ScubaZone 13

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SIFONE COMEL Le immersioni

di

Davide Corengia

L’invito a esplorare un nuovo sifone è quanto di più desiderato da ogni speleosub. Poi, man mano che si scoprono dettagli, a volte le prospettive cambiano e il desiderio si trasforma in perplessità, proprio come in questo caso. Mauri mi descrive la grotta come “una fabbrica di fango”, dove il sifone rappresenta il suo reparto più produttivo. Non è una descrizione delle più incoraggianti ma, tra i dettagli, l’incessante scorrere dell’acqua è uno stimolo sufficiente a fare almeno un tentativo. Così ci organizziamo, scegliamo una data e ci diamo appuntamento alla grotta. Qui Mauri mi presenta Devis, con il quale condivide ricerche ed esplorazioni. L’intesa scatta nel momento stesso in cui iniziamo a parlare di grotte, cosa non rara tra chi condivide con entusiasmo la stessa passione. Preparando l’attrezzatura ci conosciamo meglio e non appena pronti ci dirigiamo all’ingresso della grotta. Uno stretto passaggio ci costringe a passarci di mano in mano i sacchi contenenti l’attrezzatura e lentamente, sfruttando a nostro favore la forza di gravità, scivoliamo al suo interno tra massi e…fango. Tanto fango! “Ma quanto fango c’è?” continuo a chiedere ai miei due sorridenti compagni… “un po’, ma dopo peggiora” mi rispondono quasi divertiti. Sempre più perplesso raggiungo il sifone, o meglio una frana con sotto un sifone. Ci passo a pelo e quindi capisco subito che se metto le bombole non passo più. Che fare? Dato che una frana è fatta di tanti massi, decidiamo di sfruttare questa sua natura ed eliminarne una parte. Per un’ora abbondante scaviamo, spostiamo sassi e tanto per cambiare palle di fango. Il lavoro dà i suoi frutti e ora posso indossare le bombole prima d’immergermi. Pronti, via, percorro qualche metro spingendomi all’indietro fino ad un punto abbastanza largo per girarmi, trovo uno spuntone per fissare il filo e, mentre la visibilità si riduce, cerco di capire come muovermi in questo primo tratto di sifone. La frana prosegue sott’acqua ma lascia uno spazio fino al soffitto abbastanza comodo per passare, il percorso non è rettilineo e sono costretto a frazionare la sagola ad ogni minimo cambio di direzione per agevolare il rientro, quando la visibilità sarà probabilmente vicino a zero. Finalmente,dopo venti metri, i massi spariscono e lasciano libera la galleria, che con un’inclinazione di circa 25-30 gradi scende davanti a me. Il soffitto, scavato dall’incessante lavoro dell’acqua, ha una bella morfologia, mentre il pavimento è sepolto sotto una distesa di fine sedimento che ricopre ogni cosa. “Un giorno, spinto dalle piene, sarai fango anche tu” penso, mentre cerco inutilmente dove fissare il filo. Senza un punto dove frazionare, non me la sento di continuare. Continuo a cercare, la nuvola di sospensione creata dalle bolle mi raggiunge e mi avvolge… rapidamente con un elastico imbrago un sasso, ci lego il filo e faccio dietro front. Il sifone continua, ma devo portarmi qualcosa per ancorare il filo. Una volta in superficie descrivo la situazione e, mentre a fatica ristrisciamo verso l’uscita, ci


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