Ciò che dirò all’Altro
Mappe dell’alterità | Maps of alterity | Cartes de l’altérité
Sofia Agnolet - Silvia Altamura - Federica Arensi Matteo Flaminio - Alice Mannucci - Tommaso Schifano
*/ Chi sei?/ Sono Mamadi, figlio di Diubaté. / Da dove vieni?/ Dal mio villaggio. / E dove vai? / All’altro villaggio. / Quale altro villaggio? / Cosa importa? / Vado dovunque ci siano degli uomini./ È così la mia vita.
Il mio nome è Mamadi, sono nato in un villaggio povero del Senegal, con otto fratelli e una madre rimasta vedova in giovane età. Così, per aiutare la mia famiglia, ho sempre fatto diversi lavori: il falegname, il lava macchina, il pescatore, ma soprattutto spettacoli teatrali perchè io sono un griot. Alcuni di voi non avranno mai sentito questa parola e magari vi starete chiedendo che cosa significhi e cosa voglia dire essere un griot. Il griot è un cantastorie, un musicista, uno storico, è in poche parole, il custode della tradizione e della cultura del proprio Paese. A noi griot è affidata la conservazione e la trasmissione del sapere, un patrimonio di conoscenze tramandato nei secoli in forma cantata o declamata, spesso accompagnato da strumenti musicali tradizionali come la kora, il soruba, il balafon e il bombolong. Storicamente, i griot come me lavoravano per le famiglie reali come consiglieri, tutori e diplomatici e, non era raro che alcuni di noi si esibissero anche come musicisti di corte. Questa antica arte dell'Africa occidentale, conosciuta come Jaliyaa, diventò sempre più una testimonianza del potere della musica e delle parole. Infatti, nelle società africane, la cultura veniva tramandata oralmente e ciò permise alla parola di ricoprire un ruolo fondamentale nel processo di trasmissione del sapere e delle tradizioni locali e, proprio per questo, nel corso dei secoli, abbiamo sviluppato grandi abilità oratorie, musicali e gestuali, così da esprimere le nostre conoscenze attraverso racconti, canzoni, poesie e proverbi.
Griot di differenti generazioni
*/ Che fai nella vita? / Sono griot, capisci? / Sono griot, com’era mio padre, /Com’era il padre di mio padre, / Come lo saranno i miei figli / E i figli dei miei figli
Il mestiere del griot viene tutt’oggi tramandato di generazione in generazione. Mi ricordo come, sin da piccolo, mio padre mi faceva partecipare a tutte le sue esibizioni, così come lui faceva con mio nonno, perchè secondo lui questo era il modo migliore per imparare fin da subito i segreti di quest’arte. Non a caso, nelle lingue Mandé tipiche dell’Africa occidentale, il termine griot si traduce con il termine Jeli che significa “trasmissione attraverso il sangue”, e si riferisce proprio al modo in cui le conoscenze sono tramandate di padre in figlio e di madre in figlia. Noi griot siamo da sempre delle figure vitali all’interno della società, non ci limitiamo a preservare la cultura e le tradizioni ma il nostro compito si estende anche a quello di mediatori a cui è affidato il ruolo di mantenere l’equilibrio sociale. Il nostro ruolo ricade in diverse mansioni tra cui divulgare gli insegnamenti dei saggi, consigliare gli indecisi, appianare le liti coniugali così come partecipare e intrattenere le persone con canzoni e poesie durante i riti e le celebrazioni.
Kora strumento a corde appartenente alla famiglia delle arpe
Bafalon strumento simile ad uno xilofono
Ci sono, infatti, molte occasioni sociali che richiedono i talenti del Jeli, come ad esempio, le cerimonie kulionelle quali è richiesta la nostra presenza per annunciare il nome dei bambini appena nati. Ci esibiamo anche in occasione di matrimoni, inaugurazioni politiche, eventi e nella maggior parte delle funzioni sociali, così come nelle cerimonie funebri. Il ruolo che assumiamo, in qualità di griot, all’interno della società ci permette di essere al centro dell’interazione sociale e di rivolgerci in modo diretto a un pubblico ampio, che si estende anche tra comunità ed etnie diverse. La memoria collettiva di un popolo diventa fondamentale per tenere vivo il passato e spetta proprio a noi griot il difficile compito di tramandare le tradizioni e le conoscenze per permettere alle persone di costruire una migliore società presente e futura. Ora che sapete chi sono, vi farò conoscere qualcosa in più sul mio amato paese, il Senegal.
Soruba è uno strumento a percussioni
Bombolong strumento a percussione fatto con un tronco di albero massiccio scavato
* Che tu sia il benvenuto
In Senegal teeranga è il nostro modo di salutarci, è una parola importante che racconta il nostro modo di essere e vuol dire molte cose: accoglienza, ospitalità, cortesia, rispetto per il prossimo, gioia di condividere e di stare insieme. Nel villaggio si trascorre buona parte della giornata per la strada, solo qui si possono incontrare e conoscere davvero le persone. La strada è il più importante luogo per coltivare la socialità: i bambini giocano insieme tutto il giorno, noi adulti frequentiamo il mercato, salutiamo i nostri vicini, parliamo e lavoriamo sempre e solo in compagnia. C’è anche un vecchio detto che mia nonna mi ripeteva sempre: I tuoi vicini sono la tua famiglia, perchè qualsiasi cosa ti accada, prima ancora della tua famiglia ti verranno incontro proprio i tuoi vicini.
Gruppo di donne riunite
Famiglia ritratta in un momento di pausa
Ragazzi che giocano a un gioco da tavolo
Gruppo di donne e di uomini del vilaggio riuniti
Nella mia città ci conosciamo tutti e accogliere i nuovi arrivati è sempre una grande festa. È importante che gli ospiti si sentano sempre come a casa, per questo siamo molto attenti ad accoglierli con calore e cortesia.
* Accogli chi giunge nel tuo villaggio, onoralo a tal punto che quando andrà via avrà voglia di ritornare
Queste sono le parole di una canzone che da noi si canta spesso tutti insieme, per ricordare l’importanza della teeranga nell’accogliere chi viene a trovarci.
Ragazzi che attingo acqua per le capre da un pozzo
Ragazzi che si gustano una bicchiere di Ataya (tè verde con aggiunta di menta e zucchero) durante una pausa pomeridiana
Passeggiando per la strada capita spesso di essere accolti in casa di amici e riunirsi tutti insieme per un buon Ataya, il tè verde con aggiunta di menta e zucchero, la prima cosa che si offre a un ospite. Si tratta di un vero e proprio rituale in cui si cimentano soprattutto i ragazzi più giovani. Bisogna preparare il tè e poi versarlo varie volte in bicchierini di vetro per permettere allo zucchero di sciogliersi e per ottenere un bel po’ di schiuma. Il tè viene infuso in tre momenti e offerto prima agli anziani o agli ospiti perchè questi sono i sorsi dal gusto più intenso - poi ai più giovani e infine ai bambini. Si tramanda che queste tre infusioni corrispondono alle fasi della vita: la prima, amara, ricorda la crescita; la seconda, più delicata, ricorda il momento in cui si vive l’amore in famiglia; la terza, la più dolce, richiama la dolcezza e la saggezza tipica degli anziani. Invece, altri raccontano che le tre infusioni, dalla più amara alla più dolce, corrispondono rispettivamente alla morte, la vita e l’amore. Non c’è una versione condivisa ma l’importante è non indugiare a lungo e bere presto il tè quando è ancora bollente, anche nelle giornate più calde.
In Senegal si condivide tutto, anche il piatto durante i pasti. Si mangia con le mani o con l’aiuto di posate, seduti tutti insieme intorno a una grande porzione. La padrona di casa riduce in pezzi personalmente gli ingredienti nel piatto, poi si comincia a mangiare. Il piatto deve essere ricco e abbondante e può saziare anche dieci persone. Al suo interno non possono mancare riso o miglio con verdure e aggiunta di pesce alla griglia o carne, come nel thieboudienne, il piatto più diffuso dalle nostre parti. Il pasto più importante e sostanzioso è il pranzo, mentre la sera per cena si preferisce restare leggeri. Ma per mangiare non seguiamo orari precisi, ognuno può farlo quando preferisce, aspettando il momento in cui la fame si fa sentire o subito dopo aver fatto la spesa al mercato. Quando si cucina qualcosa si prepara sempre una porzione in più per essere pronti ad accogliere un ospite che potrebbe arrivare da un momento all’altro e a cui offriamo sempre il boccone migliore. L’ospite, che sia un amico o uno sconosciuto, è sempre ben accetto nelle nostre case e non ha bisogno di annunciarsi con anticipo, per lui o lei la porta è sempre aperta e non è strano che arrivi qualcuno all’ultimo minuto per banchettare in compagnia.
* Le persone sono la cura
Tipico momento del pranzo
Riso o miglio con verdure e aggiunta di pesce alla griglia
Anche la preparazione dei pasti è un momento di convivialità, infatti si cucina tutti insieme. Per esempio, la preparazione del cous cous richiede tanto lavoro e pazienza e impiega almeno due giorni. Verso sera le donne si incontrano per preparare la farina dal miglio raccolto precedentemente. La farina viene setacciata e lavata nel mare, poi lavorata fino a ottenere chicchi di cous cous da far fermentare per tutta la notte. La sua preparazione si conclude con l’aggiunta di verdure e pesce, per noi ingrediente fondamentale e per molti villaggi anche importante fonte di sostentamento. Al mattino si attende l’arrivo delle piroghe dei pescatori in spiaggia e da lì si inizia a ripulire il pescato e a riordinarlo per venderlo al mercato. Partecipano proprio tutti, dai bambini alle persone più anziane.
Donne che lavano il miglio tra le acque di Joal-Fadiouth
Preparazione della farina di miglio
Mercato del pesce
* Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno; insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita
Ripensando alla mia vita in Senegal, uno dei ricordi più vividi che conservo riguarda la caotica vita al porto di Joal, a sud di Dakar, e in particolare una donna, Mariama, la quale trascorreva giornate intere, anzi anni, affumicando sgombi, acciughe, sardine e altro pesce destinato ai mercati dell’Africa occidentale. Lei, come altre donne che conoscevo di quella zona, si guadagnava da vivere grigliando il pesce al ritmo delle onde e del via vai dei pescatori. Molte erano le donne che affumicavano il pesce mentre mariti, fratelli e figli si allontanavano al largo sulle piroghe a gettar le reti. Molte città, come Joal-Fadiouth, Saint Louis e Dakar che che si affacciano sull’oceano, hanno quartieri pescherecci e costieri abitati dalle famiglie di pescatori e da coloro che, come i venditori di pesce, lavorano al porto. I pescatori imparano a pescare in giovane età come il mio amico Yague che ancora adolescente imparò le tecniche del mestiere, come quanto andare al largo per trovar pesci, non usare reti a strascico o a tubo che rovinano l’habitat degli animali e come guidare la piroga colorata. Mi ricordo bene quel giorno in cui mi portò in piroga con lui a pescare. Per i pescatori come Yague si deve pescare con rispetto e collaborare per preservare la ricchezza del nostro mare per le generazioni future. Le acque del Senegal, a cui tutti noi siamo affezionati, sono sempre state ricche e oggetto d’invidia di molti altri paesi, la pesca è un grande motivo d’orgoglio per noi e anche la nostra principale fonte di sostentamento. Da qualche anno si avvistano al largo pescherecci di altri continenti che impoveriscono le nostre acque, per tale ragione alcuni pescatori che avevano trascorso molti dei loro anni sull’acqua si sono diretti verso il Mediterraneo alla ricerca di futuro migliore. Mi rattrista pensare che sempre meno piroghe colorate salperanno le onde del nostro mare.
Pescatori al porto di Joal
Il mio amico Yague a largo
Yague e altri pescarori a largo con le reti gettate
* Dio vede qualsiasi cosa, vede in tutti i cuori
Il mio amico Yague viveva a Joal, un villaggio di pescatori. Quando andavo a trovarlo, passavamo il tempo affacciati alla finestra della sua cucina guardando il panorama. Da lì c’era una vista bellissima sul Fadiouth, una piccola isola situata di fronte a Joal e collegata ad essa da un ponte di legno. Nota a molti come île aux coquillages, nessuno passa inosservato sull’isola, perchè le conchiglie accumulate sulla sua spiaggia negli anni scricchiolano a ogni passo. Le conchiglie sono l’anima dell’isola, sono l’unica materia che dà forma al villaggio, dal terreno ai mattoni delle case. Come mi raccontava spesso mio padre, Fadiouth ha sempre fatto eco solo alle onde, ai passi degli abitanti, dei curiosi viaggiatori e alle grida dei bambini che giocano rincorrendosi. Sull’isola non sono mai esistite automobili e penso che l’unico luogo dove anche il tempo avrebbe piacere di fermarsi sarebbe tra i sentieri di conchiglie di Fadiouth. Il mio caro amico Yague era originario di Fadiouth, la sua famiglia apparteneva al Kaabu del vecchio Senegambia. Suo padre faceva parte della confraternita musulmana Sufi, mentre sua madre era parte della comunità cristiana, una minoranza nella totalità del nostro paese ad esclusione proprio di Fadiouth. Si può dire che il Senegal sia fondato sulla tolleranza, oltre che sulla teranga, e non è così insolito che persone della stessa famiglia appartengano a religioni diverse, perché nonostante i diversi credo ci consideriamo tutti fratelli e sorelle, ci siamo sempre sentiti uguali senza differenze e discriminazioni. Proprio per questa ragione nella storia del Senegal non c’è mai stato alcun problema legato alla religione, i musulmani scandiscono le loro giornate pregando cinque volte al giorno e i cristiani invece fanno riecheggiare il suono delle loro campane ed entrambi hanno un grande rispetto l’uno per l’altro.
Ponte di legno di Fadiouth
Yague un giorno mi raccontò che il primo lungo viaggio che fece al di fuori dell’isola delle conchiglie fu il pellegrinaggio con suo padre verso Touba, a est di Dakar, in occasione del Gran Magal al diciottesimo giorno di Safar (il secondo mese del calendario islamico). I pellegrini, provenienti da ogni parte del paese, si riuniscono ogni anno nella città santa di Touba per celebrare la vita e gli insegnamenti di Cheikh Amadou Bamba, il fondatore dell’ordine sacro Sufi dei Mouride che ebbe proprio a Touba la sua famosa visione nel deserto che segnò l’inizio della sua missione profetica. Magal significa celebrazione e anniversario e quello di Touba è il più importante dei Magal Mouride e i suoi riti sono simili a quelli del pellegrinaggio islamico dell'Hajj alla Mecca. Durante il Gran Magal i pellegrini visitano la moschea di Touba, la nostra moschea infatti è la più grande mai costruita in tutta l'Africa a sud del Maghreb.
Pellegrini che pregano durante il Gran Magal
Pellegrini che pregano nella Grande Moschea durante il Grand Magal
Pellegrini della Confraternita Mouride pregano davanti alla moschea di Touba per il Gran Magal
Donne in fila per entrare nella Grande Moschea di Touba durante il Grand Magal
Dopo essere entrati nella moschea, si visita il mausoleo di Cheikh Amadou Bamba, che si crede sia infuso con il barakah, cioè la benedizione e la presenza spirituale di Dio. A Touba accorrono più di un milione di persone da tutto il paese e dal Gambia e siccome anche la madre di Amadou Bamba viene considerata una persona santa nel paese, il suo santuario sepolcrale a Porokhane viene visitato da migliaia di donne due volte l’anno. Secondo il racconto che mi fece un giorno Yague del suo pellegrinaggio, per arrivare alle porte della Gran Moschea con suo padre dovette attraversare una fiumana di uomini, donne e bambini che si recavano nel luogo sacro per pregare e recitare i versi del Corano. Yague, ancora piccolo, era rimasto colpito dal tripudio di colori, odori e suoni che si sentono nella folla di pellegrini accanto a carretti, cavalli e bancarelle di tortini di miglio, datteri, abiti e gioielli messi in mostra dai venditori ambulanti.
Siamo molto legati al Corano, molti dei bambini studiano alle scuole coraniche dove il testo sacro è l’unico testo di formazione e dove si studia anche la lingua francese che conosciamo dai tempi della colonizzazione straniera. I piccoli studenti e studentesse trascorrono il loro tempo apprendendo le sūre del Corano a memoria e imparando a scriverle interamente in arabo mentre gli insegnanti, spesso imam, si impegnano a leggere il testo e a interpretarlo in maniera corretta insegnando alle giovani generazioni la pace, la tolleranza e il perdono che sono i veri valori islamici. La tolleranza senegalese che permette la tranquilla convivenza tra cristiani e musulmani è ben rappresentata dal cimitero di Fadiouth che accoglie i defunti di entrambi i credo.
Yague mi raccontava che andare al cimitero della sua isola gli ha sempre dato un senso di pace, perché sa che sua madre e suo padre potranno riposare l’uno accanto all’altro. È proprio così che funziona a Fadiouth, la comunione e la vicinanza non vengono spezzati dalla morte e quando la vita di qualche abitante dell’isola giunge al termine, il defunto viene sepolto al cimitero vicino ai suoi cari all’ombra di una croce o di una mezza luna con una stella. Così si presenta il cimitero di Fadiouth, come un alternarsi di croci e mezze lune dove donne e uomini con credo diversi continuano a essere vicini come lo sono stati nella loro vita di comunità.
Donne al cimitero di Fadiouth
Cimitero di Fadiouth
Noi senegalesi pensiamo che i defunti non siano mai partiti, che siano in mezzo a noi e che ci accompagnino tutti i giorni. Sappiamo che i morti possono venire a trovarci in sogno, possiamo vederli nei fantasmi e possono ancora parlarci. Fin da bambini, infatti, ci insegnano che bisogna sempre pregare per i defunti e che dobbiamo stare molto attenti a ciò che dicono in sogno, perché spesso rivelano qualcosa che accadrà nella realtà. Il mio popolo crede da secoli che i nostri cari si trovino ovunque, dal fuoco che arde al vento che soffia perché, come dice anche una poesia senegalese, “i morti non sono morti”.
*/ Quelli che sono morti non sono mai partiti / Sono nell’ombra che si dirada / e nell’ombra che si infittisce. / I morti non sono sottoterra sono nell’albero che freme, / sono nel bosco che geme / sono nell’acqua che scorre, / sono nell’acqua che dorme. / Sono nella capanna, sono tra la folla, / I morti non sono morti
In Senegal si condivide tutto, anche il piatto durante i pasti. Si mangia con le mani o con l’aiuto di posate, seduti tutti insieme intorno a una grande porzione. La padrona di casa riduce in pezzi personalmente gli ingredienti nel piatto, poi si comincia a mangiare. Il piatto deve essere ricco e abbondante e può saziare anche dieci persone. Al suo interno non possono mancare riso o miglio con verdure e aggiunta di pesce alla griglia o carne, come nel thieboudienne, il piatto più diffuso dalle nostre parti. Il pasto più importante e sostanzioso è il pranzo, mentre la sera per cena si preferisce restare leggeri. Ma per mangiare non seguiamo orari precisi, ognuno può farlo quando preferisce, aspettando il momento in cui la fame si fa sentire o subito dopo aver fatto la spesa al mercato. Quando si cucina qualcosa si prepara sempre una porzione in più per essere pronti ad accogliere un ospite che potrebbe arrivare da un momento all’altro e a cui offriamo sempre il boccone migliore. L’ospite, che sia un amico o uno sconosciuto, è sempre ben accetto nelle nostre case e non ha bisogno di annunciarsi con anticipo, per lui o lei la porta è sempre aperta e non è strano che arrivi qualcuno all’ultimo minuto per banchettare in compagnia.
*Le persone sono la cura
Bafalon è una sorta di xilofono composto, tipico
Bafalon è una sorta di xilofono composto, tipico
Anche la preparazione dei pasti è un momento di convivialità, infatti si cucina tutti insieme. Per esempio, la preparazione del cous cous richiede tanto lavoro e pazienza e impiega almeno due giorni. Verso sera le donne si incontrano per preparare la farina dal miglio raccolto precedentemente. La farina viene setacciata e lavata nel mare, poi lavorata fino a ottenere chicchi di cous cous da far fermentare per tutta la notte. La sua preparazione si conclude con l’aggiunta di verdure e pesce, per noi ingrediente fondamentale e per molti villaggi anche importante fonte di sostentamento. Al mattino si attende l’arrivo delle piroghe dei pescatori in spiaggia e da lì si inizia a ripulire il pescato e a riordinarlo per venderlo al mercato. Partecipano proprio tutti, dai bambini alle persone più anziane.
Bafalon è una sorta di xilofono composto, tipico
Bafalon è una sorta di xilofono composto, tipico
Bafalon è una sorta di xilofono composto, tipico
Donne in abiti tipici durante la sfilata di Carnevale
Mangiafuoco durante la sfilata di Carnevale
Giocolieri durante la sfilata di Carnevale
In Senegal non facciamo distinzioni tra feste cristiane e feste musulmane, per noi le ricorrenze sono sempre una buona occasione per stare insieme e condividere momenti di allegria. Le nostre feste sono piene di musica accompagnata da danze, maschere e colori. Ad esempio lo Slimb è un protagonista molto importante perché ha il compito di proteggere le nostre case dal male e viene rappresentato da un adulto con una maschera di leone. A Carnevale molti si travestono da Slimb per rendergli omaggio e chiedere protezione. Dovreste vedere il nostro Carnevale… è bellissimo! Ogni anno rappresentiamo una parte delle nostra cultura attraverso delle storie che vengono interpretate e raccontante. Ci sono artisti mangiafuoco, uomini leone, trampolieri e, soprattutto volti coloratissimi con elaborate pitture che ogni anno sfilano nella grande parata finale. È come se tutta la nostra cultura si presentasse in un giorno e si mostrasse davanti a tutti. Tutti indossiamo i nostri abiti più caratteristici perché ci piace prendere parte alle sfilate, così tanto che anche i bambini si fanno truccare il volto e sfilano sui carri. In questo giorno si respira un’aria di allegria e leggerezza, tutti insieme danziamo a tempo di musica.
Tipica maschera dello Slimb
Momenti di danza che accompagnano i giorni di festa
Momenti di danza che accompagnano i giorni di festa
La musica e la danza sono molto presenti nella nostre giornate, fin da bambini ci abituiamo alla presenza di queste due pratiche che rappresentano un vero e proprio fattore di unione sociale. Nella cultura senegalese la musica ha assunto su di sé molti ruoli: è utilizzata dai noi griot nei campi di combattimento per incoraggiare i duellanti a non arrendersi, oppure per annunciare una nuova nascita, ma anche durante la convocazione di una riunione o un decesso. A ogni tipo di comunicazione viene associato un suono così che ogni abitante può apprendere una notizia anche solo attraverso la musica. In ognuna di queste occasioni, insieme alla musica, l’elemento che non manca mai è la danza. I nostri balli sono energici, caratterizzati da movimenti ampi degli arti in cui tutti i passi sono accentuati ed enfatizzati. È una danza rustica e spontanea che riflette perfettamente la nostra cultura.
Il carnevale non è l’unica festa importante, infatti tra le festività più sentite c’è l'Id al-fitr (la festa della Korité), l’Id-al-adhā (festa della Tabaski) e la Festa delle Lanterne. L’ Id-al-fitr (festa della Korité) segna la fine del Ramadan, per tradizione solitamente indossiamo abiti nuovi e sulla strada per la moschea mangiamo qualcosa di dolce, ad esempio i datteri, e recitiamo una piccola preghiera chiamata takbeer. Doniamo anche soldi ai poveri e, dopo le preghiere, prepariamo un banchetto pomeridiano per trascorrere del tempo in famiglia. Uno dei momenti più emozionanti per me è quando il sole tramonta, quando insieme ai bambini camminiamo per il vicinato salutandoci a vicenda mentre sfoggiamo i nostri nuovi abiti.
Passeggiata per il villaggio per sfoggiare gli abiti nuovi
Condivisione del cibo con i vicini
L’Id-al-adha (festa della Tabaski) è la festa in cui si commemora il sacrificio di Abramo. Per questa ricorrenza ogni capo famiglia deve comprare un montone maschio per ripetere il gesto del sacrificio. L’acquisto di un montone diventa il desiderio primario: le strade diventano, già da un mese prima, dei veri mercati di arieti a cielo aperto. I pastori passano le giornate e le notti a contrattare la vendita dei montoni che stanno ai bordi delle strade, posizionati nei posti più impensabili. Sono centinaia! La mattina della festa, in ogni famiglia, il padre procede al sacrificio del montone secondo il rito islamico bisbigliando «Bismillahi, Allahou Akbar» («In nome di Dio, Dio è grande»).
*In nome di Dio, Dio è grande
Mercato di arieti allestito in città in occsione della festa della Tabaski
La carne viene, poi, grigliata e condivisa fra amici, parenti e vicini indipendentemente dalla loro religione. Solitamente il gesto viene ricambiato sia dai musulmani sia dai cristiani, questi ultimi durante la Pasqua. La Tabaski è un giorno di pace in cui bisogna chiedere scusa per i torti commessi: ‘Balma akh’ è la frase che si pronuncia in wolof: scusami veramente. ‘Balnala Akh’ è la risposta: va bene, non c’è problema”.
*Scusami veramente
*Va bene, non c'è problema
Montone cucinato a seguito del sacrificio
Lanterna realizzata per la Festa delle Lanterne
Momento di spettacolo durante la festa delle Lanterne
Ma la più affascinante secondo me è la Festa delle Lanterne. In questo giorno sulle vie di Saint Louis il suono dei tamburi detta il ritmo all’avanzata di spettacolari carri multicolori, illuminati dall’interno con grandi torce. Le lanterne sono alte anche sei metri! In questo giorno di festa le donne ostentano la loro bellezza sfilando per tutta la città. Una volta raggiunta la piazza principale il corteo si scioglie e i tamburi smettono di suonare ed ecco che la musica e le danze africane esplodono in un tripudio di allegria fino all’alba. Gruppi di ballerini, alcuni travestiti da ‘slimb’ o vestiti con i paramenti degli antichi guerrieri, ballano freneticamente offrendo coreografie straordinarie.
In concomitanza si svolgono anche delle gare sportive come il Laamb. La lotta senegalese è lo sport più importante del nostro paese. Si dice che provenga dalle campagne del Senegal dove, alla fine della stagione del raccolto, gli uomini del villaggio combattevano, non solo per sfogarsi, ma anche per sfoggiare la propria forza ed essere dichiarati campione. Questi incontri vengono preceduti da cerimonie folcloristiche in cui i lottatori vengono accompagnati dal ritmo dei tamburi suonati da noi griot per sostenerli e caricarli, così come dai marabut che li benedicono e dalle donne che cantano come forma di incoraggiamento. Prima dei combattimenti si svolgono degli spettacoli veri e propri: gli atleti svolgono dei riti propiziatori come l’aspersione del corpo con il latte, la rottura delle zucche, l’esibizione degli amuleti e le danze autoctone, i quali arrivano a durare fino a sei ore… Mio nonno mi raccontava di come una volta i giovani combattevano per corteggiare le mogli, per mostrare la loro virilità e noi griot dovevamo cantare le loro lodi.
Scene di combattimento
Comunque… tornando alla Festa delle Lanterne, musica e danze accompagnano la serata e le sfilate delle donne che sfoggiano abiti bellissimi: fruscianti gonne e sottogonne in taffetà o chiffon, camicie ricamatissime, mantelli e copricapi intarsiati, per non dire delle acconciature elaborate, dei trucchi e della raffinatezza dei gioielli, d’oro e argento, ambra e corallo, che ornano ogni parte utilizzabile del corpo. Il nostro abbigliamento racconta molto del nostro paese e della nostra cultura, esprime significati molto profondi che vanno al di là della loro funzione principale, quella di coprire un corpo. Noi abbiamo molti abiti differenti ma solo uno è quello tradizionale,
si chiama Boubou. È una tunica lunga compresa di pantaloni, vengono tutti fatti a mano e ognuno può scegliere il tessuto e la fantasia che più gli piace. Solitamente è proprio durante i giorni di festa che vengono indossati i vestiti più particolari. I nostri tessuti sono ricchissimi di dettagli, le stampe riprendono fantasie floreali, a puntini, e geometriche, mentre i colori sono vivaci e brillanti (bianco, verde, rosso, giallo, blu).
Festa delle Lanterne
Bafalon è una sorta di xilofono
Festa delle Lanterne
Spiegarvi l’arte senegalese non è facile. Nel mio paese infatti le arti visive e plastiche, la musica e la danza sono parte della vita di ogni giorno. Sono atti quotidiani, non separati dal lavoro, dalla famiglia, dalla religione, dal tempo libero. Infatti, basta andare a fare un giro per le strade della mia città per trovarsi circondati dall’arte: in Senegal i murales decorano uffici, case, moschee, scuole, autobus, camion. Per noi non sono delle semplici decorazioni; molti dipingono santi musulmani per assicurare una protezione spirituale alla propria casa o al proprio negozio.
In Senegal i murales rappresentano una forma d'arte che viene incoraggiata e vengono utilizzati per veicolare messaggi importanti
E se questo non è abbastanza, basta visitare uno dei tanti mercati che affollano le nostre città per trovarsi nuovamente circondati dall’arte. Al mercato puoi trovare di tutto, dai venditori di pesce, ai macellai, dai fruttivendoli ai fioristi. Si possono anche osservare gli artigiani intagliare, cucire e realizzare i loro prodotti prima di acquistarli.
Cesti intrecciati a mano
Mercato del pesce
Ad esempio, nei bazar non è raro trovare, circondate dai tanti vestiti e tessuti esposti, le tessitrici intente nel loro lavoro. Per loro tessere è molto più di un lavoro: loro tessono, proprio come lo facevano i loro antenati Sereer, al servizio della comunità. Quello del tessitore è un mestiere che si tramanda di generazione in generazione, per preservare i segreti e la magia del telaio. Nella nostra cultura i tessitori vengono considerati esperti di magia, poiché tessere è concepito come un atto magico: Si narra che Juntel Jabali, lui stesso mezzo uomo e mezzo spirito, mentre stava raccogliendo legna da ardere per grigliare il pesce, abbia incontrato un jinni, un’entità soprannaturale, che tesseva nella foresta. Juntel osservò segretamente il jinni che tesseva e che parlava ad alta voce, pronunciando incantesimi per ogni cosa che faceva. Juntel tornò più volte a osservare i jinni che tessevano nella foresta, e imparò molto. Affascinato, decise di rubare il telaio e con il tempo imparò a impostare l'ordito e a tessere. Juntel insegnò poi agli uomini l’arte della tessitura, fino ad allora privilegio delle creature divine. Il telaio, i suoi segreti e la sua magia furono così trasmessi alla categoria sociale dei tessitori mabube dagli spiriti attraverso il loro antenato semi-divino. Ancora oggi lo spirito degli antenati opera in ognuno di questi tessitori, dirigendoli, ispirandoli, istruendoli attraverso i sogni, che a volte possono anche dare ai tessitori l'accesso al mondo mistico di formule magiche, versi e incantesimi.
Cesti tradizionali fatti con fibre essiccate intrecciate a fili di plastica colorati che ne aumentano la resistenza
Donna impegnata nell'arte del cucito
All’importante ruolo delle tessitrici si affiancano i tintori. Il tessuto ottenuto, così come il processo per ottenerlo, è chiamato thioub, che noi senegalesi amiamo indossare in occasione delle preghiere del venerdì, degli eventi religiosi e culturali ma soprattutto durante le feste di Eid Fitr e Aid Kebir. Per ottenere questo tessuto ci vuole pazienza e lavoro meticoloso. Il duro lavoro è però ripagato dal risultato finale, una stoffa dai colori vivaci e brillanti.
Tessuti tipici della cutura senegalese caratterizzati da colori brillanti e vivaci
Ma tornando al mercato c’è tanto altro da vedere... Negli ultimi anni sono aumentate molto le maschere e le statue di legno. Quando ero piccolo non ricordo ci fossero. Dicono sia a causa dei turisti, che si aspettano di trovare questi oggetti quando visitano un paese africano. E quindi oggi anche nei nostri mercati è possibile trovare sculture di ogni dimensione e di ogni tipo, tra cui quelle che raffigurano le porte del granaio Dogon, statue antropomorfe di Senufo e copricapi di animali Bamana.
Maschere in legno in vendita al mercato di Dakar
La pittura sotto vetro invece c’è sempre stata. Ha infatti origini molto antiche e proprio per questo è facile trovare questi dipinti appesi sui muri della città, nelle case, nelle bancarelle.
La tecnica è semplice, ma richiede grande abilità: partendo da un contorno tracciato prima con l'inchiostro, si applicano sul vetro strati successivi di pittura. Il lato non verniciato fa apparire il dipinto sotto lo spessore del vetro; il lato dipinto è protetto da cartone, che funge da supporto. I primi dipinti su vetro provengono, sembra, dal Mediterraneo. Hanno raccontato l'epopea dell'Islam e hanno presentato scene di battaglie, discepoli del profeta e uomini santi. L'arte si è poi evoluta per raccontare scene di famiglia o di quartiere e presentare ritratti di uomini e donne.
Pittura sotto vetro
Nei mercati di alcuni villaggi poi non mancano i vasai, come a Edioungou. Lì la ceramica è un’arte tradizionale che si tramanda di generazione in generazione, trasmessa di madre in figlia. Infatti, dietro a questa pratica che può sembrare semplice, si nascondono tanti segreti che noi senegalesi preserviamo da tempo: ad esempio mescoliamo l’argilla con crostacei ridotti in polvere per evitare la creazione di bolle d’aria; per dare un colore più vivace alla ceramica invece aggiungiamo il succo del cayor, un frutto tipico del nostro paese. Il risultato di questo processo sono quindi brocche, saliere, statuine, oggetti decorativi o altri utensili, che affollano i mercati per essere venduti ai turisti di passaggio o agli abitanti dei paesi vicini.
Vasi in argilla dipinti a mano
Vasi in argilla dipinti a mano
* Andare è meglio di non andare
Sono passati anni dal mio lungo viaggio. Amo il mio paese e mi manca ogni giorno. Purtroppo però in Senegal la vita non è mai stata facile e ho sempre sognato di raggiungere l’Europa, in particolare l’Italia dove viveva mio fratello. Quando ero in Senegal, a otto anni ho sentito pronunciare da qualcuno il nome dell’Italia; tuttavia, il primo paese europeo che ho conosciuto è stato la Grecia, ma solo attraverso dei racconti. Il papà di un mio caro amico era un pescatore e sulle barche sentiva parlare di questo posto meraviglioso. Per arrivare in Italia avevo bisogno di soldi, così mi sono trasferito in Costa d’Avorio dove grazie alle mie abilità con il francese ho trovato lavoro come venditore di abiti eleganti. Dopo due anni di duro lavoro sono riuscito a comprarmi il visto turistico per la Turchia. Lì sono stato costretto a camminare per diversi giorni di fila per riuscire a raggiungere il mare che mi separava dalla Grecia. Faceva molto freddo, tanto che per la prima volta in vita mia ho visto un’immensa distesa soffice di neve. Quando ero in Senegal sono sempre stato incuriosito da questo strano fenomeno che avevo visto solo in televisione e trovavo buffo il modo con cui le persone europee si vestivano con maglioni e cappotti pesanti. In quei giorni non stavo bene, sentivo la mia anima uscire dal corpo, pensavo di diventare pazzo e avevo paura di perdere per sempre la mia famiglia, ormai distante. Il viaggio è stato difficile ma grazie alle preghiere di tutti, musulmani, cristiani, buddisti, siamo sbarcati su un’isola greca dove ci hanno fermato i soldati. Abbiamo finto di essere della Costa d’Avorio, perché lì c’era la guerra e noi eravamo dei rifugiati politici. Per fortuna i militari ci hanno creduto e ci hanno portato nel campo profughi dell’isola di Rodi. Lì avevamo dei palloni per giocare, delle camere da letto e soprattutto del cibo. Mi sono subito guadagnato il titolo di diewrin che in Senegal vuol dire “colui che è sempre disponibile per gli altri” perché cucinavo per i miei fratelli gli alimenti che ci portavano. Facevo il cous cous o la Thieboudienne e, usando molte spezie, trasformavo tutte le pietanze alla mia maniera per renderle più appetitose. Anche all’interno del campo ho sempre cercato di mantenere vive le tradizioni del mio paese. Mi ricordo il giorno del Gran Magal, per rendere quella giornata speciale ho cucinato tantissimo cibo che ho condiviso anche a chi non era parte della mia religione. Trascorsi tre mesi sono partito di nuovo, questa volta verso Atene, dove mi ha accolto mia cugina. Sfruttando le mie abilità di falegname, mi guadagnavo da vivere intagliando maschere africane da vendere per le strade. Erano soprattutto sculture in mogano di Dogon e animali come elefanti, cammelli, giraffe, cavalli e rinoceronti. Mentre vivevo in Grecia tutti i miei pensieri erano per l’Italia.
Sosta Via terra Via aerea Via mare
Dakar
Yamoussoukro Abidjan
Ancona Pontedera
Istanbul Atene Gaidaro Rodi
Altri miei compagni emigrati intendevano andare in Spagna, altri fantasticavano sulla Francia, altri ancora sul Portogallo, qualcuno si vedeva già in Germania e qualcun altro voleva arrivare in Svizzera. Tutti parlavano del loro sogno. Allora ho deciso di comprare una carta d’identità francese contraffatta, sono riuscito a imbarcarmi e dopo un giorno di viaggio ho finalmente visto l’Italia. Da Ancona sono giunto a Pontedera per incontrare finalmente mio fratello. All’inizio ero piuttosto scoraggiato perché l’Italia la immaginavo diversa: più ricca e con grandi automobili, invece era un Paese soltanto un po’ diverso dal Senegal e l’ambiente era simile a quello di casa mia. A quel punto non sapevo cosa fare, non ero più un rifugiato di guerra, ero un clandestino senza alcun diritto, ma dovevo fare qualcosa per vivere e per aiutare la mia famiglia lontana. Ho capito di essere una persona molto curiosa, per me l’incontro con gli altri è una gioia e una ricchezza, amo parlare con le persone, scherzare con loro e insegnare le cose, dopotutto ero, sono e sarò sempre un griot. Grazie al consiglio di un amico, ho deciso allora di scrivere libri, perché in quel modo avrei aiutato le persone a conoscere un’altra cultura. Sono entrato velocemente in contatto con una casa editrice che mi ha offerto un contratto e mi ha dato la possibilità di ottenere un permesso di soggiorno. Tante volte non riesco a prendere sonno perché penso a casa mia laggiù in Senegal. Spesso ho nostalgia degli amici e della Moschea, nostalgia dei profumi, degli odori del mio villaggio. Scrivere libri allora è l’unico modo per combattere questa nostalgia perché mi permette di entrare in contatto con l’altro. Non vendo libri solo per guadagnare ma perchè così posso conoscere altra gente e insegnare loro quel che so, regalare agli altri quello che custodisco della mia anima. Sono ancora un griot ma oggi scrivo, i miei libri non sono nè politici nè religiosi ma poetici. E per me la bellezza e la poesia sono una lingua universale.
*/ Vivere una sola vita / in una sola città, / in un solo paese, / in un solo universo, / vivere in un solo
mondo / è progione. / Conoscere una sola lingua, / un solo lavoro, / un solo costume,/ una sola civiltà, / conoscere una sola logica / è una prigione / (...)
*/ (...) / Avere un solo corpo, / un solo pensiero / una sola conoscenza, / una sola essenza, / un solo essere / è prigione.
A rescue Ship for the Mediterranean | Semiotica del progetto, a.a. 2021/2022, Prof. Salvatore Zingale, PhD candidate Daniela D’Avanzo