Divo Barsotti
Meditazioni sul Vangelo di Matteo Capitoli 8-13 a cura di p. Martino Massa
Divo Barsotti
Meditazioni sul Vangelo di Matteo Capitoli 8-13 a cura di p. Martino Massa
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Editrice Fiorentina
© 2019 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it facebook account www.facebook.com/sefeditrice twitter account @sefeditrice isbn 978-88-6032-540-2 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata Copertina a cura di Studio Grafico Norfini, Firenze L’Editore è a disposizione di tutti gli eventuali proprietari di diritti sulle immagini riprodotte con i quali non sia stato possibile mettersi in contatto
Indice
7 Prefazione 17 Nota
Meditazioni sul Vangelo di Matteo
21
Il lebbroso guarito
26
Il servo del centurione
38
Guarigione della suocera di Pietro e altre guarigioni
46
Esigenze della vocazione apostolica
50
La tempesta sedata
59
Gli indemoniati gadareni
65
Guarigione di un paralitico
69
Chiamata di Matteo e pasto con i peccatori
75
Discussione sul digiuno
79
Il vecchio e il nuovo
84
Guarigione dell’emorroissa e resurrezione della figlia di Giairo
90
Guarigione di due ciechi e di un muto indemoniato
92
Miseria delle folle
101
Chiamata dei dodici apostoli
113
La missione dei dodici apostoli
125
I missionari perseguitati
133
Il discepolato dalla morte di Gesù alla fine dei tempi
148
Domanda del Battista e testimonianza di Gesù
153
La testimonianza di Gesù sul Battista e il giudizio sulla sua generazione
162
La minaccia alle città galilee e il giubilo di Gesù
173
Il giogo leggero di Gesù
176
Le spighe raccolte di sabato
179
Guarigione di un uomo dalla mano inaridita
186
Gesù servo del Signore
189
Gesù e Beelzebul – le parole rivelano il cuore – il segno di Giona
194
Il segno di Giona: la condanna d’Israele e la salvezza dei pagani
196
Ritorno offensivo dello spirito impuro. I veri parenti di Gesù
204 Discorso parabolico. La parabola del seminatore 213
Il grano di senapa e il lievito
217
Spiegazione della parabola della zizzania
222 Le parabole del tesoro e della perla 225
La parabola della rete
227 Conclusione del discorso in parabole 229 Gesù a Nazareth
Prefazione
Pubblichiamo questa seconda parte del commento di Barsotti al Vangelo di Matteo che raccoglie i sei capitoli subito dopo il Discorso della montagna in continuità con la legge nuova ivi proclamata: il racconto dei miracoli (cc. 8-9), il discorso missionario (c. 10), l’opposizione a Gesù da parte dei giudei (cc. 11-12), il discorso in parabole (c. 13). Barsotti ama ripetere spesso i tre insegnamenti che emergono costantemente nel Vangelo di Matteo: le condizioni all’efficacia della Parola, l’efficacia della Parola e l’estensione dell’efficacia. Soffermiamoci sulle condizioni. È vero che la Parola di Dio è Parola creatrice e dunque di per sé sempre efficace indipendentemente da noi, ma è vero anche che nell’istante in cui tale Parola diviene parola umana perché assume il nostro stesso linguaggio ed è a noi rivolta presuppone che da parte nostra vi siano le condizioni necessarie perché essa risulti efficace di fatto. E la prima condizione è la fede. Lo vediamo bene nel caso del centurione: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito». Barsotti ci ricorda come noi viviamo in una economia sacramentale, e per questo afferma che la parola di Gesù è parola insieme umana e divina perché Dio parla attraverso l’uomo. L’umanità di Gesù è lo strumento congiunto della sua divinità. I racconti dei miracoli – come per es. quelli del lebbroso, del servo del centurione, dell’emorroissa – non hanno semplicemente un valore apologetico inteso a dimostrare la potenza taumaturgica di Cristo in quanto Dio, né tantomeno un valore meramente sociale ed etico di solidarietà verso i più poveri, esclusi ed emarginati ma ci fanno capire come quel Dio che è l’Eterno, l’Inac7
cessibile, l’Invisibile, si piega verso di me, mi raggiunge e mi salva unicamente attraverso l’umanità di Gesù. Finalmente potremmo dire si realizza il desiderio della sposa del Cantico dei Cantici che esclama «Mi baci con i baci della sua bocca» (Ct 1,2). In Gesù Dio finalmente mi tocca e mi bacia. Io posso accedere a Dio nella misura in cui è Lui che mi raggiunge, si piega verso la mia umanità, la tocca, la guarisce e la eleva fino a sé. Ma domandiamoci: che significato avrebbero quei miracoli ora per noi se fossero eventi passati e quel Gesù fosse ormai inattingibile nella sua umanità assorbito come qualunque altro personaggio dal processo inesorabile del tempo? Sì «Gesù Cristo è lo stesso ieri e oggi e per sempre!» (Eb 13,8). Il Cristo rimane per sempre vero Dio e vero uomo ed è nella sua umanità che ora e qui Dio mi ama, mi raggiunge, mi tocca mi chiama ad aver parte con Lui. E pur tuttavia nello stesso tempo i miracoli sono solo un segno e recano l’annuncio di qualcos’altro che è infinitamente al di là e che avrà il suo compimento nel mistero pasquale di Cristo. C’è la Parola e c’è l’Atto del Cristo. Si tratta di due cose naturalmente distinte ma non separate. Noi diciamo Et Verbum caro factum est. Atto, Mistero, Presenza… tante volte troviamo queste parole negli scritti e nella predicazione di Barsotti. Potremmo sintetizzare la sua teologia così: un Atto compiuto che dice un Mistero eternamente presente! La Parola è Cristo stesso e non ci può essere divisione tra quello che Lui è e l’Atto che Egli compie una volta per sempre e che eternamente rimane e di Sé riempie il tempo e lo spazio. Per rendere l’idea di quello che p. Barsotti sentiva dentro di sé proprio mentre commentava il Vangelo di Matteo, di quello che importavano le sue meditazioni per la sua vita interiore, soprattutto del modo di percepire e vivere il mistero della fede mi piace soffermarmi su una sua confessione, che troviamo a conclusione di questa seconda parte del vangelo: «Stamani quando dicevo la Messa, pensavo: devo realizzare almeno una volta quello che io faccio quando parlo al Signore, realizzare almeno una volta quello che io faccio quando entro in una chie8
sa, quando entro nella divina presenza. Devo realizzare almeno una volta quello che io faccio quando si fa presente per me, per il mio ministero, il mistero del Cristo! Tutta la vita dell’universo che si riassume in quell’Atto, tutta, tutta! Null’altro è! La santità dell’uomo non è che una parte di quell’atto mio. Non esiste nulla, né uomini né storia, ma solo quell’Atto che in sé tutto riassume. O è quell’Atto o nulla è; ed è quell’Atto che dà un valore a tutto: alla vita dei santi, come alla vita del bambino; e senza quell’Atto nulla esiste, nulla, assolutamente nulla. Esiste solo il suo Atto che per me si fa presente. In quell’Atto si realizza tutta la storia dell’universo, la santità di tutti i santi, che non è altro che la partecipazione della santità del Cristo che si è comunicato al mondo attraverso il mistero della sua Morte, e questo mistero è lì presente, per me, nel suo Atto». Quel sabato in cui ha pronunciato queste parole nell’Oratorio di S. Francesco Poverino era l’11 giugno 1960. Tanti anni sono passati ma l’eco di queste parole risuona ancora come una testimonianza di fede viva e perennemente attuale che ci illumina e ci stimola per imparare ad accostarci anche noi al Vangelo in tal modo che quello che là leggiamo e meditiamo sia in continuità col mistero che celebriamo nell’eucarestia. Non esiste divisione tra la Parola proclamata nel Vangelo e quello che è il compimento di quella stessa Parola nel mistero dell’eucarestia, proprio perché l’Eterna Parola annunciata è quello stesso Verbo Incarnato, morto e risorto che si comunica a noi nel suo corpo e nel suo sangue. È il mistero di Cristo ed è il mistero della Chiesa che è il suo corpo. Nel Vangelo di Matteo, infatti, Chiesa e Regno di Dio sono intimamente correlati. Il concetto di Chiesa rimanda al concetto di Regno. Centrale in tutto il Vangelo di Matteo è il concetto di “Regno dei cieli”, potremmo dire che tutto il vangelo ruota intorno a questo tema, che perciò merita qualche approfondimento senza la pretesa di essere esaustivi. Innanzitutto Barsotti è categorico nel deplorare come pretesa assurda ogni forma di trionfalismo ed euforico ottimismo circa la realizzazione del regno di Dio quaggiù. Questo è il primo aspetto: il Regno dei 9
cieli nel Vangelo di Matteo ha un carattere segreto e profetico. Molto spesso i cristiani sono tentati di voler anticipare gli “eschata”, gli avvenimenti ultimi, di vedere realizzato finalmente ora e qui su questa terra il Regno di Dio, vederlo incarnato nella storia, in una forma visibile e concreta, vederlo realizzato nel trionfo magari del cristianesimo e della Chiesa. Invece no. Anche se il Regno è già in mezzo a noi e ha la sua incarnazione nella Chiesa visibile che il Signore ha fondato c’è un non ancora che va oltre la storia. «Qui tutto è segreto, tutto è ancora nascosto» dice Barsotti. Il Regno di Dio non nasce ma solamente si inaugura durante la vita terrena di Gesù. Gesù inaugura il suo ministero dicendo: è giunto a voi il Regno di Dio, ma il Regno nasce invece con la sua morte e resurrezione. E tuttavia, pur nascendo con la resurrezione di Cristo, è ancora un Regno che opera solo nel segreto, nel profondo dell’uomo, non ancora sul piano visibile, la piena manifestazione è rimandata alla fine dei tempi, alla resurrezione di tutta l’umanità. Così possiamo capire tutto il senso e il valore di annuncio profetico che hanno i miracoli. Don Divo afferma: «tutti i miracoli nel Vangelo sono profezia di quella che sarà la condizione umana al termine dei giorni, quando il Regno di Dio sarà pieno, non solo nell’intimo, ma pieno anche nella sua proiezione sociale e cosmica». Ancora, il Regno ha un carattere universale, non è più riservato solo a Israele ma tutti i popoli sono chiamati a farne parte: lo vediamo nel caso del servo del centurione. Anzi al posto di un Israele incredulo che viene rigettato molti verranno da oriente e occidente (cfr. Mt 8,11ss.). Nel Vangelo di Matteo non si dice espressamente che il rifiuto di Israele determina l’ingresso dei popoli pagani anche se il linguaggio fa pensare alla Lettera di san Paolo ai Romani: la divisione non riguarda la stirpe ma l’atteggiamento che si ha nei confronti della Parola. La divisione si opera nel cuore dell’uomo, tra chi accoglie e chi non accoglie la Parola. Ancora, il Regno ha anche un carattere conviviale come annunciato già dai profeti, specialmente Isaia (cfr Is 25; 55). Barsotti evidenzia il legame con l’eucaristia. «Ecco il paradi10
so, ecco il Regno anzi! Nostro Signore si è fatto vedere molto spesso, nel Vangelo, a banchettare. I Vangeli parlano di tanti banchetti ai quali ha assistito Gesù – dalle nozze di Cana fino all’ultima Cena la vita di Nostro Signore non è stato altro che un banchettare, e in casa di Simone, e a Betania, e in casa di Levi, e da Zaccheo… molto spesso – ma perché questo? Perché già si inizia precisamente nella vita pubblica di Gesù il Regno. E un banchetto, anche questo segreto, ma è vero banchetto messianico. È la Chiesa: la vita della Chiesa non è forse un banchetto? Non è l’eucarestia? Il carattere conviviale dell’eucarestia è essenziale: l’eucarestia è insieme sacrificio e convito, non più sacrificio che convito, non più convito che sacrificio». La vita eterna sarà proprio questo convito, questa festa di nozze dove tutta la Chiesa e ogni anima è la sposa di Cristo. Barsotti continua: «Tutti gli uomini saranno gli invitati alle nozze, alla festa universale del Regno, in cui si vive una unione intima e personale con Dio. L’unione nuziale non si vive altro che con Lui, ma si vive questa unione nuziale in una comunione fraterna e immensa con tutta l’umanità, con tutta la creazione divina». Si può riconoscere a questo proposito una sorta di itinerario spirituale nella sequenza dei miracoli: si parte dalla guarigione e dal perdono dei peccati, si è poi invitati alla sequela per partecipare infine al banchetto (vedi vocazione di Matteo), anticipo del banchetto escatologico. Molto importante per Barsotti è anche il concetto di Chiesa come Corpo mistico preferibile alla categoria di Popolo di Dio: quest’ultima esprime sì il concetto della comunità convocata da Dio e ben descrive la condizione di una Chiesa sempre in fieri quaggiù ma il termine ultimo è l'essere incorporati a Cristo come sue membra, essere il Corpo stesso di Cristo. A questo punto si comprende come il fine ultimo non è solo la nostra unione con Dio ma anche l’unione, la comunione perfetta tra noi. La carità verso il prossimo non è qualcosa di strumentale, non è semplicemente la prova del nostro amore per Dio ma ha ragione di fine. C’è una ragione ontologica al comandamento dell’amore del prossimo ed è 11
il fatto che Cristo ha assunto tutta la natura umana. Saremo uniti a Dio nella misura in cui formiamo il Corpo di Cristo. Tanto questo è vero che se io mi divido da un solo uomo io mi divido da Cristo. Per quanto riguarda i miracoli Barsotti si chiede come mai seguono altri miracoli dopo la resurrezione della figlia del capo della sinagoga. La sconfitta della morte non è forse il miracolo più grande? Che cosa vi può essere di più grande per l’uomo che la liberazione dallo spauracchio della morte e del miracolo di una resurrezione? I due miracoli dei due ciechi e del muto guariti stanno a significare che non solo l’umanità e la creazione intera risorgeranno in Cristo ma parteciperanno anche della sua divinità: vi è un processo di divinizzazione per l’uomo e l’universo intero. «La redenzione del Cristo non riporta l’umanità soltanto alle origini, non è un ritorno al paradiso terrestre: è infinitamente di più! Questo ci insegnano gli ultimi miracoli che narra Matteo. Di fatto, la redenzione operata dal Cristo, se risana l’uomo, lo risana in un processo di divinizzazione onde noi siamo uniti al Figlio di Dio, entriamo a far parte della divina famiglia, acquistiamo degli occhi per contemplare il Signore, acquistiamo la parola per potergli parlare». Interessante poi quanto si dice a proposito del discorso missionario. Nella missione dei discepoli che conosce tre fasi – la prima, durante la vita mortale di Gesù, si compie attraverso i miracoli; la seconda, dalla Pentecoste fino alla distruzione di Gerusalemme; la terza, concerne la missione della Chiesa fino alla parusia – p. Barsotti vede la continuazione della missione del Cristo: «Tutta la storia del mondo non è che questo cammino, non è che questa missione continuata. Missione che importa un viaggio, il viaggio dell’umanità, come dirà la lettera agli Ebrei, una peregrinazione di tutta l’umanità, fino a che non giunga all’altare di Dio, al Sancta Sanctorum, al cielo». Si impone una domanda: come questa missione del Cristo si prolunga attraverso gli apostoli dopo la sua morte, come si continuerà nel tempo attraverso la missione Chiesa? Don Divo risponde: «dopo la Morte di Gesù, gli 12
apostoli continueranno la missione del Cristo non più soltanto predicando, non più soltanto guarendo i malati, mondando i lebbrosi, ma anche battezzando nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo, incorporando gli uomini a Cristo mediante il battesimo, celebrando l’eucarestia, e nella celebrazione dell’eucarestia identificando ogni cristiano con Lui, col suo Capo, inserendolo nel Cristo, facendo sì che tutti i cristiani siano in Lui, divengano in Lui un solo Corpo». Ancora, la chiamata dei discepoli e la missione sono strettamente correlati. La parola di don Divo ci affascina, ci stimola e ci coinvolge in maniera sempre nuova. Molto bello quello che Barsotti ci trasmette a proposito della missione dei discepoli. La missione è una questione di identità. Gli apostoli rimangono apostoli per sempre. Sono e rimarranno per sempre coloro che il Signore ha scelto, ha chiamato per nome affidando loro la missione di predicare il Regno di Dio. Nell’istante in cui Cristo ti chiama ti dà un nome e ti affida una missione. Pensiamo a Matteo. Proprio lui ci ha lasciato un ritratto del vero apostolo raccontando in poche righe la sua vocazione. Gesù lo vede, lo chiama e lui senza esitare un momento si alza e lo segue. Quando il Signore ti chiama tu acquisti una nuova identità, un nuovo essere, una nuova natura. La vocazione e la missione sono come una creazione dal nulla. Non sono qualcosa che si aggiunge alla tua vita. Sei quello che sei per il fatto che Cristo ti ha chiamato e ti ha inviato. Poi Gesù parla di rinuncia, povertà, di estraneità a questo mondo, come disposizioni morali, ma il Signore insiste di più sulla persecuzione, e non tanto da parte dei lontani quanto dei vicini. Siamo “agnelli in mezzo ai lupi”. Così commenta Barsotti: «Il segno che siamo suoi discepoli è la croce, la contraddizione. E la contraddizione deve nascere precisamente nell’intimo: non tanto da parte di coloro che ci sono estranei, ma da parte dei vicini, vicini non per fede, ma per sangue, per natura». A questo punto il discorso si amplifica fino ad identificare l’apostolato col martirio, come del resto era dottrina comune nella Chiesa primitiva. Il martirio di Cristo continua attraver13
so il martirio del discepolo, del cristiano, della Chiesa intera. Vero kerigma alla fine non è l’annuncio della predicazione, di una verità astratta, ma la testimonianza della morte. Il vangelo ci parla anche delle esigenze della santità divina e delle condizioni per entrare nel Regno. Nella minaccia alle città della Galilea (Mt 11,21ss) Gesù parla di conversione-metànoia. Quante volte siamo superficialmente “marcioniti” nell’ opporre l’A.T. al N.T.: là solo ira e minacce, qui tutto amore e misericordia! Niente affatto: l’amore di Gesù è passione travolgente e richiesta esigente. Qui Barsotti ha parole di fuoco: «Esser cristiani vuol dire esser dei rivoluzionari! O facciamo rivoluzione o andiamo all’inferno! Non c’è nulla da fare, non c’è nessuna possibilità di salvarci! “Penitenza” vuol dire “sconvolgere”. Nell’ascoltare la Parola divina abbiamo sentito, noi, la necessita di un cambiamento dall’intimo dell’anima nostra? Di uno sconvolgimento interiore profondo di tutto il nostro essere per liberarci dalle storture di un mondo che giace sotto il Maligno? I conservatori sono i più lontani dal Cristianesimo: e sono lontani ed estranei, assolutamente estranei, perché non fanno penitenza. Far penitenza vuol dire ribellione a noi stessi prima di tutto, ma ribellione anche a un ordine stabilito che è l’ordine del demonio, e il demonio è il principe di questo mondo. Nel cristianesimo non si entra che ascoltando la Parola di Gesù: “fate penitenza”». Proprio per il fatto che Dio si fa prossimo all’uomo la sua stessa presenza diviene per l’uomo o motivo di eterno castigo se lo rifiuta o motivo di gioia senza fine se lo accoglie. Così vi è il rifiuto della salvezza per i duri di cuore, per coloro che non vogliono ascoltare, ma per coloro che ascoltano il messaggio di Gesù – i piccoli – è riservata la partecipazione al suo stesso giubilo davanti al Padre: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11, 25). Barsotti spiega: «Di questo Gesù loda il Padre celeste, e giubila che alcuni uomini siano entrati a far parte della conoscenza che Egli stesso ha del Padre suo, cioè a far parte della vita di Dio, 14
assimilati a Lui, partecipi della sua natura». Di fatto è la presenza stessa del Cristo a creare una divisione. Dopo i discorsi di missione – afferma Barsotti – avviene la krisis, il mondo si divide: da una parte i discepoli che seguono Gesù, dall’altra coloro che lo combattono. Molto importante anche l’opposizione tra il Regno di Dio e il regno di Satana (a proposito di Gesù e Beelzebul in Mt 12,22ss.). Secondo Barsotti «elemento essenziale del cristianesimo è la fede nella esistenza del Maligno e della sua presenza attiva nel mondo. Il peccato importa una schiavitù dell’uomo, il dominio del Maligno sopra di lui. Senza questa fede l’opera di Gesù non sarebbe che un insegnamento etico e la sua vita solo un esempio per l’uomo. Se non si ha una precisa nozione di questa universalità ed efficacia del potere demoniaco, ci sfugge la conoscenza dell’opera del Cristo e si scivola nella concezione tipica del protestantesimo liberale: non si avrebbe una concezione del peccato e si escluderebbe la redenzione. Il peccato dell’uomo è invece il suo assoggettarsi libero al potere di Satana da cui solo il Cristo ci affranca». Ma la cosa più inquietante è che l’opposizione tra il Regno di Dio e il mondo avvenga dentro la Chiesa stessa. Umanamente vorremmo semplificare le cose, vedere il bene tutto da una parte, tutto il male dall’altra, e invece dobbiamo accettare un mistero che ci impone il silenzio. Ancora una volta don Divo ci illumina: «Il nemico agisce proprio anche entro i confini del campo stesso che Dio ha seminato. In questo che è il Regno di Dio tu devi riconoscere l’opera del Maligno, devi renderti conto di un’attività del Maligno e accettare che questa attività continui fino alla fine. Crescerà il grano perché deve crescere, perché nessuno può arrestare il crescere del Regno; ma col crescere del Regno crescerà pur la zizzania nel seno stesso della Chiesa. Quale mistero! Come non si impone la fede! Come ci avverte questo mistero della necessità per noi uomini dell’adorazione e del silenzio! Noi avremmo fatto le cose un po’ più semplicemente: di là tutto il male e di qua tutto il bene, da una parte Dio e dall’altra parte il male. Tutto è inesplicabilmente, non confuso, unito; tu non 15
puoi in nessun modo districare il male dal bene: non nella Chiesa, non nel cristiano, non in te». Alla fine p. Barsotti ci dona un bello e importante insegnamento su quella che è l’azione dello Spirito Santo nella Chiesa e nel cristiano per quanto riguarda l’interpretazione della Parola di Dio, senza divisioni né opposizioni tra magistero interiore e magistero esteriore: «No, non si può intendere la Parola di Dio se lo Spirito Santo stesso non ce la insegna. Anche la Chiesa la insegna, ma non senza lo Spirito che agisce nel cuore di ciascun fedele, come lo Spirito, certo, non ce la insegna senza l’insegnamento della Chiesa. Non opponiamo il cristiano alla Chiesa, non opponiamo la Chiesa al cristiano. Il Cristo non si divide – il Cristo è uno solo. Non potrei mai rinunziare a questa verità senza negare l’unita del Cristo, il mistero stesso di questo prolungamento dell’Incarnazione divina che è la Chiesa di Dio». Padre Martino Massa CFD
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Nota
Purtroppo nelle meditazioni di Barsotti quasi mai sono riportati per esteso i brani del Vangelo. Pertanto è difficile stabilire quale traduzione del Vangelo egli ha utilizzato. Sembra che egli si sia servito di diverse traduzioni scegliendo liberamente di volta in volta ora l’una ora l’altra. Tra queste solo una è facilmente individuabile: è quella che sicuramente Barsotti ha preso dall’edizione italiana del commento a Matteo di Josef Schmid, autore consultato e citato varie volte nelle sue meditazioni su Matteo. Dalle citazioni risulta che egli ha utilizzato la seguente edizione: J. Schmid, L’evangelo secondo Matteo, Brescia, Morcelliana, 1957. Sulle altre versioni da lui usate si possono fare solo congetture a motivo della lacunosità del testo. Dovendo comunque scegliere per questioni di uniformità una sola tra le tante traduzioni italiane esistenti abbiamo optato per l’ultima versione CEI che si trova nella Bibbia di Gerusalemme.
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Meditazioni sul Vangelo di Matteo Capitoli 8-13
Il lebbroso guarito
Mt 8, 1-4 Scese dal monte e molta folla lo seguì. 2Ed ecco, si avvicinò un lebbroso, si prostrò davanti a lui e disse: «Signore, se vuoi, puoi purificarmi». 3Tese la mano e lo toccò dicendo: «Lo voglio: sii purificato!». E subito la sua lebbra fu guarita. 4Poi Gesù gli disse: «Guàrdati bene dal dirlo a qualcuno; va’ invece a mostrarti al sacerdote e presenta l’offerta prescritta da Mosè come testimonianza per loro». 1
Poche cose noi possiamo dire riguardo a questa pericope che narra il primo miracolo. Prima di tutto, l’incongruenza di certe frasi: incongruenza che dimostra che il passaggio è dottrinalmente necessario, storicamente invece artificioso: per quel che l’evangelista vuol dimostrare è naturale e necessario, ma per quel che riguarda invece l’ordine dei fatti è artificioso. Infatti, non è certo il primo miracolo quello che Gesù fa scendendo dal monte mentre tutta la turba lo segue. Come fa poi a dire al lebbroso guarito che non lo racconti a nessuno se tutta la folla era presente? Una folla che veniva dalla Perea, dalla Decapoli, da Tiro, da Sidone, dalla Giudea, dalla Galilea, da tutto il mondo circonvicino. «Disceso il monte, grandi turbe lo seguivano. Ed ecco un lebbroso e gli dice...». Le prime parole indubbiamente sono un modo di legare l’avvenimento al discorso precedente; ma il legame, si diceva, dimostra per sé una certa sua artificiosità per quello che riguarda l’ordine storico degli avvenimenti. Detto questo, vediamo un poco che cosa di particolare ci dice la pericope. Tre cose, in fondo, ci dice: 21
1) Un atteggiamento dell’uomo che precede la Parola divina, perché è condizione alla sua efficacia. 2) La pericope ci riporta la Parola di Gesù: una Parola che è creatrice perché è Parola divina, ma è anche umana, perché Dio parla attraverso tutto l’uomo, attraverso l’umanità che Egli ha assunto. Non soltanto Gesù parla, ma tocca il lebbroso. La Parola creatrice di Dio si enuncia, si proclama, opera, attraverso lo “strumento congiunto alla divinità”, che è l’umanità di Gesù. E questo rimane vero in tutta l’economia cristiana. Dio, nell’economia cristiana, opera non puramente nello Spirito, ma attraverso dei segni: l’azione di Dio ci raggiunge attraverso il ministero sacerdotale e altri segni sacramentali. Come un giorno Gesù toccava le orecchie del sordo, la lingua del muto, gli occhi del cieco, le carni maculate del lebbroso, così oggi Dio ci tocca attraverso i segni sensibili del pane e del vino, dell’olio e dell’acqua. È Dio che opera, e Dio poteva far bene a meno di tutto questo; ma noi viviamo in una economia sacramentale. Quando Gesù nel Quarto vangelo dice che noi dobbiamo adorare Dio «in spirito e verità» (Gv 4, 23), non dobbiamo pensare che l’espressione “in spirito” debba essere interpretata nel senso greco, sdegnando cioè ogni atteggiamento fisico, ogni rapporto col mondo esteriore. È ben altro il pensiero di Nostro Signore, è ben altro il valore di queste parole che vogliono significare lo Spirito Santo! È nella potenza dello Spirito che tu devi pregare; e la verità indica un rapporto col Cristo. «La grazia e la verità sono state fatte per Cristo, la legge per Mosè» (Gv 1, 17), dice Giovanni al principio del suo Vangelo. È nel Cristo che noi crediamo veramente, è nello Spirito che noi dobbiamo pregare. Ora, lo Spirito precisamente si è diffuso, sull’Uomo è disceso Gesù; lo Spirito si serve come organo di tutta la Chiesa; lo Spirito Santo vive nella Chiesa ma agisce attraverso degli organi umani, i dicasteri, i tribunali, le sacre congregazioni, il Papa, i vescovi: tutti uomini, tutte organizzazioni! Così la Parola creatrice di Dio, realizzatrice del Regno, è una Parola che agisce attraverso un Uomo, che si enuncia attraverso l’umanità di Gesù. 22
3) Il segreto. Perché ci tiene tanto al segreto Nostro Signore? Perché Nostro Signore insiste e l’evangelista ripete questa raccomandazione di non rivelare il miracolo a nessuno? In altri vangeli è detto: «Finché il Figlio dell’uomo non sarà risorto da morte» (Mt 17, 9) . Perché questo insistere? Mi sembra che vi sia una ragione molto profonda. Ma riprendiamo i tre punti. Le condizioni della Parola. Gesù lo dirà poi in una parabola (Mt 13, 3 ss.): il seme viene sparso, cade fra le spine, fra le pietre, sulla via, in un terreno ben preparato. E Gesù dirà che la parabola vuol dire una preparazione più o meno grande a ricevere la Parola divina; vuol dire le condizioni precise dell’anima ad accogliere la Parola, che sono sempre condizioni di fede più o meno pura, più o meno perfetta. La condizione essenziale ad accogliere la Parola divina, a far sì che la Parola divina dimostri la sua efficacia nel cuore dell’uomo, nel cuore dell’umanità, è la fede con la quale si accoglie: è nella fede che il lebbroso si avvicina al Cristo. La prima parola dell’uomo che si avvicina a Gesù non può essere che questa: «se vuoi, puoi». Nessun altro limite all’onnipotenza di Dio che la sua volontà. Non vi è ostacolo al suo potere: tu non puoi limitare l’efficacia della sua Parola. La limiti soltanto nella tua poca fede, nella tua incredulità; ma Dio non ha limiti nella sua onnipotenza. «Se vuoi, puoi mondarmi». Altro impedimento non vi è: dipende tutto dalla sua volontà. Non dipende da un male che è insormontabile anche a Dio, non dipende da una rovina che è troppo grande per la sua onnipotenza: dipende dalla sua volontà. E Dio vuole. «Lo voglio», risponde Gesù al lebbroso. Con questa parola s’inizia il Vangelo: «Lo voglio». La Parola creatrice di Dio è una Parola di amore: «Lo voglio» è la Parola di Dio, una Parola che dice come l’onnipotenza di Dio sia a disposizione dell’uomo. Ma più interessante è l’insegnamento che ci dà la pericope riguardo al segreto, questo segreto raccomandato da Gesù, sul quale insiste l’evangelista. Perché? Si è visto il carattere incongruo di questa raccomandazione: «Molte folle lo segui23
vano [...] non lo dire a nessuno». Evidentemente quel «molte folle lo seguivano» ci dice come questo ordine dei miracoli sia artificioso. Ma non è artificioso invece l’ordine logico. Vi si ritrovano infatti tutti e tre gli insegnamenti precisi di questa sezione dei miracoli: le condizioni all’efficacia della Parola, l’efficacia della Parola, il modo per Iddio di parlare e anche l’estensione, poi, di questa efficacia. Perché dunque questo segreto? È il carattere segreto del Regno. Ma questo Regno, che si inaugura durante la vita nascosta di Gesù, ha un carattere piuttosto profetico: è un segno. Il vero Regno di Dio nella sua pienezza, non si inizia soltanto con la resurrezione; per questo Gesù dice: «finché il Figlio dell’uomo non sarà risorto da morte», ma la piena realizzazione del Regno è rimandata. Infatti questo lebbroso poi morì e colui che Gesù risorse da morte fu di nuovo soggetto alla morte; il paralitico che fu perdonato da Dio probabilmente cadde in qualche altro peccato... La Parola creatrice del Cristo inaugura il Regno, ma questo Regno, come la gloria sul Tabor, è semplicemente il segno della gloria futura, è precisamente un’anticipazione profetica di quella che sarà la realizzazione ultima del Regno di Dio nel quale l’uomo riacquisterà pieno potere sul mondo: tempesta dominata; riacquisterà perfetta integrità, non sarà più soggetto alla malattia; riacquisterà l’immortalità, non sarà più soggetto alla morte: sarà veramente il re della creazione. E come re della creazione potrà allora volgersi a Dio e contemplarlo, vederlo, ascoltarlo e soprattutto parlargli: «Abbà, Padre!» Qui tutto è segreto, tutto è ancora nascosto, tutto ancora ha carattere non definitivo, imperfetto, temporaneo, profetico. Si inaugura il Regno, ma questo Regno è ancora una immagine di quello che sarà il Regno futuro. Non solo perché durante la vita del Cristo il Regno di Dio veramente non nasce – nasce invece con la sua morte, anzi, con la sua resurrezione – ma anche perché lo stesso Regno di Dio che nasce con la resurrezione del Cristo sarà un Regno nascosto e segreto: un regno che opererà, sì, la redenzione dell’uomo, ma che la ope24
rerà nel suo intimo fondo, lasciando apparentemente ancora l’uomo soggetto alle potenze del mondo, soggetto alle malattie e alla morte, e capace nuovamente di ricadere nel male. Una definitiva liberazione, una liberazione totale dell’uomo è rimandata alla resurrezione di tutta l’umanità. Se la resurrezione di uno inizia il Regno, soltanto la resurrezione di tutta l’umanità compie il Regno di Dio ed è il perfetto e definitivo compimento dell’opera del Cristo.
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