Diecicento n2 marzo2018 web

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a mezzanotte, sí… sto scrivendo una lettera. Certo. A un amico. La notte di capodanno. E sto flirtando con quella baldracca della memoria. E il risultato è di un malinconico, di un sentimentale…sa di finto, di un premeditato umano che farebbe rivoltare Bird, Trane, Bean, Pres, Dizzy, Monk e Miles nella fossa. Jazz freddo. “The real thing”. Really. Mancano pochi minuti a mezzanotte e ho preso tutte le medicine. Cerco di non sgarrare. Soprattutto la notte di Capodanno che è a rischio, per quelli come noi che sono stati a Collegno, anche solo per fare una jam.

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A me non piace scrivere, non più di quanto mi piaccia vivere. Fai tu i conti, se ti riesce. E non mi piace ricordare. Perché è come gettare una rete in mare, tirarla su e accorgersi con orrore che per un pesce argentato che si torce agonizzante, ho guastato la pace mia e di quintali di detriti, alcuni dei quali di nobili tradizioni, come lo scarpone a fauci spalancate, il barattolo arrugginito, bottiglie scolate, ossi di seppia melmosi e persino qualche venefica tibia con teschio. Ecco Charlie cosa pescano quelli come noi, che sono stati a Collegno. E non per visitare la Certosa. Non da pellegrini. Ma da penitenti. Però Carluccio non mi freghi. Mi hai fatto stare sveglio ad aspettare mezzanotte, mi hai spinto a scrivere, mi hai strappato la parola “amico”, ma non riuscirai a commuovermi, non riuscirai a convincermi.

marzo 2018

Solo perché hai cercato un’altra volta di morire? Embé? Ho avuto altri amici e dico amici riferendomi a prima… prima del litio, prima di tutto questo casino. Prima di te. Ho avuto altri amici che non avendo mai cercato in vita loro la morte si sono fatti cogliere di sorpresa, al primo colpo. E si credevano ben protetti dietro sentimenti, passioni, affetti, simpatie, progetti, speranze, proclami. Niente da fare. Corde che non reggono, legami che non tengono, pretesti che non bastano. Neanche la morte ci degna. Lei cerca gli eroi: belli, giovani e forti. Noi siamo già morti. Non bastano cinquanta compresse di Cantor. Ci vuole qualcosa di più appetibile per ingolosire la Signora: trionfi, aitanza fisica, promesse

di gloria, buone azioni. Voglia di vivere, debiti, figli, amori. Innocenza. Vita. Sì, me l’ha detto, Bacigalupo, il portiere dell’ospedale, che è la quarta volta che lo fai, dall’82. È un raptus biennale, Carluccio? Non mi indurrai in commozione. Cosa credi? Che spenda centottantamilalire in ansiolitici, antidepressivi, litio e sonniferi per poi mettermi a piangere per un vecchio vicino di letto cui ogni due anni si scaricano le pile? Un vecchio coglione grasso che tenta la scorciatoia al di là della vita, invece che incolonnarsi sulla strada che gli passa attraverso? Cazzi tuoi, ti dicevo, ti ricordi Charlie, cazzi tuoi, ti dicevo. Cazzi tuoi, ti ripeto oggi, cazzi miei, aggiungo. Cazzi nostri, Carluccio, di quelli come noi. Lo sai Charlie, io ti parlo così perché noi sottoscrivemmo il patto, no? Eravamo al Palasport di Parco Ruffini, a sentire Don Cherry. Tra noi esiste il patto. Scusa il tono. Se mi contraddico. Scusa se uso l’osceno verbo “ricordare”, ma so di poterlo fare. Perché giurasti anche tu, neh? Eravamo allo “Swing”, al concerto di Steve Lacy. Keep’em cool! Il patto: freddi, distaccati e liberi, signori del ritmo, del suono e del significato. Eravamo in via Roma, traffico bloccato per lasciare sfilare la Eagle Band, arrivata apposta da New Orleans. Eravamo con la Cooperativa Contromusica, con Sergio Ramella, che telefonava a Benny Carter. Eravamo a un “Punto verde”. Era estate. Cazzo, ma dove eravamo Charlie? A che punto siamo rimasti? E perché? Conoscendoti, non ci voleva molto a capire perché un jazzista più che mediocre non poteva non essere schizofrenico. “Vuoi mangiare qualcosa, Carluccio?”. Ti chiedeva Ballarin II (in realtà si chiamava Testa, ma per te diventava “Bistecca”, “Bisteccarello”, “Bisteccarello I” o “Bisteccarello IV”,


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