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trata soprattutto su atti amministrativi, è stata quindi sostituita da leggi con le quali sono state ridefinite, con maggiore severità, le modalità di ingresso e di inserimento degli stranieri. La rigidità delle nuove disposizioni legislative ha suggerito l'appellativo di "fortezza Europa" per descrivere la mutata posizione degli Stati europei rispetto ai flussi migratori. La chiusura delle frontiere da parte dei Paesi di antica immigrazione, comunque, non ha determinato la diminuzione della pressione migratoria. Al contrario, sono aumentate le presenze clandestine e si è estesa l'area di destinazione degli spostamenti, coinvolgendo prevalentemente quegli Stati che, per la posizione geografica, l'assenza di una disciplina specifica e le condizioni economiche, costituivano una meta attraente: tra questi l'Italia. Da circa venti anni, il nostro Paese è inserito nelle rotte delle attuali migrazioni, dopo aver lungamente assistito all'esodo dei propri cittadini verso altre nazioni. Rispetto a tale fenomeno la posizione del nostro ordinamento giuridico non si discosta da quella sostenuta in diversi atti internazionali, in base ai quali viene attribuita agli individui la libertà di emigrare ma non quella di immigrare. Nessuno ha infatti il diritto di essere ammesso in uno Stato diverso da quello di appartenenza, sebbene a tutti sia riconosciuto il "diritto di lasciare qualunque Paese incluso il 32

proprio" 2. Ciò consente di affermare che la libertà di circolazione transnazionale è affievolita da precisi limiti, attraverso i quali vengono garantiti agli Stati gli spazi di discrezionalità necessari alla elaborazione di politiche migratorie strumentali alla tutela degli interessi nazionali. Così come confermato dalla giurisprudenza costituzionale è, dunque, possibile considerare gli stranieri titolari non di un diritto soggettivo bensì di un interesse legittimo all'ingresso. Per la regolamentazione della loro condizione giuridica, la Costituzione offre un riferimento fondamentale attraverso l'articolo 10. Esso stabilisce una riserva rinforzata di legge la quale, non solo impedisce che la materia sia disciplinata dalla discrezionalità dell'esecutivo, attraverso l'eventuale adozione di misure discriminatorie di carattere poliziesco, ma vincola altresì qualunque intervento al rispetto dei parametri specificati dalle norme e dai trattati internazionali. La riserva rinforzata di legge è stata, però, ampiamente disattesa fino al 1990. Per analizzare le scelte compiute in questo periodo dal legislatore è possibile distinguere schematicanente 3 fasi principali: la prima ha inizio con la promulgazione della Costituzione e si conclude a metà degli anni Ottanta; la seconda è caratterizzata dalla approvazione della legge n. 943 del 30 dicembre 1986 e della legge n. 39 del 28 febbraio 1990; la terza fase, tuttora in pieno svolgimento, è segnata da


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