Phasis (estratto)

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neo-platonico di interiorità, riguarda – dice Levinas – d’un colpo solo, la volontà di uccidere e il “non ucciderai”6. Non è questione di una minaccia da parte del negativo, minaccia del negativo come ciò che metterebbe in crisi il positivo come “tutto pieno”, ma il senso stesso della presenza. Il senso stesso della presenza in rapporto all’“interno”, all’interiore, appropriabile da una coscienza secondo un grafico che nessuna fenomenologia della presenza può contenere. Le idee di presenza e di coscienza della presenza, e di un sapere legato alla coscienza della presenza, si legano nel punto generativo della coscienza. Non afferrabile, non appropriabile nella forma della rappresentazione e nemmeno del doppio; piuttosto attraverso un altro lessico, nella forma della soddisfazione, della mancanza, dell’esclusione, della sostituzione. Per Levinas il problema è parlare delle cose in una forma più antica della violenza. Si tratta della responsabilità della morte d’altri prima e al di là dell’essere-per-la-morte, e dell’impossibilità della sua appropriazione secondo Heidegger. La morte comincia nella socialità: La morte comincia nell’inter-umano. La morte significa originariamente nella prossimità stessa dell’altro uomo o nella socialità […] L’invisibile della morte o il suo mistero: alternativa mai risolta tra l’essere e il non essere; ma ancora di più: alternativa tra questa alternativa e un altro “termine”, un terzo escluso e impensabile, ciò per cui precisamente l’ignoto della morte si ignora diversamente dall’ignoto dell’esperienza, sottraendosi all’ordine in cui si giocano sapere e non sapere, sottraendosi all’ontologia. Nascita latente della problematicità stessa della questione a partire dalla domanda che proviene dal volto d’altri, né semplice insufficienza di sapere, né modalità qualsiasi della certezza della tesi della fede.

Il problema dell’io si configura perciò come il problema della violenza di un’appropriazione. Scuotimento e inversione per cui io trafiggo l’identità dell’ente e posso ormai parlare del mio scuotimento, del mio conatus, della mia persistenza nell’essere, della mia messa in questione, così come parlo della mia messa al mondo; ingresso nell’inquietudine-per-lamorte-dell’altro-uomo: risveglio nell’ente di una “prima persona”. Problematicità alla sua origine a guisa del mio risveglio alla responsabilità per altri, a guisa di un disinganno del mio proprio esistere.

L’io e/o la “persona” non si troverebbero perciò in nessuna sorta di coscienza di sé, di auto-coscienza, ma occuperebbe un luogo originariamente spiazzato rispetto ad una padronanza cosciente. “Questione che richiama alla responsabilità, la quale non è un ripiego pra6. Cfr., Ibid.,p.189.


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