NUMERO 08 . giu2019 . Il pianeta indebitato

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IL PIANETA INDEBITATO 31mila dollari è il debito pro-capite di ognuno degli 8 miliardi di terrestri; che siano neonati o ultracentenari, è del tutto indifferente. È la dote che spetta ad ogni fortunato nascituro della nuova era dell’Uomo.

GIUGNO 2019

Un debito che cresce implacabilmente di giorno in giorno. La morale evolve con la Società. Per la nostra corrente cultura sembra del tutto morale assistere all’indebitamento dell’Umanità deciso da poche

persone - che incide sul destino, attuale e futuro, del Pianeta. Che ne è stato dell’etica della responsabilità? Dove non ci sono più radici, obblighi e concrete responsabilità, non c’è più il sapere

vivente, il senso comune, non ci sono più freni. Trionfa l’intelletto astratto, il principio avido, egoista, spietato, immorale.

N.8


PROGETTO

PERCORSO

Invitiamo i nostri lettori a

prodotto, cambia la nostra vita.

Un appuntamento mensile.

passeggiare insieme a noi nel

Vedremo come l’innovazione

Brevi articoli monotematici che rimandano ad

bosco della complessità e della

creativa concorra, giorno dopo

approfondimenti, per chi desidera; repertori

positività. Vedremo come la

giorno, alla costruzione di nuovi

iconografici scelti in virtù di criteri estetici;

Ricerca - scientifica, sociopolitica,

modelli di relazione economica,

l’impegno di affrontare e di interpretare in modo

culturale, etica, economica e

sociale, produttiva e organizzativa

semplice, ma non semplicistico, la complessità;

produttiva, insieme all’Innovazione

procedendo instancabilmente, in

il piacere della scoperta, dello scambio e della

- tecnologica, di metodo, di

parallelo, alla distruzione di quelli

relazione positiva con i nostri Lettori.

comportamento, di processo, di

precedenti. Benvenuti a bordo!

Il Comitato di Redazione: Fabrizio Favini Gianni Ferrario Marzio Bonferroni Andrea Sparvoli

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INDICE

04 12 16 20 ANDREA SPARVOLI

MARCO VITALE

GIULIO GIORELLO

RICCARDO BARBERIS

Imprenditore editoriale,

Economista d’Impresa,

Filosofo, Accademico ed

Amministratore Delegato di

Giornalista ed Esperto di

Professore, Consulente di

Epistemologo

ManPower Group

comunicazione

direzione, Editorialista

Storia di una piccola bolla

L’Impresa Responsabile

Pensiero debole: problema per la nostra democrazia?

Intervista

Autori pg. 24 Manifesto pg. 30 Nel prossimo numero pg. 32

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Storia di una piccola bolla

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IL PIANETA INDEBITATO

ANDREA SPARVOLI

APPROFONDISCI

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Forse non ve ne siete accorti. Se nell’800 e nel ‘900 il Capitale è stato l’elemento fondamentale dello sviluppo economico, la fine del XX e l’inizio del XXI secolo hanno visto il suo tramonto e la nascita di un nuovo protagonista: il Debito. Se il capitale non c’è, lo si crea, dal nulla. I debiti nel mondo (degli Stati, delle imprese, delle persone) sono trilioni di volte superiori ai capitali disponibili, ovvero esistenti. Il che significa che l’intera popolazione mondiale vive a credito, su promesse di pagherò… Questo meccanismo è nato prima, ma ha raggiunto il culmine con la crisi del 2008. I governi non potevano permettere che si scatenasse il caos, costi quel che costi. Allora i governi delle più importanti nazioni e i governatori delle banche centrali, dopo frenetiche consultazioni, guidati dagli Stati Uniti (dove il morbo era scoppiato) e dalla Federal Reserve (da dove le decisioni più importanti 5

dovevano scaturire), decisero d’intervenire immettendo nelle casse delle banche, nonché di alcune industrie ed enti finanziari, la liquidità necessaria: montagne di denaro (dei contribuenti), affinché fosse impedito il loro fallimento a catena. Ma i governi, perfino nei ricchi Stati Uniti e in Gran Bretagna, non avevano simili masse di denaro a disposizione. Pertanto dovettero emettere montagne di bond - obbligazioni di debito pubblico - per sopperire alle impellenti necessità. Ma chi le avrebbe sottoscritte se le principali banche, assicurazioni e istituti finanziari del mondo erano già tecnicamente falliti? Neppure tutti gli abitanti del pianeta messi insieme avrebbero potuto, da un giorno all’altro, tirar fuori le somme necessarie alla colossale operazione di salvataggio. Così, con un intervento concordato, furono le banche centrali dei vari Paesi a sottoscrivere i debiti. Sottoscrivere? ...Giusto qualche righetta sui computer da una parte e dall’altra (Ministero del


Tesoro e Banca Centrale) e il gioco è fatto… Mica è denaro vero! È denaro che non esiste, che viene creato all’istante...Una magia... Con questa mossa, tuttavia, gli Stati divennero tecnicamente proprietari o principali azionisti delle banche sull’orlo della bancarotta. E il debito pubblico, almeno sulla carta, schizzò alle stelle, ovunque. Se una banca presta un volume di denaro trenta volte superiore ai depositi che custodisce (le riserve) è chiaro che non si tratta di denaro reale, ma di pure scritture contabili nei computer alle quali non corrisponde niente, se non la presunzione che i debitori faranno fronte ai loro impegni (scritti sulla carta) e che i depositanti non ritireranno tutti insieme il denaro depositato. Più mutui e finanziamenti elargisco con denaro che non ho, più liquidità vera incasso, con gli interessi, e più margini di guadagno ho sugli impieghi. Qualora i debitori smettessero di pagare le rate dei mutui, le banche sarebbero pronte a escutere le loro ipoteche e garanzie per recuperare il capitale affidato. Semplice no? Mica tanto. Ci sono infatti da considerare vari aspetti: spese legali, sfratti, prezzi

di mercato, aste giudiziarie dirette a recuperare valori commerciali molto ridotti in un arco di tempo abbastanza lungo durante il quale il capitale immobilizzato non rende niente e, anzi, genera un mare di spese, ecc. Per ricoprirsi le banche emettono obbligazioni o sottoscrivono derivati, ovvero comprano garanzie da altre banche che s’impegnano a ripianare le perdite (entro certi limiti) qualora i mutui del sottostante non vadano a buon fine. Anche i derivati quindi si basano a loro volta su una presunzione di rischio senza alcun fondamento verificato o verificabile… Spesso l’unica ratio è la scommessa che vada tutto bene, che l’evento negativo non si verifichi, un po’ come giocare alla roulette su una certa coppia di numeri. Gente che lavora con pezzi di carta dal valore molto dubbio o addirittura inconoscibile, secondo voi è gente seria? Non sono forse del tutto assimilabili ai giocatori incalliti dei casinò? Il gioco dei derivati infatti è esattamente come il risiko: tutti vincono, perde chi rimane col cerino in mano. Fino a che non si arriva all’evento negativo, al cigno nero, il gioco può andare avanti per parecchio tempo, ma non all’infinito. E per chi rimane col cerino in mano son dolori.

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IL PIANETA INDEBITATO

Ma cosa succede a monte? Qui il discorso si fa complesso. Lo Stato per pagare i debiti in scadenza emette nuove obbligazioni che per la maggior parte sono acquistate dalle banche con i denari presi a prestito dalla banca centrale. La banca centrale accetta come ‘collaterale’ (garanzia) gli stessi titoli di Stato che le banche comprano (così fa anche la BCE). Una sorta di comma 22 finanziario di Helleriana memoria: “Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo”. Ovverosia la Banca Centrale garantisce allo Stato la copertura delle obbligazioni emesse. Dopodiché rivende i titoli di Stato alle singole banche e agli altri istituti finanziari con un piccolo margine. Le banche, a loro volta, ne rivendono una quota al mercato retail, cioè ai singoli risparmiatori desiderosi d’investire i propri denari. Ma data l’enorme massa di titoli da collocare, gran parte di questi rimane nella loro pancia (in Italia oltre il 65 per cento). E poiché le banche italiane sono controllate dalle Fondazioni (costituite per lo più dalle stesse forze politiche che sono al governo del Paese) si potrebbe dire che lo Stato finanzia se stesso con il gioco delle tre carte (Ministero del Tesoro, Banca Centrale, sistema bancario). I soli soldi veri sono quelli dei singoli cittadini che comprano titoli. Quando l’economia ristagna, la Banca Centrale decide di aumentare la liquidità del sistema ricomprando dalle banche titoli di Stato e altre obbligazioni e azioni (anche di imprese private) da loro detenute. È questo il cosiddetto quantitative easing (la BCE inietta 65 miliardi di euro al mese). Un movimento di disponibilità virtuale di denaro fra gli stessi

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soggetti. Le banche avrebbero così più massa critica per erogare crediti al mercato. In realtà invece, a causa dell’economia depressa, le banche si guardano bene dall’erogare più crediti che, in tempi di stagnazione, rappresentano maggiori rischi (i debitori sono più fragili e pericolosi), oltre quelli che hanno già sul gobbo (crediti incagliati e sofferenze, ossia crediti pressoché irrecuperabili). La conseguenza è che, per fare profitti, le banche si rimettono a comprare titoli di Stato (comma 22), e il cerchio si chiude. Questo stato di cose ha diverse conseguenze. La prima è che in tal modo i mercati non sono più autonomi e liberi (come si vorrebbe far credere), ma sono pilotati dalle banche centrali che li manovrano attraverso le masse di liquidità disponibili e i rapporti di cambio fra le valute. La seconda conseguenza è che i bilanci delle banche e degli Stati sono essi stessi sempre più illeggibili e incomprensibili anche per gli addetti ai lavori. In altre parole, i bilanci come scritture contabili, essendo basati su titoli di debito il cui valore è instabile se non puramente aleatorio (in quanto dipende dalla probabilità o meno che il debito sia ripagato) sono quanto di più sibillino si possa analizzare. In particolar modo ciò vale per i bilanci di previsione, che sono fondati su proiezioni statistiche non verificabili, dato che a loro volta si basano sulla fiducia dei mercati, che può cambiare da un momento all’altro. Il che assimila molte previsioni degli economisti a quelle dei chiromanti. Nel frattempo gli scoperti di cassa sono reali e vengono sempre più coperti con nuovi debiti… una fiction nella fiction.

La finanza mondiale è un sistema di potere auto-referenziale di istituti finanziari che siedono al tavolo da gioco della roulette in un casinò esclusivo, tagliato fuori da ogni connessione con il mondo circostante. Le ‘monetÈ sono virtuali (la moneta circolante non è che una frazione dell’emissione totale dello Stato) esattamente come i bitcoin e le criptovalute che circolano su internet, solo che la stanza di compensazione non è né immediatamente visibile né compensata in tempo reale. Risiede nelle nebbiose memorie dei computer del FMI (Fondo Monetario Internazionale) e delle banche centrali dove, a ogni valuta nazionale, corrisponde (sempre nei computer) un certo ammontare di diritti di prelievo scritti in qualche computer collegato a qualche server in una cloud gestita da qualche colosso del digitale. Tutto qui: sotto non c’è niente. Il debitismo quindi non si basa più sui fondamenti della restituzione dei prestiti ricevuti, del ripagare i debiti contratti, pena la bancarotta, ma sulle promesse di accadimenti che si dovrebbero realizzare in futuro, di cui però non c’è alcuna certezza. In altre parole, ripagare i debiti è una pura opzione del possibile. Non essendo disponibili capitali reali per fare tutte le cose che si vogliono fare (o per impedire i fallimenti a catena), il sistema si è inventato il debitismo come strumento per andare avanti comunque con un capitale fittizio che di fatto non c’è, sperando che alla fine si trovi qualche soluzione. Una volta si chiamavano debiti abm (a babbo morto), ora hanno nomi altisonanti, ma la sostanza è la stessa.

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IL PIANETA INDEBITATO

Il debito sovrano di quasi tutti gli Stati del pianeta è aumentato fino a raggiungere il livello medio del 90-100 per cento del PIL, con punte oltre il 200 per cento. Per di più le scadenze si sono allungate fino a raggiungere addirittura i cent’anni. Ora è chiaro qual’è l’intento di un’operazione del genere. Se faccio un debito promettendo di pagare fra cent’ anni, significa che intanto mi scarico della responsabilità di restituirlo, perché sarà qualcun altro a farlo fra cent’anni pagando, forse, al mio posto. Ma a quel punto non c’è alcuna certezza di quanto in effetti il creditore potrà incassare, perché magari a quel tempo il ‘nominalÈ sarà diventato una cifra ridicola (causa inflazione), oppure una cifra colossale (causa svalutazioni a catena). Oppure il credito potrebbe volatizzarsi completamente a causa di mutamenti politici e sociali. Come si vede, siamo in pieno mondo virtuale dove si lavora con capitale inventato… In Italia, in questo campo, siamo storici maestri. Il nostro debito sovrano è al 136 per cento del PIL, e in continua crescita. Il che equivale, per capirsi, a quasi una volta e mezza di tutto ciò che tutti i cittadini italiani producono in un anno. I moderni bucanieri tengono in pugno intere nazioni per il semplice fatto che si è stabilito fra loro un rapporto perverso come tra il pusher e il drogato. Gli Stati, drogati dal debito, non possono fare a meno degli investitori-pusher che danno loro la forza e l’impunità per andare avanti. Basta che il pusher smetta di comprare obbligazioni (fornire droga) e lo Stato va in crisi di astinenza, comincia a dare i numeri (falsi) ed è disposto a tutto pur di ottenere una proroga, un’altra dose (vedi casi Argentina, Grecia, Venezuela, ecc.).

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Gli ordini di grandezza del debitismo sono stupefacenti. Non solo gli Stati, ma quasi tutte le società del mondo sono piene di debiti, così come quasi tutte le famiglie dei Paesi industrializzati. Il loro ammontare è incalcolabile, talmente enorme da essere fuori portata dell’immaginazione della gente normale, che non è più in grado di misurarne o immaginarne le dimensioni. Del resto, poiché non esiste più il denaro fisico, se non in misura marginale e irrilevante, il capitale stesso si è come vaporizzato. Esiste solo il denaro virtuale scritto nei computer. È facile costruirlo. Non si deve più coniare monete, stampare banconote e titoli di Stato: bastano poche righe nei computer. Milioni di miliardi vanno e vengono. Netto, pulito, efficiente. È così che il denaro è diventato una nuvola, qualcosa di leggero e impalpabile di cui nessuno riesce più a preoccuparsi veramente. Compriamo a credito, viviamo a credito, qual è il problema?

Lo sanno tutti. Non c’è la minima possibilità che siano ripagati. Che fine faranno quindi questi debiti? Esistono tre sole alternative: che vengano piano piano digeriti da una mostruosa inflazione galoppante, che le scadenze siano allungate a due/tre secoli, o che a un certo punto siano azzerati e si ricominci tutto da capo. Chi rimarrà col cerino in mano? La vita è un sogno, diceva Pedro Calderòn de la Barca. Andrea Sparvoli

Il problema è uno solo… Con questo escamotage governi e banchieri pensano di aver trovato il busillis per evitare di pagare i conti con soldi che non ci sono e di prolungare all’infinito i tempi della bancarotta. In pratica non fallisce più nessuno. Si continua ad aumentare il debito (virtuale). Nessuno paga il prezzo perché nessuno restituisce i prestiti ricevuti. Si aumenta la liquidità in circolazione, all’infinito. Niente sforzi, niente drammi, niente sacrifici. Da noi è diventato lo sport nazionale. Comuni, enti locali, imprese, famiglie, tutti indebitati fino al collo. Quando e come i debiti saranno ripagati? Mai…

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L’impresa responsabile

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MARCO VITALE APPROFONDISCI

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IL PIANETA INDEBITATO

Nel 2014 pubblicai un libretto dal titolo: “L’impresa responsabile. Nelle antiche radici il suo futuro” (con prefazione di Gianfranco Dioguardi e postfazione di Stefano Zamagni e Carlo Orlandini, Edizioni Studio Domenicano, ESD, pagg. 202). Questo testo sviluppava una Lectio Magistralis dal titolo. “L’Impresa come paradigma culturale dalle radici antiche”, tenuta in occasione del Premio Ghislieri alla carriera, attribuito all’autore il 9 ottobre 2014 dal Collegio Ghislieri di Pavia. Ho indugiato sull’origine di questo testo perché ciò aiuta a illustrarne la natura: in esso intendevo rappresentare una sintesi degli insegnamenti e riflessioni che avevo dedicato all’impresa negli ultimi quaranta anni. La mia sensazione nello scriverlo era che esso avrebbe rappresentato il mio contributo finale sul tema dell’impresa. Ma così non è stato per due motivi: il dono della buona salute che mi tiene ancora impegnato professionalmente, e la tumultuosa evoluzione e involuzione dei nostri tempi tormentati che chiamano a continui aggiornamenti anche sulle tematiche dell’impresa. Perciò svilupperò alcuni aggiornamenti sul tema dell’impresa responsabile. Il titolo del mio testo era ispirato da un bellissimo libro di Luciano Gallino intitolato: “L’Impresa irresponsabile” che conteneva questa definizione: “Si definisce irresponsabile un’impresa che al di

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là degli elementari obblighi di legge, suppone di non dover rispondere ad alcuna autorità pubblica o privata né all’opinione pubblica, in merito alle conseguenze in campo economico, sociale e ambientale delle sue attività”. A contrario io definivo responsabile l’impresa che sa di dover rispondere alle autorità pubbliche, e alla collettività in generale in merito alle conseguenze in campo economico, sociale e ambientale delle sue attività. E oggi aggiungerei: oltre che in campo culturale e politico. La mia tesi di sempre che sviluppavo anche nel libro è che l’impresa può essere un formidabile fattore di sviluppo socioeconomico e culturale. E altrettanto decisiva è l’economia imprenditoriale e di mercato. Negli ultimi decenni, invece, abbiamo assistito al rapido prevalere di una visione completamente opposta, quella dell’economia finanziaria e di rapina. Da questa è indispensabile liberarci. Per questo difficile ma essenziale compito è necessario riunire le forze di tutti gli uomini e le donne di buona volontà, convogliare energie, dottrine, esperienze, abbattendo muri che ci isolano e ci soffocano, come quelli tra macro e micro economia, cultura tecnica e cultura umanistica, conoscenza superspecialistica e conoscenza generale dell’uomo e della società. È necessario gettare ponti, ricercare ciò che unisce passato e futuro, passando attraverso un presente meno mediocre e vile di quello in cui ci aggiriamo


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disorientati e sgomenti. Come disse Karl Popper: “Noi possiamo fare qualcosa per il futuro. Forse possiamo fare poco, ma ciò che possiamo fare dobbiamo farlo”. Da allora (2014), e soprattutto negli ultimi anni, qualcosa è cambiata. L’economia finanziaria e di rapina resta ancora oggi il paradigma dominante, ma non è più incontrastato. Dalle molte crepe che si sono aperte nel sistema, filtrano voci nuove che si aggiungono ai pochi e flebili grilli parlanti del passato. Lo spazio a disposizione è troppo poco per sviluppare, in modo adeguato, questo concetto. Perciò non potrò procedere che per pochi esempi: “Society is demanding that companies, both public and private, serve a social purpose. To prosper over time, every company must not only deliver financial performance, but also show how it makes a positive contribution to society. 14


IL PIANETA INDEBITATO

Companies must benefit all of their stakeholders, including shareholders, employees, customers, and the communities in which they operate”. Questa frase, che demolisce la dottrina del “shareholder value”, la più distruttiva dottrina manageriale degli ultimi cinquant’anni, non è di Luciano Gallino, né di Marco Vitale, né di Papa Francesco. E’ di Larry Fink, CEO di Blackrock, il più grande fondo di investimento del mondo. Qualcosa sta cambiando! All’apertura dell’ultimo Forum di Davos (tradizionalmente la Superuniversità dell’economia di rapina) quest’anno si è partiti dal concetto nuovo di “Qualitative Easing” nel campo manageriale. Il fondatore di Davos, Klaus Schwab, ha sottolineato la necessità di una “Qualitative Easing” per rispondere alle sfide di un mondo in rapido cambiamento, assegnando la responsabilità di trovare queste nuove soluzioni alle imprese e agli imprenditori. Schwab ha detto che impresa e imprenditori hanno la capacità di influenza e l’interesse ad “aggiustare” un contratto sociale che si è rotto. “Dobbiamo assicurarci – ha affermato – che la quarta rivoluzione industriale si sviluppi con l’umanità al centro e non solo con la tecnologia”. Veramente qualcosa sta cambiando! Potrei produrre parecchi altri esempi nella stessa direzione ma mi limiterò ad una ultima riflessione relativa al nostro Paese. Io incontro continuamente ed in misura crescente imprese di qualità, merito del nostro nuovo o quarto capitalismo, che si muovono secondo un paradigma dove l’uomo, la conoscenza, la meritocrazia, l’onestà e non la rapina, sono al centro. Imprese che io definisco olivettiane ed alle quali raccomando di non farsi sopraffare dall’americanismo. Esse rappresentano il nerbo del nostro sistema produttivo e insieme la nostra speranza. Ma devono capire che non possono percorrere gli antichi sentieri che hanno portato il grande capitalismo italiano ad una sconfitta storica e, nel 2008, alla crisi del capitalismo americano, bensì 15

percorrere sentieri nuovi e insieme antichi (come ho cercato di illustrare nel mio libretto sull’Impresa Responsabile). La società chiede loro un grande salto di qualità sul fronte culturale e della responsabilità collettiva. Può sembrare strano chiedere questo grande salto di qualità ad imprese già impegnate in tanti difficile fronti, in una giornata ( come quella dell’8 maggio 2019) in cui i giornali ci raccontano di una grande retata di corrotti, corruttori e complici della malavita organizzata a Milano (95 indagati, 48 arresti), di indagini per tangenti a Catanzaro (20 imputati) ed a Palermo (14 imputati di cui 4 arresti), in cui viene revocato un sottosegretario del governo per sospetta corruzione e vicinanza ad ambienti mafiosi, in cui una regione una volta pulita come l’Umbria è travolta da uno scandalo sanitario di proporzioni colossali. Eppure, anche proprio per questo chiediamo alle imprese un salto di qualità per distinguersi da questi pseudo – imprenditori, primari operatori di corruzione e collusione con la feccia (tragicamente maggioritaria) della politica, per riuscire a difendere il concetto stesso di impresa e di mercato come fattore di sviluppo. Ma, ancora una volta, il silenzio di quelle voci che dovrebbero rappresentare e difendere l’impresa come fondamentale soggetto di sviluppo è spettrale, impressionante e scoraggiante. Marco Vitale


Pensiero debole: problema per la nostra democrazia?

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In linea di principio ognuno di noi è connesso con ogni altro cittadino del mondo. Di fatto, ci sono ancora non poche lacune nella rete; ma viene spontaneo pensare che col tempo verranno colmate, sicché ciascuno su questa Terra potrà infine cogliere «l’occasione» offerta dalla connessione globale – come ha osservato il filosofo Luciano Floridi nel suo stimolante volume La quarta rivoluzione (Raffaello Cortina Editore, Milano 2017). Un’occasione preziosa per cambiare in meglio le nostre vite: dal nostro benessere alla salvaguardia dell’ambiente, dalla protezione delle varie specie vegetali e animali alla crescita di conoscenza scientifica diffusa. E molto altro si potrebbe aggiungere. Le grandi conquiste tecnologiche, però, hanno sempre un loro prezzo. Prendiamo, come esempio, la facilità con cui la rete ci consente di assumere differenti identità. A prima vista non ci pare affatto un male; anzi, ci libera da alcune nostre caratteristiche che forse ci 17

GIULIO GIORELLO APPROFONDISCI

sono venute a noia e ci dà la sensazione di una felice «evasione». Ma riflettiamoci per qualche istante: da cosa, in realtà, stiamo fuggendo? Proprio da quello che siamo, che costituisce non solo l’immagine che gli altri hanno di noi ma anche quella che abbiamo di noi stessi. Così ci siamo negati la possibilità di essere persone responsabili, consegnandoci a una sorta di impalpabile evanescenza. Dubito che ciò ci possa portare non dico a una sorta di felicità ma nemmeno a una condizione di duratura serenità. Questa consiste nel dichiarare, quando è il caso, le proprie vere opinioni e nel rivendicarne la correttezza, correndo il rischio che esse vengano criticate. Ma questo è forse un male? Niente affatto: la critica è anch’essa un’occasione. Da saper cogliere. E qui sta il punto. Quelle misture di grossolane condanne e di scatenati insulti che fin troppo spesso si ritrovano in rete non sono delle


critiche che sul lungo periodo possono giovare ad almeno una delle parti in causa consentendo un salutare approfondimento delle idee in discussione; sono, nel migliore dei casi, degli sfoghi di individui repressi che mostrano come la perdita dell’obbiettività sia segno di una condizione esistenziale profondamente infelice. Peraltro, mi è capitato di percepire sempre più da parte degli stessi esperti della comunicazione in rete la preoccupazione che l’aumento della connessione porti alla riduzione, anche drastica, dello spirito critico. Ciò a causa di un meccanismo di ipersemplificazione che torna in rete a dividere nettamente quelli con noi da tutti gli altri (che non essendo con noi possono fin troppo facilmente apparire contro di noi) e a privilegiare i primi rispetto ai secondi. Paradossalmente, la maggior connessione funziona da forte mezzo di isolamento. Ciò comporta un cambiamento del clima sociale delle nostre società; secondo una recente ricerca il nostro livello di empatia – ossia la capacità di mettersi nei panni dell’altro – è sceso del 48% tra il 1979 e il 2009. Va cercata qui la vera radice di quel cattivismo che vediamo spuntare da tutte le parti e che è il risultato di quella disabitudine alla ricca ed impegnativa complessità della relazione umana, ampliata dalla polverizzazione della famiglia che non è più la palestra primaria dove si impara a convivere con gli altri. Personalmente, poi, non ho nulla contro il consenso. Ma resto convinto che un accordo ricco di contenuti e prospettive si possa costruire solo con la proliferazione di punti di vista rivali. Detto con altre parole: il consenso (non oppressivo) si forma attraverso il dissenso (non intollerante). Questa è stata, per altro, la

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lezione dell’impresa tecnico-scientifica: basti pensare alla cosmologia eliocentrica di Niccolò Copernico che non esitò ad andare contro a quella geocentrica di Claudio Tolomeo; alla fisica di Galileo Galilei che si oppose risolutamente alla tradizione aristotelica; all’astronomia di Giovanni Keplero che escogitò orbite non circolari ma ellittiche per i pianeti orbitanti intorno al Sole (e in questo non venne seguito da Galileo); a Isaac Newton e alla sua potente sintesi di meccanica celeste e terrestre realizzata grazie alla sua legge della gravitazione universale. Per non dire di quel che avvenne nel Novecento con la teoria della relatività di Einstein e con la fisica dei quanti. Né ciò vale esclusivamente per la fisica. Vi ricordate di quel Charles Robert Darwin che, imbarcatosi sul Beagle ancora convinto della immutabilità delle specie animali e vegetali, dopo quel suo viaggio intorno al mondo era ritornato in Inghilterra convinto che queste

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mutassero nel tempo, in modo graduale? Diceva che si sentiva come «uno che avesse commesso un assassinio» ; ma non per questo aveva smesso di cercare prove per le sue nuove idee. La sua Origine delle specie (1859) doveva sembrare ai conformisti del suo tempo poco meno di una bestemmia. Loro – quei conformisti – costituivano una larghissima maggioranza! Ma non per questo la loro unanimità era una prova per la concezione tradizionale, né tantomeno un buon motivo per condannare Darwin. L’idea per cui quel che crede la maggioranza sia per ciò stesso vero rischia sempre di tradursi a livello pratico in una sorta di tirannide. Ancor più pericolosa perché quella maggioritaria pare meno vulnerabile del dispotismo di un sovrano o di una consorteria di aristocratici. Per evitare il pernicioso equivoco di scambiare la dittatura della maggioranza per democrazia occorre per prima cosa il coraggio dell’atteggiamento critico (che, ovviamente, deve trovare le sue legittime forme di autorganizzazione). Occorre (ri)aprire la Società al senso critico; affrancare la libertà mortificata da opprimenti conformismi, burocrazie, superficialità, evanescenze intellettuali e messa in pericolo da livelli insostenibilmente bassi di competenza, ad iniziare da quella politica. Proprio tutto quello che nei social sembra disperatamente assente. Giulio Giorello


Intervista a Riccardo Barberis

APPROFONDISCI

Amministratore Delegato di Manpower Group Italia

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1. Dottor Barberis, dalla sua torre di osservazione che proiezione può fare sull’evoluzione del mondo del lavoro in Italia nei prossimi 2 anni? Siamo in una fase di forte discontinuità dalla quale, però, siamo convinti si possa passare a uno scenario positivo, cioè di maggiore crescita e sviluppo, a patto che si intraprenda la strada giusta, che è quella di una maggiore flessibilità, di attenzione costante alla formazione e, in particolare, dell’upskilling, cioè alla riqualificazione delle competenze in linea con quello che chiede il mercato. Parliamo sia delle hard skills, di cui l’Industria 4.0 e la rivoluzione tecnologica necessitano, sia delle soft skills, le competenze trasversali che oggi 20


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sono sempre più importanti per essere al passo coi cambiamenti continui del mondo del lavoro. 2. Secondo lei lo Stato come dovrebbe incentivare il lavoro? Quali leve andrebbero azionate per favorire la tendenza verso la piena occupazione? Con Assolavoro abbiamo sempre cercato un confronto con il Governo con l’obiettivo di rivedere quelle parti del Decreto Dignità che stanno portando a un irrigidimento del mercato del lavoro invece che a una maggiore flessibilità. Vi è poi il tema di avvicinare il mondo della scuola a quello del lavoro. Su questo fronte ci sono già alcune iniziative con grandi potenzialità, come il modello di alternanza scuola-lavoro, che ha il compito di avvicinare la scuola al mondo delle imprese, favorendone così l’accesso per le nuove generazioni. All’estero è un modello che funziona bene; anche noi dobbiamo individuare le giuste sinergie e meccanismi che lo rendano virtuoso pure in Italia. È inoltre fondamentale agevolare e incentivare le politiche attive del lavoro 21

piuttosto che quelle passive. 3. Da una parte è quindi necessario favorire politiche occupazionali e opportunità di apprendimento continuo perché chi è più debole non resti indietro, dall’altra ci sono aziende che non trovano i profili specializzati che cercano. Industria 4.0 è la vera rivoluzione per il settore industriale, che richiede però specifiche competenze spesso difficili da reperire sul mercato. Come si può ovviare a questo gap tra domanda e offerta? Il nostro Talent Shortage, la nostra ricerca sulla difficoltà nel reperire le risorse, evidenzia che il 45% di aziende nel mondo e il 37% di quelle italiane lamentano questo problema. L’Industria 4.0 in particolare ha necessità continua di inserire profili specializzati e offre infinite opportunità di carriera in quelle che sono considerate le discipline del futuro: big data analytics, machine learning, deep learning che, se da un lato costituiscono le principali tendenze, dall’altro sono tra i settori più a rischio per il divario tra domanda e offerta di esperti. A colmare questa carenza di professionisti, l’idea di ManpowerGroup è stata


il “fabbricarsi in casa” gli esperti di domani, iniettando competenze nel mercato attraverso una formazione realizzata strettamente sulla base delle esigenze delle Aziende e insieme alle Aziende stesse che ne diventano Partner. È quello che stiamo facendo con le nostre Academy, Manpower Academy per i distretti produttivi industriali del Made in Italy ed Experis Academy per i settori ad altissimo sviluppo tecnologico come ICT, Robotica, Meccatronica. Per citare alcune di queste opportunità, Experis Academy offre sia corsi di formazione gratuita sia master di alta formazione in Cyber Security, Blockchain e Deep Learning, mettendo in aula i responsabili tecnici delle più prestigiose aziende di settore nelle vesti di docenti per formare e riqualificare i professionisti che il mercato richiede. 4. Relativamente alla qualità del matching tra domanda e offerta ci può raccontare quale è la vostra best practice per arrivare a presentare all’Azienda che vi chiede nuove risorse quelle migliori e più idonee rispetto alla richiesta?

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Per quanto riguarda le hard skills ho già risposto nella domanda precedente: le Academy ManpowerGroup sono le nostre best practice per la “costruzione” di veri e propri percorsi di carriera per le persone e soluzioni per le aziende al problema della mancanza di talenti. Per quanto riguarda le soft skills e in parte le hard skills, oggi per un incontro centrato tra domanda e offerta dobbiamo avvalerci degli strumenti tecnologici in continua evoluzione, come gli assessment. Entro il 2030 infatti come cita la nostra ricerca Humans Wanted: Robots need you - la richiesta di soft skill sociali ed emotive aumenterà del 22% in Europa. Per questo motivo, soluzioni che prevedono l’utilizzo di strumenti quali assessment, big data e analisi predittiva della performance per definire le competenze complementari, identificare i punti di forza e aiutare le persone a costruire un percorso professionale più chiaro, diventano oggi tassello fondamentale nella Talent Strategy delle aziende. ManpowerGroup in Italia ha lanciato Manpower Assessment Lab, guidato da un team dedicato di psicologi ed esperti del lavoro in tutto il territorio nazionale, con la prospettiva di combinare le hard skills (competenze tecniche) con quelle trasversali (soft skills) attraverso processi di valutazione personalizzati delle soft skills condotti con Assessment di gruppo e individuali. 5. Se lei avesse un figlio di 18 anni neodiplomato cosa gli consiglierebbe di fare o come gli consiglierebbe di comportarsi affinché il suo futuro professionale possa rivelarsi di successo? Quello che consiglio già a mio figlio, che è vicino a quell’età, è di approfittare di ogni possibile strumento e modalità per approfondire la consapevolezza delle proprie attitudini e capacità, cioè individuare fin dagli inizi le

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IL PIANETA INDEBITATO

proprie passioni e il proprio «talento» potenziale. Bisogna poi darsi obiettivi il più possibile precisi e step intermedi per raggiungerli, e sviluppare in ogni modo l’attitudine alla learnability, cioè all’apprendimento continuo. Una parte molto importante di questo apprendimento e delle soft skills citate è l’atteggiamento verso l’errore: non bisogna avere paura di sbagliare, l’errore ci rende consapevoli di cosa è necessario cambiare e questo significa essere in grado poi di prendere un’altra strada. L’errore non va visto come una sconfitta ma come un’esperienza: non si perde mai, o si vince o si impara. Stare sempre nella stessa azienda lamentandosi di non avere opportunità di crescita è un vecchio modello; oggi la responsabilità individuale è al centro nelle organizzazioni. Per quel che riguarda le scelte concrete del percorso di studi, vi è un riscontro oggettivo dato dal fatto che oggi il mercato del lavoro richiede sempre di più competenze tecnicoscientifiche, le cosiddette STEM, sciencetechnology-engineering-mathematics, che andrebbero maggiormente incentivate e promosse anche se, naturalmente, sono poi le persone a dovere fare la scelta in base alle rispettive passioni e inclinazioni che sono al primo posto. Accanto all’aspetto formativo poi hanno molto peso le esperienze complementari come quelle all’estero, essere pronti a lavorare su singoli progetti in un atteggiamento di continua evoluzione e orientamento all’apprendimento continuo. Intervista a cura di Fabrizio Favini. Si ringrazia Andrea Galdabino per la collaborazione.

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AUTORI ANDREA SPARVOLI Dopo studi in

di cui è direttore.

alla multinazionale

community italiana e

gennaio 2007 viene

giurisprudenza e

È il primo esempio

francese Havas.

internazionale, tanto

acquistata dal gruppo

lunghi soggiorni a

in Europa di free

Sparvoli resta direttore

da diventare una delle

Il Sole 24Ore; Sparvoli

Londra e Parigi, inizia

press con formato

fino 1994 quando

quattro fonti ufficiali

lascia la direzione

l’attività nell’editoria

tabloid a colori che

fonda Editoriale Quasar

italiane di Reuters.

alla fine dell’anno

come traduttore per

raggiunge la tiratura

e il mensile Mark

Nel 2000 la società

e inizia l’attività di

il Reader’s Digest e

di oltre 300.000

Up, specializzato in

editrice viene acquisita

consulenza strategica

l’attività giornalistica

copie certificate,

economia, marketing

per il 51% da Seat

per la comunicazione

come free lance con

diventando così uno

e canali distributivi, di

Pagine Gialle che entra

d’impresa.

riviste e giornali in

dei più importanti

cui è direttore. In breve

a far parte di Telecom

diversi settori.

fenomeni editoriali

la rivista diventa un

Italia Media, sempre

Nel 1979 fonda il

dell’epoca. Nel 1990

punto di riferimento

sotto la direzione

mensile Bargiornale

la società viene ceduta

nella business

di Sparvoli. Nel

img: marziobonferroni.it

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MARCO VITALE Economista d’impresa.

Arthur Andersen

È stato Vice presidente

Milano, Commissario

nelle Piccole e Medie

Ha svolto intensa

è socio fondatore

e membro del Comitato

dell’Ospedale Policlinico

Imprese, costituito da

attività professionale

e presidente della

Esecutivo della Banca

di Milano, Presidente

Tesoro, Confindustria,

e didattica presso le

Vitale – Zane & Co. srl

Popolare di Milano.

delle Ferrovie Nord. È

ABI, Cassa Depositi e

Università di Pavia,

(società di consulenza

Ha rivestito anche

consigliere FAI e della

Prestiti e le tre maggiori

Bocconi, Libera

di alta direzione)

numerosi ed importanti

Fondazione Adriano

banche italiane.

Università Carlo

nell’ambito della

incarichi pubblici

Olivetti. Da marzo 2010

È collaboratore di

Cattaneo LIUC e la

quale è consulente

tra i quali quelli di

a luglio 2013 è stato

importanti giornali ed

scuola di management

ed amministratore di

Assessore all’economia

Presidente del Fondo

ha pubblicato numerosi

ISTAO. Già socio

importanti società.

del Comune di

Italiano d’Investimento

libri.

img: gianniferrario.com

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AUTORI GIULIO GIORELLO Giulio Giorello è un

presso l’Università

di Scienze presso

Filosofia della Scienza

della Lettura del

filosofo, accademico

di Pavia (1971). Ha

l’Università degli Studi

presso l’Università

Corriere della Sera.

ed epistemologo

quindi insegnato

di Catania, a quella

degli Studi di Milano.

Ha vinto la IV edizione

italiano. Ha conseguito

Geometria presso la

di Scienze naturali

Dirige, presso l’editore

del Premio nazionale

la laurea in filosofia

Facoltà di Ingegneria

presso l’Università

Raffaello Cortina di

Frascati Filosofia 2012.

presso l’Università

dell’Università degli

dell’Insubria e al

Milano, la collana

degli Studi di Milano

studi di Pavia, per poi

Politecnico di Milano.

Scienza e Idee e

(1968), e in matematica

passare alla Facoltà

Attualmente insegna

collabora alle pagine

img: bibazz.it

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RICCARDO BARBERIS Da gennaio 2018 è il

lavoro sul mercato

diversi programmi di

internazionali in

settore che raggruppa

nuovo Amministratore

italiano. 49 anni, parla

management presso

ManpowerGroup, dove

le agenzie del lavoro

Delegato di

fluentemente cinque

INSEAD. Executive

ha operato sin dalla sua

operanti sul territorio

ManpowerGroup

lingue, è sposato e ha

Manager con oltre 20

start-up nel 1998.

italiano.

Italia, società leader

tre figli, ha conseguito

anni di esperienza nel

Barberis è, attualmente,

nei servizi innovativi

l’Executive MBA alla

settore risorse umane,

Vice-Presidente

di gestione delle

Bocconi di Milano

Barberis ha ricoperto

di Assolavoro,

risorse umane e del

e ha partecipato a

diversi incarichi

l’associazione del

img: primaonline.it

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DIDA

La cittĂ che sale Umberto Boccioni 1910-1911

img: wikipedia.org

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MANIFESTO Perché Rivoluzione Positiva? Un nuovo Magazine On Line: conoscenza, innovazione, produttività. Con l’enorme disponibilità di informazioni, resa possibile dalla tecnologia, la nostra

vita è diventata molto più veloce e molto più distratta. Abbiamo creato i presupposti per cui il nostro cervello è meno preciso, fatica di più a concentrarsi. Perdiamo il focus attentivo sui problemi, divaghiamo

mentalmente, siamo intermittenti e discontinui nel nostro modo di pensare e, quindi, nel nostro comportamento. Siamo passanti frettolosi e distratti la cui soglia di attenzione dura 8 secondi; siamo meno

concentrati dei pesci rossi che arrivano a 9, ci dicono gli esperti. Siamo diventati bulimici di informazioni, emozioni, immagini, collegamenti, suoni. Divoriamo il tutto in superficie senza gustare,

approfondire, riflettere. Oggi chi non si ferma a guardare non vede; chi non si ferma a pensare non pensa. Riscopriamo allora il piacere - o la necessità - di riflettere, di pensare, di soffermarci per

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capire meglio dove stiamo andando per essere piĂš consapevoli del nostro tempo, complesso e complicato, e del nostro ruolo, umano, sociale e professionale. Se condividete

queste nostre riflessioni, siete invitati a partecipare ad una iniziativa virtuosa resa possibile dalla combinazione dei saperi e delle esperienze umane e professionali di un manipolo di

Pensatori Positivi, profondi, competenti e sensibili interpreti del nostro tempo, che hanno deciso di contribuire a questo Progetto. Ad essi si uniscono autorevoli Testimoni Positivi. A tutti loro il nostro grazie! di cuore.

Il Comitato di Redazione: Fabrizio Favini Gianni Ferrario Marzio Bonferroni Andrea Sparvoli

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NEL PROSSIMO NUMERO:

Fabrizio Favini – Emoziona se vuoi che le persone cambino. Parte II Giuseppe Valditara – Stato della Ricerca in Italia Roberto Cingolani – Tecnologie per la sostenibilità Corrado Passera – Intervista

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CHI DESIDERA ISCRIVERSI AL MAGAZINE È PREGATO DI ACCEDERE A WWW.RIVOLUZIONEPOSITIVA.COM

Ci danno il loro supporto: Deltavalore Progetti per l’innovazione del comportamento mobile 335.6052212 fabrizio.favini@fastwebnet.it

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Tamberlow Applicazioni web based mobile 329-2115448 tommasocrippa@tamberlow.com


Il profitto è il risultato dello sviluppo delle persone - afferma da sempre Tom Peters. E numerose ricerche nel campo delle neuroscienze hanno da tempo assodato che esiste una diretta correlazione tra collaboratori soddisfatti ed elevate performance professionali. Oggi il collaboratore non è più parte fungibile di un processo autistico, ma dai suoi comportamenti e dalle sue decisioni dipendono i risultati del business. L’ingaggio tra l’azienda e il collaboratore non si fonda più sulle basi concordate storicamente. Anche perché oggi le aziende chiedono una disponibilità totale, che va ben oltre l’orario e il luogo di lavoro. Il libro è principalmente rivolto a quei manager che si trovano a gestire risorse umane e che sono decisi a farlo al meglio della loro condizione, consapevoli che quello che serve alle loro aziende è di riuscire ad orientare i comportamenti collettivi dei collaboratori sugli obiettivi in un contesto di confusione e turbolenza, non dimenticando che le persone sono molto più veloci delle aziende, soprattutto mai come adesso.

CONTATTI fabrizio.favini@fastwebnet.it www.fabriziofavini.it


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