Maggio 2016

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STORIA & CULTURA

Gli antichi mestieri del Trentino

5 - 2016

© Archivio Castello del Buonconsiglio

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Piccolo viaggio nelle valli alla ricerca di attività artigianali peculiari di alcune località, ormai tramontate perché non più richieste o perché superate dall’introduzione di nuovi materiali o di più moderne tecniche di lavorazione

© Archivio Castello del Buonconsiglio

li artisti medievali per rappresentare simbolicamente il ciclo dei mesi raffiguravano contadini impegnati nei lavori dei campi e artigiani alle prese con gli strumenti del proprio mestiere. È celebre il ciclo dei mesi dipinto sulle pareti della Torre Aquila nel castello del Buonconsiglio in Trento: sono affreschi realizzati - nello stile del gotico internazionale - sul finire del trecento dal maestro Venceslao per il Principe-vescovo del tempo, Giorgio di Licthenstein. L’artista associa ad ogni mese gli svaghi di corte dei nobili e i lavori dei contadini e degli artigiani collegati al trascorrere delle stagioni. Giuseppe Sebesta, etnografo e fondatore del Museo degli usi e costumi della gente trentina di San Michele all’Adige, in un suo studio pubblicato nel 1996 (“Il lavoro dell’uomo nel ciclo dei mesi di Torre Aquila”) ha esaminato a fondo le occupazioni descritte con dovizia di particolari dal pittore e di ogni mestiere illustrato ha analizzato caratteristiche, strumenti e processi. Appare in proposito sorprendente la continuità fino alle soglie della età moderna, e anche oltre, delle modalità di produzione e delle forme degli attrezzi di lavoro. I mestieri, però, a seconda delle epoche e dei luoghi, sono stati considerati con sensibilità differenti. Nella visione feudale erano intesi come compiti propri del ceto servile, mentre nell’ottica dei borghi mercantili apparivano essere espressione di autonomia e autopromozione economica e sociale. E se nelle città medievali si andavano affermando corporazioni o, come in Trentino, confraternite di mestiere e si destinavano pubbliche piazze al mercato, nelle campagne e nelle zone montane, permaneva un’economia chiusa dove i contadini producevano da sé o con l’aiuto di membri della loro ristretta comunità gli strumenti per il lavoro nei campi, per l’allevamento del bestiame, per la trasformazione e la conservazione del cibo e per la fabbricazione degli indumenti, mentre si avvalevano dei venditori ambulanti per le necessità cui non potevano provvedere in proprio. Oggi ci avvolge un senso di

familiarità e nostalgia quando visitiamo uno dei musei etnografici del Trentino o percorriamo uno dei suoi sentieri dedicati ai vecchi mestieri: se anziani, ricordiamo gli scenari di vita della nostra infanzia e, se giovani, scopriamo le logiche di una vita semplice, ma ingegnosa nel procurarsi da sé il necessario. Grazie alla conservazione di vecchi impianti come segherie, fucine e molini e alla esposizione museale di strumenti di lavoro possiamo conoscere la vita e gli usi dei tempi andati, scoprire le nostre radici identitarie e riassaporare, ora che il lavoro è spesso mediato da strumentazioni automatiche, il gusto della manualità. Prima dell’avvento delle fabbriche con le lavorazioni a macchina e le produzioni in serie e quando contavano solo l’inge-

gno pratico e l’abilità manuale del’«operatore», per esercitare un mestiere per prima cosa occorreva disporre di materie prime: pietre, legno, metalli… e di fonti di energia naturale: acqua, fuoco, vento…; quindi bisognava conoscere i modi, i luoghi, i gesti e i tempi per la realizzazione dei manufatti da eseguire appunto a “regola d’arte”; infine i prodotti realizzati, mai identici tra loro, dovevano essere adeguati, secondo un processo di continuo miglioramento, alle necessità d’uso richieste. La memoria degli antichi mestieri ricorre nei cognomi di famiglia tuttora diffusi in Trentino come nel caso delle famiglie Calliari, Scarperi, Tessari, Sartori, Segantini, Marangoni, Ferrari, Magnani, Cestari, Parolari, Garbari (conciapelli), Pellizzari,

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Molinari, Vettori... Tralasciando di richiamare qui i tanti mestieri legati alle necessità quotidiane che un tempo venivano esercitati ovunque, è possibile tracciare un itinerario nel Trentino alla ricerca di attività artigianali peculiari di alcune località, ormai tramontate perché non più richieste o perché superate causa l’introduzione di nuovi materiali o di più moderne tecniche di lavorazione. Possiamo partire nel nostro immaginario giro dalla valle di Non dove, a Taio, nell’Ottocento furono avviati laboratori per la fabbricazione di manici da frusta con il legno di bagolaro, che veniva importato dal Veneto. I prodotti dei “mastri frustai” di Taio erano molto apprezzati all’estero e furono commercializzati con grande successo fino agli anni Venti del millenovecento. Sempre in valle di Non, a Sfruz, lo sfruttamento delle cave di argilla dei dintorni e la tecnica di ceramisti faentini immigrati nel paese favorirono fin dal XVI secolo l’impianto di fabbriche di stufe ad olle. L’impronta dei maestri “fornelari” si espresse nel settecento nella creazione e nella diffusione di un modello di stufa caratteristico per le sue decorazioni , ma soprattutto per il suo inimitabile colore detto appunto “verde sfruz”. LAVORAZIONE DELLA SETA E DEL TABACCO

La coltura del gelso e l’allevamento del baco da seta era presente in molte località trentine non esclusa la valle di Non, ma erano particolarmente diffusi nella Vallagarina. Fu un veneziano, tale Girolamo Savioli, a introdurre a Rovereto la lavorazione della seta che ebbe il suo massimo sviluppo nel settecento e decadde definitivamente negli anni settanta del milleottocento sia per la pebrina, malattia del baco da seta, sia per una crisi creditizia e di mercato. Vi sono evidenti tracce dei molti filatoi esistenti nella città di Rovereto, ma particolarmente suggestivo è il filatoio costruito nel 1802 e già proprietà della nobile famiglia Marzani che si trova a Piazzo di Villa Lagarina.


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