiani del posto, in maggioranza ortodossi, ma anche per tutta la comunità di fede islamica. Ogni anno il 29 maggio la statua della Madonna viene portata in processione intorno all’albero.


Sono ormai mesi che Aminat non dorme in un luogo che può chiamare casa. Casa sua ad Addis Abeba non era niente di speciale, ma aveva un tetto ed era ospitale. Suo zio, che abitava a sud e si occupava di gite turistiche, aveva una bella casa tradizionale: il tukul. Invece, passando per Addis Abeba, e poi per la sua periferia, Aminat aveva trovato dai grattacieli alle baracche. Le tukul sono tipiche di Etiopia, Eritrea e Sudan, hanno una pianta circolare e un tetto conico solitamente ricoperto di argilla e paglia di circa 35 mq. Il focolare, in questo tipo di abitazione, viene fatto al centro a piano terra.




Mahari è appena arrivato a Kufra e vede accanto a lui un bambino che sta giocando con un trenino in legno. Subito ripensa a quel pomeriggio ad Asmara quando per la prima volta aveva visto partire il treno a vapore ed insieme ai suoi amici lo aveva rincorso. La ferrovia, costruita dagli italiani dal 1887 al 1932, affronta la salita da Massawa sul mare ad Asmara sull’altopiano. Fu più volte distrutta durante i diversi eventi bellici che devastarono il paese. Per la ricostruzione, terminata nel 2003, furono chiamate le maestranze già in pensione che ricostruirono il tratto di rotaie e ripararono le vecchie locomotive. Oggi il treno viene utilizzato solo dai turisti e vederlo in funzione è un evento raro per gli eritrei.


Aminat prende dal suo zaino la piccola Bibbia regalatale dalla madre prima di partire. È un oggetto molto importante per lei perché le ricorda la sua famiglia e le sue radici religiose. La ragazza infatti è di religione ortodossa. La religione ortodossa è un ramo del cristianesimo che in Etiopia vede uno sviluppo autonomo e particolare. La chiesa etiope ortodossa ha origini antiche. A caratterizzare questa religione è il culto del Tabot, ovvero l’Arca dell’Alleanza. Si tratta di uno scrigno sacro contenente i Dieci Comandamenti affidati da Dio a Mosè. Le città religiose più importanti sono Axum e Lalibela, sede di pellegrinaggi e di chiese dalle origini antichissime.


Durante una sosta Mahari riesce a lavare i suoi vestiti. Mentre si riveste pensa a quel giorno quando insieme alla sua famiglia si sono tutti preparati per andare al matrimonio di sua cugina. Le donne indossavano lo zurià e si erano fatte delle bellissime trecce Shuruba e Albaso, gli uomini invece si erano messi il dashiki con il kuta. Erano tutti molto eleganti e Mahari ha memoria di una splendida cerimonia. Lo zurià è l’abito tradizionale eritreo femminile, generalmente bianco e fatto di cotone leggero in forma di garza. Il dashiki è quello maschile, dello stesso colore e materiale, solitamente viene indossato con il kuta che è uno scialle. Shuruba e Albaso sono trecce tipiche della cultura tigrina.


Mentre l’amico fischietta una canzone, Aminat si dispiace di non essere mai riuscita ad entrare al teatro ad Addis Abeba. Avrebbe voluto anche lei assistere a degli spettacoli di musica come quelli che la sua bisnonna era solita raccontare. Così, a sua volta, lei tramanda i racconti della sua bisnonna a Mahari. In Etiopia gli strumenti musicali tipici utilizzati dagli azmari (intrattenitori che suonano e cantano) sono il masenqo e il krar, entrambi a corde. Oltre a questi, i tamburi sono tra gli strumenti più utilizzati nel paese.


Mahari ripensa al giorno in cui con suo padre ha incontrato dei turisti ad Asmara. I turisti erano stati amichevoli e Mahari insieme ad altri bambini aveva mostrato loro tutte le cose del suo paese: la bandiera, il caffè, la città, la storia dell’indipendenza, i francobolli per la posta. Aveva anche visto delle banconote e monete di Nakfa che non vedeva da tempo. Infine, coi bambini aveva anche cantato l’inno dell’Eritrea. Le persone che vivono in Eritrea sono note per essere molto accoglienti coi turisti, amano condividere le proprie tradizione con loro e trovano la loro presenza piacevole, soprattutto perché non sono abituati a vederne molti.


Dalla jeep il paesaggio sconfinato scorre lentamente e ad Aminat tornano in mente i lunghi viaggi passati sui bus che partono da Addis Abeba per collegare le diverse città. Un giorno era andata ad Hawassa da un suo cugino, che frequentava l’università lì. Nel pomeriggio l’aveva portata a vedere lo stadio di calcio. Il calcio è lo sport preferito dai suoi cugini. Sebbene l’atletica sia lo sport più diffuso in Etiopia, il calcio è piuttosto praticato.


Mahari e Aminat sono quasi arrivati a Bengasi e vedono in lontananza il mare. L’unica volta che lui lo aveva visto era stato a Massawa quando era andato a trovare zii e cugini. Ripensa al grande caldo della città e alla notte passata all’aperto. Si ricorda molto bene gli edifici che ci sono a Massawa perchè diversi dalle altre città eritree. Massawa presenta un’impronta araba che riflette i suoi antichi legami con le civiltà che si affacciano al di là del Mar Rosso e di tutte le dominazioni che si sono succedute negli anni. Venne ripetutamente bombardata dagli etiopi durante la guerra di indipendenza. Gli edifici sono abbandonati, alcuni hanno solo le facciate, altri sono distrutti e rimangono scheletri di colonne ed archi.



Anche se si è in tanti ad affrontare il viaggio, la solitudine colpisce spesso Aminat, che ora racconta a Mahari la volta che un suo grande amico aveva deciso di portarla al nord, dove era cresciuta, e farle rivedere quei luoghi che non visitava da quando era piccina. Le montagne del Simien le sono molto care. L’Etiopia è il decimo paese dell’Africa per estensione contando più di un milione e centomila kilometri quadrati. Sono presenti altopiani, diversi laghi e persino una zona vulcanica grazie alla presenza di un rift continentale in espansione. Le montagne di Simien hanno vette che raggiungono persino i 4.500 m e offrono paesaggi unici.



Mahari confida all’amica che ha paura di non poter mai più rincontrare i suoi amici Hansu e Afworki. Spiega che li ha conosciuti a scuola. Gli piaceva andarci, svolgere gli esercizi ginnici del mattino e cantare l’inno. Se fosse rimasto in Eritrea, non avrebbe potuto frequentare l’università di Asmara e nelle migliori delle ipotesi sarebbe finito ad aiutare il padre. Nelle scuole eritree le classi di scuola primaria sono composte da 63 alunni ed era consuetudine giornaliera cantare l’inno nazionale e issare la bandiera. Fin dalla più tenera età, ci si aspetta che sia i ragazzi che le ragazze prendano parte alle attività domestiche: i ragazzi come pastori del bestiame della famiglia, le ragazze come assistenti della madre negli affari domestici. Un numero crescente di bambini sta entrando nel sistema educativo formale, anche se l’istruzione a volte è in conflitto con gli obblighi domestici.


Piove. Aminat ripensa alla storia che le raccontava sempre suo nonno durante le giornate piovose. Kenjazmach1 Sewnate, mentre Dejazmach2 Tsehayu stava governando Gojjam3, andò a fargli una richiesta. Stava piovendo, e Dejazmach Tsehayu disse: “Kenjazmach, vieni qui a ripararti dalla pioggia.” Kenjazmach Sewnate rispose, “Quello che mi sta muovendo è Tsehayu4.” Kenjazmach (o Qegnazmach) è un titolo militare che rappresenta il comandante dell’ala destra dell’esercito etopie. 2 Dejazmach è il titolo del comandante o generale del corpo militare etiope. 3 Gojjam è una provincia situata a nord-ovest dell’Etiopia. 4 Tsehayu è un nome di origine etiope che significa letteralmente “sole”. Si tratta di un gioco di parole il cui significato è spiegato come segue: il comandante Kenjazmach Sewnate dice che ciò che lo sta influenzando è il generale Tsehayu; quindi, non è la pioggia ad avere effetto su di lui, ma il sole. Ciò che spinge il comandante a ripararsi dalla pioggia non è la pioggia, ma il sole. 1


Aminat ricorda questa storia che le raccontavano sempre i suoi genitori quando andava a scuola elementare. C’era una volta uno studente pigro che non riusciva a capire la matematica. Un giorno, il maestro stava spiegando le sottrazioni alla classe. Dato che lo scolaro non riusciva a capire, il maestro gli fece un esempio. Disse: “In un recinto hai cinque pecore. Se una scappa attraverso un buco, quante te ne rimangono?” Lo studente rispose: “Maestro, rimarrei senza nessuna pecora.” Il maestro si arrabbiò. “Come puoi fare un errore del genere?” Gridò. Lo studente rispose piangendo: “Oh maestro, io conosco il comportamento delle pecore. Se una scappa, tutte le altre la seguono.” E così l’insegnante e tutta la classe scoppiarono a ridere. La letteratura orale è un’importante risorsa culturale in Etiopia. La storia popolare, il mito, la leggenda e le idee culturali sono trasmesse in racconti che possono avere molte centinaia di anni.


Il viaggio è ormai quasi terminato e pochi giorni separano Mahari dall’Italia e dal fratello Dawit. Si chiede come sarà la sua vita in un paese nuovo e come avverrà l’incontro con la popolazione del posto. Pensa al valore dell’accoglienza e all’importanza che questo aveva in Eritrea. Ricorda il profumo entrando in casa ogni volta che sua mamma invitava vicini, parenti, amici o turisti per la cerimonia del caffè. Mahari ha ben in mente l’odore d’incenso e gomma arabica, e il sapore dei pop corn caldi che accompagnavano la cerimonia. La cerimonia è simbolo di ospitalità, rispetto ed amicizia. Inizia con la tostatura dei chicchi di caffè ancora verdi in una padella (menkeshkesh). Successivamente il caffè viene macinato con un mortaio e messo tramite una stuoia di giunco (mishrafat) in un tradizionale vaso in ceramica adatto per la bollitura (jebena). Una volta raffreddato viene versato in delle tazzine di terracotta senza manico (finjal). Il caffè pronto viene servito per tre volte: il primo giro si chiama Awel, il secondo Kale’i e il terzo Bereka.


Aminat ha voglia di mangiare cibo dolciastro, è difficile reperirlo durante il viaggio. Ad Addis Abeba le sarebbe bastato visitare il mercato. Un giorno, prima di ricongiungersi con la sua famiglia, la ragazza era stata incaricata di comprare il miele per produrre il tej. Tornata alla casa dei suoi genitori aveva finalmente rivisto tutti i suoi cugini oltre che gli zii, le zie, nonni e bisnonni. Aiutando sua madre aveva così imparato anche lei a cucinarlo. Il Tej è una bevanda alcolica a base di miele e gesho, questo ultimo è un arbusto.



Anche Mahari ha un bel ricordo del mercato, nello zaino ci sono ancora rimasugli di polvere di berberé. Spesso accompagnava sua mamma che lavorava lì, e si perdeva ad osservare la moltitudine di oggetti presenti. Il Medeber, un tempo adibito a Caravanserraglio, è un mercato caratterizzato dal susseguirsi di minuscole officine strette l’una all’altra. È un luogo caotico dove tutto si ricicla e si trasforma, si possono trovare articoli di ogni genere. Vicino all’ingresso invece numerose donne scelgono da sacchi o canestri le spezie per produrre con i mulini meccanici il berberè, utilizzato il molti piatti tradizionali.


Mahari e Aminat stanno attraversando il Mediterraneo e accanto a loro un’anziana donna sta intrattenendo una bambina. Quell’immagine fa ricordare alla ragazza sua nonna e di quando insieme si dedicavano alla tessitura del cotone per realizzare lo shema. Ricorda ancora con affetto il bellissimo abito che le cucì in occasione del suo compleanno. Lo Shema è il tessuto utilizzato per gli abiti tradizionali etiopi. Si ottiene attraverso una particolare lavorazione del cotone ed è impiegato sia per quelli maschili che femminili. L’habesha kemis è l’abito tipico delle donne etiopi ed è solitamente indossato in occasione di eventi importanti. Può essere arricchito da ricami e decorazioni più o meno elaborati che prendono il nome di tibeb. Il completo viene solitamente completato dalla shuruba, acconciatura tradizionale caratterizzata da strette trecce che si riaprono sulle spalle. In passato, la complessità dell’abito e della pettinatura stavano a indicare lo status sociale della persona.



Aminat vive da diversi mesi a Roma. Ha trovato un lavoro, una casa e si è perfetAminat vive da diversi mesi ritmi. a Roma. Ha trovato un lavoro, unama casa e si è tamente ambientata ai nuovi All’inizio non è stato semplice gradualperfettamente ai nuovi è stato semplice mente è riuscitaambientata a trovare i suoi spazi.ritmi. Il suo All’inizio quartierenon è accogliente e ospitama digradualmente è riuscita a trovare i suoi spazi. Il suo quartiere è accoglienversi locali etiopi, come il negozio di oggettistica dove ha potuto ricomprare la te e ospita diversi locali etiopi, negozio di oggettistica dove ha pojebena per preparare il caffè. Tracome i suoi il posti preferiti, il circolo etiope-egiziano tuto ricomprare la jebena per il caffè. Tra i suoiascoltare posti preferiti, il occupa un posto importante. È ilpreparare luogo ideale per rilassarsi, un po’ di circolo etiope-egiziano occupa un posto importante. È il luogo ideale per musica e trascorrere del tempo con gli amici. Sempre in questo luogo, grazie a rilassarsi, ascoltare unlapo’ di musica trascorrere tempo con gli amici. un volantino, ha avuto possibilità di eiscriversi a un del corso di teatro, attraverSempre in questo luogo, grazie a un volantino, bene ha avuto la possibilità di so cui è riuscita a esprimersi pur non conoscendo la lingua. Quando ha iscriversi a un corso di teatro, attraverso cui è riuscita a esprimersi pur non nostalgia di casa, ama andare al ristorante etiope, così da poter rivivere i sapoconoscendo bene lingua. ha nostalgia casa,ma ama al riri e gli odori del suolapaese. LaQuando sua famiglia le mancadimolto sa andare che sarebbe storante etiope, così da poter rivivere i sapori e gli odori del suo paese. La fiera di lei per quello che sta costruendo. Ad oggi, Aminat non sa dire quale sia sua famiglia manca molto che sarebbe fierafatto di lei quellotra che la sua identitàleculturale. Per leima è unsaqualcosa di fluido, di per influenze la sta costruendo. Ad oggi, Aminat non sa dire quale sia la sua identità culsua cultura e quella italiana. Ogni giorno vive un continuo scambio che arricturale.lei Per lei èhaun qualcosa di fluido, fatto di influenze tra la sua cultura e chisce e chi intorno. quella italiana. Ogni giorno vive un continuo scambio che arricchisce lei e chi haospita intorno. Roma la comunità etiope a partire dagli anni ’70, con l’inizio dei primi flussi migratori Il quartiere dipartire sviluppadagli intorno alla stazione Termini via Roma ospitadal lapaese. comunità etiope a anni ’70, con l’inizio deitra primi Milazzo, Via dei Mille, Via Volturno e Via di Montebello. Importante anche ilTermini legame flussi migratori dal paese. Il quartiere sviluppa intorno alla èstazione con la comunità eritrea, stanziatasi nella stessa zona sempre a partire dagli anni tra via Milazzo, Via dei Mille, Via Volturno e Via Montebello. Importante è anche ’70. Questi due gruppi condividono una storia drammatica ma qui riescono finalil legame con la comunità eritrea, stanziatasi nella stessa zona sempre a parmente a riunirsi e a Questi condividere le loro tradizioni. tire dagli anni ’70. due gruppi condividono una storia drammatica ma qui riescono finalmente a riunirsi e a condividere le loro tradizioni.



Mahari ha finalmente raggiunto il fratello a Milano e manda ad Aminat foto della nuova città che li ospita, in particolare della zona di Porta Venezia. Ha conosciuto Viviana e Mario, due ragazzi italiani che ormai può considerare amici. Grazie a loro sta iniziando a parlare italiano e spesso passano i pomeriggi a giocare a pallone ai piedi dei giardini e ascoltare musica eritrea e hip-hop. L’unica canzone italiana che Mahari conosce è “Asmarina”. Purtroppo a Milano, al di là di qualche sporadico evento, non esiste un centro dove andare ad ascoltare l’etno-jazz africano. Da decenni la zona di Porta Venezia è il centro ideale e biografico della vastissima comunità habesha (la parola è all’origine del termine “Abissinia”, e comprende l’Eritrea e parte dell’Etiopia). Asmarina, cantata negli anni cinquanta da Pippo Maugeri, e diventata molto famosa tra gli eritrei che la cantano anche in tigrigno, è una canzone romantica per una donna di Asmara. Etiopia ed Eritrea sono due Paesi che con i loro spiritual e Minstrel shows hanno dato vita a quel processo che ci ha portato il blues, il cui arricchimento e fusione con altri ritmi ha generato il jazz. I ragazzi di origine eritrea spesso ascoltano e si identificano nella musica hip-hop perchè per molti dei ragazzi era immediato riconoscersi nei testi rap, dove si parlava di far parte di una minoranza.


Milano è molto organizzata, spesso si organizzano cene insieme. Mahari racconta che nelle pietanze hanno aggiunto solo un pizzico di peperoncino e coriandolo, perchè gli italiani non sono abituati ai sapori eritrei. Il ragazzo ha notato che eritrei e italiani condividono il senso dell’ospitalità e l’amore per il caffè. Anche la lingua presenta aspetti comuni, a causa del passato coloniale alcune parole sono le stesse, per esempio “coltello e forchetta”. Mahari apprezza molto la cucina italiana, tuttavia il fratello a volte lo accompagna nei più fedeli ristoranti eritrei per farlo sentire di nuovo a casa: l’Asmara, l’Adulis, il Massawa e il Warsà. Il locale preferito è il Love. Il Love è un piccolo club gestito da una famiglia etiope di sole donne: una madre e le sue tre figlie. È molto diffuso tra i giovani e mette insieme la musica hip hop più contemporanea alle serate con DJ emergenti e underground.


A rescue Ship for the Mediterranean Semiotica del progetto a.a. 2021/2022 Prof. Salvatore Zingale PhD candidate Daniela D’Avanzo


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