Pietre di Fede

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ro, altra spesa, altra opera ben compiuta. La gente si domanda: riconsacrato il cimitero è tutto finito? Possiam sostare? Ma don Carlo, dal pulpito, in cotta e stola, ammonisce che «solo chi muore può sostar per via». Ci vuol altro che fermarsi, adesso. Siamo nel 1926. Manca l’Asilo, non ci son le suore e il palazzo scolastico - pur tanto necessario - non spunta neppur fra gli ideali lontani. Come si fa ad indugiare, quando si è così discosti dalle più necessarie realizzazioni? Sopra la sacrestia si possono tirar su, volendo, due locali che servirebbero assai bene per un minuscolo Asilo. don Carlo si sbraccia - è la parola - e assolda un paio di muratori, un falegname, e si mette all’opera, insistendo presso l’ing. Enrico Gandola perché lì, sui due piedi, tracci un disegno di massima. In due mesi l’Asilo è pronto: dodicimila lire se ne vanno, ma i bambini si sistemano bene e il parroco è soddisfatto. Così soddisfatto che si volge, per un po’, all’attività… interna (ha detto lui) e delinea nuovi ordinamenti per le funzioni religiose, istituisce e rinnovella confraternite, pie società, accelerando il ritmo della comprensione devota. Poi, torna all’esterno e accoglie con gratitudine la proposta dei fratelli Fiocchi di ricordare, con un segno tangibile, il cinquantesimo anniversario di fondazione della loro casa industriale e porgere omaggio alla venerata memoria del padre. don Carlo non si lascia sfuggir l’occasione e traccia un programma… nel programma parrocchiale. Va dai signori Fiocchi, lo espone, lo vede approvato e vien giù da Castello con l’esultanza dei giorni di festa. L’ing. Piero, il dott. Carlo, l’avv. Giulio, l’arch. Mino e l’ing. Vico - vera concordia fratrum - hanno deciso di erigere, a Belledo, un palazzo per ospitare le scuole, l’asilo, l’oratorio, le associazioni religiose. Il curato, stavolta, non deve preoccuparsi per ragioni di ordine finanziario: non brigare, scrivere per avere oblazioni; deve solo impegnarsi ad ottenere dal Comune la fornitura dell’acqua potabile all’erigenda casa. Podestà, commissario prefettizio - si tratta di un’opera buona - litigano col bilancio, per don Carlo, e

l’accontentano in tutto e per tutto. L’architetto Fiocchi, da par suo, delinea il palazzo, sorveglia l’esecuzione e fa sorgere un capolavoro di buon gusto, di comodità: unico nel suo genere. Non lo si inaugura subito perché ragioni burocratiche si frappongono al buon volere dei pubblici amministratori e s’ha da aspettare fino a quando non siano appianate le difficoltà relative all’acqua potabile. Il parroco di Belledo è impaziente: vorrebbe finir presto - subito, anzi - per mostrare quel suo gioiello all’eminentissimo Cardinal Schuster che viene a Belledo, in visita pastorale, il 16 settembre 1930. L’arcivescovo constata l’opera fattiva di don Carlo, si compiace con lui e ha vive parole di elogio per i signori Fiocchi, munifici benefattori della minuscola parrocchia lecchese. La prima domenica di settembre del ’31 il sontuoso palazzo è inaugurato e, nella festa dell’Epifania seguente comincia a funzionare sotto la guida delle suore di Maria Ausiliatrice. Ad uno ad uno, i desideri di don Carlo - tutti ispirati al bene del prossimo - si compiono e se guarda al non lontano luglio del 1922 può bene essere orgoglioso di sé. Ma egli è un uomo fatto così: il passato non lo considera, i fini conseguiti non sono, per lui, punti di arrivo, ma di partenza; ogni giorno che spunta gli reca un’aspirazione nuova. Istituisci di qua, organizza di là, don Carlo ha davvero completato, estendendolo, il programma di don Sisinio Perego ed ha proceduto per la stessa via, senza soluzioni di continuità. Uno sguardo panoramico, sia pur rapido e sommario, documenta l’opera veramente grandiosa dei due parroci di Belledo e insegna quanto possano, uniti insieme, buon volere e tenacia. Ma tutto, a sentir don Carlo, non è ancora fatto perché egli - e lo dice forte - è nemico della concezione statica della vita e preferisce buttarsi dinamicamente nell’avvenire. Adesso, ricorrendo il venticinquesimo anniversario della sua prima santa messa, ha donato alla sua chiesa il coro, l’organo, i vetri cattedrali, ha rinnovellato l’altar maggiore e tutte le suppellettili liturgiche. Generosi amici - e tra que-

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