dedicato a tutti coloro i quali, dal 1960 ad oggi, in tempi e modi diversi, ma sempre con sinceritĂ , hanno scritto di me Riccardo Saldarelli
ringraziamenti Graziella e Stefano Saldarelli Giuseppina Maria Celeste Francesca Morana Desiderio Pinai Annetta Sannitu Lapo Ferrarrese Samuele
“musino” dalla cartella di nove serigrafie “incontri” 1980
RICCARDO SALDARELLI PRIMO COMPENDIO 2004 II vol.DOCUMENTI © 2004 Arno Art Agency Edizioni, Firenze Arno Art Agency (A.A.A.) s.r.l. Piazza Pietro Leopoldo, 11 50134 Firenze www.arnoartagency.it © RICCARDO SALDARELLI www.bottega2000.it/saldarelli I diritti di riproduzione e traduzione sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere usata, riprodotta o diffusa con un mezzo qualsiasi senza autorizzazione scritta dell’autore. Digital data art, progetto grafico, elaborazioni immagini e impaginazione, per Arno Art Agency (A.A.A.) s.r.l., Giuseppina Maria Celeste e Stefano Saldarelli Consulenza stampa digitale Lapo Ferrarese ISBN 88-88970-02-9
Riccardo Saldarelli al lavoro nel suo studio di Firenze 1960 prima di copertina: “autoritratto” seppia su pergamena 1964 quarta di copertina: “Via Crucis” particolare dell’affresco nel Santuario della Madonna delle Grazie a Caprese Michelangelo 1983
hanno scritto Grazia Ambrosi Tadolini ………………………………………………... Danilo Andrioli ………………………………………………………….. Gabriella Bairo Puccetti ………………………………………………… Paolo Baracchi …………………………………………………………... Lionella Bardazzi ……………………………………………………….. Fenenna Bartolommei …………………………………………………... Arrigo Bencini Tesi ……………………………………………………... Giuse Benignetti ………………………………………………………… Luigi Bernardi …………………………………………………………... Rinaldo Bettini ………………………………………………………….. Renzo Biasion …………………………………………………………… Filippo Bressan ………………………………………………………….. Giancarlo Caldini ……………………………………………………….. Vito Cappellini…………………………………………………………... Paolo Castellucci ………………………………………………………... Guido Cavallo ..………………………………………………………….. Giulio Cìsari …………………………………………………………….. Romolo De Martino ……………………………………………………... Renzo Federici …………………………………………………………... David Fiesoli ……………………………………………………………. Carmelo Genovese………………………………………………………. Luciano Ghelli …………………………………………………………... Marcello Giannini ……………………………………………………….. Manuela Gorla …………………………………………………………... Emilio Isgrò ……………………………………………………………... Giuseppe Labate ………………………………………………………… Isabella Lapi …………………………………………………………….. Tomàs Maldonado ………………………………………………………. Corrado Marsan ………………………………………………………. Alessandro Mecocci …………………………………………………….. Francesco Masala ……………………………………………………….. Tommaso Paloscia ……………………………………………………. Dino Pasquali …………………………………………………………… Edgardo Perini …………………………………………………………... Mauro Pratesi …………………………………………………………… Mario Preti ……………………………………………………………… Franco Riccomini ……………………………………………………….. Urbano Sabatelli ………………………………………………………… Riccardo Saldarelli ……………………………………………………… Carlo Segala …………………………………………………………….. Angelo Spinillo …………………………………………………………. Rodolfo Tommasi ……………………………………………………………………
43 35 77 93 91, 92 49 86 64 98 55 33 87 27 79 25 11 21 63 59 89 65 51 17 75, 84 41 19 37 94 23, 45 81 13 9, 61, 69, 72, 95 53, 74 47 83 15 42 102 67, 85 39 31, 57 29
con Padre A. Spinillo O. P. alla mostra collettiva “omaggio al Beato Angelico” Chiostro di San Marco Firenze 1984
con Tommaso Paloscia durante l’inaugurazione della mostra personale “dai deserti al computer” Palazzo Strozzi - Firenze 1982
“in progress e rigorosamente in bianco e nero” Se si considera, tanto per stabilire un inizio cronologico, la prima mostra personale del 1960 quale “inizio documentabile” della lunga e variegata storia pittorica di Saldarelli, questa si avvicina oggi ai quarantacinque anni. Un valore temporale che, affiancato dall’imponente volume di lavoro artistico percepito da una rapida ricognizione sui materiali raccolti, all’inizio ci ha spaventati, ma una volta decisi ad affrontare la cosa, abbiamo progettato, per questa occasione, una opera editoriale diversa dal solito. Per poter offrire un strumento esauriente e non solo visivo, abbiamo così pensato di realizzare una serie di volumi in progress completamente a colori, con “tavole” a tutta pagina, completati da volumi di testi, in bianco e nero, aggiornabili. Ai volumi a colori, di cui viene particolarmente curato tutto il processo grafico e tipografico, il progetto affianca così uno o più volumi di testi, rigorosamente in “bianco e nero, in stampa totalmente digitale utile per aggiornamenti ed integrazioni, appunto in progress. Le “tavole” a colori saranno inserite in più volumi in ordine alle esigenze ed alle difficoltà di catalogazione delle opere artistiche. Di fatto portano una numerazione progressiva che da oggi costituisce il codice di archiviazione cioè il Digital Data Art creato appositamente per questo artista. L’opera completa di cui questo è il secondo volume del “PRIMO COMPENDIO” - altri ne seguiranno come già detto, poiché Arno Art Agency ha progettato un nuovo tipo di monografia, in progress - è dedicata a tutti coloro i quali in forme e con motivazioni differenti hanno, a partire dell’ormai lontano 1960, considerato il lavoro di Saldarelli. L’artista ha voluto infatti dedicare questo sforzo editoriale a tutti coloro i quali - in tempi e modi diversi, ma sempre con fiducia e concretezza - lo hanno incoraggiato e sostenuto. Dedica espressamente ai suoi collezionisti il primo volume, “TAVOLE” ed a tutti coloro i quali hanno scritto su di lui questo secondo volume, “DOCUMENTI”. Dovendo leggere attentamente, per ovvii motivi editoriali, tutto il materiale documentario reperito, per poter selezionare le testimonianze sicuramente contestualizzate e soprattutto sottoscritte dagli autori, abbiamo scelto di riproporle nella loro integrità ed interezza senza praticare i tagli e gli omissis strategici frequenti nei cataloghi e nelle monografie di “genere”.
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Da questo lungo lavoro nel corso del quale l’artista è stato costantemente vicino al nostro staff editoriale, è chiaramente emerso che tutti i testi qui riportati - siano di giornalisti, critici, storici dell’arte o cultori della materia, tutti questi toccando variamente corde diverse e diversi gradi di intensità, approfondimento o autorevolezza ma sempre con approccio sincero - di fatto, nel loro insieme costituiscono un contributo fondamentale per la storicizzazione del cammino artistico di Riccardo Saldarelli. I documenti ritrovati e selezionati sono presentati in ordine cronologico. Abbiamo però scelto di aprire e chiudere, eccezionalmente, questa carrellata senza tener conto della cronologia. Apre Tommaso Paloscia con un pezzo del 1981 che, a nostro avviso, appare significativo, persino attuale. Chiude, con una testimonianza addirittura del 1975, Urbano Sabatelli, rilevante figura del mondo artistico e culturale fiorentino negli anni settanta, prematuramente scomparso. Le parole di Sabatelli, chiaramente dettate dalla profonda stima ed amicizia verso il nostro artista, sono state scritte però con la profonda e puntuale professionalità del critico e redattore d’arte militante, arricchita dal tono talvolta poetico derivato dalla sua parallela e non meno importante attività di scrittore ed uomo di teatro. Questo testo racchiudeva già allora aspetti fondamentali del mondo artistico che Riccardo Saldarelli andava costruendo ed offre ancora oggi chiavi di lettura attuali ed indispensabili per tracciare la complessa storia artistica di questo pittore e non solo. L’editore
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TOMMASO PALOSCIA, giornalista e critico d’arte LA NAZIONE, 12 agosto 1981, Firenze L'incanto dell'Iran prima della bufera. Riccardo Saldarelli riversa nei suoi quadri il fascino dei miti e delle leggende orientali. Un sogno nato nelle giornate calde del Sessantotto. Ha interrogato per oltre due anni i marmi delle moschee, si e lasciato lusingare dalle linee di una decorazione affascinante per rievocarne il segno e il colore, forse nel tentativo di interpretare miti e leggende; soprattutto i miti nei quali confluiscono misteri impenetrabili, immagini simboliche sovrapposte dal tempo sulle tracce di una grande civiltà in cui si rispecchia la protostoria dell'uomo. Riccardo Saldarelli, pittore non ancora quarantenne, ma già carico di esperienze come un saggio antico, è laureato in architettura e questo spiega la somma di interessi occulti e palesi che lo hanno trascinato in lungo e in largo nel territorio iraniano, armato solamente di una passione intensa accumulata nel liceo artistico di Cagliari dove i corsi sul restauro lo avevano calato a poco a poco nell'archeologia dell'arte. Il che significa gustarne gli incantesimi che impediscono di accorgersi del contagio di cui si è vittima sfogliando il libro delle civiltà sepolte o sopravvissute nel messaggio dei reperti. L'esperienza iraniana interrotta dagli avvenimenti sviluppatisi sull'onda del fanatismo religioso che ha coinvolto tutto il paese, è rimasta nelle tele di Saldarelli per episodi frammentari che sono comunque le tessere attraverso le quali il pittore cerca di ricostruire il mosaico in cui rappresentava il suo sogno; chè oggi, ancora perdurando la confusione suscitata dall'interruzione della ricerca e dal mutamento della condizione, quella esperienza sudorientale ha perduto i connotati del reale e si è rifugiata nelle brume dei sogno. «Il suo universo: il deserto muto - aveva scritto di lui l'amico Urbano Sabatelli recentemente scomparso - il deserto muto dove i coloriricordo si alternano a linee in movimento e statiche a un tempo, l'oro della sabbia sfuma in ombre violette (...) il deserto dove tutto è finito. Dove tutto ha cessato di esistere, dove, soprattutto, non si deve cercare nient'altro che il sogno». E il sogno che Saldarelli va ricostruendo è un’immagine complessa che è nata nelle giornate calde del Sessantotto studentesco, si è sviluppato fra genti lontane che a quel tempo sembravano sorde ai clamori delle agitazioni giovanili europee; un sogno interrotto dai fragori più assordanti di una rivoluzione bagnata di sangue, a lui estranea. Restano, nei frammenti, volti di uomini profondamente segnati dal sole e dalla sabbia rovente, figure femminili fasciate di veli che nella irrealtà di oggi vanno evolvendosi in fantasiosi personaggi dai copricapo bizzarri, lo sguardo inchiodato oltre l'orizzonte, oltre il visibile: strane metamorfosi di fiori che sbocciano dal ricordo e s'infrangono, immagini di cristallo, sulla barriera del quotidiano. Nell'Accademia di belle arti di Firenze, dove insegna tecniche pittoriche, e all'Istituto di composizione nella facoltà di Architettura dove svolge attività di ricerca, Saldarelli ha forse ritrovato se stesso: come uomo, come pittore. Ha acquisito nel frattempo quella disinvoltura della rappresentazione che si richiama ad alcuni presupposti maturati alcuni anni fa nei corsi di drammaturgia e messinscena al 9
Conservatorio Cherubini: una straordinaria vocazione esibita recentemente in episodi teatrali di sperimentazione offerti, insieme col Sabatelli, presso l’Istituto francese di cultura. Quella disinvoltura nel segno gli consente di frugare nel tempo, di riportare al presente immagini perdute nella storia; soprattutto lo incoraggia ancor più a inseguire le inafferrabili visioni che fanno parte del suo sogno irrecuperato ma che, a poco a poco, senza che lui se ne sia accorto, hanno messo insieme i connotati della sua personalità. Tommaso Paloscia
“Mesopotamia 2004, Ur o Nassiriya?” elaborazione digitale su matrice pittorica originale
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GUIDO CAVALLO, pittore e gallerista presentazione alla mostra personale galleria d’arte “il Cenacolo” 21 dicembre 1960 - 6 gennaio 1961, Cagliari È, ormai, consuetudine della Galleria «il Cenacolo», ad ogni apertura di stagione, quella di presentare, per la prima volta, al pubblico cagliaritano un giovane artista. Riccardo Saldarelli, meno che ventenne espone una ventina di olii in cui la vena creativa si esprime in un figurativismo essenziale, di contenuto quasi satirico: al limite del caricaturale. Studente in architettura, sente la figura umana come rapporti geometrici di masse e organizza le composizioni in ben dosati ritmi di colore. Certo, data la giovanissima età del pittore, molte sono ancora le inesperienze e discorde è la continuità stilistica, ma, il tempo, affinando il gusto e approfondendo la conoscenza, farà sì che quello che oggi è appena felice intuizione divenga espressione di raccolta convinzione e di matura sublimazione estetica del mondo poetico del pittore. Il temperamento e le possibilità, a nostro avviso, sono evidentissime: il primo incontro col pubblico e con la critica indicherà, in un certo senso, al Saldarelli, la via più giusta da seguire. A noi che oggi avalliamo la sua opera e lo teniamo a battesimo nelle difficili e impervie vie dell'arte, non resta che formulare l'augurio, del resto ben meritato, di una brillante affermazione. Guido Cavallo
“paesaggio sardo” copertina della rivista “Agricoltura” Roma agosto 1961
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“Ritratto di Luca Saldarelli in costume sardo� olio su tela 1965
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FRANCESCO MASALA, giornalista e critico d’arte “Mostre d'arte a Cagliari - Saldarelli al Cenacolo” L'UNIONE SARDA. 23 dicembre 1960, Cagliari Come di consueto, ad ogni apertura di stagione, anche quest'anno la galleria «II Cenacolo» presenta al pubblico un giovane artista alla sua prima «personale». Si tratta, stavolta, del ventenne studente in architettura Riccardo Saldarelli, cui il pittore Cavallo fa da generoso padrino mettendone in risalto la vena creativa, il figurativismo essenziale di contenuto quasi satirico al limite del caricaturale e la sensibilità ritmica del colore. Naturalmente, il discorso con un giovane che inizia il cammino dell'arte è sempre difficile, specie se si vuol andare al di là delle generiche parole d'incoraggiamento o di stroncatura. Il giovane artista, diciamo, ha un suo mondo da manifestare e cerca la via per esprimerlo, sicchè ogni «opera prima» deve o dovrebbe, contenere in sé, ben più e al di là delle ovvie ricerche di stile e di linguaggio, il nucleo essenziale e la testimonianza della sua condizione poetica. Perciò, ancora una volta, diciamo che l'opera prima non può essere una prova grafica e cromatica o una esercitazione di gusto o un tentativo culturale, ma deve avere in sè una sostanza poetico-narrativa come documento di una nuova voce personale ed univoca. Al di là di ciò, non esiste arte, ma soltanto scolasticismo e accademia o pittura domenicale. Per quanto riguarda Riccardo Saldarelli, diremo che il nuovo giovane artista si trova sul filo del rasoio di una scelta improrogabile: o una pittura intesa come impegno problematico e tematico o una pittura intesa come diletto e svago domenicale. La sua prima personale consiste in ventidue olii: paesaggi, nature morte e figure umane. I suoi «paesaggi» sono fermi al dato vedutistico, spesso scolastico, senza rimarchevoli apporti d'ordine poetico, con impasti di colore evidentemente grezzi e con pennellata non pregnante. II «fatto» più positivo della mostra, e base di partenza per il futuro lavoro, ci sembra, invece, il “suo” racconto, attraverso figure umane, degli ambienti piccolo-borghesi, dei giovani del demi-monde provinciale che si riuniscono, vestiti di «bluejeans» e di fantasmagorici maglioni, a ballare in famiglia il «rock and roll», gli esistenzialisti in ritardo delle nostre cittadine, i figli di papà con «Bianchina» a rate, i «zazous», i «gagà» liceali e universitari, i contorti suonatori di jazz di complessi dilettantistici, i «sotterranei» alla Kerouak delle nostre lilipuziane metropoli. Verso questo mondo, evidentemente ben conosciuto e artisticamente sentito, il giovane pittore rivolge le sua notazioni ironiche, non senza qualche compiacenza caricaturale, raggiungendo un limite poeticamente accettabile, sia col segno disinvolto, movimentato e veloce, sia con audaci accostamenti cromatici di gialli e neri, di verdi e neri, di bianchi e neri. Naturalmente ed ovviamente, invano cercheremo in Saldarelli una satira profonda, un sarcasmo amaro alla Daumier, un bisturi che affondi spietato contro un costume di vita, ma piuttosto dei divertiti colpi di spillo nei confronti di un modo di vivere e di certi atteggiamenti pseudoanticonformisti della gioventù piccolo-borghese d'oggi. Comunque, la congenialità estetica dell'argomento determina, ancora una volta, se non una raggiunta unità stilistica, almeno una individuata cifra grafica. Perciò la soluzione accettabile del dilemma artistico del Saldarelli ci sembra debba venire, da un lato, col ripudio inesorabile di esercitazioni scolastiche facili e provvisorie e, dall'altro lato, con l'impostazione di una ricerca autonoma nei confronti del segno e del colore e nei confronti della tematica di contenuti poetici personali. Francesco Masala
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“miliziano della cavalcata sarda” olio su tela 1967
“alle reti” olio su tavola 1962
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MARIO PRETI, architetto presentazione alla mostra personale galleria “G. Vasari”, novembre - dicembre 1963, Arezzo Ci sono dei momenti, nell'opera di un artista, in cui la critica si trova nelle migliori condizioni per poter individuare il linguaggio espresso, seguendo anche il suo corso evolutivo. La personale di Riccardo Saldarelli ad Arezzo, raccogliendo storicamente molte sue opere e studi, ci offre un panorama di ricerca e permette di osservare l'evolversi del pensiero e della tecnica pittorica in funzione di una costante tematica. Proprio questo TEMA UNICO è una delle caratteristiche della sua pittura, senza dubbio la più importante: l'uomo. È un tema sorto dall'istinto, è il frutto della lunga permanenza fra la gente di Calabria, di Sicilia, di Sardegna, espresso sin dal 1952 in due romanzi: «Miniera verde» e «I fiordalisi del cielo». Questo inizio letterario della sua attività ci rivela anche un modo di vedere la natura che sarà poi trasfuso in pittura nelle prime opere sarde; non ci mostra un paesaggio semplice e idilliaco-pastorale, ma l'uomo che vive in esso e lo condiziona. Così la terra e i campi dei suoi romanzi non sono solo abbelliti da tramonti smaglianti, ma da contadini al lavoro e i boschi non sono solo fatti di luci e di suoni, ma di uomini che in essi vivono e lottano. In questi veri e propri QUADRI sono i boscaioli, i contadini che condizionano la realtà. Oggi, guardando indietro al passaggio fatto dalla forma letteraria a quella pittorica, si vede come quello fosse uno sviluppo logico; i suoi libri, infatti, già di per sé erano un insieme di QUADRI e, anzi, contenevano, nella composizione di questi, un'altra delle caratteristiche della sua pittura: la ricerca della essenzialità dell'immagine che, dipingendo, si è trasformata nella ricerca della essenzialità del segno - di questo, indubbiamente un pregio, sono testimoni numerosissimi disegni. Lo sviluppo della forma pittorica ha coinciso con il trasferimento dalla Sicilia alla Sardegna. I primi tempi sono stati rivolti alla ricerca di una tecnica e, contemporaneamente, allo studio dell'uomo nel suo ambiente. Nuove esperienze si aggiungono, poi, al corredo artistico di Riccardo con i suoi viaggi all'estero, da cui riporta numerosi studi e quadri: «Trasporto di birra ad Amsterdam» «Mercato arabo» «Sarabanda» «La Cattedrale di Moulins» «La Cattedrale di Soissons» «Cantori olandesi» «Paesaggio d'Olanda» ed altri ancora. Intorno al 1959 ci troviamo di fronte ad opere veramente pregevoli che, unite nella tematica, si differenziano nel contenuto. Sono due filoni, il primo ha come soggetto il folklore sardo - «Ritorno dai pascoli», «Ballo sull'aia» sono i più notevoli -, il secondo è un vero e proprio studio dei giovani; è il mondo dei liceali in blue-jeans che egli fissa, in tono quasi caricaturale: l'uscita dalla scuola, le riunioni al juke-box, i balli. Un autorevole critico d'arte - Francesco Masala - così scriveva sull' UNIONE SARDA del 23 dicembre 1960: II «fatto» più positivo della mostra, e base di partenza per il futuro lavoro, ci sembra, invece, il “suo” racconto, attraverso figure umane, degli ambienti piccolo-borghesi, dei giovani del demi-monde provinciale che si riuniscono, vestiti di «bluejeans» e di fantasmagorici maglioni, a ballare in famiglia il «rock and roll», gli esistenzialisti in ritardo delle nostre cittadine, i figli di papà con «Bianchina» a rate, i «zazous», i «gagà» liceali e universitari, ì contorti suonatori di jazz di complessi dilettantistici, i «sotterranei» alla Kerouak delle nostre lilipuziane metropoli. Verso questo mondo, evidentemente ben conosciuto e artisticamente sentito, il giovane pittore rivolge le sua notazioni ironiche, non senza qualche compiacenza caricaturale, raggiungendo un limite poeticamente accettabile, sia col segno disinvolto, movimentato e veloce, sia con audaci accostamenti cromatici di gialli e neri, di verdi e neri, di bianchi e neri. Queste opere costituirono il nucleo principale della personale tenuta a Cagliari nel dicembre 1960. Sorvolando sul contenuto morale, che è facilmente avvertibile, pongo l'attenzione sulla ricerca tonale e di massa che inizia in queste opere. Se ci astraiamo dal loro significato si può notare come la composizione delle figure e dei colori sia tesa alla ricerca di un equilibrio che oltrepassa il contenuto, tanto da farcela sembrare un quadro nel quadro.
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Questa SCOPERTA di nuove forme, di rapporti precisi fra masse e colore, di una vera e propria composizione pittorica, ha preceduto di pochissimo l'iscrizione di Riccardo alla Facoltà di Architettura di Firenze: così si è iniziato un altro periodo di attività, pieno di nuove conoscenze teoriche e tecniche. Le intuizioni che fino ad ora egli aveva avuto si sono trasformate in prove concrete: lo studio dell'uomo e del suo spazio, lo studio della composizione, la ricerca di massa, la ricerca tonale. Inoltre, i contatti con il mondo artistico fiorentino e la conoscenza di grandi maestri contemporanei, nel campo dell'architettura e della pittura, come termini di paragone, gli hanno permesso l'elaborazione del suo CREDO, la formulazione di quell'indirizzo che ha improntato questo nuovo capitolo della sua opera. Così nel '62 la sua pittura comincia a risentire di questi studi: una serie di nature morte ci mostra la ricerca compositiva in funzione delle masse e del colore. Subito dopo trasporta questa tecnica nell'«Autoritratto» e nel «Ritratto del fratello Vincenzo», e successivamente dipinge tre opere bellissime: «La donna del Nuorese» - «Riflessi» - «I cavatori». In questi tre dipinti l'artista ha raggiunto la sintesi fra sentimento e tecnica pittorica. La partecipazione affettiva è legata strettamente alla essenzialità delle linee, al colore, alla potenza della massa, alla MATERIA, arrivando ad una compenetrazione del significato con la composizione. Questo tipo di pittura resta costante fra il 1962 e la prima metà del 1963, fino ad affermarsi alla Mostra nazionale «Città di Viareggio», del luglio di questo anno con un lavoro dal titolo «Alle reti». A questo punto si è avuto ancora un passo avanti: lo studio dell'artista si è indirizzato verso un approfondimento della figura umana, verso vere e proprie ricerche anatomiche che succedono a esperimenti di nuove tecniche e di resa di spazi. Dice Riccardo: «io credo che troverò la mia ragione studiando l'uomo, cercando di entrare in lui, profondamente, senza affidarmi a dottrine filosofiche o ad altro; voglio riscoprire l'uomo e la natura attraverso l'uomo stesso». Così il critico non può che fermarsi ed aspettare: solo mille auguri di continuare il cammino intrapreso, con immutato valore artistico. Mario Preti Firenze 18 ottobre 1963
“questo ballo è mio bambina olio su cartone telato 1960
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MARCELLO GIANNINI, giornalista “il cronista in galleria” RAI - Radio Firenze trasmissione del 27 novembre 1963 A voler frugare nell'anima di un pittore le scoperte sono interessanti. Al critico, talvolta, il mestiere giuoca lo scherzo quasi feroce di una presunzione non voluta. E, può accadere, di accostarsi senza amore alle opere sofferte che, un pittore, si decide ad esporre. Vi sono artisti che escono da lunghi periodi di silenzio: espongono raramente, ma lavorano seriamcente. Riccardo Saldarelli ce lo ritroviamo, quasi all'improvviso alla Galleria d'Arte Giorgio Vasari di Arezzo. L'inaugurazione della sua personale è fissata per stasera alle 18. Si tratta di trenta opere, tutte ugualmente ricche di una notevolissima esperienza e bisognose di essere approfondite, magari con un discorso in cui l'autore, necessariamente, deve essere il protagonista. Riccardo Saldarelli ha l'anima del narratore. E' vero che una decina d'anni fa egli dava alla luce due romanzi frutto di una lunga permanenza tra la gente di Calabria e di Sicilia. Eccolo ora alle prese con una tecnica nuova del racconto: il tratto è vigoroso, essenziale è la ricerca della sintesi, c'è coerenza costruttiva ed anche naturalezza nel dramma, appena appena scoperto, e subito fissato. Non è un dramma particolaristico: è la vita che Riccardo SaIdarelli ha sofferto attorno e dentro di sé. C'è un'opera che riassume un po' la personalità del pittore: "alle reti". Poesia, realismo, semplicità: il rigore costruttivo è assoluto, il segno è deciso. Sono elementi non a sé, ma tenuti insieme da un'armonia capace di evocarci la solennità del momento in cui tre pescatori stanno accovacciati a rassettare le loro reti. E' come un raccoglimento particolare, quello dei pescatori, che si preparano alla loro vicenda marinara. E' un tema classico: Saldarelli ha messo insieme tre figure che paiono uscite da una grande pagina letteraria. Tre pescatori, presi dal lavoro quasi meccanico e abituale, ma fermati nei loro pensieri, nelle loro preoccupazioni familiari, nella loro ansia di vita, di lavoro. Saldarelli, anche se si affida al concetto moderno del tratto e del colore, ha l'arte innata dei grandi maestri: il suo racconto si trasferisce con estrema semplicità dal particolare al corale. Ha inciso nella sua formazione, sicuramente, la permanenza accanto alla gente semplice, rude, forte, sofferente, ma altamente capace di poesia, di Calabria, di Sicilia, di Sardegna. Per questo ritroviamo Saldarelli fra i "trasportatori di birra ad Amsterdam", o in mezzo a un "mercato arabo", o raccolto con la poesia che è propria di Morandi, alle "bottiglie". Riesce ugualmente a cogliere l'umorismo delle "turiste" alla galleria dell'Accademia come a significare la facile adattabilità e la straordinaria sensibilità. Una mostra quella di Saldarelli che non mancherà sicuramente di andare incontro al successo di critica e di pubblico. Marcello Giannini
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momenti della discussione della tesi di laurea in architettura: da sinistra (foto in alto) il prof. arch. Giovanni Klaus Koening, il prof. Luciano Alberti, direttore artistico del teatro comunale di Firenze, il prof. Giovanni Spadolini, presidente della Commissione di laurea, il prof. arch. Alfonso Stocchetti. Firenze 1968
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GIUSEPPE LABATE NUOVI ORIZZONTI, rivista mensile di lettere arte attualità anno IV - n. 2, febbraio 1965, Firenze Riccardo Saldarelli è soprattutto un artista del nostro tempo poichè interpreta ed esprime in modo chiaro e preciso, anche se ancora è in fase di ricerca, soggetti umani e umili cercando di penetrare nei reconditi meandri dell'animo umano. Le esperienze avute nell'Italia meridionale fra gente forte e rude, provata dalle ingiurie del tempo e degli uomini, hanno destato in lui lo spirito di ricerca. Saldarelli non ha voluto, come oggi è quasi di moda, improvvisarsi artista ma ha saputo attendere ed ha seguito tutte le tappe dell'arte come un corridore lungo il percorso sino al traguardo che per lui non è altro che uno dei tanti punti di arrivo. L'attenzione attirata su di lui in diverse manifestazioni artistiche dimostra di aver perseguito la sua via con consapevolezza, costanza e serietà. Sin dai primi lavori, e anche nei disegni attuali, si può constatare la robustezza della composizione volta sempre ad una ricerca formale equilibrata e attenta. Il colore non lo sente ancora nella sua vera funzione cromatica ma vedendo le ultime sue interpretazioni ci accorgiamo che ha intrapreso la via giusta e che, considerando la sua giovane età, un vero riconoscimento non gli mancherà. Giuseppe Labate
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“donna di Desulo” olio su tela 1967
“donna del campidano” olio su cartone 1967
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GIULIO CÌSARI, Accademico di Brera presentazione alla mostra personale galleria “La Chiostrina“ in Ponte Vecchio, di Arnaldo Miniati 3 - 22 aprile 1966 Firenze ...Durante tutta la mia lunga, ormai definita carriera d'artista, ricca di esperienze di molti anni e rafforzata da un giusto controllo di idee, ho potuto assorbire talune sicure norme di sapere, non solo necessarie, ma indispensabili per chi faccia dell'Arte. È risaputo che le arti (tutte), da quando ebbero vita, possono essere tali, solo se sono costruite su due elementi base: «la forma e il sentimento». Ligio a questi dettami io stesso ho creato sempre opere dove questi due elementi non fossero assenti e ho stimato gli elaborati di altri solo se logicamente fossero imperniati su questi criteri. Ho visto i lavori di Riccardo Saldarelli e con vero piacere ho constatato che un giovane pittore, sano di mente e ricco di intelletto, è un artista che conosce bene il disegno e sa vivificarlo ed arricchirlo di espressione, di movimento e di forza. In verità non è facile imbattersi in un giovane di meriti artistici, di serietà d'intenti e di un non comune talento, oggi che tutto è superficiale, mal fatto con ignoranza, spesso buffonesco e sciocco. Giulio Cìsari Milano 1966
“costume del nuorese” olio su tela 1967
“verso la processione” olio su tela 1967
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durante la mostra nella galleria “La Chiostrina “ in Ponte Vecchio Firenze aprile 1966
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CORRADO MARSAN, giornalista e critico d’arte presentazione alla mostra personale galleria Lo Sprone, aprile 1967 Firenze Capita spesso, a chi è «costretto» a giudicare - con un minimo di umiltà e onestà - il lavoro altrui, di soffermarsi anche su talune proposte che, a rigor di logica, dovrebbero essere collocate fuori dal suo orizzonte di attenzioni, assumendo - di conseguenza «atteggiamenti» che potremmo definire contraddittori, se non addirittura controproducenti: e non dico questo - sia ben chiaro - per giustificare le ragioni che mi hanno spinto a scrivere due parole sull'opera di Riccardo Saldarelli; opera che - per più motivi che qui sarebbe inutile chiarire - esula completamente dal raggio dei miei interessi precipui (o, meglio, delle mie idee private sulla pittura). Quello che colpisce subito, dunque, nel racconto più recente del Saldarelli, è la tragica, puntigliosa, talvolta ossessiva e allucinante «fissità» delle sue figure (personaggi non retorici, non vanamente patetici o angosciati, come potrebbe sembrare a prima vista: bensì incombenti su un paesaggio che ha perso, gradatamente, ogni valore «oggettivo» e referenziale, e che fa da semplice «contorno» al pellegrinaggio di un'umanità dolente ma pur sempre fiduciosa e tenace), alle quali - dal poco al tanto l'artista è sempre rimasto fedele fin dalle prime e lontane sperimentazioni (e si notino, in particolare, taluni soggetti sacri, intesi come vera e propria «comunione» di intenti e di verità con le «cose» e le persone che ci circondano). Siamo davanti, è evidente, ad una «testimonianza» viva, discreta ed equilibrata (anche se un po' troppo impreziosita negli stessi procedimenti del suo farsi: tanto che, a volte, le figure di Saldarelli traboccano sulla scena, cariche di sovrastrutture e di riferimenti non sempre bene epurati all'origine), emergente dalla precisa presa di coscienza dell'artista di fronte alla realtà in atto: una realtà che, mano a mano, viene traducendosi in una sorta di cronaca lirica e morale, sottesa e animata dall'innegabile sensibilità poetica e trasfiguratrice del Saldarelli (anche dalla sua sapienza tecnica nelle soluzioni: e si vedano, in proposito, taluni disegni e taluni studi, risolti in un'immagine avventante, rapida ma stilisticamente elaborata, direttamente suggestiva eppure composta da sottili richiami di gusto e di cultura). E allora, ecco che nelle strutture cromatiche e nelle volute grafiche affiora quella costante dello «stupore» che sembra avvolgere e sottolineare l'intero racconto di Saldarelli: uno stupore che è proprio di chi accetta la realtà come gli si presenta agli occhi e l'assume come materia prima della sua fantasia, come pretesto di linguaggio, e poi la reinventa, la riplasma, la modula in una narrazione propensa alla «gioia»; una gioia che significa non soltanto euforia di fronte alla continua metamorfosi della natura, ma totale adesione alla vita, il volerne assumere tutti interi i valori interni ed esterni, siano essi ansie e dolori oppure serena e distesa «bellezza». E la costante volontà e capacità di osservazione delle cose e delle persone, non consente all'artista alterazioni di sorta nella sostanza autentica dei suoi «soggetti» abituali; una sostanza che, nella resa puntuale e lucida di questo tipico work in progress del Saldarelli, vive e sussiste per qualità specifiche di ordine figurativo, cioè per valori di traduzione simultanea del «reale», di intensi rapporti cromatici, di immediato vigore grafico: fattori, tutti, che nulla tolgono alla validità della ricerca espressiva dell'artista, ma anzi confermano la coerenza esemplare della sua impostazione poetica. Corrado Marsan
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“Figure nel mito” inchiostro 1971
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PAOLO CASTELLUCCI, critico d’arte Eco d’arte, n.11, 1969 Firenze la cronaca umana di Riccardo Saldarelli «Una cosa sola c'è che è nobile che è al suo fondamento e questo si è il disegno. Chi ha padronanza del disegno, chiunque ha questo, fa l'una e l'altra bene». Quando Jacopo Carrucci, detto il Pontormo, pittore toscano del '500, vessillifero di quel movimento manieristico che tanta influenza ha esercitato sull'arte in Europa per il suo prosiéguo nei secoli, espose questo concetto per pianificare la disputa sorta in quel periodo per la supremazia fra pittura e scultura, probabilmente non immaginava come lo stesso concetto sarebbe stato ripreso nel rapporto pitturadisegno, in seno all'arte moderna. Ci sembra infatti che il suo valore, pur su un altro piano, non sia sostanzialmente mutato; come dire, parafrasando un popolare proverbio: «Chi ben disegna è a metà dell'opera pittorica...», e Saldarelli ha il disegno nel sangue e dal disegno alla pittura il passo è breve. La caratteristica più evidente che rileviamo, osservando i dipinti di Saldarelli esposti alla Galleria «Arteuropa», è l'azione conforme al suo pensiero nell'aggancio col mondo reale, mentre l'uomo con le sue passioni, le sue ansie, le sue vaneglorie è il tema primario nella analisi a volte spietata della propria cronaca esistenziale. Il paesaggio è del tutto assente nelle opere di Saldarelli ma lo si sente, anziché vederlo, in virtù della forza evocativa che le figure rappresentate, plastiche e vigorose nei loro atteggiamenti di fronte alla natura, rivelano, così come le nature morte, raramente trattate celano tramite il colore e il deciso segno dei contorni, stati d'animo sempre derivanti da particolari sentimenti emozionali dell'artista. L'intelligente impostazione formale, poi, l'ordinata stesura timbrica delle cromie, la calibrata, a volte perfino troppo abile (non dimentichiamo l'attività di architetto del Saldarelli) struttura prospettica, si uniscono a una poetica mai retorica e sempre comunque dettata dall'istinto. Espressionista «sui generis», la pittura del Saldarelli che non vuole essere «tecnicamente rivoluzionaria» ci sorprende ovunque, sia quando si rivolge a temi intimistici sia quando tende a narrare, e mai possiamo trovare frammenti ripetitivi tanto è fertile la sua fantasia e tanto è esuberante la sua vena artistica. Paolo Castellucci
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“figura con panneggio” acquaforte 1972
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GIANCARLO CALDINI, pittore e critico d’arte già titolare della cattedra di pittura all’Accademia di Belle Arti di Firenze Eco d’arte, n.29 - 9 novembre 1971, Firenze Riccardo Saldarelli continuità di un impegno” Il persistere delle immagini, la durata dei sentimenti, la sempre più chiara conferma di una vocazione, la fiducia di avere scelta la propria strada, non impediscono, a chi sappia superare le polemiche, misurando ogni esperienza con il metro che le compete, cercando oltre le divergenze violente ma esteriori ciò che può ancora accostare tante contrastanti affermazioni, di avvertire la profonda e attuale inquietudine che scuote sotto la sicura maestria tecnica, la solida impalcatura del disegno, questa pittura così immediata e sincera di Riccardo Saldarelli. L'avere mantenuto fede al primo precoce impegno, realistico e umano, con cui Saldarelli, giovanissimo, aveva cominciato a esprimere la sua partecipazione alla vita della gente sarda, pure nella presente ampiezza di aperture di aperture e di interessei, costituisce forse la più valida ragione per cui sarebbe limitativo e improprio collegare il suo lavoro a una più generale corrente, comunque si voglia definirla (neorealismo, nuova figurazione). Ciò che tiene ben fermo Saldarelli in un campo di ricerca e di realizzazione razionale e metodico per la qualità fondamentale del suo carattere, ma estremamente fantasioso, elegante, sicuro per la grande capacità esecutiva, perfezionata da una assiduità e da una mole di lavoro eccezionale, non è un malinteso senso della tradizione, tanto meno un ostinato attaccamento a valori di un passato che non gli appartiene, data la sua età, ma la precisa intuizione che solo guardando in se stesso, rispettando i confini del proprio mondo, scavando sempre più nel profondo e puntando sempre più avanti nella medesima direzione, a lui in particolare (e ciò solo conta in questo discorso) poteva essere consentito inserirsi in una attualità viva, mantenendo aperte e fruttuose tutte le possibili scelte, anche quelle oggi imprevedibili e rischiose. Perché la dote che per prima gli può essere riconosciuta è quella di sostenere il talento di disegnatore irresistibile, di colorista istintivo, con una immaginazione che nasce spontanea dalla vitalità degli elementi di cui si serve, e una autentica necessità di espressione, la cui presenza o la cui alienazione costituisce pur sempre l'unico dato sicuro su cui sostenere anche una prima ipotesi critica e un giudizio comunque affermativo. Saldarelli ha riunito tutto il suo lavoro, con una scelta ampia di tutti i periodi, di tutti i cicli, di tutte le tecniche, da cui si trae ancora una conferma della coerenza del suo discorso: da questa sorta di inventario di tutti i mezzi spirituali e tecnici che sono il patrimonio tenacemente raccolto, più che la soddisfazione di oggi, potrà contare quanto saprà impegnare in quello sforzo continuo di superamento in cui è la vera ragione del suo lavoro e della nostra partecipazione. Giancarlo Caldini
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“maternità” serigrafia 1985
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RODOLFO TOMMASI, giornalista RAI presentazione alla mostra personale galleria “Casa di Dante”, Società delle Belle Arti - Circolo degli artisti 27 novembre - 9 dicembre 1971, Firenze Quando un'eccitazione si tramuta in ansia; l'attimo in cui, in un'opacità di sentimenti, come in un lampo, si percepiscono le proprie dimensioni emotive: è questo lampo che l'arte di Riccardo Saldarelli sa cogliere e tenere chiuso in un vortice di pulsazioni ridotto a impercettibile respiro o sussurro su cardini di tensione. Attraverso questo subitaneo mutamento interiore, le figure di Saldarelli sono un perno narrativo di straordinario vigore, il punto di una retta infinita che improvvisamente prende luce e fuoco, palpitando vivida. È un periodo, questo, non più di fermento artistico: è un momento di caos, di allucinata ricerca di formule e moduli d'arte; si invoca il colore, lo spazio, con frenesia si parla della ricerca dell'essenza di tutto, dimenticando che, in fondo, l'intendimento di ogni essenza è soggettivo allorché viene a contatto col nostro spirito, poiché rientra nelle dimensioni di un colloquio tra anima e anima non più controllabile razionalmente. Ma sta proprio qui il valore della poesia, al di sopra di ogni forma e di ogni facile comprensione intellettuale: percepire e credere nella percezione. Ed è per tale ragione che l'arte di Saldarelli, popolata da un deserto di sguardi senza spazio, si rivela convincente, pura e pregnante. Le sue figure femminili, penetrate in atteggiamenti che ne sbalzano la più intima e vera attualità di pensiero attraverso il comportamento, sanno fermare il tempo, ma in quei limiti in cui non rientra la presa di coscienza del tempo come convenzione dell'uomo, poiché sono oltremodo umane nella loro inestinguibile ansia; e vibrano in una continua sensazione di vago pericolo, in un irrigidimento leggermente lascivo sottolineato da un'impudicizia tuttavia cristallina anche se fortemente sensuale. Sono, queste donne che vivono della loro forma, vere sirene nel senso mitologico, con in più una titubante inquietudine derivata dal loro stesso potere d'attrazione. Ma passa, su queste femminilità, una segreta misura umana, la forza di una consapevolezza, scaturita solo dall'interno e lontana dalla compiacenza quanto può esserlo un atteggiamento naturale, anzi, nativo. I corpi sembrano ardere in un'oscura densità di sentimenti e fantasie dove le cose e gli stessi evidenti presagi che li animano (basta la piega di un panneggio a suggerire un atto imminente) si avverano per lento deposito della loro sostanza metafisica. Di qui, un contrappunto di situazioni interne alla figura - ora divenuta persona - che denuncia la modernità delle opere di Saldare!li; situazioni che si fanno racconto e che hanno i movimenti ritmati dal solo battere del cuore di chi le vive, come se tale moto riassumesse, non soltanto materialmente, ogni segreto di vita. E da questo suggerimento poetico che è un alito di mistero esistenziale, si snodano, in particolare, come da una sola matassa di luce, le opere grafiche dell'artista: astri metallici che riassumono mondi e tempi, fondono infiniti discorsi pittorici. È qui, soprattutto, direi, che il linguaggio di Saldarelli raggiunge la vetta espressiva più ardita. Il fissarsi dell'opera in una dimensione umana fino a trovare le sfumature di ogni attimo, a sottolineare la verità di un gesto, diviene esigenza di uno stile serrato nell'intimo significato delle cose, delle figure, dei lunghi sguardi senza fine. Tutto questo si impone nel «crescendo» delle stazioni della Via Crucis, in cui la coralità è la luce, in cui il corteggio è un teorema di drammi individuali che solo la Croce (unico elemento stagliato in uno spazio già non più umano) può riunire e confondere in un'immensa ellisse di dolore cosmico. È profondamente diversa la Via Crucis dalle altre opere di Saldarelli, ma sa mantenere la stessa rigorosa coerenza di pensiero: è una voce che si stende nel vuoto, come un velario di esperienza.
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Lo stesso discorso, oltre che per la Via Crucis, è valido, solo come base, anche per la serie di opere che investono il problema dell'inquinamento, in cui il pittore (consapevole che il dipingere è un gesto gratuito e scaturisce non dalla percezione di sé entro un contesto sociale, ma dalla percezione diretta, esistenziale, autonoma, di se stessi) fa del problema un dramma certamente sociale, ma di valori intimi. E risulta dalla stessa realizzazione dei quadri, dove il colore, spesso di scardinante violenza, è tuttavia sempre inteso come «segno»; poiché soprattutto il segno puro, essendo scevro da ogni palese effetto, sa essere poesia e filosofia insieme. Siamo quindi di fronte, con l'arte di Saldarelli, ad un'idea di «espressione» che trascende il tema: la sensualità calda di una figura femminile che diviene vortice di sentimenti calibrato dal fascino del mistero, costituisce la «summa» ideologica e poetica dell'arte di Saldarelli; ma è proprio questo modo di «sentire» la donna come forma in movimento dotata di un corpo e di una psiche che vicendevolmente si determinano, a racchiudere ogni altro tema nella stessa dimensione emotiva e mentale valida per dare sangue e respiro alla figura femminile: dal tema di impostazione sociale, a quello mistico; da quello decisamente erotico, fino alle più sottili, nascoste sollecitazioni. E il centro del discorso di Saldarelli è sempre la vita, intesa come sensazione di essere. In quest'arte fatta di infiniti risvolti racchiusi in elementi di fatalità, dove è presente una febbre al limite col delirio senza però neanche sfiorarlo se non come ipotetica luce, ritroviamo dunque, in sintesi, tante caratteristiche del nostro secolo, alimentate, scomposte e ricomposte in un linguaggio unico e personale in cui drammaticità e mistero, dolore e sentimento non sono fini ma presupposti per un discorso sempre teso alla poesia pura. Rodolfo Tommasi
Piero Bargellini alla mostra di Saldarelli alla Casa di Dante Firenze 1971
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ANGELO SPINILLO, pittore e critico d’arte “AVVENIRE”, 2 dicembre 1971, Firenze I «fermenti» di Saldarelli Al circolo degli artisti «casa di Dante», una personale che abbraccia tutto l'arco della sua attività artistica. Un periodo, questo, pieno di fermenti e dì ricerca dove troviamo in sintesi, le caratteristiche del suo iter e del suo linguaggio. Non mancano pause forzate dove la forma decorativa sembra bloccare la sua ricerca; ma ad ogni sosta nasce un nuovo slancio di ripresa, perché Saldarelli crede all'arte e alle sue possibilità di esprimersi. Artista intuitivo, sente il soggetto e lo interpreta con un segno preciso e una buona variazione tonale. Se guardiamo la «Via Crucis», profondamentale diversa dalle altre opere, Saldarelli si esprime con unità, coerenza ed un impianto largo che mettono in rilievo la congenialità delle sue composizioni. Angelo Spinillo
Luciano Bausi con Saldarelli alla Casa di Dante Firenze 1971
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dipinto pubblicato in apertura al volume “l’inquinamento delle acque” del Comune di Firenze
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RENZO BIASION, pittore, scrittore e critico d’arte presentazione alla mostra personale “Galleria dello Scudo”, 16 - 30 Settembre1972, Verona Certi critici d'arte italiani, bontà loro, sono oggi arrivati ad ammettere tutte le tendenze. Accodandosi, tardi, agli americani. Essi però, fino a qualche tempo fa, ammettevano soltanto le tendenze che piacevano a loro, ed ho il sospetto che lo facciano ancora, benché con maggior prudenza. La svolta è stata provocata dalla morte dell'informale, dalla stasi della pittura astratta, incapace di rinnovarsi, e dal contemporaneo rinascere della pittura figurativa. Ora, queste cosette, io le sto scrivendo da vent'anni, modestamente, da pittore. Quando in Italia trionfavano le correnti astratte io dicevo: badate, in Inghilterra c'è un Bacon e in America un Ben Shan. Ogni pittore sa che le strade per arrivare a Roma sono molte e tutte possono diventare buone, dipende dalla forza personale dei singoli artisti. Non ho mai dimenticato d'aggiungere, tuttavia, anche quando mi toglievo di cappello di fronte a qualche dipinto astratto, che nella pittura figurativa c'erano tutti i problemi della pittura astratta, e in più qualche altro. Non ho cambiato opinione. Amo Klee ma penso che i supremi esempi della pittura figurativa toccano vertici più alti. Questa premessa per dire che sono disposto a dare maggior credito a un giovane quando vedo che, partendo decisamente con la figura, si pone problemi difficili, cercando di parlare con la propria voce, vale a dire evitando di pescare troppo nelle tasche degli altri. È il caso del fiorentino Riccardo Saldarelli, non ancora trentenne ma già da anni sulla breccia, a me pare con una sua volontà di esprimersi compiutamente, un po' caparbia se vogliamo, ma apprezzabile in tempi come i nostri di supino conformismo. Saldarelli è culturalmente preparato, ha compiuto studi classici, è laureato in architettura ed ha frequentato la scuola di nudo dell'Accademia di Firenze. Non è certo tutto per un pittore ma ha il suo peso. E lo si vede subito dal calibrato modo di comporre del giovane artista, dai soggetti dei suoi quadri, spesso nuovi (si veda la serie di opere che investono il problema dell'inquinamento, tra le quali spicca "La morte della natura") e dal fatto che affronta il difficile nudo ponendo attenzione ai valori della forma. C'è in lui una esigenza di stile, che non risulta però freno alla fantasia. E il suo mondo è complesso, ricco di sollecitazioni che oscillano dal misticismo ai problemi sociali e all'erotismo. È quest'ultimo, a mio parere, che offre alla sensibile natura di Saldarelli la possibilità, in un contrasto di finezze disegnative e asprezze cromatiche, di risoluzioni talora inquietanti, e di sottile intelligenza. Renzo Biasion
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“inquinamento” tecnica mista su tela 1972 - collezione FAO per la giornata mondiale dell’alimentanzione 1989
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DANILO ANDRIOLI, sindaco di Cerro Veronese (Verona) e presidente del Comitato Scientifico Centro Studi di Meteorologia ed Ecologia. «P. Albrigi» Motivazione per il conferimento a Riccardo Saldarelli del “Cerro d'argento” e del diploma di benemerenza per “Meteorologia ed Ecologia” al convegno scientifico nazionale di CerroVeronese 1972 Il fatto che il problema dell'inquinamento sia giunto a interessare anche l'arte è una testimonianza di come esso sia ormai totalmente presente nella coscienza popolare. Nessuno infatti più dell'artista, la cui sensibilità precipua è naturale, riesce a cogliere immediatamente e spontaneamente i dati fondamentali degli stimoli che sommuovono e commuovono l'uomo. In questa mostra, il pittore Saldarelli presenta appunto una serie di belle opere ispirate all'ecologia, e, anche stando al di qua del valore artistico dei dipinti, di cui ad altri compete, importa sottolineare come, dopo il troppo conclamato divorzio tra arte e vita, tra «significante» e significato, questo ritrovato interesse dell'arte per i fatti della vita concreta conforti la prospettiva di un ricupero di valori capaci di ricondurre l'arte attuale a eliminare l'alienante frattura fra se stessa e l'uomo. Non per un'arte «ancella» di ideologie o al servizio di preoccupazioni d'altro genere, come è stato troppo spesso in passato e anche recentemente, ma per un'arte che non rifiuti nulla di quanto è dell'uomo e nell'uomo, e perciò si investa, come fa qui Saldarelli, dei problemi della vita sociale e civile dell'uomo, al di là di ogni strumentalizzazione politica o di gruppo. E' quindi una importante prova di civiltà, quest'arte «applicata», per ripetere impropriamente un'antica dizione, ai fatti concreti dell'uomo, e ricuperando quella stretta connessione non soltanto emozionale ma anche semantica tra l'uomo e l'arte, che fu delle espressioni artistiche più felici nella storia dell'umanità; è anche un'arte che tiene conto fruttuosamente delle ultime acquisizioni critiche, per cui viene eliminato l'assurdo equivoco della «non consumabilità» dell'arte. In tal modo si toglie radicalmente ogni validità alla dicotomia tra arti presuntivamente semantiche e arti asemantiche, come se le arti visuali dovessero mirare soltanto a una vacua dignità estetica senza poter avere l'ufficio e il rilievo di «trasmettitrici di concetti». Questa mostra è, secondo me, la testimonianza, attraverso le opere «ecologiche», alcune delle quali del resto hanno avuto importanti riconoscimenti di come proprio l'artista, e soltanto l'artista, attraverso la sua sensibilità e il suo potere di evocare quasi magicamente le immagini memorizzate e composte nel subconscio di ciascuno di noi, possa concretamente visualizzare una realtà che incombe sul nostro mondo, ricuperando quindi anche l'antico e mai smentito ufficio dell'artista come veggente e profeta. Sono, queste, immagini di severa e composta bellezza, che ci prefigurano drammaticamente e a volte tragicamente, ma senza mai il ricorso a mezzi espressivi stridenti, senza grida e perciò con più efficacia, la tremenda visione di un mondo agonizzante per l'assassinio ecologico. In questi visi di bimbi assorti sul mare dei rifiuti, in questi corpi senza vita che fanno parte di un paesaggio senza vita, sentiamo vividamente l'angoscioso incerto futuro che l'uomo si prepara con le proprie mani, e noi, che di questi problemi dell'inquinamento siamo coscienti, e che proprio per questo abbiamo voluto sensibillizzare ulteriormente l'opinione pubblica attraverso un convegno nazionale recentemente svolto, siamo grati all'artista Saldarelli che ha saputo con la potenza evocatrice dell'arte esprimere così efficacemente, attraverso un linguaggio di piena fruibilità, di drammatica evidenza, quei concetti e quelle preoccupazioni che formano tanta parte del nostro sentire. Opportunamente e meritatamente l'Amministrazione Comunale di Cerro Veronese, in occasione del Convegno nazionale sopra ricordato, ha assegnato all'artista il diploma di benemerenza e il «Cerro d'argento». Danilo Andrioli
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durante la mostra personale alla galleria dello Scudo l’avvocato Danilo Andrioli, presidente del Comitato Scientifico del Centro Studi. “P. Albrigi” e sindaco di Cerro Veronese, conferisce a Riccardo Saldarelli il Cerro d’argento e il diploma di benemerenza in occasione del Convegno Nazionale di Meteorologia ed Ecologia
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ISABELLA LAPI, storica dell’arte, Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici Firenze Eco d’arte, anno V n.1, settembre 1972, Firenze Riccardo Saldarelli, qualità dinamica figurativa Le successive analisi dell'attuale figurazione di Riccardo Saldarelli mi hanno confermato nella prima impressione: l'istintiva consapevolezza di respirare un'aria pulita, libera da macchinosi analogismi culturali, qual'è quello dello spazio pittorico dell'artista; l'adesione spontanea, pur con la cautela di coscienza che forza un poco il mio giudizio di critico, a certi contenuti freschi e vitalizzati dall'intrinseca concretezza di messaggio. Il suo discorso accosta in una dialettica consapevole la quieta classicità di nudi sapientamente composti e l'impronta solleticante di frammenti creativi trascritti con immediatezza; non c'è struttura che possa inquadrare questi frammenti di realtà, configurati dagli stacchi improvvisi del colore e dagli «affondi» ripetuti del segno; essi appaiono liberi, di sfuggire allo spazio del quadro come di fingere una qualsiasi determinazione. In tal modo nell'elasticità del gesto rimbalzano note cromatiche che portano all'immagine la forza penetrante di una forma che si sfalda e poi si ricompone, seguendo un iter mentale meditato e quindi focalizzato: il rifiuto concreto di qualcosa, vissuto appunto nel disfacimento della forma (ed ecco il dramma ecologico, il pretesto dei campi di rifiuti, la realtà che si squama e si autodistrugge), e un immediato conseguente slancio costruttivo. La mole della problematica odierna, le cavillose snodature ideologiche, le dissonanze fisiche e psichiche, compaiono nel mondo di Saldarelli, ma per poco; la sua, ripeto, diviene un'azione positiva, e tanto più dinamizzata dalla riflessione, man mano che la sua ansia poetica scuote il peso di certi problemi e compone immagini piacevoli nel colore e nel segno, nudi chiari sbalzati su una materia cromatica che ribolle. Nudi di donna che portano all'amore? Forse, e non par poco. Ma non importa crederci, nè ai giochi dell'amore nè alle «sollecitazioni erotiche», di fronte a questi quadri; mi accorgo che bastano la plasticità della forma e le vibrazioni ottiche che muovono dal colore per dimensionare quest'opera come voce fertile di un microcosmo positivo. Isabella Lapi
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“deserto della memoria� acrilici su tela 1972
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CARLO SEGALA, giornalista “Riccardo Saldarelli allo «Scudo»” IL GAZZETTINO, anno 85 n. 224, 10 ottobre 1972, Verona Oggi i pittori ce l'hanno a morte con l'inquinamento e, di conseguenza, dipingono il pattume, cosicché dopo quello che vediamo nelle strade, altro ne troviamo sulle tele. Unico vantaggio, che non puzza. In verità Riccardo Saldarelli, pattume o non pattume, è un bravissimo pittore, assai più poeticamente valido della sigla che gli si vul attribuire per ragioni reclamistiche: è un artista sensibile alla desolazione, al disfacimento, in una parola alla morte, che è il tema vero, contrapposto alla bellezza, al soffio delicato della gioventù, della sua accuratissima ed intelligente pittura. La «personale» allestita alla galleria «Scudo» (che è quello di Francia, non una sorta di schermo o paravento; forse riparo bellico, forse toponimo post-napoleonico ora traslato elegantemente nel nome della galleria) va considerata come una rassegna completa, tale da consentire un pieno apprezzamento critico dell'opera dell'artista, assai superiore, dicevamo, alla facile sigla con la quale viene presentato. Basandosi su di una sorta di furore grafico, sottilissimo per l'intelligenza e l'equilibrio del segno, il Saldarelli è riuscito a volgere l'occhio al colore ed a condurre la propria trama cromatica senza annullare le acquisizioni grafico-strutturali dalle quali è mossa la sua fantasia. Quasi un miracolo, in una direzione per lo più vietata. Ci senti la scuola d'Annigoni, superata con coscienza, più dolorosamente attenta alle cose d'oggi: un valore che non è contestabile, che ha immediato rapporto con l'uomo moderno, che tocca profondamente le corde intime della commotività dei fruitore. La mostra, che è cordialmente presentata dal Biasion, ha, oltre che la portata comunicativa che la distingue e la impone sul piano delle realizzazioni poetiche, cospicuo valore sotto il profilo tecnico, sia per l'eleganza delle realizzazioni, sia, soprattutto, per la loro portata tecnica. Perchè la critica, poi, insista tanto sul concetto di ecologia, di pattume e robaccia del genere, quando l'angelo silenzioso della morte e del dolore è la musa dell'artista, non lo si comprende bene; o forse bisognerà farlo spiegare dai pubblicitari, da quegli occulti persuasori di coscienze, per i quali un'opera d'arte, nel mondo che li circonda, è importante quanto una marca di pomodoro. Carlo Segala
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“deserti della memoria� computerart 2000
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EMILIO ISGRÒ, giornalista TEMPO, A. Palazzi Editore anno XXXIV n. 41, 15 Ottobre 1972, Milano Pittore e sindaco ecologi Il cerro è un albero simile alla quercia, ma di scorza più ruvida, che è molto comune in una località a una ventina di chilometri da Verona che si chiama appunto Cerro Veronese. Qui, a poco meno di 800 metri di altitudine, ha sede un Centro di studi che ha organizzato un convegno scientifico nazionale: "Meteorologia ed ecologia". II presidente del Centro, avvocato Danilo Andrioli, che è anche sindaco del luogo, ha compreso una cosa importante, che cioè l'arte è sempre legata ai fatti concreti dell'uomo. Perciò alle relazioni degli studiosi ha affiancato una mostra di quadri ispirati all'ecologia con un riconoscimento che è andato al pittore fiorentino Riccardo Saldarelli. Sede per la consegna al giovane artista del diploma di benemerenza e del "Cerro d'argento" è stata la Galleria dello Scudo di Verona, dove Saldarelli aveva inaugurato una grande personale presentata da Renzo Biasion. Emilio Isgrò
“nudo nel paesaggio” disegno 1972
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FRANCO RICCOMINI, giornalista LA NAZIONE, 5 novembre 1972 Prato « ... C'è in lui una esigenza di stile, che non risulta però freno alla fantasia. E il suo mondo è complesso, ricco di sollecitazioni che oscillano dal misticismo ai problemi sociali e all'erotismo... » E' un brano che abbiamo stralciato dalla presentazione in catalogo del pittore Riccardo Saldarelli da parte di Renzo Biasion e che ci pare sintetizzi in maniera efficiente il contenuto della pittura dell'artista fiorentino, pittore non a caso in quanto culturalmente preparato, laureato in architettura e con un incarico di ricerca all'istituto di composizione della facoltà di architettura di Firenze. Saldarelli ha già una sua dimensione in campo regionale: ha ottenuto riconoscimenti ed affermazioni e lo ricordiamo come vincitore dell'ultima edizione del premio «Montepiano». Ciò che colpisce subito nella sua pittura è la straordinaria capacità di esecuzione sorretta da un indiscutibile mestiere che non gli vieta certo di spaziare con la sua fervida immaginazione nel campo della poesia scoprendo notevoli qualità interiori. Saldarelli affronta problemi attuali: ecologia, gli inquietanti interrogativi sul futuro, le sollecitazioni erotiche. In, ogni caso Saldarelli porta il contributo della sua vitalità descrittiva che gli viene dalla padronanza del segno grafico e quello, molto importante, della «spiegazione» positiva del problema affrontato che in certi casi si sdrammatizza proprio per quella sua dinamica, per la piacevolezza segnica e cromatica di figure e oggetti. Un mondo pittorico, tra l'altro, pieno di sfumature, di umori, di vita «intesa come sensazione di essere». Il discorso pittorico di Saldarelli è in pieno svolgimento: scava con efficacia nelle contraddizioni del nostro tempo e ne ricava significati e inquietudini che gli servono anche ad esprimere un suo preciso linguaggio artistico. La mostra chiude il 10. Franco Riccomini
“nudo disteso” particolare crete, biacca e bolo
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GRAZIA AMBROSI TADOLINI, giornalista “artisti contemporanei, Riccardo Saldarelli” MADRE, quindicinale, N.7 aprile 1973 Brescia È romano (nato nel 1942); ha compiuto gli studi classici a Cagliari; si è laureato in Architettura a Firenze, dove ha anche frequentato la Scuola libera di nudo all'Accademia di Belle Arti e i corsi di Drammaturgia e messinscena al Conservatorio «Cherubini». A Firenze risiede tuttora e la sua vita si è dunque svolta nelle città «privilegiate», almeno in apparenza, rispetto a quelle del nord, soffocate dallo smog. Ha vissuto nel verde e nel sole: li ama spasmodicamente e avverte con inquietudine il lento, ma inesorabile, mutamento che sta sciupando anche la fisionomia dei luoghi che gli sono cari. Roma, Firenze, l'intera Italia, l'Europa, il mondo sono contaminati dall'inquinamento atmosferico. I ragazzi non hanno più spazio, né aria pulita per giocare. Le future generazioni si avviano - se l'uomo non prenderà immediati e drastici provvedimenti - verso un futuro «di pietra», squallido come un paesaggio lunare, dove un fiore diventa un miraggio e un albero un miracolo. Riccardo Saldarelli sente questo tema con particolare intensità: all'ecologia ha dedicato numerose opere, amare e drammatiche. Ma in lui non c'è soltanto un esasperato pessimismo: i suoi quadri vogliono essere un messaggio, un invito, perché per l'umanità c'è ancora speranza, se ognuno di noi saprà ricorrere alla «buona volontà» e avrà il coraggio di lottare, prima di essere sommerso dal tecnicismo industriale che minaccia di cancellare liberi spazi della natura. Saldarelli - insegna al Liceo artistico di Firenze e svolge ricerche presso l'Istituto di composizione alla Facoltà di architettura - ha partecipato a oltre 60 mostre e concorsi, ottenendo importanti riconoscimenti. Ricordiamo che ha vinto il primo Premio di pittura «Dettori» (Cagliari 1960); la medaglia d'oro dell'UFDI alla Mostra nazionale di arti figurative, nella stessa città (1962); il Premio dell'Azienda di Turismo di Firenze alla Mostra «Città di Viareggio» del 1963; il Premio speciale per un giovane artista all'Annuale italiana di arte grafica (Ancona, 1966); quello per la Pittura di avanguardia figurativa alla II Biennale delle regioni (Ancona, 1967); la medaglia d'oro per il disegno al premio nazionale «F. Barberino» nel 1969; il «Cerro d'argento» a Verona nel 1972, per il suo contributo alla difesa del patrimonio ecologico; il Premio Montepiano (Vernio, 1972) eccetera. Di lui hanno scritto qualificati critici, tra i quali Renzo Biasion, Pier Carpi, Rodolfo Tommasi, Carlo Emanuele Bugatti e altri; le sue opere hanno raggiunto importanti quotazioni sugli annuari di arte contemporanea, come il Bolaffi. Si interessa molto alla grafica e collabora a varie pubblicazioni, avvalendosi di una non comune abilità nel fissare il segno, il movimento, la plasticità della figura. Però questa abilità non è mai fine a se stessa; la caratteristica principale di Riccardo Saldarelli sta nella capacità di tradurre in immagini o in macchie di colore - un contenuto espressivo. Nel suo mondo, vibra una sofferta spiritualità. Molte opere sono di ispirazione mistica: ad esempio, la stupenda «Via Crucis», bruciante di trattenuta violenza e ribellione, addolcita dal rassegnato e consapevole atteggiamento delle figure più dolorose e ricche di luce: le pie donne, la Madre del Cristo. Lui, il crocifisso innocente, non mostra il proprio volto: perché nei suoi lineamenti sconvolti dalla sofferenza si rispecchiano quelli di ogni uomo. Li rappresenta tutti, porta con sé il peso del dolore di tutti, ha accettato di espiare per tutti. Questa «Via Crucis » è l'opera corale più completa di Saldarelli. Ma altrettanto significativi sono i quadri sull'ecologia, o le affascinanti figure femminili. O i bambini, con i loro occhi adulti e sgomenti, che hanno visto e imparato troppo presto.
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Parlare di poesia, a proposito dell'arte di Riccardo Saldarelli, diventa un luogo comune. In questo giovane pittore c'è qualcosa di più. Non è soltanto l'intuito psicologico, che gli permette di approfondire la ricerca quando si accosta ai problemi esistenziali; c'è in lui una capacità di trasfigurazione dei sentimenti, che lo fa diventare interprete e protagonista di ciò che dipinge. Anche quando sembra condannato a maledire, riesce ad esprimere un atteggiamento d'amore - filiale e protettivo allo stesso tempo - verso l'umanità e la vita. Grazia Ambrosi Tadolini
“Via Crucis, Cristo e due ladroni” particolare dell’affresco in corso d’opera 1983
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CORRADO MARSAN, giornalista e critico d’arte LA NAZIONE, 13 dicembre 1973 Firenze pagine di viaggio di Riccardo Saldarelli L'incontro con l'opera recente di Riccardo Saldarelli (e si veda la scelta mostra personale che l'artista ha allestito nei locali della galleria «Davanzati», a Firenze) è un incontro sostanzialmente felice: il discorso, in queste pagine di viaggio (un viaggio che Saldarelli ha compiuto, recentemente, in alcuni paesi dei Medio Oriente), ci viene incontro con ben altra intensità e si muove su altri piani rispetto a quello che l'artista andava elaborando e proponendo due o tre stagioni fa; ma non poche cose, comunque, sono rimaste sulla tela, a riprova che la ricerca rigorosa e intelligente di quegli anni fu un fatto indispensabile e, tutto sommato, fondamentale. E' il modo in cui oggi, appunto, Saldarelli taglia le scene e impagina i suoi soggetti preferiti: questo suo modo singolare, cioè, di procedere per piani paralleli, per piani convergenti e per piani ribaltati, dove tutto si allinea, come per incanto, secondo il ritmo di un'antica e vivacissima visione geometrica e fantastica dell'universo che ci circonda e che ci sovrasta. Una geometria ingentilita e addolcita da una sorta di magico realismo che imprime all'immagine (sia essa uno scorcio di paesaggio, una striscia di deserto o una figura balenante) la tensione che è propria di un qualcosa in bilico tra realtà e memoria, tra miraggio e magia, tra confessione ed allusione. Corrado Marsan
mentre ritrae una dama di corte nel Palazzo Reale a Shiraz Iran 1973
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EDGARDO PERINI, giornalista “Il pittore Riccardo Saldarelli alla Galleria Vicolo Gomma” “IL RESTO DEL CARLINO”, 26 febbraio 1974, Rimini Presentato da Gallini, alla ricerca di sempre nuovi talenti, del pittore figurativo Riccardo Saldarelli si ammirano le testine di donna, riscaldate e illuminate dagli occhi magnetici vibranti di psicologiche allusioni, che pare si muovano e ti inseguano dovunque tu ti giri, sognanti e dolorosi. Si sottolinea inoltre la sicurezza e vigoria del disegno preciso e chiaro che non trascura i minimi particolari senza cadere mai nel lezioso o nel calligrafico, pur essendo talvolta immerso in un'atmosfera allucinante... Si gustano infine di lui le architetture di composizioni ben calibrate ed armoniose sia nei corpi che nei panneggi e negli arredi. I colori trasparenti e squillanti degli oli, di sapore ecologico ed esistenziale, sottolineano la bellezza sensuale dei nudi, che in certi particolari e scorci non del tutto mi convincono per ciò che si riferisce alle pose alla composizione, all'anatomia e al volume. Certo è che, nel complesso, ci troviamo in presenza di un artista maschio e potente, delicato e sottile, che sta sempre più e sempre meglio affermandosi e che è ben più di una promessa nell'arte italiana, e di questo mi convincono, tra le carte argentate o metallizzate, i multipli per il «Guerin Meschino» tra cui l'enigmatica e dolente figura del Don Chisciotte e la complessa e drammatica «Via crucis», degna di Rodin, di Leonardo e di Michelangelo, la «Donna con turbante», il «Ritratto» e uno degli ultimi dipinti che dagli altri si distingue per tecnica e stile, per la cromia e la moderna sintesi delle linee turbinose e magiche, la «Ragazza in viola», che forse prelude ad una nuova serie di opere. Edgardo Perini
“chador a Mashad” acrilici su tela 1974
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durante la campagna di rilievo monumentale a Mashad Iran 1974
un momento della mostra personale di Saldarelli nel Museo Nazionale di Shiraz, a sinistra il governatore del Fars e il Magnifico Rettore dell’Università , Iran1973
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FENENNA BARTOLOMMEI, giornalista e critica d’arte LA NAZIONE, 22 agosto 1977, Grosseto lo scenario suggestivo di Riccardo Saldarelli Entrare in una galleria senza alcuna nota informativa sulla pittura esposta e sul pittore che l'ha eseguita procura sempre una certa emozione specialmente se la pittura desta interesse. Di Riccardo Saldarelli (espone a La Medusa di Castiglione della Pescaia) non avevo visto nemmeno il depliant, perciò tutte mie e senza alcun suggerimento le impressioni e le sensazioni: il primo sguardo circolare fa «sentire» le vibrazioni e la musicalità del colore; dal colore emergono le forme; dalle forme la particolarità della forma e infine, lo sguardo errante sulle opere si ferma e rimane affascinato, su un quadro fra i più grandi: una conchiglia di un bianco-grigio bluastro, in primo piano su un'arida distesa grigio-fondo interrotta da corrugamenti, da qualche masso verde-nero e da lunghe ombre cupe. Blandito il cupo e l'aspro da un sovrammettersi di toni viola appena soffusi di sfumature argentee. Unica apertura il taglio verde-azzurro all'orizzonte. Lo scenario suggestivo oltre ogni dire, mi riporta ai corrugamenti, ai tavolati desertici del Sahara dove anche le ombre fanno luce. «Non è il Sahara - mi informa il pittore - è lo scorcio di una delle zone desertiche dell'interno della Persia». Altri scorci in quadri di più piccolo formato, altre conchiglie ma diverse le luci. La sabbia sotto il sole, con tutte le tonalità dell'oro, del grano maturo, del fulvo rovente. La sabbia al crepuscolo dove sono in gioco tutte le sfumature. I fiori: un grande fiore, sempre uno solo, rigoglioso carnoso ma freddo, la bellezza fredda delle pietre dure, sorte infatti dalla pietra: blocchi squadrati o lastre terse e levigate di marmi preziosi. Ed infine le figure femminili: volti bellissimi ma ritagliati anch'essi nella pietra dura. Sono busti o soltanto teste sormontate da enormi copricapo fantasticamente complicati, che niente hanno del civettuolo ornamento femminile e molto della irridente parodia del cappello, del casco, del turbante. Chi sono? Donne o simboli? Sibille, idoli crudeli, amazzoni? Forse un po' di tutto questo; creture misteriose che il pittore-poeta ha creato in sogno con le pietre che egli ama, con i grandi fiori dalla bellezza fredda, con la luce dei deserto persiano. Fiaba pittorica senza esordio, senza epilogo. Analizzare l'opera di questo pittore romano di nascita fiorentino di adozione (a Firenze vive e lavora), non è facile; dovremmo anzi tutto effettuare un lungo viaggio nel suo mondo interiore, frugare nei suoi ricordi, nelle sue impressioni, dare la scalata ai suoi estri, e infine impadronirsi del filtro magico attraverso il quale passano le sue emozioni. Avventura affascinante ma non realizzabile. Ci accontenteremo di scandagliare nel suo mondo culturale. Dopo aver compiuto gli studi classici, Saldarelli, ha seguito corsi di cartellonismo e restauro. Si è laureato in architettura a Firenze dove ha frequentato la scuola libera di nudo e i corsi di drammaturgia e messinscena. Tiene la cattedra di figura disegnata al liceo artistico statale di Firenze e svolge attività di ricerca presso l'istituto di composizione alla facoltà di architettura. II processo figurativo della pittura di questo giovane colto pittore è un fatto creativo-emotivo; il segno grafico si arricchisce, descrive, il colore lo esalta e psicologicamente lo definisce. Un discorso piuttosto sorretto da una sicura sintassi, nutrito di genuina linfa poetica. La pittura di Riccardo Saldarelli è, insomma, l'intelligenza (con la piena partecipazione dello spirito) di Riccardo Saldarelli. Fenenna Bartolommei
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“nodi� copertina del volume di grafica sperimentale, il Candelaio edizioni 1977
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LUCIANO GHELLI Eco d’arte moderna, n 9/10 settembre ottobre 1977 Per Saldarelli le cose d'oriente non sono retorica romantica o motivi di moda «petroliera», così come non erano motivo di opportunistica convenzionalità le sue opere «ecologiche» del '72/73. C'è stato realmente nelle moschee e nei deserti, e non da turista: ha vissuto della Persia luoghi e ambienti. Egli è pittore già noto, con un suo discorso che si va lentamente e laboriosamente sviluppando e chiarendo; ma non dimentichiamo la sua esperienza di architetto, mai rinnegata, che lo ha fornito di una sana e caparbia capacità di analisi. Non si accontenta di una semplice osservazione e restituzione degli oggetti, desidera andare in profondità, sondare e scoprire «strutture nascoste», per verificare continuamente, con passaggi a volte coraggiosi anche apparentemente casuali, i molteplici collegamenti, le analogie che legano il microcosmo delle forme naturali col macrocosmo delle strutturazioni artificiali, col mondo delle relazioni e dei comportamenti. E forse poco per presentare il volumetto di Grafica Sperimentale, «intitolato Nodi», che Saldarelli ha preparato per il Candelaio Edizioni. Saldarelli dimostra in questa occasione, ancora una volta, le sue reali doti di grafico, in una sequenza di disegni a penna, i «nodi», appunto, che non sono altro che «gherè» persiani, i complessi motivi geometrico-esoterici che fanno da matrice ad ogni operazione estetico-decorativa-architettonica del mondo islamico: dal tappeto alla moschea, dal minareto alle policrome tessiture dei mosaici ceramici, i «kascì». Ma «nodi» sono anche le relazioni, i collegamenti con i suoi temi di sempre che qui si fanno simboli, forse nodi da sciogliere: figure femminili, figure col copricapo, fiori, marmi, deserti. Forse Saldarelli cerca con questa sua opera, che sarà presentata in occasione di una prossima personale, di offrire una chiave di lettura per trovare chi, leggendolo, lo accompagni per le fantastiche vie che conducono alle splendide regioni dell'immaginazione, pur accettando, con la propria solitudine di artista, la solitudine degli altri. Luciano Ghelli
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sopra: “enigma” tecniche miste su tela 1976 a fianco: “figura con copricapo” inchiostro 1977
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DINO PASQUALI, scrittore e critico d’arte presentazione della monografia pubblicata “Il Candelaio edizioni”, dicembre 1978, Firenze Il senso di un «bello» Cos'è che interessa della natura, della «gran madre Cibele», ad un'artista di consolidata pratica come Riccardo Saldarelli? Il principio per cui le cose sono, oppure lo spettacolo fantastico che esse offrono a chi sa guardarle più con lo spirito del poeta che con l'occhio dello scienziato? Pensando all'inesauribile ricchezza morfologica del creato ed a quanto di essa il pittore traslata ed elabora - sotto il denominatore di una certa sensualità - nei suoi quadri, si decide a favore del termine «estetico» della domanda. Ciò non vuol dire che per le sue opere si debba parlare soltanto di una natura «formaliter spectata» e non vi si diano significati, e dunque contenuti, i quali trapassano il compiacimento formale. D'altronde Saldarelli ama la simbologia, e questa, lo sappiamo, riconduce sempre ad un'idea di cui essa è il rivestimento sensibile. In materia di contenuti ne ricordiamo, per inciso, quel bambino di colore - immagine denutrita del terzo mondo - abbassato al rango di rifiuto da mescolare con la nettezza della civiltà dei consumi. Fra l'altro egli si è rivolto all'ecologia prima che tale questione divenisse motivo d'ostentazione per «nouvelles vagues engagées». Eppoi ci sarebbero da considerarne i temi religiosi, di cui taluni non si appellano certamente al solo piacere dell'occhio e non hanno per fine il «pathos delle forme». In un deciso senso «romantico», per cui il pensiero non è tanto razionalità quanto fantasia, Novalis sosteneva (fra virgolette poniamo della sua riflessione una sintesi altrui) che «la natura è una produzione del nostro spirito, di fronte al quale essa sta come una città incantata, che lo spirito dovrà saper ridisciogliere nelle proprie immagini». Cosa coglie Saldarelli di questa «città incantata»? Coglie donne bellissime, ieratiche, con ineffabili turbanti (è tutta da scrivere una filosofia del copricapo muliebre secondo le epoche e le latitudini; ma forse è meglio di no: chi si accingesse alla fatica dovrebbe rivisitare nell' «eterno femminino» quella costante d'irrazionalità che ieri solleticava i nostri nonni ed i nostri padri ed oggi fa incollerire le femministe); giovani donne come plastiche, carnali maschere di un'interiorità tutta da definire; donne gelide pur se con tutti gli attributi di una vistosa femminilità: dalle labbra polpute ad un seno che non suscita certo d'acchito sentimenti di devota figliolanza. Ci fa scorgere nel giaggiolo, pur se sappiamo distinguerlo con la freddezza del catalogatore linneano in Iris florentina ed in Iris germanica, un'evidente metafora del sesso. Raduna grosse conchiglie nelle quali l'oceano seguita a muggire e le cui cavità altre, delizia e croce del maschi, ne ricordano: insieme alle due immagini-simbolo di prima paiono suggerirci che secondo l'etimo, vuoi latino, vuoi greco, la parola natura significa generazione. Immensifica le venature di un marmo, esalta gli aspetti microcosmici di una selce. Della materia mette a confronto un aspetto organico con uno inorganico, sì che dalla comparazione meramente visiva delle forme si possa dedurre come la struttura viva d'un fiore non differisca da quella «morta» di una pietra, che sembra anche questa confermare lo «slancio vitale» di quella «evoluzione creatrice» di cui Bergson dice. Saldarelli coglie tutto ciò senza vergognarsi di suscitare in noi un certo qual senso del «bello», il senso di un bello magari esotico ed individuato durante un soggiorno nell'Iran, dove taluni «scenari terragni» gli avranno forse proposto la similitudine con quelli di una Sardegna che lo vide studente. E un «bello intelligibile, espresso nel sensoriale, come splendore della forma»; poiché «pulchrum fundatur super formam », sosteneva l'Aquinate, il quale per altro verso amava discorrere dell'artefice
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piuttosto che dell'artista, com'è stato notato. Il che ci serve da appicco per rammentare che in Riccardo Saldarelli l'artefice conosce da un pezzo il mestiere; la quale cosa non è davvero di modico rilievo, se la si valuta in un'atmosfera d'inconcludenti verbalismi, dove ad un significato della vita come operosità se ne sovrappone vieppiù uno di attività teoretica professata da axiologi estemporanei. Dino Pasquali
“musino” dalla cartella di nove serigrafie “incontri” 1980
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RINALDO BETTINI “PEGASO” bimestrale di cultura arte costume anno III N. 6 - dic. 1978, Firenze Meravigliose, misteriose figure femminili, nude o avvolte in turbanti e costumi orientali, magici fiori carnosi sullo sfondo di freddi marmi variegati, solitarie conchiglie adagiate da secoli su silenziosi, assolati deserti, composizioni oniriche al limite dell'informale, temi-simboli di un mondo fantastico e incantato che Riccardo Saldarelli ci ha proposto nella sua vasta antologica alla galleria «IL PUNTO », borgo S. Jacopo, 36, dal 15 dicembre 1978 al 10 gennaio 1979. E' una serie ininterrotta di sequenze suggestive e tormentate, dove avverti la solitudine come sottofondo musicale, leit-motiv di una splendida arpa-universo che ti accompagna fin nei più remoti confini dell'immaginazione. Immaginazione di contenuti ascetici e sensuali, dove le donne e i fiori, le conchiglie e i deserti, le pietre e le sabbie ti riconducono ai più profondi e inquietanti sentimenti dello spirito. Senza contare infine una serie di temi religiosi i quali, se non altro, sottolineano una valida e consolidata capacità dell'artista. Infatti Saldarelli è un artista completo e poliedrico, il cui ritmo incalzante ti sovrasta e ti affascina. Rinaldo Bettini
incontro con Domenico Purificato durante la cena degli auguri della Compagnia del Paiolo Firenze 1979
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“fashion” carboncini e crete su cartone 1986
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ANGELO SPINILLO, pittore e critico d’arte AVVENIRE, 10 gennaio 1979, Firenze Avevo scritto qualche anno fa che Riccardo Saldarelli, oltre ad avere un talento di buon disegnatore e di colorista istintivo, è un artista pieno di fermenti di ricerca che caratterizzano il suo lavoro creativo. Ne abbiamo una conferma nella mostra che ha inaugurato in questi giorni al Centro Culturale «Il Punto» in Borgo S.Jacopo. Saldarelli ha compiuto gli studi classici, si è laureato in architettura e ha frequentato la scuola di nudo dell'Accademia: certo, non è tutto per un pittore, ma questa esperienza gli ha dato una precisa impostazione nella forma espressiva. La composizione delle opere è sentita emozionalmente attraverso una strutturazione di forme e di colori. Per questo la realtà stessa viene come liberata da ogni superfluo accademismo attraverso una ricerca costante per evidenziare l'essenzialità della composizione e dei rapporti plastici come mezzi di espressione. Questo si realizza ad esempio nello studio della «via Crucis» e nella «morte della Natura» dove viene affrontato il problema dell'inquinamento. Il fatto positivo di questa vasta panoramica della sua attività, è quello di non dare falsa testimonianza ai fatti che stiamo vivendo. Con costante ispirazione, avvertita come intima esigenza, Saldarelli cerca di definire la sua personalità artistica. Angelo Spinillo
illustrazione per la copertina del romanzo “la ragazza di via dell’anima” Salani editore 1981
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illustrazione per la copertina del romanzo “Fantomas� Salani editore 1981
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RENZO FEDERICI, storico e critico d’arte “mostre d'arte, giovani quieti e inquieti” PAESE SERA, Venerdì 12 Gennaio 1979 Firenze Riccardo Saldarelli espone alla chiesa di San Jacopo in Borgo San Jacopo. E il lavoro di dodici anni di un giovane, e risente della molteplicità di interessi che si accavallano a quell'età. Ci pare comunque che vada sinceramente sforzandosi di uscire da certo accademismo di partenza, per arrivare a un tipo d'immagini più mosse e libere: non sempre indenni dall'esotismo e magari affaticate a tratti dalla ricerca di simbologie ritorte. Ma i risultati più recenti, soprattutto nella grafica, mostrano un mordere più diretto sia del segno che dell'inventiva, insomma uno stringere delle intenzioni verso una crudezza agra ma suggestiva. Renzo Federici
illustrazione per la copertina del romanzo “appuntamento all’ora x” Salani editore 1981
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tavola del fumetto “l’eredità” dal mensile “horror” n.14 feb. mar. 1971 Sansoni editore
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TOMMASO PALOSCIA, giornalista e critico d’arte “mostre d’arte, Riccardo Saldarelli” LA NAZIONE, 11 febbraio 1979 Firenze Nei locali del centro culturale «Il punto» e nell'adiacente chiesa di S. Jacopo, Riccardo Saldarelli ha proposto una personale antologia di grafica e di pitture, insieme con un settore - ospitato appunto nella chiesa - totalmente dedicato all'arte sacra. Saldarelli vi appare pittore di polso, dotatissimo disegnatore e ricercatore assiduo: non di vivacizzazioni appariscenti, ossia di astute soluzioni come capita spesso a tanti pittori della nostra epoca in continua subordinazione all'ossessivo stimolo della ribalta, ma ricercatore di rapporti sempre più vicini all'autentico tra immagine e condizione dell'ambiente e dell'uomo. Laureato in architettura, insegnante nell'Accademia di belle arti, Saldarelli porta dentro alla sua indagine il peso di una cultura costruita rigorosamente senza salti e avventure. Il volumetto presentato da Dino Pasquali per le monografie tascabili di «Eco d'arte moderna», che si accompagna alla mostra ne indica i passi salienti e anche i modi che si affacciano attraverso le esperienze. E' chiaro che il pittore, oltre i personali tentativi tecnici in evoluzione, intenda far conoscere in questa mostra il mutarsi logico e coerente della sua pittura, fino alle ricerche di studio operate direttamente nell'Iran sui fatti decorativi di una civiltà plurimillenaria, ancora vivissimi sulle pareti interne ed esterne delle moschee così come la indagine sui comportamenti e sui volti segnati di uomini che hanno perduto memoria e identità di quello che essi stessi furono, protagonisti all'alba della civiltà del mondo. Una mostra schietta, dunque, che ripropone carattere e valore di un artista ancora giovane rimasto sorprendentemente nel silenzio a operare seriamente e bene. Tommaso Paloscia
“figura con copricapo” tecnica mista su tela 1975
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presentazione alla cartella “incontri� 9 serigrafie Reggio Emilia 1980
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ROMOLO DE MARTINO, giornalista “mostre d’arte, Riccardo Saldarelli” LA NAZIONE 13 agosto 1979 Nel quadro degli annuali festeggiamenti estivi di Badia a Settimo, è stata allestita una mostra di Riccardo Saldarelli, che nel suggestivo chiostro vecchio della splendida badia ha presentato numerose opere grafiche e d'altro genere, tra cui due affreschi su embrice. Saldarelli non ha bisogno di una particolare presentazione: chi, segue la giovane pittura fiorentina sa bene come questo artista, così schivo da evitare, sembra di proposito, le grandi gallerie e i locali à la page, abbia il non frequente merito - quasi una sfida - di disegnare e dipingere secondo gli antichi canoni dell'arte l'arte figurativa e, tuttavia, di portare nei suoi lavori un'attualissima inquietudine. D'impianto apparentemente accademico, la figurazione di Saldarelli (improntata a un sentito spirito religioso, spesso addirittura mistico, pur in soggetti di diversa ispirazione), è in realtà il prodotto di una ricerca continua anche in direzione di un segno sempre più essenziale e di una leggibilità che vuol essere soprattutto un giocare a carte scoperte senza alcun rifugio di comode fumisterie. A suo modo, Saldarelli segue la lezione degli antichi, magari fino ai manieristi, ma soltanto nel generoso tentativo (spesso riuscito) di dare a quelle remote voci un timbro e una drammaticità tutti moderni. Qualunque sia per essere l'evoluzione di questo pittore, crediamo che non sboccherà mai nella mediocrità, benché abbia scelto una strada irta di pericolosi trabocchetti d'ambiguità stilistica. Romolo De Martino
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GIUSE BENIGNETTI, storica e critica d’arte Eco d’arte moderna n.24, 20 nov. - 30 dic. 1979, Firenze Riccardo Saldarelli alla Saletta Ambra, Poggio a Caiano Spesso i veri artisti contano le loro esperienze su un solo nucleo, un solo tema, traendone inediti spunti. Il tentativo di decifrare la formazione di questo ciclo di donne con copricapo ci viene spontaneamente raccontato (non dico «spiegato» perché Saldarelli lascia al visitatore la libertà d'interpretazione) dall'artista con le sue simpatie alla pittura fiamminga filtrata da ricordi più recenti della sua vita che lo ha visto giovanetto in Sardegna dove ha certo recepito i valori di mistero e d'incanto facendone, dunque, materia del suo linguaggio. La lettura, ove si cercassero allusioni e significati, si farebbe molto difficile, né si dovrebbe tralasciare il riferimento anche all'attributo monacale, accostamento ancor più inquietante seguito con mentale sensualità. Prendiamo qui atto solo della particolare vena plastica, pittorica e poetica che fa di questa suggestiva immagine del copricapo una invenzione siglata da una cifra tutta personale. Si ricordino i temi già toccati ampiamente da Cagli e da De Stefano, ma ancor più da Carmassi. Ma a differenza di tanti altri che mascherano un vuoto abissale della loro coscienza con espressioni di inutile violenza formale, Saldarelli recupera con queste figure sentimenti tralasciati e implacati, quasi sogni e suoni di voci perdute. E si veda anche l'aspetto strettamente cromatico che porta questo ultimo ciclo su un livello di raffinatezza, di armonie sottili, giocate con pochi fondamentali colori: direi quasi che c'è una riscoperta del fascino del bianco che trova felice sbocco nella «perdita di colore» nelle più variegate tonalità. Giuse Benignetti
“ragazza con copricapo piumato” tecniche miste su tela 1980
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CARMELO GENOVESE, giornalista fondatore e titolare della cattedra di Estetica Sperimentale nelle Accademie di Belle Arti di Firenze e Bologna presentazione alla mostra personale “dai deserti al computer” patrocinio del Comune di Firenze e Azienda Autonoma di Turismo Palazzo Strozzi, Firenze sett. ott. 1982 testimonianza 3 Perché 3? Allorquando l’amico Riccardo Saldarelli mi chiese una pagina da scrivere per questa mostra rimasi perplesso. Sapeva già, per via dei seminari che sistematicamente teniamo insieme presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze, che, occupandomi di estetica sperimentale, non apprezzo la ridondanza, l’arbitrio di certa critica. Anche quando si chiamano in causa alcune teorie estetiche, per altro spesso contraddittorie, manca una coerenza metodologica. Eppure si parla - con noncuranza - di scientificità della critica d’arte! So, per personale esperienza, che, da anni, è avviata la ricerca scientifica nel campo dell’arte; ma so anche che il cammino è lungo e difficile e che i risultati, a tutt’oggi, sono modesti. Se volessimo applicarli per la critica esauriremmo ogni discorso con un paio di periodi. Da queste premesse è facile dedurre il mio costante rifiuto a scrivere criticamente, sia pure per un artista amico. Ho ceduto due volte, scrivendo per giovani amici, solo perché i critici ufficiali negavano un loro scritto. Saldarelli però mi precisò che dovevo occuparmi di quelli che potremmo chiamare «progetti per gigantografie computerizzate» ed allora ero obbligato a scrivere perché l’avevo invogliato a tale esperienza. Ritengo che l’avvento del Personal Computer, con i suoi programmi sofisticati per la grafica, modificherà profondamente l’operare artistico e darà il via proprio a quella critica che di scientifico ha solo un blasonato attributo, almeno fino ad oggi! Qui non si tratta di operare un revival nordamericano della assai discutibile questione «art computer» o «computer art», ma, almeno per il Nostro, di constatare i risultati artistici che ottiene, adoperando lo strumento elettronico computerizzato. L’artista, cioè, adopera i computer come strumento assai flessibile, per via di parziali automatismi, impiegando con maggiore rapidità l’ideazione che, dopo tutto, è quella che più conta e non solo nel campo dell’arte. Ho già detto che risultati delle ricerche scientifiche sull’arte sono ancora modesti, quindi gioverebbero poco per una critica scientifica. Potrei chiamare in aiuto la teoria dell’informazione adoperata da Moles ed altri, ho pero preferito la programmazione con il computer per la produzione, accantonando per il momento quella che sarà la critica scientifica. Ritengo, pertanto, che nel panorama artistico italiano l’iniziativa di Saldarelli merita una particolare attenzione per gli sviluppi futuri ed è per questo che segno con il 3 - dopo i due precedenti - questo mio scritto. Fra l’altro la cabala lo mitizza come numero perfetto. É un buon augurio per l’amico! Carmelo Genovese Bologna 6 giugno 1982
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RICCARDO SALDARELLI presentazione alla mostra personale “dai deserti al computer” patrocinio del Comune di Firenze e Azienda Autonoma di Turismo Palazzo Strozzi, Firenze sett. ott. 1982 Iniziò per spirito di ricerca: voler fornire agli studi di estetica sperimentale, condotti assieme a Carmelo Genovese, esempi di una fenomenologia artistica in atto, essendo, infatti, prerogativa di queste metodologie la possibilità di studiare in «tempi reali» la produzione artistica. Fin qui, tutto bene! L’interesse e la curiosità prevalsero, cosi, un po’ riluttante ma, tutto sommato tranquillo, mi misi al lavoro sul calcolatore. Quando però verificai direttamente che, oltre ad essere «oggetto di studio», continuavo ad essere «soggetto produttore d’immagini» ed il calcolatore altro non era che uno strumento di lavoro, diverso s’intende dai tradizionali pennello-colore-tela, ma pur sempre un «sistema» costruito dall’uomo per praticare anche «procedimenti pittorici», i punti di domanda si fecero parecchi. La valutazione del rapporto uomo-strumento si poneva come prioritaria, dovendosi stabilire certi ambiti operativi specifici per una macchina dagli «illimitati poteri». Fino a che punto basarsi sull’uso di apparati analogici al fare tradizionale? la penna elettronica, cioè, e la tavoletta grafica? Oppure lasciare tutto al linguaggio-macchina ed alla ricerca di forme corrispondenti a pure funzioni matematiche. Forme perfette ma troppo simili a diagrammi piani o tridimensionali, proiezioni ortogonali e centrali, sempre più lontane dai valori tradizionali dell’immagine pittorica. Questa, per intendersi, è, per lo più, la strada preferita dagli operatori visivi che lavorano col computer oltre oceano. Ma allora, fare col calcolatore quello che si fa col pennello? O almeno provarci? O lasciare il sopravvento al matematico? Credo che certi limiti siano perfettamente individuabili in lezioni come quelle dei Mondrian, dei Klee, dei Kandinskij. Che l’uso cartesiano dello spazio pittorico sia più che lecito, ma che debba essere l’uomo a valutarlo. É questo, forse, il confine che divide il campo operativo artistico dalla ricerca pura. Ma lasciamo, per ora, tutti questi interrogativi ed altri ancora. A me resta lo stupore per questo nuovo mezzo di espressione, la precisa sensazione di non aver avuto semplicemente un sofisticato giocattolo tra le mani, ma un qualcosa destinato a sconvolgere taluni luoghi comuni che gettano continuamente l’arte nell’incomprensione, come il semplicistico «qui c’è poesia, qui non c’è poesia». Un mezzo destinato a fornire nuove chiavi per interpretare il complesso fenomeno del «fare artistico» che, pur estrinsecandosi nella materialità, conserva, calcolatore o no, un momento di difficile valutazione, quello che taluni chiamano «ispirazione», altri «ideazione», ma che continua a mantenere l’uomo protagonista, nonostante l’apparente sopravvento della tecnologia. Riccardo Saldarelli Firenze 26 luglio 1982
pagina a fianco: Palazzo Strozzi, mostra antologica settembre-ottobre 1982 “dai deserti al computer”. Carmelo Genovese mentre osserva Saldarelli al lavoro col computer
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manifesto della mostra antologica “dai deserti al computer� Firenze 1982
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TOMMASO PALOSCIA, giornalista e critico d’arte presentazione alla mostra personale “dai deserti al computer” patrocinio del Comune di Firenze e Azienda Autonoma di Turismo Palazzo Strozzi, Firenze sett. ott. 1982 «Carico di esperienze come un antico saggio, malgrado l’età giovane - quarant’anni - che non otterrebbe credito a presunzioni di conoscenze e di saggezza». Mi pare di avere scritto abbastanza recentemente qualche cosa di simile cercando di inquadrare la figura di Riccardo Saldarelli, uomo e pittore, nel panorama sempre avvincente dei giovani che in Toscana cercano di infrangere la barriera dell’adattamento e dell’assuefazione. Mi avevano colpito, infatti, quelle ricerche in territorio iraniano quand’egli si calava, con un ancor magro bagaglio di esperienza ma notevolmente carico di entusiasmo e di ambizioni, fino al limite della protostoria dell’uomo, a battere alla porta della leggenda e del mito; a tentare oltre la soglia del visibile il recupero di una chiave di lettura che giustificasse l’avventuroso avanzare nell’archeologia dell’arte. II quadro operativo di Saldarelli, assai ampio, recepiva le solitudini e i silenzi profondi del deserto ma ne individuava le componenti afferrando per magia immagini cariche di tempo: uomini segnati da gravose esperienze e donne che celavano nel ritmo dell’abito avvolgente il mistero di cui si nutriva ogni giustificazione di un improbabile scopo di vivere. E nei marmi delle moschee e nei motivi delle loro decorazioni, Saldarelli apprese a indagare nel profondo le ragioni di una cultura di cui si era caratterizzata quella civiltà sepolta e recuperata a brandelli attraverso i ruderi e i reperti. Per cui ricordo le dune di sabbia che si inseguivano nell’incombente solitudine e nel silenzio, sulle tele di questo pittore capacissimo nel segno, mutarsi per incantesimo in gelide decorazioni di marmo nelle quali avveniva, per irreale sovrapposizione, l’innesto di figure muliebri; e queste, incantevoli fiori del deserto, riscoprivano nella materia congeniale il sapore cristallino della loro essenza: muti, suggestivi testimoni di epoche che la pietra soltanto può rendere alla fantasia e all’entusiasmo di un giovane ricercatore. É evidente che io sia stato contagiato da quella suggestione di cui si ammanta il ricordo delle esperienze vissute e riproposte nei quadri da Riccardo Saldarelli. Ma poiché dev’essere nel metodo critico la ricerca del riscontro o, se si vuole, dell’elemento certo dal quale possono muoversi le interpretazioni o le congetture di fantasia, la mia ricerca nell’iter artistico di Saldarelli e apparsa doverosa. Ed ancor più grande mi e parso il merito di questo pittore quando la documentazione ha rivelato i precedenti in cui si ritrovano indiscutibilmente le giustificazioni di questo suo operare, vale a dire la formazione culturale capace di inserire l’artista in quella particolare indagine nelle civiltà e quindi nei costumi e nei linguaggi di popoli diversi fino a scavare al limite delle loro origini. La consapevolezza dei mezzi, dunque, è gia matura in Saldarelli all’epoca dell’incantevole esperienza iraniana. Trasmigrato, per ragioni familiari, dal Lazio (è nato a Roma nel ’42) alla Sicilia e da questa terra, ricca di patrimoni culturali e artistici non ancora totalmente dispersi dal tempo, alla Sardegna disposta a irretire lo studioso col fascino della civiltà nuragica, quindi alla Toscana, Saldarelli ha affinato la naturale sensibilità alla ricerca. Lo scavo nell’ambiente e divenuto un fatto inevitabile in ogni momento di studio e lo aiuta la tecnica, anch’essa in continua evoluzione per la sete di conoscenza che stimola il giovane artista, che gli rende meno difficoltosa la rappresentazione di quelle emozioni di cui si affolla l’itinerario lungo il quale si attua l’indagine. É situata a questo punto la «calata» di Saldarelli nella civiltà mediorientale ed è inevitabile che nel corso di questa esperienza egli infranga il diaframma dell’assuefazione allo studio del reperto e «scopra» per sensazioni nuovissime le vie misteriose che scendono dal mito e dalla leggenda; e riesca a vedere oltre, nella zona in cui passato e futuro confondono i loro confini. In una tale condizione, che
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è poi un particolare stato d’animo conseguito sull’ostinata via della ricerca, il futuribile è materia di quotidiana osservazione; e Saldarelli se ne avvede quando, a contatto con i nuovi strumenti che alimentano il suo insegnamento nell’Accademia fiorentina di Belle Arti, si imbatte in quel mostruoso giocattolo che è il «personal computer». Non è stata una scoperta, intendiamoci. L’artista ricercatore è attratto dalle possibilità offerte dallo strumento (possibilità già ampiamente documentate dagli studi americani, russi e giapponesi nel campo specifico) e che lo riconducono, anche qui per una sorta di incantesimo, in quella condizione di privilegio conquistata nell’indagine del passato. Anche in questa occasione, la sorte è amica di Saldarelli e l’incontro con Carmelo Genovese è la conferma di un nuovo periodo felice che accoglie l’artista curioso e avido di conoscenze. L’estetica sperimentale, di cui Genovese è noto studioso e divulgatore, discopre un campo di vastissime, anzi sconfinate, prospettive di lavoro per un pittore che seguita a esplorare l’area di congiunzione tra passato e futuro; senza abbandonarsi troppo al vigore scientifico del calcolatore ma inserendo o sovrapponendo alle sensazioni carpite al tempo remoto gli impulsi o gli «algoritmi matematici» forniti dal cervello elettronico. Genovese, nella logica interessantissima dei suoi postulati, auspica con il trionfo della scienza nel mondo dell’arte «il tramonto del mito e del mistero» che oggi persistono, magari con l’apporto resistenziale di «non pochi critici e studiosi»; ed è probabile che questo avvenga. Non auguro tuttavia all’arte la squallida prospettiva dell’asservimento totale al metodo scientifico e allo strumento tecnologico ma un notevole contributo della scienza e dei suoi strumenti che aumentino, stimolandole, le nostre capacita creative e, perché no?, anche di giudizio. Credo che in questa direzione la ricerca di Saldarelli sia sintomatica di un contemperamento delle esigenze scientifiche con quelle dell’arte, cosi come ancora oggi la concepiamo. Un artista figurativo, del resto, non potrebbe agire altrimenti. E poi: il fascino del mito e l’attrazione del mistero hanno forse meno motivi di attrito con la scienza di quanto comunemente si pensi. La ricerca di Saldarelli, espressa in questa bella mostra ospitata nella Nuova Strozzina, conferma semmai che, pur attraverso metodologie diverse e con immagini conseguite dalla sensibilità della percezione o dall’intervento della macchina, i fini della esplorazione non divergono ma sono complementari. E come sulle gelide decorazioni del marmo si sono sovrapposte, inserendosi formalmente, le impressioni della solitudine e del silenzio apprese fra le dune del deserto o a contatto con i suoi mitici abitatori, così sulla razionale rappresentazione grafica e cromatica del computer può e deve rifiorire lo stimolo della fantasia dell’artista; giacchè è lui, sempre l’artista, ad arricchire la «memoria» della macchina e quindi a dominarla. Le cose che in questa mostra coraggiosa, e affascinante per i motivi che essa propone, si accostano e sfilano sotto lo sguardo dell’osservatore, raccontano una storia non lunga ma colma di esperienze ottenute sul medesimo filo della ricerca. Dal deserto al computer il cammino sembra lunghissimo, allucinante, ed è invece solo stracarico di emozioni e di tentativi attraverso i quali si toccano appunto il passato e il futuro e, se vogliamo, i due miti: la civiltà sepolta e quella tecnologica, ancor piene di promesse entrambe. E le avvolge comunque quel velo di mistero che la ricerca tenta di squarciare. In queste due direzioni, dunque, L’opera di Saldarelli si esprime, cauta e sconvolgente insieme. Tommaso Paloscia Firenze agosto 1982
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momenti della mostra antologica a Palazzo Strozzi a sinistra: il consigliere culturale dell’Arabia Saudita in Italia si intrattiene con l’artista sotto: i maestri Roberto Fabbriciani e Vincenzo Saldarelli in concerto
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TOMMASO PALOSCIA LA NAZIONE, 4 dicembre 1983 Firenze Caprese la «Via Crucis» e Saldarelli Nella chiesetta di Caprese Michelangelo, recentemente restaurata dall'architetto Merlini, artisti del «Paiolo» hanno contribuito alla decorazione dell'ambiente con apporti di piacevole sapore. Dapprima Enzo Pazzagli riuscì a inserirvisi magistralmente con un singolare altare in acciaio e l'ambone e il tabernacolo: tre elementi legati dallo stile dello scultore che attraverso le lamine è solito raccontare il suo mondo conosciuto e riproposto tra il reale e il visionario. Ora è la volta di Riccardo Saldarelli con una Via Crucis in corso di realizzazione con la tecnica dell'affresco: un alto fregio che recinge tutt'intorno il vano ecclesiale arrestando il suo procedere, e anche l'ardire, a fronte di un fresco cinquecentesco in cui l'immagine stupenda della Madonna (a stento sottratta alla rovina del tempo dall'abilità di Rosi e di Gavazzi) è tornata a dare lustro e venerazione all'ambiente. Saldarelli, pittore di notevoli capacità espressive, ha affrontato il tema con convincente rielaborazione dei sacri accadimenti, utilizzando l'esperienza di ricerca artistica irripetibile, vissuta personalmente nelle regioni mediorientali e che ancora tanta influenza ha sulla sua arte nutrita di rivisitazione tra il Rinascimento e il contemporaneo, fra le misteriose decorazioni parietali delle moschee iraniane, i reperti del deserto e i costumi di un territorio profondamente inciso da civiltà plurimillenarie. E nell'ambiguità dell'espressione, plasmata nella memoria e sfuggente alle codificazioni esatte, l'artista va manifestando sensazioni e umori che si sviluppano nel suo quotidiano. Gli affreschi in corso di esecuzione rivivono le esperienze iraniane nei volti, nei «chador», nei movimenti lenti e ritmici dei protagonisti trasferendovi gli episodi della «via dolorosa»; come a ripescare nel tempo l'emozione primordiale che si accompagnò al martirio. I bozzetti, i disegni, tutti gli studi insomma che hanno formato l'ordito dell'opera, Saldarelli li ha esposti dapprima nel piccolo museo ricavato nella rocca a pochi passi dalla casa natale del grande Michelangelo; successivamente li ha trasferiti al «Punto» di Firenze, insieme con le fasi progettuali attraverso cui sono passate le realizzazioni di Pazzagli. Infine, in una mostra a tema «laico», il pittore ha esposto il «dopo Caprese»: non soltanto per dimostrare l'ampiezza degli spazi nei quali si manifesta la sua poetica ma soprattutto per interessare e coinvolgere in un dibattito (che è risultato simpatico e, mi pare, efficace) i giovani artisti sui problemi che l'arte contemporanea mette a nudo con sempre maggiore crudezza. Ha meravigliosamente ospitato questo incontro con le giovani leve e la rassegna la «Ken's art gallery» di Bellini, in via Lambertesca. Tommaso Paloscia
pagina a fianco: “la grande finestra” tecnica mista su tela 90x200 1982
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DINO PASQUALI, scrittore e critico d’arte Eco d’arte moderna, n.61 suppl. - agosto settembre 1986 Circa trenta metri quadrati di superficie affrescata: l'opera, favorevolmente accolta da studiosi, giornalisti, cultori d'arte, e terminata nei giorni di Pasqua 1985, rappresenta un motivo d' attrazione in piú per chi si rechi nella Val Tiberina. Ma ecco di che si tratta: sulle pareti della chiesetta di Santa Maria delle Grazie in Caprese (cittadina che al proprio aggiunge il nome di Michelangelo, lì, nel piccolo ma importante centro dell'Aretino, essendo nato quel Grande che fu Buonarroti), il pittore ed architetto Riccardo Saldarelli - titolare della cattedra di tecniche pittoriche all'Accademia di Belle Arti di Firenze - ha dipinto una sua Via Crucis, lavoro durato un paio d'anni ed eseguito con la tecnica del vero affresco. Portata a compimento - fra numerose difficoltà - per incarico della Comunità locale, la Via costituisce l'omaggio di un operatore coevo all'arte del Rinascimento. Oltre alla forza delle figure che, con la loro impostazione, vogliono essere un tributo alla "cifra" michelangiolesca, il pittore fiorentino ha, nello studio compositivo, negli accorgimenti prospettici e nelle chiare riletture di certi costumi, reso onore anche a Piero della Francesca (nativo di Sansepolcro, non lungi da Caprese), creatore della pittura scientifica rinascimentale. Fin dall'inizio fu riconosciuta l’importanza estetica e sociale dell'opera, tanto che il Comune di Caprese, con la Pro Loco e la Fiorentina Compagnia del Paiolo, ordinò (agosto/ottobre 1983) nel Castello di Michelangelo una mostra degli studi preparatori e dei cartoni. Molti allievi dell'Accademia di Firenze visitarono il loro insegnante mentre lavorava. L'interesse e lo stimolo degli studenti hanno persuaso Riccardo Saldarelli ad approfondire l'argomento della pittura murale, specie in rapporto all'arte contemporanea. E' così nato un seminario di specializzazione, che, durante il periodo estivo, proporrà un programma di lavoro e di studio. Dino Pasquali
particolare della “Via Crucis” affresco
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MANUELA GORLA, redattore capo PRATOCITTÀ Prato, città d'arte... e d'artisti Anno 2 - n.5 - Giugno 1988 Riccardo Saldarelli ... un "pratese" di Persia Una conchiglia, l'iris, una donna... il deserto! Cercare di dare un significato ad ognuno di questi simboli può sembrare un'impresa priva di senso, ma se li uniamo al sole della Sicilia, alla bellezza della Sardegna ed al fascino della Persia, può nascerne un'arte inconfondibile: la pittura di Riccardo Saldarelli. Riccardo Saldarelli pittore fin dalla giovinezza, laureatosi in architettura a Firenze, è titolare dal 1976 della cattedra di Tecniche Pittoriche presso l'Accademia di Belle Arti di Firenze. Vive a Prato, dove insegna alla "Scuola d'Arte Leonardo" e dove, nel prossimo autunno, lo vedremo protagonista di una importante mostra a Palazzo Novellucci (da ricordare, tra le tante, la mostra "Dai Deserti al Computer" del 1982 a Palazzo Strozzi a Firenze). E proprio nella nostra città che lui, appena laureato, insegnò per la prima volta, al Collegio Cicognini. La sua vita è così intensa di esperienze da far impallidire anche il più impavido esploratore, ma caratterizzata da nodi fondamentali che, come i "gheré" (nodi persiani) che lui ama, intessono la trama della sua esistenza e della sua arte. La conchiglia, sintesi tra mondo animale e minerale, è la vera natura morta che "l'architetto Saldarelli" predilige raffigurare. È anche un simbolo esoterico: "la nascita nella vita" (la Venere del Botticelli, non a caso, nasce da una conchiglia). Questo primo nodo insieme alla donna rappresenta l'acme dell'erotismo, ma "donna" significa soprattutto purezza, nobiltà, così come l'eros può trasformarsi nell'«amare ciò che stai facendo». La donna, alla quale Saldarelli intende restituire un'autentica dignità, è legata in molti quadri ad originali copricapo, binomio che dà vita ad opere splendide (es. "In cammino"). E l'iris... perchè? Oltre all'importanza che questo fiore riveste nell'esoterismo orientale, la parte centrale dell'iris riproduce esattamente l'arco persiano. Saldarelli, mai dimentico della sua laurea in architettura, ha effettuato, anni fa, dei calcoli matematici che lo hanno portato a questa piccola "scoperta copernicana", rendendo così l'iris un altro nodo fondamentale della sua esperienza. Poi iI deserto, che è la morte, ma non assoluta perché da questa può rinascere la vita se soltanto l'uomo è in grado di cogliere il seme nascosto in quella sabbia tutta uguale. Questi nodi, ed altri ancora, si intrecciano con le terre che lui ha amato, soprattutto con la Persia dove ha vissuto e lavorato per diversi anni, un luogo dove il nostro autore ha avvertito per la prima ed unica volta "l'antichità dell'umanità addosso". Tutto ciò, insieme ad una costante filosofia del dualismo (la tesi e l'antitesi), accompagna la sua estetica. Si resta incantati davanti alle sue figure che hanno sguardi colmi di fierezza e di dignitosa sofferenza, come dinanzi a quell'arcobaleno fatto di tinte turchesi e viola che illumina le sue tele. Ma di questo artista così poliedrico ed attento, che si è sempre espresso in molteplici modi (oltre la pittura figurativa, sono da ricordare la computer-art e l'arte multimediale in genere), vogliamo sottolienare un lavoro del quale, a torto, troppo poco si è parlato: "La Via Crucis", realizzata con la vera tecnica dell'affresco nel Santuario della Madonna delle Grazie a Caprese Michelangelo (importante centro dell'Aretino che ha dato i natali al grande Buonarroti). Si è trattato di un lavoro incaricato dalla comunità locale, che lo ha impegnato per ben due anni obbligandolo a soggiornare per lunghi periodi nella cittadina. Questo gli ha permesso di ispirarsi ai caprociani a lui più cari per dare il loro volto ai personaggi della sua "Via Crucis". Trenta metri quadrati di un capolavoro che è stato simbolicamente consegnato alla città il 14 Settembre 1986 e che ha dato luogo ad un'iniziativa unica nel suo genere (quest'anno è alla sua seconda edizione): si tratta di seminari di studio su "La Pittura Murale e l'Affresco" aperti a cittadini italiani e stranieri, seminario che è ormai divenuto un appuntamento annuale per un'ideale vacanza-studio sull'arte. È evidente
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l'incidenza che l'opera di Riccardo Saldarelli ha avuto nella realizzazione di questo progetto. Un'opera che merita di essere visitata approfittando, perchè no, di queste belle domeniche estive per organizzare una gita a Caprese. Manuela Gorla
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GABRIELLA BAIRO PUCCETTI, critica d’arte, regista presentazione alla mostra “Riccardo Saldarelli - computer art” Palazzo Novellucci, patrocinio del Comune di Prato, 5 nov - 10 dic. 1988 puntualizzazione artistica di Riccardo Saldarelli L’identificazione culturale di un’epoca come la nostra, costituita dalla complessità tecnologica crescente, fra gravi tensioni e crisi esistenziali, poteva essere operata soltanto per i sentieri dell’avanguardia artistica. É quanto testimonia Riccardo Saldarelli, con acuta vivezza rappresentativa e immediato linguaggio, in un intreccio di apprendimenti innovativi e competente creatività. Dopo molteplici esperienze nel settore delle espressioni artistiche tradizionali i cui processi si diversificano a seconda dei materiali usati (oli su tela, acrilici, affresco), Saldarelli approda al computer già nel 1977 percependone la piena potenzialità e con il preciso intento di sviluppare la capacità di guidare la macchina per gestire il presente ed operare tempestive manovre di trasformazione per un futuro sociale più ricco. Questa nuova arte produce un ampio effetto per l’integrazione dei colori, per l’immaterialità della luce che è certamente l’elemento di maggiore attrattiva, per il carattere strutturale che consente infinite forme, per quel processo di disgregazione che organizza l’aspetto visuale. Sul piano teorico, la metamorfosi è casuale, conseguenza di una reazione che sfocia dalle zone celebrali dove coabitano gli istinti e da cui si stimoli automaticamente associazione, memorizzazione, astrazione, elaborazione, evocazione; e poi e la dimensione superficiale di una tradizione scritta con uno stile diretto, il più contemporaneo. Oltre il valore innovativo, pero, nell’opera di Saldarelli emerge il segno di una stupenda padronanza che mira a conciliare la collocazione di forme strutturali con concettuali contrasti, resi lirici da una ricca crescita interiore. É una specie di strategia inclusiva in un’ampia visione del mondo; una necessità di fuggire dalla ruggine dell’appannamento, dall’insensibilità esistenziale affidata alle cromatiche forme amateriche emergenti negli spazi del “cosmo”. É la faccia del giorno, il rumore del tempo che riflettono fra elementi poetici largamente diffusi, i significati in essi riposti: lacrime per le gravi tensioni della terra... scintille di luce per una crisi risolta?! Certo è che la ”Lanterna Divina” proietta rivoli intangibili dall’io profondo che programma ogni cosa, legittimando in ”Vera” questa computer art e artista grande il suo autore. Gabriella Bairo Puccetti presidente del Centro Internazionale per il Film d’Arte e Sperimentale
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“figura sul mare� particolare litografia
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VITO CAPPELLINI, professore ordinario all’Università di Firenze e direttore del ”Laboratorio Immagini” del Dipartimento di Ingegneria Elettronica presentazione alla mostra “Riccardo Saldarelli - computer art” Palazzo Novellucci, patrocinio del Comune di Prato, 5 Nov - 10 Dic. 1988 attualità del rapporto arte e scienza Nella rivoluzione storica delle attività umane, arte e scienza sono progredite con stretti legami, anche se non sempre facili da individuare, in quanto entrambe espressioni ugualmente importanti della creatività umana. Cosi, fin dai primordi dell’umanità, l’uomo che inizia ad interpretare la realtà che lo circonda, manifesta in forme espressive il lento progredire delle sue conoscenze. Nascono da un lato interpretazioni geometriche, simboliche della realtà che lo aiutano a valutare l’estensione del territorio, il rapporto fra oggetti diversi; dall’altro iniziano forme espressive artistiche, in cui - spesso con gli stessi elementi geometrici - sono rappresentate figure umane, animali ed oggetti del mondo reale. Basta pensare al mondo greco, in cui la perfezione delle forme nella rappresentazione artistica (rapporti precisi nelle figure, negli oggetti, con armonia straordinaria dei particolari e dell’opera nel suo insieme) si accompagna alla definizione della “geometria” come scienza di rappresentazione rigorosa della realtà. E ancora, nel Rinascimento, in cui l’espressione artistica e anche allo stesso tempo la manifestazione nei dipinti, affreschi, statue o architetture - di una profonda conoscenza tecnica delle cose, della loro natura e della loro struttura geometrica-spaziale. E viene, in questo periodo, subito in mente la figura straordinaria di Leonardo, sommo artista e scienziato allo stesso tempo, nel quale l’ansia creativa si manifesta in ugual misura nelle espressioni artistiche e nelle scoperte scientifiche e tecniche. E ancora in Piero della Francesca la perfezione artistica è anche perfezione tecnica (conoscenza della prospettiva, dei rapporti geometrici...). Ma si può dire che tutti i veri artisti, non solo dell’età greca o del Rinascimento, nelle loro opere - se lette attentamente - rivelano una scienza profonda dei colori, delle forme, della prospettiva (anche quando questa, volutamente, non c’e in apparenza): una ricerca tecnica accurata che è intrinsecamente legata all’espressione artistica. E che dire delle opere architettoniche: il Brunelleschi, grandissimo architetto, costruttore, padrone della scienza delle costruzioni, plasma le forme in modo mirabile componendo opere di grandissimo valore artistico! É questa visione completa dell’uomo, artista-scienziato o scienziato-artista che deve accompagnare la lettura delle opere artistiche, per capirne fino in fondo il processo originale creativo. Ed ecco apparire, negli ultimi decenni, il computer, l’informatica, con una straordinaria evoluzione, sia nelle strutture realizzative (”hardware”) con la produzione di calcolatori sempre più potenti ed economici che nei linguaggi e metodi di elaborazione (”software”). Si sono aperte cosi nuove possibilità di ricerca e di applicazione, oltre che nel campo più strettamente scientifico e tecnico, anche nel settore dell’arte e più in generale dei beni culturali. II computer può essere utilmente impiegato, sia per quanto riguarda una conoscenza più approfondita delle opere d’arte, spingendosi - se cosi si può dire - entro di esse per carpirne i contenuti ed i segreti più intimi, in particolare per effettuare un migliore restauro, sia per ottenere nuove forme espressive, per creare opere d’arte. Con il computer si possono creare forme, figure, immagini in bianco e nero o a colori. Con il plotter ed i diversi terminali di uscita visivi siamo di fronte ad una vera e propria tavolozza, incredibilmente ricca, plasmabile e adattabile alle più svariate esigenze. Su questa tavolozza si possono comporre forme e figure, immagini ed animazioni con straordinaria precisione e rapidità, facilmente modificabili fino a fissare quella particolare forma espressiva voluta dall’artista.
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Sì, perché e l’artista, il vero artista che può con questo mirabile nuovo strumento creare opere, pitture di autentico valore, in una dimensione nuova prima impossibile da realizzare. La computer art vera non è facile, anzi è più difficile di quella tradizionale con pennello e colori, perché la sensibilità dell’artista deve controllare, comandare il computer, soggiogarlo alle sue esigenze creative in un dialogo continuo, intenso, di scelta, di guida, di critica dello strumento che, pur potente, non è di per sé creativo! Riccardo Saldarelli è un artista vero, un pittore originale e sensibile che ha percorso fasi evolutive diverse, sempre alla ricerca di nuove forme espressive, senza rinnegare mai quelle precedenti, anzi arricchendole continuamente in una ricerca insaziabile di livelli creativi più alti. E cosi, in parallelo alle pitture mirabili ad olio - molte con un fascino esotico, orientale - si è cimentato, fin dagli anni settanta, nella creazione di opere con il computer. Già all’inizio, pur con strumenti tecnologici modesti, Saldarelli riusciva a capire le potenzialità incredibili del calcolatore, a dominarlo perfettamente, ottenendo forme grafiche, pitture originali di grande contenuto espressivo trasferendo sul computer il suo entusiasmo creativo. Ed ecco nascere da Saldarelli una molteplicità di pitture con il computer, con una gamma creativa vastissima dalle forme grafiche più semplici ma estremamente suggestive a quelle più complesse ove sul segno del computer guidato si sovrappone in mirabile armonia il segno originale dell’artista, la sua gamma cromatica con accostamenti, risonanze di grande significato. Con questa rassegna di opere grafiche e pittoriche di Saldarelli siamo di fronte ad una tappa molto importante di questa nuova linea creativa, tappa che fa intravedere ulteriori meravigliosi sviluppi nell’immenso mondo dell’arte, pulsante di nuova linfa vitale. Vito Cappellini Firenze 4 ottobre 1988
logo ufficiale (tecnica digitale) per il convegno CAPIRE (International Commettee for the Promotion of Advanced Educational Research) Museo d’Arte Contemporanea Prato 1989
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ALESSANDRO MECOCCI, professore ordinario Università di Siena Presidente del Consorzio Etruria Innovazione presentazione alla mostra “Riccardo Saldarelli - computer art” Palazzo Novellucci, patrocinio del Comune di PRATO, 5 Nov - 10 Dic. 1988 L’artista, il computer, I’informatico Da sempre le immagini fanno parte della nostra realtà quotidiana poiché ciò che vediamo, pensiamo, ascoltiamo viene registrato nella nostra memoria mediante immagini di vario tipo e funzionalità. Si parla cosi, ad esempio, di immagini mnestiche che vengono attivate mediante processi coscienti e rievocano informazioni presenti nella nostra memoria a lungo termine, oppure di immagini eidetiche la cui caratteristica principale è la vividezza, l’aderenza quasi totale allo stimolo originario nella piena coscienza della soggettività di tali rievocazioni (ciò che le distingue dalle allucinazioni). Ma, probabilmente, la funzione principale delle immagini è quella di facilitare il processo cognitivo e creativo poiché esse non sono mero strumento passivo di registrazione e rappresentazione degli attributi e caratteristiche di entità o di altri processi di pensiero, bensì hanno un ruolo centrale nelle attività immaginative. Le immagini sono il linguaggio delle fantasie e, laddove la parola viene usata per esprimere concetti, le immagini vengono usate per la progettazione e la descrizione di nuove realtà, di nuovi legami fantastici non necessariamente rispondenti agli usuali criteri di ragionevolezza, logicità e causalità. Per questo l’immagine, in quanto linguaggio-strumento di progettazione del nuovo, non poteva non incontrarsi con il computer, l’emergente protagonista di ogni simulazione ed è per questo che l’artista non poteva non incontrarsi con l’informatico riproponendo, in chiave moderna, lo spirito della vecchia bottega d’arte. In questa linea ideale s’inquadra la ormai pluriennale collaborazione fra chi scrive e l’amico artista Riccardo Saldarelli che, da tempo, ha manifestato spiccato interesse per il mondo scientifico e per i suoi legami con il mondo dell’arte, come suffragato dai frequenti e significativi contatti - che mi hanno visto testimone - con istituti di ricerca quali il CNR e l’IROE. Incontri-scambio in cui esistono forti flussi integrativi che vedono il computer come strumento d’intervento mediante il quale l’artista agisce in modo nuovo sulla materia immaginifica introducendo, a livello statisticamente significativo, nuovi fattori come l’intervento del caso grazie, ad esempio, al volontario uso improprio di programmi applicativi ed alla grande quantità di varianti di un medesimo intervento, producibili in tempi brevi. La possibilità di sovvertire, inventandone di nuove, le leggi fisiche alla base del funzionamento dei vari strumenti disponibili, apre gli orizzonti a nuovi interventi ed a nuove metodiche schiudendo all’artista originali spazi d’azione. Ma il flusso di integrazione fra arte e computer procede anche nel senso di un ruolo più attivo di quest’ultimo, esso e infatti strumento generativo in grado di proporre, sintetizzare e suggerire nuove forme, nuovi nessi sui quali l’artista, sognatore di realtà, può intervenire ai fini di evocare nuove variazioni logico-funzionali e nuove fruibilità mnestiche, come nel caso delle “figure rigate” presentate in questa rassegna. Quindi non computer visto come semplice generatore di effetti ed animazioni preconfezionate, né come standardizzatore di procedure produttive, bensì come mezzo di indagine progettuale sul fantastico in sempre maggiore integrazione con le tradizionali metodologie di restituzione multimediale. Nè deve spaventare l’uso del computer e delle sue enormi capacità simulative e manipolative perché, parafrasando Gòdel, non si deve temere la meccanizzazione della creatività, poiché essa è un processo senza fine in cui ogni singolo passo può essere formalizzato, ma la cui totalità non può essere formalizzata né in un calcolatore, ne in un cervello finito od insieme di cervelli. Tale meccanizzazione, se mai potremo raggiungerla, non segnerà la fine dell’arte; quel giorno i nostri occhi e quelli dei computer si apriranno su mondi nuovi di nuova bellezza. Alessandro Mecocci
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MAURO PRATESI, storico e critico d’arte, docente all’Università di Firenze presentazione alla mostra personale "Meditazioni e percorsi" Galleria “Il Pozzo”, novembre - dicembre 1988, PRATO Ti ringrazio, caro Riccardo, di avermi chiesto di presentare le tue più recenti opere in questa esposizione; e nonostante non ami le presentazioni critiche, quasi sempre tristemente uguali le une alle altre, la fiducia e la stima che ci legano, anche per il comune lavoro di insegnamento all'Accademia fiorentina, mi hanno convinto a derogare da certe mie convinzioni e a scriverti con vivo piacere alcuni pensieri su queste tue ultime pitture. Un'indole poco versata alla critica estemporanea mi induce ad osservare e amare le cose dell'arte con occhi da storico: eppure il tuo lavoro è vivo e presente, tutt'altro che storico; i percorsi che ti hanno condotto a queste recenti espressioni sono tutt'oggi in svolgimento e certo rifuggono dalle astrazioni di un metodo che rischierebbe di congelarle. E rischierebbe di non valorizzare quelle apparenti contraddizioni, presenti in ogni ricerca: così il tecnico che lavora al computer, al quale il Comune di Prato dedica un'ampia mostra di computer art, convive con il pittore, con l'artista vero e proprio, che dai sogni magici e incantati dell'Oriente persiano, si volge ora a nuove interpretazioni della figura femminile, tema a te caro da sempre, ma anche alla natura morta, come nei tuoi quadri di gigli ed iris, e a inedite meditazioni su una tradizione figurativa reinterpretata con taglio e sensibilità particolari. Paesaggi senza tempo circondano le tue figure, accentuando l'effetto drammatico e coinvolgente del momento, smaterializzando le figure in suggestioni inquietanti. E' una ricerca in corso che ti conduce a fondere le più diverse sollecitazioni visive dei nostri giorni, da una grafica neo-realista ai ricordi tratti dalla video-art, dalla fotografia, come pure dall'arte del passato. Rinnovandoti il mio incoraggiamento per il tuo lavoro, aspetto esiti ancora nuovi. Mauro Pratesi Firenze ottobre 1988
pagina a fianco: manifesto ufficiale del “Festival dei Popoli” Firenze 1985
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MANUELA GORLA, redattore capo PRATOCITTÀ, anno 2 N. 8 - 3 Novembre 1988, Prato La bottega dell'arte tornerà nelle fabbriche pratesi - dal 5 novembre al palazzo Novellucci in una mostra di computer-art si potranno ammirare, oltre che opere di originaria bellezza, i metodi di applicazione di questa nuova forma artistica nel campo delle produzioni tessili Ci giocano i ragazzi, si inizia ad applicarlo nelle scuole in alcune discipline, si usa sempre più spesso a scopo lavorativo nei settori più disparati (contabilità, informazione, cinema...), che cos'è? Il computer! Questo strumento, per molti insostituibile, si è dimostrato negli ultimi anni un grande mezzo di esplorazione in campo creativo, dando l'opportunità ad alcuni artisti di parlare l'attualissimo linguaggio della computer-art. L'artista non più al cospetto di una tela immacolata con pennello e tavolozza, ma seduto davanti ad un computer per comporre forme e figure di autentico valore in una dimensione totalmente nuova. È l'artista che dialoga con lo strumento guidandolo però con la sua sensibilità e creatività; così da questo scambio vivace nascono opere d'arte di insolita bellezza e ricche di un forte valore innovativo. A Prato si parlerà di computer-art dal 5 novembre grazie ad una mostra allestita al palazzo Novellucci dal prof. Riccardo Saldarelli, insegnante (oltre che stimato pittore) all'Accademia di Belle Arti di Firenze che è stata la prima in Europa ad avere una stazione di computer grafica. Riccardo Saldarelli studia, ormai da molti anni, il linguaggio della computerart, che ritiene sia il sentiero più giusto per arrivare a nuove scoperte artistiche, a nuovi criteri educativi e, perché no, a possibili e rivoluzionarie applicazioni nell'industria. La sua eccezionale esperienza nella pittura figurativa gli ha consentito di avvicinarsi all'informatica senza preconcetti e con precise curiosità di sperimentatore, permettendogli quindi di ideare con estrosità una mostra unica nel suo genere. Quando la mostra chiuderà i battenti, probabilmente la computer-art continuerà ad abitare a Prato. È stata infatti proposta all'amministrazione comunale dall'Istituto d'Arte Leonardo, la fondazione nella nostra città di una scuola di computer-art, con la precisa finalità dello studio e della sperimentazione di applicazioni in campo industriale. L'idea ha una valenza notevole sotto molti aspetti, non ultimo il fatto che sarebbe la prima ad essere realizzata in Italia, i costi d'altronde non sarebbero elevati ed i tempi per l'attuazione brevissimi. Chissà se si verificherà questa interessante eventualità, intanto possiamo imparare l'a.b.c. di questa nuova lingua per essere tutti pronti al iscriverci a scuola... di computer-art! Manuela Gorla
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RICCARDO SALDARELLI PRATOCITTÀ, anno 2 n. 8, 3 novembre 1988, Prato L'arte, un mezzo per lo sviluppo sociale La mia crescente esperienza nell'applicazione dell'informatica alle arti visive e le sempre più pressanti conferme rilevate nel partecipare ad importanti convegni e rassegne internazionali - tra gli altri, il Convegno Internazionale di Cibernetica a Namur, il Festival di Arte Elettronica di Camerino, la mostra di computer art all’International Conference on digital Processing, il X° Colloquio di Estetica Sperimentale - mi hanno sempre più convinto dell'inarrestabile progresso della Computer Art. Questa nuova forma di avanguardia artistica, soprattutto per la molteplicità di applicazioni anche in campo industriale, mi sembra poter essere una via per realizzare nella realtà pratese, in crisi profonda di crescita, quel connubio cultura-tecnica-lavoro, utile per contribuire alla costruzione di quella nuova immagine della città, non più solo dedicata al telaio, ma promotrice di idee e di confronti. Potrebbe infatti concorrere alla formazione di una nuova "cultura" volta al più avanzato design ed alla preparazione di una generazione di moderni operatori, come del resto è ormai avvertito dagli amministratori più sensibili e dalle forze imprenditoriali più coraggiose ed attente. Arte, quindi, intesa come mezzo di sviluppo sociale. Per questi principali motivi, la mostra che terrò a Palazzo Novellucci dal 5 novembre al 10 dicembre, vuole essere la proposta di un "laboratorio di computer art", non una semplice sequenza di opere. Una proposta, con i limiti dei mezzi disponibili, ma col chiaro intento di provocare discussione. Il patrocinio del Comune di Prato, Assessorato alla Cultura e la collaborazione dell'IROE, Istituto per la Ricerca sulle Onde Elettromagnetiche del C.N.R., del “Laboratorio immagini" del Dipartimento Ingegneria Elettronica dell'Università di Firenze, dell'Euroscreen di Modena, della Line informatica e della Siap di Firenze, mi hanno consentito di procedere in questo sforzo per me assai impegnativo, consentendomi di impiantare questa “bottega d'arte del 2000” e di proporla in questa sala di palazzo Novellucci all'attenzione dei pratesi Riccardo Saldarelli
“sequenza di famiglie frattali” computerat 1988
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ARRIGO BENCINI TESI, giornalista LA GAZZETTA DI PRATO, 9 novembre 1988, Prato La computer art di Riccardo Saldarelli paladino di un Nuovo Rinascimento Riccardo Saldarelli é un artista da anni impegnato nella ricerca delle applicazioni dell'informatica nel campo delle Arti Visive. Saldarelli, architetto, ordinario di Tecniche Pittoriche all'Accademia di Belle Arti di Firenze, pur continuando a praticare la pittura tradizionale, dagli anni '70 inizia fra i primi a sperimentare le possibilità della “computer art”. Di questa sua ricerca parliamo con lui a Palazzo Novellucci, sede della mostra, intitolata appunto “Computer Art”, che resterà allestita fino al 10 dicembre, con orario 10-13 e 16-19, chiuso il lunedì. - Professor Saldarelli, ci parli dei suoi esordi come “artista informatico”. «Fu un approccio difficile. Negli anni 70 i personal computers non erano ancora abbastanza diffusi. Io all'epoca ero spinto dalla volontà di approfondire i termini del connubio tra arte e scienza, ovvero riconsiderarlo alle soglie del 2000. L'artista del passato era aggiornato, collaborava con scienziati ed alchimisti. Io tento oggi di ristabilire quel rapporto che può rappresentare il vero “Nuovo Rinascimento”. Questa mostra é la testimonianza che senz'altro la computer art é una delle risposte più attuali per l'arte contemporanea. Tornando agli esordi, ebbi la fortuna che queste mie teorie trovarono risonanza nelle persone giuste che mi permisero di muovere i primi passi. Nell'85, poi, introdussi l'informatica nell'Accademia; il che rappresentò una assoluta novità per l'Italia». - A parte l'incontro con personalità particolarmente sensibili, trova mai opposizioni nel mondo scientifico? «A questa domanda risponderò con un annuncio: durante la mostra e precisamente il giorno 17 alle ore 18 il professor Manzelli terrà un dibattito sul tema “L'arte come informazione per lo sviluppo scientifico moderno”. Quindi si é capito che l'arte é utile allo scienziato. Siamo in un'epoca di sinergie: l'uomo deve uscire dagli spazi angusti della sua individualità e ricercare linguaggi universali. L’arte può ritrovare il suo ruolo rimario di principale mezzo ai comunicazione. Paradossalmente questo é stato capito dagli dagli scienziati che dagli storici dell'arte e dai critici». - Un pò il “villaggio globale” auspicato da McLuhan, quindi. Ma é difficile fare la computer art? «Con la disponibilità che abbiamo oggi di mezzi informatici, sembrerebbe molto facile, ma in realtà non lo é. In questo, senso la mostra può essere intesa come una “provocazione” in quanto rappresenta una campionatura delle diverse possibilità di applicazione della computer art. E' bene sapere poi che a Prato sorgerà presto una scuola specifica con sede presso l'Istituto d'Arte Leonardo, dove chiunque, potrà avvicinarsi a questa disciplina artistica». - Esiste un itinerario col quale seguire la mostra? «C'è una premessa storica rappresentata dai miei primi esperimenti. La parte centrale riguarda invece le applicazioni serigrafiche su supporti per così dire pittorici dei disegni ottenuti al computer. Infine questi stessi disegni trasposti su altri materiali come la stoffa, la pelle, il plexiglass, l'acciaio, auspicando l'applicazione di questa tecnica anche al mondo del lavoro. La mostra vuol essere insomma la rappresentazione di una ideale bottega d'arte del futuro. Del resto se, ai loro tempi, Piero della Francesca o anche Mondrian avessero avuto il cemputer, senza dubbio lo avrebbero usato». Arrigo Bencini Tesi
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FILIPPO BRESSAN, giornalista LA GAZZETTA DI PRATO, 29 novembre 1988 Prato Un concerto un po diverso - Anche il computer può fare musica Qual’è l'arte dell’ “Homo Tecnologicus”? I sostenitori dei computer non hanno dubbi: la Computer Art. Per presentare i molteplici aspetti di questa esoterica e multiforme disciplina tre autorevoli esperti, Riccardo Saldarelli, Giuliano Palmieri e Gabriella Puccetti, hanno tenuto domenica pomeriggio, in palazzo Novellucci un concerto - conferenza dal titolo “Computer Art: dall'immagine alla musica”. La sede non e stata scelta casualmente: lo spazio esposizioni del palazzo dell'assessorato alla Cultura ospita infatti la mostra “Computer Art di Riccardo Saldarelli”, ed è proprio fra le serigrafie e le stoffe disegnate al computer da questo artista che si è riunito un folto pubblico, composto per la maggior parte da addetti ai lavori ma anche da curiosi attratti dall'attualità e dal fascino dell'argomento. Introdotto da Saldarelli il maestro Giuliano Palmieri, dell'Istituto di musica sperimentale di Venezia, ha esposto metodi e criteri del suo lavoro: partendo dal presupposto che oggi non sia possibile dire più niente di nuovo con gli strumenti tradizionali, Palmieri opera un intervento sullo strumento campionandone il suono ai computer. L'elaboratore diventa quindi in grado di riprodurre tale suono, analizzando le componenti fisiche che lo contraddistinguono: altezza, intensità, timbro. Allora, attraverso elaborazioni matematiche basate su percorsi geometrici, si può far stravolgere al computer il suono reale dello strumento ed il sistema stesso diventa una originale sorgente sonora. Inoltre la musica elettronica, che fino ad oggi veniva proposta solo su nastro, sta superando questo suo limite: l'elaborazione in tempo reale infatti consente al musicista di suonare normalmente il proprio strumento mentre il computer opera l'analisi e la produzione dei suoni originali. Questo è il percorso tecnico che ha portato a “Traslot”, composizione per pianoforte e computer, della quale il compositore ha presentato un estratto in anteprima. Purtroppo non è stato possibile ascoltare questi brani nell'esecuzione in tempo reale e l'incisione su nastro non rende appieno le senzazioni spaziali volute dall'autore: è sufficiente comunque per sbilanciare molti dei nostri tradizionali riferimenti d'ascolto. Con un'altra sua composizione Palmieri ha mostrato come il computer possa visualizzare graficamente, attraverso un, piccolo monitor, i percorsi geometrici che sono alla base ella produzione dei suoni. Così la musica si congiunge inscindibilmente con l'immagine che lei stessa genera o, se si preferisce, dalla quale è generata. Sembra fantascienza ma è realtà: che poi sia anche arte è un discorso che non ci compete. Certo è che in un'epoca di povertà artistica come la nostra la strada della seria sperimentazione rimane una delle poche percorribili. Comunque, se dovremo vivere in un mondo totalmente telematico, cercheremo fra la complessità dei numeri e delle macchine di lasciare un'angolino alla semplicità di Mozart. Filippo Bressan
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DAVID FIESOLI, giornalista LA GAZZETTA DI PRATO, 7 dicembre 1988, Prato La Computer Art di Saldarelli - Nuove scoperte per l'industria Computer Art: potrebbe sembrare una contraddizione in termini. L'arte infatti è anche creatività, mentre il computer è uno strumento che, di per sè, non ha niente di creativo. Se però andiamo a vedere il significato etimologico di arte, scopriamo che deriva dal latino “artem”, che significa azione fatta con abilità. Ecco quindi che la mostra di Riccardo Saldarelli a Palazzo Novellucci è arte, a dispetto delle prevenzioni che la parola computer suscita non solo nell'uomo comune, ma anche in molti artisti e critici d’arte. «Il motto di questa mostra - ha detto Riccardo Saldarelli - è sinergia: c'è bisogno di una interazione fra arte e scienza dell'informatica per dare all'artista un ruolo preciso, ruolo che la società gli ha tolto da tempo. Oggi l’artista è disperso, frainteso e soffre perchè è alla ricerca di un suo ruolo. Il computer è un sistema rivoluzionario perchè è capace di interagire con l’operatore, e l’artista può usarlo piegandolo alle sue esigenze creative». Lunedì scorso, a Palazzo Novellucci, è intervenuto Andrè Peyskens, esperto internazionale proveniente dalla scuola grafica di Namur, in Belgio. Peyskens ha spiegato e illustrato alcune metodologie di grafica e serigrafia che potrebbero trovare interessanti applicazioni anche nel campo dei tessuti per la moda e l’arredamento. Peccato che il pubblico fosse composto quasi esclusivamente dai fedelissimi studenti di Saldarelli, che insegna Tecniche Pittoriche all’Accademia Belle Arti di Firenze. E i pratesi? «Pochissimi - ha commentato Saldarelli - E pensare che il computer applicato ai tessuti potrebbe essere utilissimo a Prato, dove tutti non fanno altro che lamentarsi senza sforzarsi di ampliare le proprie conoscenze con l'uso di metodologie che definirei rivoluzionarie. Poi non ci lamentiamo se il Giappone o la Corea ci superano!». Usare il computer come mezzo di esplorazione può quindi portare a nuove scoperte e a nuovi criteri educativi, nel campo dell'arte come in quello della moda. «Il computer - afferma Saldarelli - può esplorare enormi quantità di immagini e forme nuove. La vera avanguardia passa attraverso l'informatica, il resto è tutta una rielaborazione di cose già viste. Anche al museo Pecci non ci sono vere novità: ci sono cose che si vedono da venti anni. La Computer art e la serigrafia possono rendere l'arte contemporanea più, vicina ai fruitori, con grossi risultati anche per l’industria. È un processo ancora in embrione, ma diventerà una realtà ben definita per i miei studenti». David Fiesoli
pagina a fianco, seguente e pag. 92: dalla serie “musino - incontri 2004” multipli elettronici da matrici pittoriche originali
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LIONELLA BARDAZZI, giornalista LA GAZZETTA DI PRATO, 4 dicembre 1988 Prato nel corso di una conferenza esaminati i nuovi legami con la scienza. Il computer applicato all'arte Il nuovo linguaggio dell'arte: il computer. Se ne discute, tra pochi intimi, quasi tutti addetti ai lavori alla conferenza sul tema “Arte e scienza: applicazione del l’informatica alle arti” che si è tenuta venerdì scorso a Palazzo Novellucci nell’ambito della mostra “Computer art” di Riccardo Saldarelli. Relatore il professor Vito Cappellini dell'università di Firenze, direttore dèll'Iroe (Istituto di ricerca sulle onde elettromagnetiche del Cnr) e del Laboratorio immagini del Dipartimento di ingegneria elettronica dell’Università. Erano presenti anche il professor Riccardo Saldarelli e l’ingegner Alessandro Mecocci; collaboratore del Laboratorio immagini. Arte e scienza: durante il corso dei secoli hanno sempre camminato “a braccetto”. Oggi ancor più sono strette in un legame simbiotico. Cosa può mettere l'informatica a disposizione di un artista? Ne parla il professor Cappellini. «Il computer consente una conoscenza più approfondita delle opere d'arte - dice - dà ad esempio la possibilità di spezzare l’immagine in tantissimi punti, ogni punto si può rappresentare con un numero e ciò rende possibile la riproduzione di immagini precisissime, più di una normale fotografia». Eppoi, gli altri vantaggi: la velocità di uso, la capacità di immagazzinare i dati. «La tecnologia oggi può far di tutto - prosegue Cappellini - consente un nuovo dominio sulla realtà esterna. Con il calcolatore si possono creare forme, figure, immagini in bianco e nero e a colori. Con il plotter e i diversi terminali di uscita visivi siamo di fronte ad una vera e propria tavolozza, incredibilmente ricca, plasmabile e adattabile alle più svariate esigenze». «Ma - domanda uno studente di arte, perplesso - come faccio a vedere un'opera d'arte, ad esempio un Raffaello al computer?, È tutta un’altra cosa, il computer non utilizza gli stessi colori di Raffaello». La parola all’esperto. «Errore. Nel computer c'è tutta la gamma di colori che ha usato potenzialmente Raffaello». E poi - chiede Saldarelli, intervenendo nel dibattito - tu riesci a vedere il quadro sempre nello stesso modo? Lo vedrai tutte le volte in modo diverso a seconda dell’illuminazione, dell'ambiente. «Inoltre - precisa l'ingegner Mecocci - l'occhio umano vede sempre meno della macchina». Ma si può fare arte con la “a” maiuscola con il computer? «Certo - risponde Saldarelli - se c’è un'artista con la “a” maiuscola. Oggi dobbiamo trovare nuove strade per l'arte e la computer art mi sembra la più interessante. Siamo di fronte ad una nuova frontiera. E l’artista d'altra parte è colui che cambia le carte in tavola». «E vero - interviene l'ingegner Mococci - arte significa eversione di codici». «Il computer - continua Saldarelli – ci apre nuovi mondi, sta all'operatore rendersene conto e saperlo utilizzare al meglio. Arte viene dal latino ars artis e significa fare. Mettiamo i computers nelle scuole e insegnamo ai bambini a giocare con i calcolatori». «La scuola di oggi - si è detto ancora - sbaglia perché abitua i bambini a pensare che il calcolatore è utile solo per fare i conti». A conclusione, un messaggio: «Mettiamoci insieme tutti - esorta Saldarelli - artisti, scienziati, tecnici; storici dell'arte, economisti, si potranno ottenere sintesi insperate».
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LIONELLA BARDAZZI, giornalista LA GAZZETTA DI PRATO, 4 dicembre 1988 Prato Computer art? Una provocazione « L'arte? È matematica» Ne parliamo con Riccardo Saldarelli, pittore, architetto, ordinario di Tecniche Pittoriche all'Accademia di Belle Arti di Firenze. È sua la mostra Computer Art in corso a Palazzo Novellucci. Negli ultimi anni si è occupato delle possibili applicazioni dell'informatica alle arti visive. - Professor Saldarelli, cosa si propone con questa mostra? «Non è una semplice esposizione di opere. È una provocazione, un urlo su Prato. Pratesi, svegliatevi! Avete a disposizione possibilità eccezionali». - E perchè proprio a Prato una mostra così? «La città sta attraversando un momento storico interessante, si dice che è in crisi, che ha bisogno di idee. Questa è un'idea. Sono convinto che ci sia una stretta relazione tra arte, scienza, tecnica, economia. Anche in campo industriale ci sono molte possibilità di applicare la computer art. Prato ad esempio potrebbe raccogliere la proposta di un nuovo tipo di design, ma per ora gli imprenditori pratesi non sono sufficientemente sensibilizzati » - Cos'è per lei un'opera d'arte? « È un equilibrio tra un elemento tecnico e uno ispiratorio. Altrimenti siamo di fronte ad un qualcosa di tecnicistico o ad una grande ispirazione che non riesce a realizzarsi. Il computer è la prova che oggi l'arte è matematica». Lionella Bardazzi
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PAOLO BARACCHI, giornalista, direttore editoriale “Computer art - allestimenti e sculture” Da ECO d'arte moderna - N. 70 N. 1/2 - gen./feb. 1989 Tra novembre e dicembre si è tenuta a Palazzo Novellucci, una rassegna di «Computer Art» di Riccardo Saldarelli. Questo artista dalla complessa attività - architetto, pittore, grafico, ricercatore ed insegnante - è stato uno dei primi in Italia ad affrontare seriamente la «computer art» ed a proporla come espressione artistica autonoma, già alla fine degli anni Settanta. Infatti nel 1982, nell'ambito di una sua mostra antologica a Palazzo Strozzi a Firenze, proponeva i risultati di quelle prime ricerche. Accanto alla sua produzione pittorica, diremmo, tradizionale - ha fondato la scuola di Tecniche Pittoriche all'Accademia di Belle Arti di Firenze dove tiene questa cattedra e dove ha introdotto la computer art - Saldarelli ha costantemente seguito le più avanzate applicazioni scientifiche nel campo artistico, ritenendo ormai con la sua pluriennale partecipazione a convegni internazionali - da quello di Cibernetica di Namur in Belgio, al Festival d'Arte elettronica di Camerino, al Colloquio di Estetica Sperimentale di Barcellona - che proprio la «computer art» sia oggi una delle massime espressioni dell'arte contemporanea. Questo dato è stato da lui ulteriormente verificato quale membro della commissione del primo concorso nazionale di «computer art», indetto la scorsa estate dalla rivista MCmicrocomputer di Roma. Con questi presupposti e la collaborazione del Laboratorio Immagini del Dipartimento Ingegneria Elettronica dell'Università di Firenze, dell'IROE (Istituto di Ricerca sulle Onde Elettromagnetiche del C.N.R.), della S.I.M.E. telefonia di Firenze, della Euroscreen di Modena e della Siap di Sesto Fiorentino, ha presentato a Prato una vera e propria «bottega del 2000». Infatti, oltre ad una raccolta di lavori di «computer art» del periodo precedente, la ricchissima mostra pratese offriva una sequenza di opere eseguite con softwares originali realizzate con mezzo serigrafico, altre con mezzo fotografico, una serie direttamente da display e alcune installazioni realizzate con una originale ed inedita applicazione della elettroluminescenza. Infatti erano in funzione due potenti calcolatori sui quali Saldarelli lavorava in pubblico. La novità della mostra consisteva anche nella proposta dichiarata di un nuovo design su materiali diversi: abbiamo così potuto vedere laminati plastici, plexiglass, pelli, telefoni, decorati con le forme di «computer art» e persino stoffe ed abiti. Durante la mostra si sono tenuti cinque incontri con esperti internazionali su diversi aspetti del rapporto artescienza-tecnica-società. Hanno parlato Paolo Manzelli e Maria Grazia Costa del Dipartimento di Chimica dell'Università di Firenze sul tema «l'arte come informazione dello sviluppo scientifico moderno»; Vito Cappellini e Alessandro Mecocci sul tema «arte e scienza: applicazioni dell'informatica all'arte»; Claudio Mazzetti e Paolo Bettini sugli aspetti pratici della «computer art» e la sua applicazione all'industria; la storica dell'arte Gabriella Bairo Puccetti, presidente del Centro Internazionale per il Film d'arte e Sperimentale, che ha anche presentato in catalogo la mostra di Saldarelli, ha condotto un dibattito sui vari aspetti della «computer art», presentando nell'occasione il musicista Giuliano Palmieri dell'Istituto di Musica Sperimentale di Venezia che ha eseguito in anteprima una sua composizione musicale col computer dal titolo «Traslot». La mostra è stata anche arricchita da un defilée di moda e da una lezione sulle tecniche della serigrafia tenuta da André M. Peyskens. La manifestazione è stata segnalata agli archivi storici della Quadriennale d'Arte di Roma, della Biennale di Venezia e della Fondazione Agnelli. Paolo Baracchi
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TOMÀS MALDONADO, saggista, storico dell’arte e dell’architettura professore ordinario al Politecnico di Milano, da “reale e virtuale”, Giangiacomo Feltrinelli editore Milano, pag. 76 prima edizione in “Saggi” ottobre 1992 …Sinora ho cercato, in termini più che riassuntivi, di elencare alcuni degli aspetti della modellistica virtuale che considero plausibile assumere come positivi. Ho dato come esempio la sua applicazione, con un ruolo ausiliare, nei settori della robotica industriale e degli interventi in ambienti estremi, nella ricerca scientifica, nella progettazione in genere, nella medicina e, per ultimo, nella didattica. Prendiamo ora in esame un settore in cui il ricorso alle immagini virtuali è molto significativo. Mi riferisco a quel settore che, per intenderci, chiamerò "artistico". Un settore che per la sua vivacità, tenacia e intraprendenza sperimentale, si configura ormai come uno dei punti di riferimento forti nello sfruttamento del potenziale creativo della virtualità.138 138
Sui primi passi e sugli attuali sviluppi della computer art verso la virtualità, si vedano J. Reichardt (1971), G. Dorfles (1976), R. Saldarelli (1991), H. van den Boom (1987), I. Sakane (1991), V. Fagone (1990), M. G. Mattei (1991), M. W. Krueger (1991), P. L. Capucci (1989 e 1992), L. Consalez (1991). Infatti, esso appare come uno dei principali fattori propellenti, a livello di divulgazione pubblica, di questa tematica….
“Verso il 2000” pittura su tela con intervento digitale 90x100 1985
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TOMMASO PALOSCIA presentazione alla mostra personale saletta Boccuzzi, Antica Compagnia del Paiolo, 18 novembre - 9 dicembre 2000, Firenze L'omaggio alla moda e all'arte che la Compagnia del Paiolo dedica a Luisa Boccuzzi e a Riccardo Saldarelli, emblematici rappresentanti dei due settori creativi che il sodalizio fiorentino accosta in questa circostanza, coincide con la inaugurazione ufficiale della nuova sede. Perché Boccuzzi e Saldarelli? innanzitutto per motivi che ci vien fatto di definire burocratici in quanto doverosi nella routine del sodalizio: lei, onde le si renda ufficialmente grazie delle facilitazioni accordateci nell'insediamento in questi locali stupendi, dei quali è proprietaria, consentendoci l'occupazione di una sede che si affaccia su una delle piazze più belle del mondo, sullo stesso lato della Loggia cosiddetta dell'Orcagna; lui, per solennizzare la sua recentissima elezione a presidente della sezione artistica del sodalizio e del comitato di lavoro che ne attua i programmi. …. Saldarelli In uno schema necessariamente fondato sui dati essenziali della personalità di questi autori, Saldarelli viene penalizzato nella rappresentazione dell'autorevolezza conquistata nella scala dei valori europei per i suoi studi sull'informatica, soprattutto relativi all'arte; studi che in lui hanno avuto un precursore riconosciuto non in misura adeguata identificandosi il suo nome più facilmente nell'ottimo pittore e affreschista e anche nell'ostinato ricercatore di tecniche richieste dall'arte contemporanea. Pertanto, la mostra lo colloca con le sue creazioni, innovative nel solco della tradizione come quelle scaturite dalle esperienze vissute nell'Iran - a contatto con i costumi locali fortemente segnati e da lui rivisitati in una dimensione estetica nuova - lo colloca, dicevamo, accanto alle espressioni offerte dall'alta moda espressa dalla Boccuzzi. A realizzare una contiguità che riteniamo felice. Qualcuno degli esiti ottenuti da quella sua sete di conoscenze, pronuba in interessantissimi inserimenti della decorazione computerizzata sulle stoffe e qui simbolicamente riprodotti, contribuisce a esaltarne le capacità catalizzatrici di una scena composita nella quale si recita a soggetto un sogno raccontato con “parole” semplici. E tuttavia suggestive. Tommaso Paloscia
“Venere 82” olio su tela 150x100 1982
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sopra: “Ermete” multiplo elettronico da matrice pittorica originale 2001 pagina a fianco: copertina del numero 61 di “eco d’arte moderna” 1 gennaio 1987
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LUIGI BERNARDI, storico dell’arte professore ordinario nelle Accademie di Belle Arti di Firenze e Carrara saggio in ERBA D’ARNO, rivista trimestrale, nn. 88-89 2002 Fucecchio (Fi) Accademie , i conti con l’oggi RICCARDO SALDARELLI, Computer art. Il senso di una ricerca: atto secondo, Phasar Edizioni, Firenze 2001 Sembra quasi impossibile che dal mondo delle Accademie di belle arti, solitamente stagnante e comunque volto più al passato che non al presente, possa giungere un testo come Computer art. Atto secondo: il senso di una ricerca di Riccardo Saldarelli, un saggio ma soprattutto un manuale di lavoro che richiama le Accademie al loro dovere. In che senso? Nel senso che, e la cosa va chiarita una volta per tutte, le Accademie non nacquero all'insegna di un'esaltazione indiscriminata del fare, di un'operatività nobilitata con il riferimento ad uno stile normativo che peraltro oggi non si sa più identificare. Le Accademie al contrario sono nate privilegiando la teoria, portando al livello di consapevolezza teorica, di razionalizzazione, quei procedimenti operativi che ieri si volevano mera abilità artigianale, bravura da esecutori. Proprio la nascita dell'Accademia del Disegno a Firenze nel Cinquecento ci ricorda una cosa: che sono gli artisti italiani che per primi e con maggior risolutezza si sono battuti per emanciparsi dalla condizione artigianale, socialmente e culturalmente subalterna, instaurando un diverso rapporto tra teoria e prassi e arricchendo le loro opere di contenuti elevati, scientifici e letterari, profondendovi significati allegorici, allusioni filosofiche, spunti esoterici. Viene così in primo piano l'istanza progettuale cioè i modi in cui tradurre in immagini contenuti che fanno capo a testi verbali: sono questi i centri ideologici ai quali riferirsi ed in rapporto ai quali responsabilizzarsi. Certo, siamo all'ut pictura poesis: solo che i modi diventano di spettanza dell'artista che non è più un mero esecutore, ma uno che progetta in prima persona, che deve avere ben presenti il cosa e il come prima di dar vita all'opera. Con i suoi nuovi Statuti ispirati a quelli dell'Associazione delle arti liberali l'Accademia del Disegno marca formalmente il distacco dalla manualità artigianale e ne trae le conseguenze sul piano della didattica. Affinché le generazioni a venire siano all'altezza delle responsabilità culturali che competono al nuovo stato sociale appena conquistato, la loro istruzione non sarà più limitata all'apprendistato tecnico che si compie nella bottega, ma verrà coronata istituzionalmente da un'educazione teorico e teorico-pratica impartita dall'Accademia. Di qui le lezioni di anatomia, di geometria, di prospettiva, di teoria e storia dell'arte, di mitologia, e di qui anche il ruolo che viene assegnato al disegno nell'ambito dell'insegnamento accademico. Disegno da intendere come nucleo generatore dell'arte, vero e proprio principio di ordine mentale stando ad una visione che ha nel Vasari prima e nello Zuccari poi i suoi due primi grandi teorici. Sia ben chiaro: l'Accademia non sostituisce l'apprendistato tecnico che si svolge e continuerà a svolgersi nell'ambito della bottega. Nell'Accademia si respira l'aria rarefatta della teoria che pilota e riscatta la prassi. Si potrebbe dire che si impartiscono nozioni relative non ad uno stile, ma allo stile (classico) e al contempo alle sue ragioni. Non più solo il fare, ma il fare e le motivazioni ideologiche, filosofiche, di questo fare. Punto fermo è l'idea che ci sia uno stile per eccellenza su cui non si discute: si tratta semmai di esplicitarne i fondamenti teorici che lo rendono esemplare. Quello che è curioso oggi è che l'immobilismo delle Accademie sia di fatto sostenuto dalle cosiddette "scuole" (di pittura, scultura ecc.) e dai "maestri", i quali continuano a difendere un fare ed una manualità fini a stessi, contrabbandandoli come attaccamento al vero spirito e alla vera identità originari dell'Accademia! Paradossalmente è vero l'inverso: cioè che l'accademia nasce potenziando più la consapevolezza del fare che non il fare in sé. Ma questa consapevolezza, questo rimando alla cultura più avanzata del tempo la si rispetta oggi solo se si rimane in sintonia con i nuovi strumenti di comunicazione e costruzione dei saperi. È questo aggancio al sapere del tempo che ha permesso ieri la nascita delle Accademie che oggi dovrebbe farci fare i conti con i modi in cui si immagazzinano, elaborano e producono i fatti culturali.
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Il testo del Saldarelli nasce nel vivo della pratica didattica e mantiene i freschi risvolti di un rapporto e di una ricerca in fieri. Aggiungiamo che tale testo invita a confrontarsi con una cultura informatica così pervasiva che oggi la libertà dipenderà dal saperla usare anziché dall'ignorarla. Cosa questo confronto abbia comportato è bene lumeggiato dal Saldarelli in pagine dove troviamo una puntuale storicizzazione dei passi necessari compiuti per l'introduzione (della cultura) del computer, nonché delle ricerche che esso ha reso possibile non solo precisando i saperi tradizionali o istituzionali, ma anche aprendo nuovi campi. Per il primo caso valga l'elaborazione delle tesi, per il secondo le ricerche di grafica computerizzata, di esami di restauro e così via. Conoscendo Saldarelli è facile riconoscere in questo testo lo stesso entusiasmo che lo anima nella vita e nella prassi didattica. Quello che Saldarelli ci ricorda è che solo facendo i conti con l'oggi l'Accademia rimane fedele a se stessa, alla sua identità originaria qualificata, ieri come oggi, da questa apertura alla cultura del momento, dal sapersi mettere al passo con i tempi, non dalla fedeltà o dalla asfittica ripetizione della cultura del passato. Chi ha seguito gli interventi del sottoscritto su questa rivista, saprà anche che è dal confronto tra saperi diversi, e il computer non è solo un modo di comunicare, ma anche di pensare (è un sapere insomma!) che potrà scattare la creatività e si potrà rilanciare la stanca operatività delle Accademie. D'altra parte è solo riconquistando questo spazio culturale che le Accademia di belle arti potranno sopravvivere evitando che al loro fianco nascano Facoltà di arti visive, teatro, design come a Venezia tra le cui motivazioni si trova, guarda caso, quella di dar vita ad un fare consapevole al passo con i tempi (vedi "Venezia capitale della modernità" di Paolo Vagheggi in Repubblica del 18 giugno 2001 dove tra l'altro si legge che la nuova Facoltà si propone anche come obiettivo la riflessione sull'attività di progettazione): quindi mirando proprio a quanto le Accademie di belle arti avrebbero dovuto da tempo far proprio o continuare a far proprio! Luigi Bernardi
“chador bianco” tecnica mista su tela 60x50 1982
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a fianco: “la finestra di marmo – composizione con figura femminile” disegno 1977, nella collezione dell’Accademia di Belle Arti di Firenze
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URBANO SABATELLI, scrittore, regista e critico d’arte Eco d’arte moderna, n. 11 - novembre 1975, Firenze proposta per una lettura delle opere di Riccardo Saldarelli II suo universo: il deserto, morto, dove i colori-ricordo si alternano a linee in movimento e statiche ad un tempo, l'oro della sabbia sfuma in ombre violette, l'azzurro del cielo contrasta il bruno di una terra arida ormai da sempre. Il deserto dove tutto è finito. Dove tutto ha cessato di esistere, dove, soprattutto, non si deve cercare nient'altro che il sogno. Il deserto fondo di scena per i sogni. Le linee che delimitano dune e vallate contengono sogni, sogni e ricordi, o, più semplicemente, il ricordo di un sogno, del Sogno. Le terre senza tempo che circondano Samarcanda e Babilonia. I suoi limiti: sipari di marmo. I dolci profili delle dune cedono il posto, cristallizzandosi, a vivaci striature. L'universo desertico ha i suoi limiti onirici: regolarissimi blocchi di marmo. La libertà del sogno si autolimita. Quelle distese non possono essere percorse. Samarcanda e Babilonia devono rimanere lontane, il marmo, nobile quinta teatrale, le confina ai limiti dell'irreale. Procedimento opposto: dall'irreale alla materia. Dalla sabbia oro e viola al marmo, freddo, spietato. I suoi personaggi: figure femminili, non donne, non madri, non figlie, non amanti. Figure femminili con fantastici copricapi. Figlie del nulla. Nate dal deserto. Che dominano il marmo sostituendosi alla sabbia, alle dune. La speranza rinasce per esser subito allontanata di nuovo da gelidi sguardi. Il gelo della sabbia notturna. Il gelo della pietra nel gelo di uno sguardo. Spietate e bellissime. Mute e con tanto da dire. Astratte e complementari al loro mondo di (ormai) eterni silenzi. Cangianti come la sabbia al tramonto. Fredde come il marmo. Respirano, alitano, ossido di azoto. Solo il loro sguardo continua a vivere grazie alla magia del colore. Le sue proposte: il fiore. Il ricordo di un fiore. Ciò che resta di una vita mai vissuta e prepotentemente sentita come quotidiana, e certa, speranza. Il fiore sfida il marmo riportandoci, grazie alle linee da cui è composto, al deserto. Il fiore, nato dai copricapi, annunciato da essi, partorito da fredde e lucide menti femminili.
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Rompere i confini del sogno con i suoi antichi protagonisti. Il fiore di linee. Le linee del deserto, le linee che striavano i marmi, le linee ribelli, mosse dal vento, dei copricapi. Il fiore di linee. Il segno dei segni. Non so se Riccardo Saldarelli accetta chi, affrontando il suo mondo, ne cerca i significati più nascosti. Ma una cosa è certa, quando si vuol percorrere la fantastica via che conduce alle splendide regioni dell'immaginazione, non si può farlo da soli. Non ci è concesso. Chi lo fa sarà schiacciato dai blocchi di marmo frutto della sua creazione. Sarà ammaliato e confuso da quelle eterne sirene che stanno a guardia dei miti più sacri. Rimarrà stordito dal profumo di quei fiori che avrebbero dovuto aprirgli le porte di pietra che custodiscono i segreti del libro di Toth. I suoi silenzi, dipinti con grande maestria, devono significare, soprattutto, che si è disposti ad accettare la solitudine degli altri. Urbano Sabatelli
“strega” tecnica mista su tela 1988
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NOTE BIOGRAFICHE I materiali utilizzati per la redazione di questa pubblicazione consentono di scorrere gran parte della storia artistica ed umana di Riccardo Saldarelli, in particolare attraverso: la raccolta, non certo esaustiva data la mole del materiale repertito, delle testimonianze di chi ha variamente scritto di lui, in tempi, in forme e con motivazioni differenti, a partire dal 1960; le campionature di immagini-ricordo tratte dal suo ricchissimo “album di famiglia”; una selezione di immagini riproducenti opere grafiche, a mostrare anche un aspetto meno noto del suo lavoro: Saldarelli ha variamente affrontato le problematiche dell’illustrazione, dal fumetto alle copertine per libri e riviste, sino alle più sofisticate applicazioni della grafica digitale, anche nel web; una selezione di immagini, a campionatura di alcuni tra i principali filoni tematici della sua pittura, quasi un contrappunto editoriale alle illustrazioni a colori dei volumi “TAVOLE” di cui il primo, in corso di stampa, costituisce l’inizio di una archiviazione sistematica del cospicuo lavoro di questo artista: il nostro Digital Data Art per Riccardo Saldarelli. Una storia, la sua, che possiamo brevemente riassumere così: Riccardo Saldarelli è nato a Roma nel 1942. Architetto, pittore, grafico e ricercatore, dal 1974 ha tenuto la Cattedra di Tecniche Pittoriche all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Ha svolto attività didattica e di ricerca presso la Facoltà di Architettura di Firenze. Socio fondatore di CAPIRE (International Committee for the Promotion of Advanced Educational Research ), ha ideato e diretto l’Osservatorio di Base per le Arti Visive dell’Istituto Internazionale ECOCREA (Espansione e Coordinamento degli Osservatori sulla CREAtività) ed i Seminari Internazionali “Arte, Scienza, Ambiente”. È Consigliere del COMAV (Consejo Mundial de Artistas Visuales). Ha collaborato con il C.N.R. (Consiglio Nazionale delle Ricerche) e con altre Associazioni ed Enti Culturali e di Ricerca. É coautore del “primo manifesto mondiale della computer art” ed ideatore del progetto internet per l’arte <www.bottega2000.it>, on line dal 1996. Dal 2000 è membro del Technical Organising Committee di EVA – Electronic Imaging & the Visual Arts (The Foremost European Electronic Imaging Events in the Visual Arts). A partire dal 1960 iniziava una intensa attività artistica con numerose esposizioni personali e collettive in Italia e all’estero, conseguendo premi e riconoscimenti. Questo primo periodo raggiungeva un culmine nel 1980, in occasione delle Mostre Medicee a Firenze, con una serie di esposizioni ed eventi allorquando, su invito dell’Istituto Francese, eseguì i “dipinti di scena” per lo spettacolo “Mèdicis” diretto da Urbano Sabatelli. Nel 1982 il Comune di Firenze patrocinava la sua importantissima mostra a Palazzo Strozzi. In questa occasione, oltre ad una rassegna antologica di oltre cento opere, presentava anche la sua prima ricerca di “computer art” che lo porta oggi ad essere annoverato tra i precursori internazionali in questo tipo di “avanguardia” artistica . A questa mostra seguirono, nel 1983, le personali alla Generalic gallery di Milano ed alla Ken’s art gallery di Firenze. Negli anni successivi, trascurando le notevoli possibilità di mercato che gli si andavano presentando, intensificava il suo impegno nella didattica artistica e nella sperimentazione di nuove metodologie e sistemi innovativi per la produzione e l’insegnamento dell’arte.
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Nel 1985 attivava un laboratorio per l’immagine digitale e le tecnologie multimediali nell’Accademia di Firenze, così introducendo, per primo, nelle Accademie di Belle Arti Italiane la sperimentazione didattica e artistica in questo settore. Pittore dall’estesa produzione figurativa è, da sempre, appassionato studioso delle tecniche dei maestri toscani, dal Medioevo al Manierismo. Propone questo “sapere” come base fondante nei seminari e nei corsi di tecniche artistiche da lui, di volta in volta, organizzati e tenuti sia nei suoi “atelier-bottega” sia presso laboratori di istituzioni pubbliche e private. Trasferisce queste sue conoscenze tecniche dal piano teorico della didattica alla pratica artistica approfondendo, in particolare, la tecnica dell’affresco. Si dedica intensamente anche alla grafica artistica realizzando varie tirature di litografie, acqueforti, serigrafie e di tecniche grafiche sperimentali. La sua ricerca nel campo dell’arte digitale, iniziata alla fine degli anni settanta, si approfondice con la produzione di elaborati originali che vengono presentati ad un importante appuntamento: la mostra nel nov. dic. 1988 nel palazzo Novellucci, voluta e patrocinata dal comune di Prato. Una sofferta e forzata “pausa artistica” iniziata a metà degli anni novanta si interrompe solo nel 2000 con una mostra a Firenze, in piazza della Signoria, nella sede dell’Antica Compagnia del Paiolo della quale è stato chiamato, nello stesso anno, alla presidenza della Sezioni Artisti. Questa attività espositiva riprende, dopo un’altra pausa dovuta ad una grave malattia, con la prima di una serie di mostre personali in cantiere, quella che si terrà a Prato nel prossimo dicembre 2004. Il nostro impegno editoriale, incoraggiato da amici e collezionisti di questo artista, vuole essere la conferma della sua ritrovata speranza nel proprio lavoro. Questa casa editrice che si occupa anche di editoria multimediale ha voluto realizzare per questa occasione anche lo speciale portale in progress, www.bottega2000.it/saldarelli. la redazione
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sopra: mentre incide il cartone dell’affresco “San Francesco scende verso Assisi” 1990, romitorio francescano in territorio de La Verna pagina seguente: in visita al luogo natale di Giorgio La Pira Pozzallo (Ragusa) settembre 2004
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Finito di stampare presso Globalprint - Gorgonzola (MI) dicembre 2004