COMPUTER ART di Riccardo Saldarelli

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comunemente si pensi. La ricerca di Saldarelli, espressa in questa bella mostra ospitata nella Nuova Strozzina, conferma semmai che, pur attraverso metodologie diverse e con immagini conseguite dalla sensibilità della percezione o dall’intervento della macchina, i fini della esplorazione non divergono ma sono complementari. E come sulle gelide decorazioni del marmo si sono sovrapposte, inserendosi formalmente, le impressioni della solitudine e del silenzio apprese fra le dune del deserto o a contatto con i suoi mitici abitatori, così sulla razionale rappresentazione grafica e cromatica del computer può e deve rifiorire lo stimolo della fantasia dell’artista; giacchè è lui, sempre l’artista, ad arricchire la «memoria della macchina e quindi a dominarla. Le cose che in questa mostra coraggiosa, e affascinante per i motivi che essa propone, si accostano e sfilano sotto lo sguardo dell’osservatore, raccontano una storia non lunga ma colma di esperienze ottenute sul medesimo filo della ricerca. Dal deserto al computer il cammino sembra lunghissimo, allucinante, ed è invece solo stracarico di emozioni e di tentativi attraverso i quali si toccano appunto il passato e il futuro e, se vogliamo, i due miti: la civiltà sepolta e quella tecnologica, ancor piene di promesse entrambe. E le avvolge comunque quel velo di mistero che la ricerca tenta di squarciare. In queste due direzioni, dunque, I’opera di Saldarelli si esprime, cauta e sconvolgente insieme. Firenze, agosto 1982 RICCARDO SALDARELLI PERCHÉ IL COMPUTER Iniziò per spirito di ricerca: voler fornire agli studi di estetica sperimentale, condotti assieme a Carmelo Genovese, esempi di una fenomenologia artistica in atto, essendo, infatti, prerogativa di queste metodologie la possibilità di studiare in «tempi reali» la produzione artistica. Fin qui, tutto bene! L’interesse e la curiosità prevalsero, cosi, un po’ riluttante ma, tutto sommato tranquillo, mi misi al lavoro sul calcolatore. Quando però verificai direttamente che, oltre ad essere «oggetto di studio», continuavo ad essere «soggetto produttore d’immagini» ed il calcolatore altro non era che uno strumento di lavoro, diverso s’intende dai tradizionali pennello-colore-tela, ma pur sempre un «sistema» costruito dall’uomo per praticare anche «procedimenti pittorici», i punti di domanda si fecero parecchi. La valutazione del rapporto uomo-strumento si poneva come prioritaria, dovendosi stabilire certi ambiti operativi specifici per una macchina dagli «illimitati poteri». Fino a che punto basarsi sull’uso di apparati analogici al fare tradizionale? la penna elettronica, cioè, e la tavoletta grafica? Oppure lasciare tutto al linguaggio-macchina ed alla ricerca di forme corrispondenti a pure funzioni matematiche. Forme perfette ma troppo simili a diagrammi piani o tridimensionali, proiezioni ortogonali e centrali, sempre più lontane dai valori tradizionali dell’immagine pittorica. Questa, per intendersi, è, per lo più, la strada

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