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L.mare Vittorio Veneto 17-18-19 RAPALLO
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Tel./Fax 0185 52603
Anno IV - n. 4/ 2011 • Direttore responsabile: Emilio Carta
Feste di 1 1 0 2 o i l Lug
O giornale o l'é comme l'äze, quello che ti ghe metti o porta Il giornale è come l'asino, quello che ci metti, porta (Antico proverbio genovese)
FESTE DI LUGLIO
• Intervista al Sindaco • Il programma • La tavoletta votiva • Parla il Rettore del Santuario
AGENZIE DI VIAGGIO Ne sono rimaste tre
AUDITORIUM CLARISSE Nelle mani dei vandali
MONUMENTI Il Castello non è medievale
CULTURA Il Nobel S. Heaney nel Tigullio
ZOAGLI la famiglia Canevaro
VINCI UNA CROCIERA! CON POLY VIAGGI IL MARE è consultabile anche on line sul sito
www.marenostrumrapallo.it Stampato in 15.000 copie - DISTRIBUZIONE GRATUITA
Associazione Culturale
Caroggio Drito
Associazione Culturale
Verso le Feste di Luglio: Intervista al Sindaco di Emilio Carta
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IL MARE
Mensile di informazione Anno IV - n. 4/ 2011 Edito da: Azienda Grafica Busco Editrice Rapallo - via A. Volta 35,39 rapallonotizie@libero.it tel. 0185273647 - fax 0185 235610 Autorizzazione tribunale di Chiavari n. 3/08 R. Stampa Direttore responsabile: Emilio Carta Redazione: Carlo Gatti - Benedetta Magri Elena Busco - Daniele Roncagliolo
foto: www.festediluglio.it
Hanno collaborato a questo numero: M. Bacigalupo - R. Bagnasco - P.L. Benatti A. Bertollo - E. Brasey - G. Farris - C. Gatti E. Lavagno Canacari - S. Gambèri Gallo B. Magri - B. Mancini - M. Mancini - G. Massa C. Molfino - I. Nidasio - A. Noziglia - D. Pertusati L. Rainusso - D. Roncagliolo Ottimizzazione grafica: Valentina Campodonico - Ivano Romanò
La collaborazione a Rapallo Notizie è gratuita e ad invito
IN QUESTO NUMERO: 2 Programma Feste 3 La tavoletta votiva di G. Farris 4/5 Montallegro: la voce del Rettore di I. Nidasio 6 Le Clarisse, terra di nessuno di E. Carta 7 Assessori capocantiere di R. Bagnasco 8/9 Turismo: agenzie in crisi di D. Roncagliolo 10 Il miracolato dal lager di C. Gatti 12/13 Riforme e Consulta di B. Magri 14 Lʼangolo di Rossella 14 Quote rosa nei C.D.A. di E. Lavagno Canacari 16 I Fiamminghi Primitivi a S. Michele di C. Molfino 17 Natura: che bei parassiti! di G. Massa 18 Il castello non è medioevale di P. Benatti 19 Come eravamo di B. Mancini 19 La guerra non fa sconti di M. Mancini 20 “Abasso la squola!” di S. Gambèri Gallo 21 La famiglia Canevaro di Zoagli di A. Bertollo 22 Liguri Antighi - i Rapallin 23 Signori, in carrozza! di E. Brasey 24 La “Catena umana” di S. Heaney di M. Bacigalupo 25 Pio IX e lʼUnificazione dʼItalia di D. Pertusati 26/27 Montallegro, scioglimento del voto di A. Noziglia 28 Al cinema in diagonale di L. Rainusso 29 Lettere, notizie e tempo libero 30/31 Feste di Luglio, il sindaco di E. Carta
Signor Sindaco, è passato un anno e siamo di nuovo a parlare delle feste di luglio. Ci saranno novità sostanziali? No. In perfetta simbiosi con i massari proseguiremo nel solco della migliore tradizione coinvolgendo tutta la città che non dimentichiamo ha la “M” mariana sul proprio stemma. I Sestieri sono già attivissimi e stanno predisponendo al meglio e in ogni dettaglio i loro sforzi organizzativi per arrivare all’1, 2 e 3 luglio. C’è un detto: Rapallo è per 362 giorni a disposizione dei turisti ma i primi tre giorni di luglio appartengono ai rapallini… Condivido appieno perché sono giorni che ci riportano alle nostre radici e ai nostri valori. In quei tre giorni ci sarà da sopportare qualche disagio ma i turisti, se preavvertiti per tempo, ce li perdoneranno perché la bellezza degli spettacoli pirotecnici li ricambierà appieno. La festa patronale ha un futuro? Da parte mia non c’è più grande soddisfazione che vedere come tali valori si tramandino di generazione in generazione coi tanti giovani che partecipano alla vita del proprio sestiere sia attraverso la predisposizione dei “fuochi” sia nella partecipazione alla Novena. Parliamo di cifre? Più che di cifre parlerei di impegno: dalle generose offerte dei rapallesi ai massari che
vanno a giro casa per casa e negli esercizi commerciali a quello del Comune che interviene con contributi ai Sestieri, al Panegirico e in spese logistiche come i pontoni. Per contro, al di là delle valenze religiose e
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Fotografie: Fabio Piumetti Archivio Sestieri Feste di Luglio Archivio Azienda Grafica Busco
civili, va sottolineato il richiamo turistico incredibile, un volano per l’intera economia rapallese. Per chiudere, ha un sogno? Sì, vorrei avere un teletrasporto a disposizione per vedere fra due secoli quanto Rapallo avrà conservato la sua tradizione verso N.S. di Montallegro; insomma se i rapallini, credenti o meno, continueranno a percorrere questo solco di tradizione e di Fede. Lo dice uno che ha avuto la fortuna e l’opportunità di vivere appieno il 450° anniversario dell’Apparizione.
PROGRAMMA
Feste di Luglio 2011
VENERDÌ 1 LUGLIO 2011 ore 8,00 “SALUTO ALLA MADONNA” Accensione di Mortaletti da parte di tutti i Sestieri Cittadini Spettacoli pirotecnici “a giorno” dalle chiatte a cura dei Sestieri: SEGLIO eseguito dalla ditta Pirotecnica Vesuvio di Castagnozzi (Na) CAPPELLETTA eseguito dalla ditta Pirotecnica Tigullio di Bavestrello G. (Ge) ore 22,15 “SALUTO ALLA MADONNA” Accensione di Mortaletti da parte di tutti i Sestieri Cittadini ore 22,30 “PALIO DEI SESTIERI” Spettacoli pirotecnici “a notte” dalle chiatte a cura dei Sestieri: SEGLIO eseguito dalla ditta Pirotecnica Vesuvio di Castagnozzi (Na) CAPPELLETTA eseguito dalla ditta Pirotecnica Tigullio di Bavestrello G. (Ge)
SABATO 2 LUGLIO 2011 ore 12,00 “SPARATA DEL PANEGIRICO” Panegirico del Sestiere COSTAGUTA seguito dallo spettacolo pirotecnico “a giorno” dalla chiatta eseguito dalla ditta Bruscella Bartolomeo & F.lli (Ba) ore 22,45 “SALUTO ALLA MADONNA” Accensione di Mortaletti da parte di tutti i Sestieri Cittadini ore 23,00 “PALIO DEI SESTIERI” Spettacoli pirotecnici “a notte” dalle chiatte a cura dei Sestieri: BORZOLI eseguito dalla ditta Catapano Giuseppe (Na) CERISOLA eseguito dalla ditta La Rosa Fireworks (Pa)
DOMENICA 3 LUGLIO 2011 www.festediluglio.it
ore 22,00 circa “SALUTO ALLA MADONNA” Accensione di Mortaletti da parte di tutti i Sestieri Cittadini, in concomitanza del passaggio dell’“Arca Argentea” sul lungomare Vittorio Veneto ore 22,15 “SPARATA DEI RAGAZZI” Sestiere BORZOLI “Sparata dei ragazzi” seguita dallo spettacolo pirotecnico “a notte” dalla chiatta, seguito dal tradizionale
“INCENDIO DEL CASTELLO”
eseguito dalla ditta B.L.B. Firework di Liccardo Benito Bruno (Ge) ore 23,15 circa “SALUTO ALLA MADONNA” Accensione di Mortaletti da parte di tutti i Sestieri Cittadini ore 23,30 circa “PALIO DEI SESTIERI” Spettacoli pirotecnici “a notte” dalle chiatte a cura dei Sestieri: SAN MICHELE eseguito dalla ditta Lieto Ugo Fireworks (Na) COSTAGUTA eseguito dalla ditta Bruscella Bartolomeo & F.lli (Ba)
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DEVOZIONE E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o
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di Mons. Giovanni FARRIS
LA TAVOLETTA
Un prezioso studio sul Quadretto miracoloso L’icona della “Dormizione della Vergine” venerata nel Santuario di Montallegro a piccola icona (cm. 18x15) venerata nel Santuario di Monte Allegro sarebbe stata consegnata dalla Vergine, il 2 luglio 1557, ad un contadino, Giovanni Chichizola, di umile condizione, raccomandandogli di manifestare a tutti di aver visto “la Madonna... su detto monte, ove lasciò detto quadretto e che era venuta di Grecia per ivi abitare e che perciò non ardisse levar detto quadretto da detto luogo, dove apparve...” (testimonianza di Nicolò Baliano nel processo del 1669, cit. in Alfonso Casini, “Nessuno osi trasferirmi da qui”, Rapallo, 1981, p. 18, nota 6).
L
LA DORMITIO VIRGINIS DI MONTALLEGRO Il soggetto della nostra icona costituisce un commento visivo al testo apocrifo dello pseudo-San Giovanni. La Vergine dormiente è distesa su un alto letto. Al centro dell’icona spicca la Trinità, che tiene in mano la piccola figura dell’anima della Vergine, e sul petto, visibile quando
l’icona era ancora integra, un piccolo volto luminoso, quello della Madre di Dio nella sua gloria definitiva. A destra di chi guarda i dodici apostoli chinati su di lei, col volto segnato dalla tristezza del distacco. Giovanni, ai piedi del letto, muove l’incensiere. A sinistra un Padre della Chiesa, intento nella lettura della Parola di Dio, occupa l’intero spazio. In alto due angeli, uno a destra e l’altro a sinistra. Entro lo spazio che separa l’angelo di destra dall’aureola della Trinità troviamo le iniziali greche obbligate: MR QV, “Madre di Dio”. La tradizione bizantina non insiste sul tema dell’Assunzione al cielo della Vergine in corpo e anima, mentre tende a sottolinearne la deificazione (Dante a questo proposito si serve di un verbo fortemente icastico: indiarsi), in quanto “primizia dei santi, modello dei credenti, immagine della Chiesa”. La Dormitio è la definitiva nascita della Vergine in Dio: la Vergine ha portato Gesù: adesso Gesù porta Lei. Vale anche
in questo caso la definizione data da Dante: “Vergine Madre, Figlia del tuo Figlio” (Pd XXXIII, 1). La Vergine in quanto Madre di Gesù divenne Madre della Chiesa, e quindi colei che aprirà le porte del Paradiso all’intera umanità. Come Dio ha deificato Lei, così deificherà anche coloro che si presenteranno a Lui, in quanto partecipi di quella economia della salvezza, inaugurata dal fiat della Vergine. San Brunone dirà che Cristo “benedirà i suoi, cioè li innalzerà alla felicità... Essendo lui Dio, deificherà anche i suoi... A quanti formano Sion apparirà, in spirito, Dio degli dei, cioè Dio uno e trino, vale a dire: con l’intelligenza vedranno Dio in sé, che qui non possono vedere, poiché Dio sarà tutto in tutti”. Simbolicamente Dante, alla fine del suo viaggio nell’oltretomba, accenna a questa esperienza trinitaria attraverso la dinamica convergenza di tre cerchi, di tre colori diversi e di una stessa dimensione: e l’un da l’altro come iri da iri parea reflesso, e ’l terzo parea foco che quinci e quindi igualmente si spiri (Pd XXXIII, 118-120) DATA E SIMBOLISMO TRINITARIO DELL’ICONA Voler datare l’icona non è semplice in quanto siamo privi di notizie storiche certe a cui far riferimento, pertanto ci si può solo basare sull’analisi interna dell’icona stessa. Alcune date sono d’obbligo. La data a quo si deve far risalire all’inizio dell’iconografia della Dormitio, che vari studiosi ritengono sia partita nel IXX secolo. Quanto al terminus ad quem, occorre giungere al Concilio dei Cento Capitoli di Mosca nel 1551, che riporta un po’ d’ordine nell’ambito dell’arte iconografica. Al capitolo XLI del Concilio si tratta proprio dell’iconografia sulla Trinità e si osserva che “i pittori non devono andar dietro alle proprie fantasie”. Sia in Oriente che in Occidente inizialmente esisteva una riluttanza nel rappresentare naturalisticamente il Mistero della Trinità. Ci si riferiva a lei attraverso degli ideogrammi, ad esempio tre
GIOVANNI FARRIS, sacerdote, savonese, critico letterario e già docente di Filologia Italiana all’Università di Genova. Ha pubblicato saggi sulla Divina Commedia ed è autore di numerose pubblicazioni nel campo della storia letteraria, in particolare dei rapporti tra letteratura e religione. Postulatore della causa di beatificazione di Pio VII. In campo storico fondamentali sono i suoi studi sull’Apparizione della Madonna, sulle Confraternite. Dirige varie collane letterarie e storiche e in particolare la collana di “Inediti e scritti rari” promossa dal “Centro Storico Filippo Noberasco”. cerchi intersecantisi, e Dante si rifarà proprio a questo simbolismo. Nel mondo ortodosso è presente una Trinità vetero-testamentaria isocefala (ad esempio: tre angeli eguali presso il querceto di Mamre). Dal secolo XII in Occidente abbiamo quel tipo di rappresentazione, che gli ortodossi chiameranno Trinità neo-testamentaria, o della “Paternità”: Dio Padre (vecchio dalla barba fluente iscritto in un nimbo triangolare), il Figlio di Dio (Gesù Cristo), e lo Spirito Santo (sotto forma di colomba). Questo tipo di rappresentazione troverà molte difficoltà nel mondo ortodosso per paura delle eresie (triteismo), ed allora si farà spazio l’importanza delle parole di Gesù: “Chi ha visto me ha visto il Padre”. Dunque in Gesù è possibile contemplare l’indicibile, in quanto la sua umanità è inseparabile dal mistero trinitario. Forse l’icona di Montallegro risente di questi principi. Non vi è dubbio che nel racconto degli Apocrifi chi scende a prendere l’anima della Vergine è sempre Gesù. “In alcuni Padri della Chiesa troviamo la descrizione di Gesù stesso che viene a prendere sua Madre nel momento della morte, per introdurla nella gloria celeste. Essi presentano, così, la morte di Maria come un evento d’amore che l’ha condotta a raggiungere il suo divin Figlio per condividerne la vita immortale” (La Dormizione
della Madre di Dio, Catechesi svolta il 25 giugno 1997 da Giovanni Paolo II nel corso dell’udienza generale). Nell’icona di Montallegro il mistero trinitario è espresso con un’unica testa e tre profili dello stesso volto. Non è difficile identificare in quel volto la figura stessa di Gesù. D’altra parte questa forzatura va forse collegata con la comparsa, dal secolo XI in Occidente, della raffigurazione della Trinità mediante il “tricefalo”, un corpo con tre teste, ovvero una sola testa dove si profilano altre due facce (trifrons). In Russia queste raffigurazioni, piuttosto mostruose, saranno particolarmente proibite, in quanto il mistero divino non poteva essere espresso, senza portare ad una possibile idolatria. Da queste premesse potremmo presumibilmente fissare la datazione della nostra icona tra il secolo XI e XII. FORME GEOMETRICHE SACRE STRUTTURA La struttura dell’icona è determinata da due piani, uno terrestre, indicato al centro dell’icona dalla Madre di Dio, dormiente su un alto letto, in posizione orizzontale, l’altro celeste in cui la Trinità si staglia ritta al centro dell’icona, dietro al letto della dormiente. Abbiamo dunque l’incontro tra una linea orizzontale ed una linea verticale: le due linee, intersecandosi, indicano l’incontro definitivo tra cielo e terra, e quindi la piena deificazione della Vergine. IL CERCHIO Il simbolo portante della nostra
icona, a colpo d’occhio, è il cerchio. Dall’antichità il cerchio è una forma perfetta, ed in quanto tale, risponde al concetto del mistero divino, per cui porta in sé una ricchezza di attributi: il cielo, come dimora di Dio, la sua luce infinita, il suo amore eterno. Lo schema di fondo, unificante e dichiarato in modo esplicito dall’autore dell’icona, è richiamato anche dalla linea curva del corpo del Padre della Chiesa, continuata dalle
teste degli angeli e che si sviluppa mediante la collocazione dei dodici apostoli attorno alla Vergine sul suo letto di morte. Il cerchio è chiuso, ai piedi della Vergine, dalla posizione del braccio di san Giovanni, che agita l’incensiere, e dalle curve accennate dal drappo, su cui è collocato il corpo della Vergine. Questi cerchi concentrici acquistano un valore crescente in quanto, attraverso l’uso della “prospettiva inversa”, proiettano dinanzi allo spettatore la figura della Trinità in un alone ovoidale di luce che la irradia in tutta la sua persona. Nel cerchio più piccolo, quindi più vicino allo spettatore, abbiamo la glorificazione definitiva della Vergine, che la Trinità tiene sul suo petto in quanto in lei splendono, nel modo più ammirabile, le ineffabili relazioni del mistero divino. Il letto su cui posa la Vergine ha l’identica conformazione ovoidale della mandorla entro cui è racchiusa la Trinità, quasi a dire che ormai la Vergine appartiene definitivamente al mistero di Dio. IL QUADRATO Le intenzioni dell’iconografo per orientare lo spettatore alla con-
templazione del mistero è possibile coglierle anche dall’equilibrio che regge l’icona stessa, preoccupata di mettere al centro la glorificazione della Vergine. Congiungendo infatti la linea orizzontale fissata dalla Vergine e quella indicata dai due angeli si ha un quadrato, e proprio dal punto che segna l’intersezione delle diagonali, viene evidenziata la glorificazione definitiva della Vergine. Se il cerchio indica generalmente il cielo ed il quadrato la terra, nell’inserire il quadrato nel cerchio, ancora una volta, l’iconografo intende manifestare le connotazioni fondamentali del Cristo, ossia la sua umanità e la sua divinità. Il Figlio è il solo a mostrarci il volto umano. Lo Spirito come il Padre non ha immagine incarnata. Tuttavia il mistero del Figlio non è limitato, perché colui che ha detto “chi ha visto me, ha visto il Padre”
(Gv 14, 9), può dire anche: “Chi ha visto lo Spirito Santo, ha visto me”, perché lo Spirito Santo è l’immagine del Figlio. In questa visione trinitaria l’anima della Madre di Dio trova la sua definitiva divinizzazione. I COLORI Quanto al gioco dei colori nella nostra icona abbiamo come dominante il colore giallo, che richiama la simbologia del sole come luce, calore, vita. Su un piano religioso diventa simbolo dell’inalterabile splendore di Dio, della sua regalità e della sua divinità. Dio è un mistero di luce e la Vergine diventa a sua volta, in quanto Theotokos (Madre di Dio), Madre della luce: “Maria, lume e madre dei lumi, Maria, vita e madre degli apostoli, Maria, lampada d’oro che porti ogni lampada vera, Maria, nostra regina, supplica tuo Figlio” (Gli Apocrifi del Nuovo Testamento, a c. di Mario Erbetta, I/2, Casale, Marietti, 1981, p. 441). Il secondo colore dominante è il rosso (veste della Trinità e dell’anima della Vergine, l’ampio drappo sul quale è posta la Vergine dormiente, veste episcopale del Padre della Chiesa, veste dell’angelo, mantelli degli apostoli): il colore dell’amore, della carità e quindi del legame stesso con Dio. Il mistero divino è carità. La Madonna su un letto purpureo è colei che con la sua umiltà si è sottomessa totalmente alle richieste di Dio, così da divenire la fonte dell’amore (eia Mater, fons amoris), il Padre della Chiesa esprime un’autorità fatta di amore, gli apostoli sono gli annunciatori stessi dell’amore. Il blu (veste della Vergine dormiente, tunica degli apostoli, veste dell’angelo) indica l’azzurro del cielo. Sia il rosso che il blu sono continuamente investiti dal colore solare della divinità. I colori freddi evidenziano numerosi riflessi di verde e di turchino, quelli caldi si muovono di continuo attraverso un rosso pallido. Ormai le attese vissute nella fede si fanno certezza. Entro questa intensità di riflessi l’immagine della Trinità irrompe dal fondo e realizza il mistero grande della definitiva deificazione della Vergine circondata dagli apostoli, dalla Chiesa (Padre della Chiesa) e dagli angeli. SIMBOLI INCENSIERE I primi incensieri ebbero forma varia. Nel nostro caso abbiamo un incensiere mobile, ossia un vasetto
appeso a catenelle. L’incenso, mediante il fumo che emette ed il suo profumo, si considera il simbolo delle preghiere che salgono al cielo (Salmo 141, 2). LIBRO Il Padre della Chiesa si presenta con il libro di Dio nel quale legge come la Parola del Verbo incarnato è consustanziale al Padre. Il libro aperto significa che il Mistero è ormai manifesto. STELLE Le tre stelle che vediamo sul velo della Vergine e sulle spalle della sua veste costituiscono il segno della sua completa e perenne verginità. VESTI La Vergine è ammantata di abiti ormai consolidati dalla tradizione iconografica. Una tunica blu-scuro avvolta in un mantello dello stesso colore, bordato da un gallone dorato. La sua veste è quella di una vedova nobile con ai piedi scarpe di color rosso, come era d’uso frequente in oriente ai membri della famiglia reale. Il Padre della Chiesa indossa la rossa veste vescovile greca, con la grande sciarpa bianca a croci nere (omoforio), segno della sua autorità. Gli apostoli vestono anche essi alla greca, con una tunica (chitone) blu scuro e con ampio manto (himation) rosso. L’angelo sopra gli apostoli è di colore blu scuro, quello sopra il Padre della Chiesa è di colore rosso. La Trinità è presentata con una veste rossa percorsa da innumerevoli striature dorate. La piccola figura dell’anima della Vergine, portata in cielo dalla Trinità, ha un abito, come quello della Trinità, intessuto d’oro su sfondo rosso.
GIRI DI CHIGLIA I Sestieri, e i Massari in particolare, non sono solo portatori di “fatica, sudore e polvere da sparo”. Sono anche portatori di fede, tradizione, radici e cultura. Un esempio, fra i tanti, quello del Sestiere di Costaguta, cui spetta quest’anno il Panegirico. Nel loro opuscolo hanno inserito questo particolare ed interessante studio sul Quadretto miracoloso di Montallegro, di cui qui sopra riportiamo alcuni stralci. E.C.
MONTALLEGRO
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di Ilaria NIDASIO
E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o
L’INTERVISTA
Parla Don Salvatore Orani, rettore del Santuario Non va dimenticato che il vero significato della festa dell’1, 2 e 3 luglio è quello religioso i avvicinano le giornate più importanti del calendario festivo rapallese: si tratta dei primi tre giorni di luglio, durante i quali la città si unisce nella celebrazione di N.S. di Montallegro. I massari dei sestieri cittadini sono al lavoro da mesi per offrire ai presenti sei diversi spettacoli pirotecnici notturni e per contendersi il titolo del migliore nell'arte delle sparate all'antica. Ma, nonostante il corollario laico sia sempre apprezzato e molto atteso dai rapallesi e dai turisti, non va dimenticato che il vero significato della festa è quello religioso, ovvero la celebrazione del noto episodio del 2 luglio 1557, giorno in cui la Madonna apparve a Giovanni Chichizola sul Monte Allegro, chiedendogli di erigere un santuario in suo onore. La Vergine, dopo aver chiesto di essere venerata in quel luogo, lasciò al contadino una preziosa icona, a conferma della sua apparizione: la stessa icona viene mostrata alla
S
cittadinanza nella Parrocchia dei SS. Gervasio e Protasio già dal 1° luglio e portata in processione la sera del 3. « Il programma della celebrazione liturgica è quello tradizionale – spiega Don Salvatore Orani, rettore del Santuario-. L'atto più significativo è sicuramente la partecipazione alla novena che ogni anno vede impegnate decine e decine di rapallesi nell'ascesa notturna al Santuario, per assistere alla messa delle 5. Si tratta di un gesto dall'importantissimo valore simbolico: il pellegrinaggio notturno, che inizia alle 3.30, propone metaforicamente l'esperienza dell'uomo, che in molte occasioni della sua vita si trova a camminare nel buio, con tutte le difficoltà e le incertezze che ciò comporta. Durante la propria esistenza l'uomo è costretto ad affrontare periodi difficili, a volte addirittura di crisi: la novena notturna testimonia questa situa-
Lʼarca argentea in processione
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LʼApparizione della Vergine al contadino Chichizola
zione, ma al tempo stesso conduce lentamente verso la luce. La luce del giorno, naturalmente, ma anche la luce che riporta serenità nel cuore dell'uomo e che lo conduce in un luogo in cui possa finalmente sentirsi al sicuro. Questo luogo non può che essere la casa della Madre, alla quale i fedeli si rivolgono ogni volta in cui la loro speranza sembra vacillare e necessitano di quell'intima protezione che soltanto nel luogo sacro riescono a trovare. Il momento in cui, alle prime luci dell'alba, le persone iniziano ad entrare in chiesa è veramente toccante e, dopo tanti anni, ancora non ho smesso di emozionarmi nel vedere i fedeli che arrivano al Santuario». Durante il giorno, inoltre, sono moltissimi i credenti che giungono a rendere omaggio alla Madonna di Montallegro, approfittando dell'occasione anche per godere di una vista impareggiabile su tutto il Golfo del Tigullio. Da quando è
stato inaugurato l'ascensore (che permette di evitare la meravigliosa ma rigida scalinata che conduce al Santuario) anche le persone con difficoltà motorie possono finalmente tornare a visitare la Madonna. In meno di un minuto, infatti, l'ascensore permette agli anziani e ai disabili di superare il dislivello di quasi 40 m che, altrimenti, impedirebbe loro l'ascesa alla Chiesa. «L'ascensore sta dando la possibilità ai più anziani di venire a Montallegro, dopo anni e anni di assenza - prosegue il Don-. La soddisfazione e la commozione che provano sono ben visibili negli occhi di queste persone, che finalmente hanno di nuovo la possibilità di recare visita alla Madonna, tornando indietro con la memoria a quei tempi in cui, da bambini e da giovani, potevano facilmente superare la scalinata per offrire i loro ex-voto alla Santa Vergine, alla quale ogni rapallese è intimamente legato».
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ARREDO URBANO
Spett. Redazione,
Le Clarisse nelle mani dei vandali
alcuni studenti del Liceo Da Vigo mi hanno fatto notare che, all'nterno del cancello verde che delimita l'aiuola - lato sede Associazione mutilati ed invalidi civili) erano ammucchiate numerose siringhe recentemente usate. Si deve dedurre che la zona adiacente l'Auditorium delle Clarisse sia frequentata da drogati e vandali atteso che risultano anche danneggiati gli estintori, la scala antincendio ed il portone dell'Auditorium abbondantemente imbrattato. Per non parlare della spazzatura che è sempre presente (bottiglie, vetri rotti, contenitori per cibo in plastica, ecc.) La cosa è ancora piÚ grave se si considera che siamo in pieno centro cittadino e nelle immediate pertinenze di un importante complesso pubblico che ospita manifestazioni e concerti. Ho avvertito, per quanto di competenza, lʟamministratore del condominio per fare presente tutto ciò al Comando di Polizia Municipale e alle forze dellʟordine. Credo sia necessaria ed urgente l'installazione di una telecamera che porrebbe fine immediata ad una situazione intollerabile e non piÚ sopportabile per il Condominio, per la Pubblica Amministrazione (proprietaria dell'Auditorium) e per gli studenti della scuola che transitano quotidianamente nella zona e che sono stati i primi a meravigliarsi che non venga fatto niente da mesi. Grazie per l'attenzione. E.M.
Il complesso monumentale nonchĂŠ polo culturale sta affondando
L’
intera area perimetrale del teatro auditorium delle Clarisse è ormai preda dei vandali. L’ultimo grido d’ allarme giunge da un lettore che ci ha segnalato una situazione ormai al limite del sopportabile. Ormai i piccioni, che con le loro deiezioni stanno deturpando e rovinando i portici del monumentale edificio, paiono il male minore da sopportare. Gruppi di giovani, che ormai occupano stabilmente l’intera area coperta attraverso la quale si accede al museo Gaffoglio, nelle ultime settimane l’hanno interamente deturpata con scritte che campeggiano persino sul portoncino d’accesso al museo, mentre altre persone non esitano a lasciare i rifiuti di cibo e bevande acquistati in esercizi commerciali poco distanti. E non parliamo delle carcasse dei motorini. A nulla servono i contenitori posti a pochi metri di distanza: troppa fatica avvicinarsi ai bidoncini per lasciare i resti del fiero pasto. Vero è che il Comune quando e come può cerca di rimediare ma le scritte deturpanti, appena cancellate, dopo qualche tempo riappaiono quasi
a premiare un’idiozia quasi irridente. Ma l’esercizio dei vandali non si ferma qui. Le varie vetrinette delle postazioni antincendio sono state spaccate, i tubi telati degli idranti asportati o trascinati lungo la strada mentre nel passo che congiunge via Don Minzoni col sottostante accesso al teatro dell’Auditorium il lucchetto del cancello di ferro che dovrebbe impedire l’accesso agli estranei è stato forzato e chiunque vi si può introdurre per provocare pericolosissimi danni all’intero sistema di valvole e apparecchiature murate nella parte esterna dell’immobile. All’interno del portico attraverso il quale si accede al Da Vigo, da
giorni fa bella mostra di sĂŠ, si fa per dire, un distributore automatico di bevande in completo abbandono. La lettera qui a fianco dimostra chiaramente che il grido di allarme lanciato non da ieri su questa monumentale struttura – a torto o a ragione definito il principale polo culturale cittadino – era serio. Si parla di siringhe, di vero e proprio dormitorio per vagabondi. Da due anni si parla di telecamere da porre in quest’area quale deterrente o, in tale attesa, un piĂš adeguato servizio di vigilanza notturna. Speriamo che dopo reiterati ritardi sia veramente giunto il momento di installarle e senza ulteriori indugi mentre a poca distanza un vecchio e arrugginito impianto con telecamera per il “soccorso a chiamataâ€? della Beghelli pare guardare beffardamente tutto ciò che lo circonda. Le Clarisse per quello che rappresentano sono un fiore all’occhiello della nostra cittĂ , un fiore che sta appassendo nell’indifferenza delle istituzioni, senza che nessuno intervenga.
Via Magenta, 54 - RAPALLO - 0185 53019
POLITICA E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o
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di Renzo BAGNASCO
AMMINISTRAZIONE PUBBLICA
Assessori capocantiere o amministratori oculati? o visto su “Rai Liguria” un’intervista all’Assessore responsabile dei lavori che da troppo tempo si trascinano alla Piscina di Rapallo.
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Aveva il regolamentare caschetto protettivo ben serrato in testa dal sottogola, a certificare che era “in prima linea”. Visto che si trovava sul bordo della piscina senza il pericolo che alcunché potesse cadergli sul capo, forse sarebbe stato più consono avesse indossato un giubbotto salvagente; avrebbe potuto servigli in caso di una mossa falsa. Così “inandiato” mi ha fatto pensare che un Assessore non è tenuto, ma neppure è richiesto, debba essere un Capocantiere o Capo Ripartizione. Una volta “delegati”, dovrebbero essere la “longa manus” del Sindaco per verificare e, se del caso pungolare, a che la burocrazia Comunale attui il programma che la Giunta eletta ed in carica, intende attuare. In generale un Sindaco non può controllare tutto, pena il blocco della Giunta; diverrebbe lui stesso un imbuto in cui tutto si ingorga. Da lì la paralisi di molti Comuni e non per “merito” dell’opposizione. Per evitarlo, i Sindaci che vogliono essere propulsivi e non “notai”, delegano le funzioni ai vari Assessori per far sì che, ciascuno nel proprio settore designato, attui il programma nel modo migliore e sem-
Giggia, dove vai col casco antinfortunistica e l’ombrello?
Siamo tutti sportivi... Vado a nuotare in piscina...
di Pietro Ardito & C.
pre ad esclusivo vantaggio della città. Poi, per realizzarlo materialmente, a loro volta gli assessori devono tenere il “fiato sul collo” dei funzionari comunali. Come è facile intuire quindi, una efficiente “burocrazia” comunale, diventa determinante per una redditizia gestione della cosa pubblica. Si evince quindi che una buona Amministrazione dovrebbe, per prima cosa, rendere efficiente la propria “burocrazia”non frustandola ma responsabilizzandola. In quanti lo fanno? A Rapallo invece è un po’ diverso; alcuni Assessori, anche se non qualificati per studi o preparazione professionale, si danno da fare appropriandosi di parte delle incom-
benze del responsabile operativo della propria Ripartizione. Poi, quando abbiamo le perdite d’acqua, appena si inaugura vuoi un Asilo, un Ospedale oppure un ponte mobile, non può addossare, avendolo scavalcato, l’eventuale errore al funzionario che avrebbe, lui sì, dovuto soprintendere alle opere. Questa usucapione di compiti, che non dovrebbe essere mai fatta, fa sì che non si riesca più a verificare se i vari funzionari comunali, che ne dovrebbero invece essere gli unici responsabili, meritino la fiducia o meno. Naturalmente, anche per questi ultimi, una situazione di questo tipo diviene poi frustrante. Da quella intervista si evinse che l’ abnorme ri-
GIRI DI CHIGLIA Le esigenze primarie dei cittadini in fondo non sono molte. In primis si chiedono servizi sanitari e trasporto pubblico efficienti, una buona percezione di sicurezza, asili e scuole proporzionati al bisogno. A queste prerogative, diciamo essenziali, si aggiungono poi quelle più localistiche e di mantenimento delle varie strutture per offrire una città a misura d’uomo. Parliamo di pulizia, di parchi e giardini curati, di strade e marciapiedi in ordine, di parcheggi, di servizi al cittadino funzionali. A Rapallo a buon peso possiamo aggiungere le frazioni, la balneazione e un’offerta culturale adeguata alle necessità di una località turistica. Però occorre intervenire in tempi ragionevolmente rapidi per mantenere al meglio le strutture a carico diretto dell’ente pubblico. Occorre insomma avere il personale adatto: giardinieri, idraulici, elettricisti, asfaltatori, muratori e operai vari. E i Comuni questo personale non lo hanno più o, quantomeno, non ne hanno più in numero sufficiente. Ergo, ad esempio, sarebbe curioso conoscere nell’arco di quarant’anni come è mutato il rapporto proporzionale fra operai e impiegati. Sono in molti a ritenere che di fronte a un progressivo depauperamento del personale salariato si sia assistito all’ingrossamento delle fila impiegatizie, dei funzionari amministrativi e tecnici: questi ultimi, vale a dire geometri, ingegneri e architetti affollano gli uffici mentre sulla strada non c’è più nessuno o quasi. Tutti generali insomma mentre i fantaccini latitano e la burocrazia anziché snellirsi ingrossa sempre più e ingoia se stessa. E si assiste così al depauperamento progressivo dell’arredo urbano: buche profonde, piastrelle distrutte, cartelli stradali rugginosi, edifici privati in disfacimento senza alcun visibile intervento di risanamento. A questo punto vedere gli assessori calarsi nei panni preponderanti di un capo-cantiere col caschetto anziché portatori di indirizzi e scelte politiche oculate fa quasi tenerezza. Quanto prima, senza scandalizzarci più di tanto, li vedremo asfaltare strade o trasformarsi in piastrellisti? Niente paura, la Chiesa insegna: i preti operai li ha inventati lei e in tempi non sospetti. E.C.
tardo nei lavori della Piscina, è dovuto al fatto che, pare, solo quando iniziarono i lavori previsti in appalto, qualcuno si rese conto, per la prima volta, che il problema non era solo il tetto di copertura ma, addirittura, occorreva rifare l’intera struttura che quello doveva reggere. Da qui la sosta forzata e il logico pesante ritardo non previsto, tanto da far mettere in cassa integrazione chi in quella piscina lavorava. Naturalmente per questa “spensierata dimenticanza” nessuno è “saltato”. Da noi solo se fai il saluto fascista ti cacciano e non invece perché non hai mai fatto nulla di buono quando dovevi. Ma tornando alla piscina ci chiediamo: quando stesero il primo capitolato d’appalto, nessuno è andato sul posto per verificare quanto stavano scrivendo, ispezionando anche lo stato dei manufatti che concorrono a reggere il tutto? Era forse troppo faticoso controllare l’intera struttura come di solito si fa quando l’opera è importante? C’è da chiedersi: come hanno fatto a redigere un capitolato d’appalto attendibile? Ce ne saranno altri redatti in quel modo? Mi tremano i polsi se
penso al depuratore. Fosse successo in una impresa privata, più d’uno sarebbe “saltato”. Forse perché i funzionari addetti si sentono esautorati dalle loro competenze e dalle conseguenti responsabilità? L’esperienza ha dimostrato che in
questa “promiscuità” di incombenze, c’è sempre una scappatoia per tutti, così come è successo anche per i responsabili che avrebbero dovuto prevenire al massimo un possibile furto dei gioielli esposti tempo fa al Museo Gaffoglio.
Nessuno ne pagò le conseguenze per la leggerezza con cui avevano organizzato e condotto l’esposizione, a cominciare dall’antifurto non funzionante. Il fatto che poi, pare, tutto si sia appianato, non fa testo.
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TURISMO E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o
di Daniele RONCAGLIOLO danironca@hotmail.it
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VACANZE
Agenzie di viaggio, per il franchising è crisi Una larga fetta di mercato utilizza oggi le offerte on-line, ma un buon professionista rimane l’unica garanzia per non avere brutte sorprese che rovinerebbero le agognate ferie nche i viaggi risentono della crisi economica. E con loro, di conseguenza, le agenzie presenti in città. Facendo una rapida
A
ricerca su Internet ne risultano attive nove. Nella realtà, invece, sono tre. Questo significa che nell’era digitale, neppure Internet riesce a stare al passo coi tempi e al vortice improvviso di serrande che si alzano e abbassano. Tanto che, per fare un esempio, sul web risulta che al numero 5 di via della Libertà operi la Elegant Travel, con tanto di numero telefonico. In verità, più che mete esotiche e voli low cost, al numero 5 di via della Libertà si vendono cartucce e toner per stampanti. Tutto un altro mondo, giusto per rimanere in tema di viaggi. Questa disinformazione, che corre via web, crea non pochi problemi ai cittadini e alle agenzie che al contrario resistono. Anche sul sito delle pagine gialle, le agenzie attive risultano in numero maggiore di quelle realmente esistenti. E se Internet non riesce a seguire questi continui cambiamenti, è comunque responsabile, in parte, della chiusura di molte agenzie. Il fatto di poter scegliere i “pacchetti viaggio” che più aggradano, comodamente seduti davanti al computer, ha reso meno indispensabile il ruolo delle agenzie. Questo nuovo modo di operare ha dei “pro” e dei “contro”, come tutte le cose d’altronde. E chi, meglio di Poly Viaggi, operante da quarant’anni nel settore, può spiegare perché avere un contatto diretto con la persona risulti spesso una mossa vincente? Per farlo bastano tre parole: “Serietà, affidabilità e competenza”. Il personale delle agenzie è inoltre in grado di seguire il turista durante tutto il viaggio e la durata del soggiorno e ciò, rispetto ai pacchetti “fai da te”, rappresenta un notevole vantaggio, anche a costo di avere qualche euro in meno nel portafoglio. E poi c’è l’importanza della specializzazione in determinati settori: “Quello croceristico, per esempio, rappresenta quasi il 90% della nostra produzione – sostiene Poly Viaggi”. E proprio su una nave da crociera, in partenza il 19 novembre da Venezia, Poly Viaggi festeggerà i
suoi 40 anni insieme ad un’orchestra accuratamente scelta e alla presenza della vera anima dell’agenzia, il Cavaliere Felice Canepa. Anche la sicurezza esercita un ruolo fondamentale: immettere i propri dati bancari su siti Internet che non hanno poi una sede fisica sulla quale rifarsi, può creare problemi. In questi anni, l’attività delle agenzie è cambiata: “Dobbiamo aggiornarci continuamente. Molti clienti si presentano da noi con informazioni raccolte su Internet che spesso non corrispondono alla verità. È importante creare con loro un rapporto umano basato sulla fiducia”. La crisi economica ha inciso soprattutto sulle mete. E così, l’equazione matematica dice che “meno soldi è uguale a meno chilometri”. Quotazioni in ribasso dunque per le mete
esotiche, “adesso – spiegano – si predilige il Mediterraneo, con Grecia, Baleari e Canarie come destinazioni più gradite”. Il mercato turistico nord
africano, in seguito alle tensioni degli ultimi mesi, va a rilento. Guarda caso c’è lo zampino di Internet anche in questo caso.
L’INTERVISTA E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o
di Emilio CARTA
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PROVINCIA
Tra turismo e industria il Consigliere Provinciale Pernigotti si confessa
corsi turistici della nostra terra, e si reca in un agenzia a Londra o Parigi non trova quasi nulla. Mentre se Lei è incuriosito verso un qualsiasi posto desertico della terra trova una montagne di proposte in cataloghi e tour operator pronti a vendere anche l’acqua calda.
C
Quali sono i problemi che ha riscontrato durante il mandato provinciale per il turismo? Innanzi tutto direi che vengono erogate poche risorse rispetto al bilancio della provincia di Genova. Pensi che un bilancio è pari a 200 milioni di euro di cui solo un milione è investito nel settore turistico. Poi abbiamo una carenza organizzativa e promozionale cronica per cui il sito dedicato di STL è solo in italiano: certamente sarà per problemi di risorse economiche da investire. C’è poi un immobilismo generale che pensa di vivere sugli allori degli anni 70’ e 80’, quando non era necessario fare nulla, perché i turisti arrivavano sempre e comunque. Nel manifesto politico del Vostro nuovo movimento politico “Liguria Moderata” il punto 11 parla esplicitamente del turismo come l’industria pulita del nostro territorio, cosa significa? Vuol dire che sotto il profilo occupazionale e del lavoro, che è alla base di ogni ragionamento politico territoriale, il turismo è di fatto il motore della nostra economia. Vuol dire che consideriamo un danno enorme, direi un disastro, vedere alberghi che chiudono in autunno fino a primavera e lasciando a casa il
personale. Se sommiamo tutte queste persone sparse nel territorio mettiamo insieme un esercito pari a quello relativo alle problematiche di Fincantieri. Solo che queste persone non sono organizzate in modo tale da avere lo stesso impatto sulle televisioni e sulla politica. E questo non è giusto. Vuole dire un esercito silenzioso di occupati a tempo determinato? Voglio dire che mi pare strano che un territorio ricco e articolato come il nostro, non riesca più ad essere competitivo dodici mesi all’anno. E franca-
mente non può essere tutto sulle spalle degli albergatori. Il territorio deve essere promosso in modo comprensoriale attraverso la sussidiarietà tra enti. Ma deve esistere una regia politica, deve esistere una dichiarazione chiara di intenti, e ci vogliono giovani motivati liberi di operare senza forzature e senza vincoli di tipo politico. Perché un cittadino del mondo dovrebbe venire qui da noi come turista? Per i panorami, per la gastronomia, per
la varietà ambientale e naturale tra costa ed entroterra, per i musei e i teatri e la cultura, per le vie millenarie di Genova o per quelle costellate di palazzi seicenteschi e settecenteschi, per il sole, il mare, il verde, per la possibilità di fare diving (sub) a Portofino in inverno la mattina e il pomeriggio praticare sci di fondo sulla neve del Monte Penna a Santo Stefano, per l’acquario di Genova, i parchi, le ville, per l’Expo e le fiere internazionali, per le passeggiate sul monte di Portofino o sulle altre alte vie costiere e appenniniche, per gli spettacoli estivi, per le celebrazioni centenarie
religiose della nostra tradizione, per i fuochi artificiali di tutti i paesi e paesini, per le sagre, i monumenti, le chiese gotiche romaniche e barocche, per i conventi e i campanili storici. e per mille altre cose che ora non mi vengono in mente ma che se fossero “in rete” in modo decente e accattivante farebbero di noi liguri i primi nell’industria del turismo e non il fanalino di coda che desidera sbarazzarsi dei proprio alberghi e in sintesi del motore del lavoro. Vede, caro Emilio, se cerca all’estero un solo depliant o catalogo illustrativo con i per-
E allora dove sta il problema? Perché si chiede lo svincolo alberghiero per trasformare gli alberghi in residenze e capitalizzare nel breve le nostre aree produttive turistiche? Perché manca una regia comprensoriale ed organizzativa degna di questo nome che non si occupi di fare cassa, ma si occupi di creare le condizioni per far girare il turismo ed i turisti. Pensi che è un anno che ho chiesto che parte dei biglietti dei teatri di Genova siano messi a disposizione degli alberghi del levante durante il periodo invernale, attraverso un meccanismo opportuno, e dopo tanti mesi devo ancora vedere un atto concreto. Pensi che per arrivare in riviera partendo da Londra, se si giunge a Pisa si impiega meno tempo rispetto allo scalo genovese. Insomma, esiste un grado alto di inettitudine, e credo che le cause possano essere ripartite tra politici spesso inadeguati ed imprenditori che comunque non intendono la loro “mission” come attività comprensoriale e progetto di rete e di relazione, ma come un orticello da difendere dall’innovazione. Per esempio? Abbiamo perso i russi tra fine anni 90’ e ora perderemo anche il mercato cinese. Un mercato ricchissimo. A me spiace perché la Provincia investe quasi 30 milioni di euro in formazione, ma arriviamo lunghi su ogni possibilità di sviluppo e di occupazione reale senza prevedere il futuro. Noi il futuro lo subiamo. Liguria Moderata nasce anche per questo. Siamo piccoli, siamo snelli, e vogliamo cambiare bene e alla svelta una politica ingessata.
PAGINA REDAZIONALE
onsigliere Pernigotti il turismo provinciale è in crisi? Secondo me sì. Anche se sono aumentate leggermente le presenze, è diminuito il numero di giorni di permanenza nel nostro territorio dei turisti. Le vacanze sono più brevi e pertanto come bilancio commerciale non lo vedo rosa nè tantomeno positivo.
STORIE DI GUERRA E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o
di Carlo GATTI
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LAGER
«Sono un miracolato dai campi di sterminio» Il racconto di Carmelo de Salvo, reduce dagli orrori della deportazione in Germania durante il nazismo ra il 1933 e il 1945, la Germania Nazista costruì circa 20.000 campi di concentramento destinati alla prigionia di milioni di persone. Noti con il nome
T
di lager, erano usati per il lavoro forzato, per il transito e, fatto storicamente incontestabile, per l’eliminazione in massa dei cosiddetti “Nemici dello Stato”: comunisti, socialisti, socialdemocratici, Rom, Testimoni di Geova, omosessuali e persone accusate di comportamenti ritenuti asociali o devianti. La direzione dei campi di concentramento era affidata a spietati Reparti-SS che, dopo l’invasione della Polonia (7.7.1939), mantenevano costante il numero dei detenuti lasciandoli morire per sfinimento, malnutrizione, malattie o esposizione alle intemperie. In seguito, per sopprimere il crescente numero di prigionieri, i nazisti optarono per la “Soluzione Finale scientifica” che fu realizzata nei lugubri campi di sterminio a Auschwiz-Birkenau, Belzec, Sobibor, Treblinka ed altri ancora che diventarono in poco tempo vere fabbriche di morte per l’omicidio di massa a livello industriale. Il diabolico progetto raggiunse, tuttavia, la sua massima efficienza con l’impiego del gas Zyclon B emesso attraverso le docce nelle famigerate camere a gas che rendevano lo sterminio “impersonale” per coloro che materialmente lo portavano a termine. Con il martirio della Shoah, l’umanità intera scrisse direttamente, o indirettamente con il suo tragico silenzio, le pagine più efferate della storia contemporanea. Dopo l’8 settembre del 1943, lager, campi di lavoro e fabbriche di armi furono, per lo più, le destinazioni dei nostri compatrioti che subirono in quei terribili anni violenze e umiliazioni di ogni genere. Dopo quella fatidica data, 50.000 italiani non fecero più ritorno dalla Germania e i superstiti dovettero affrontare un deludente rimpatrio fra caos e indifferenza di tanti italiani che si opposero anche con sospetto e incredulità dinanzi ai loro racconti testimoniati, peraltro, da numerosi scritti che formarono nel tempo un vero e proprio “florilegio delle malvagità”. La storia che segue é la testimonianza a lieto fine di un nostro concittadino che si é deciso, dopo 66 anni di silenzio, a riportarla alla luce con tutta la documentazione scritta e i ricordi personali ancora vivi ed indelebili. All’epoca della sua deportazione in Ger-
mania, Carmelo de Salvo era un giovane diciannovenne di Palmi (Reggio Calabria). Oggi ha un’età difficile da definire, i suoi 88 anni contrastano con il portamento snello e giovanile, i capelli folti, ondulati e solo in parte imbiancati che si armonizzano con la carnagione liscia, abbronzata e fregiata da un paio di baffetti vispi e maliziosi che destano l’invidia di chiunque, anziano o meno anziano, si aspetti ancora “qualcosa” dalla vita... Carmelo non porta quindi alcun segno delle ferite inferte gratuitamente dai suoi aguzzini nazisti durante l’Odissea che sopportò nel periodo di prigionia in Germania. Tuttavia, nei suoi piccoli occhi neri e vispi si coglie lo sguardo severo e indagatore di chi ha visto più volte la morte passargli accanto con la sua ineffabile falce, e si é trovato subito dopo ancora vivo e sorpreso come un miracolato. Carmelo, sono incuriosito soprattutto dalla vitalità e dalla serenità che emana da ogni poro ... Ha qualche segreto da svelarci? Sono cresciuto in una realtà molto difficile, come può immaginare, ed ero completamente inconsapevole sia dei problemi politici di quei tempi, sia dei pericoli reali che avevo davanti. Ero un bravo ragazzo come tanti, tuttavia l’ambiente della mia Calabria mi costringeva ad essere sempre sulla difensiva. Non ero un violento di natura, ma dovevo dimostrare agli altri di essere un “duro”, dovevo dimostrare forza e coraggio per sopravvivere, per non farmi schiacciare dal gruppo. Bestemmiavo e facevo “cazzate” ... e solo in questo modo ero rispettato e mi salvavo dalle continue minacce e dalla violenza che da quelle parti fanno parte della vita quotidiana. La serenità che ho dentro deriva soltanto dalla mia solitaria e meditata conversione a Cristo. Mi sento un miracolato e quando l’ho capito, ho iniziato un percorso di fede che mi ha trasformato interiormente. L’odio che ho provato verso i tedeschi e tutti coloro che mi hanno fatto del male, con il tempo l’ho trasformato in amore e perdono. Sia chiaro, non ho cancellato alcun ricordo, ma ho accettato il mio destino come un dono di Dio. La fede é la vera conquista che mi sono guadagnato nei lager e oggi mi sento forte dentro. Prima di quella brutta esperienza non sapevo neppure che esistesse la fede. Oggi sono sereno e prego anche per i miei carcerieri. Questo é il motivo
principale che mi ha spinto a raccontare, per la prima volta, la mia storia di prigioniero che dedico soprattutto ai giovani di oggi affinché non cadano nel tranello d’innamorarsi di certe politiche intrise di fanatismi che possono procurare solo guai come nel passato. Carmelo, entriamo nel vivo della sua storia. Chiamato alle armi nel febbraio del 1943, fui destinato al 30° Reggimento Fanteria Divisione Assietta a Rivoli Torinese. Il 4.6.43 fui assegnato al 13° Reggimento Fanteria Divisione Pinerolo. Il 7.7.43 partimmo per la Grecia e raggiungemmo KastoriaMacedonia, dove Il 13 settembre del ‘43 fummo catturati dai tedeschi e da quel giorno cambiò la mia vita. C’imbarcarono a Larissa (Tessaglia, NordGrecia) stipandoci in cento soldati ogni carro-bestiame. Si dimenticarono di noi lasciandoci senza cibo e acqua per diversi giorni. La gavetta ci serviva solo per fare i nostri bisogni. A Vienna ci fecero scendere e, colpendoci come animali, ci divisero intorno ad una caldaia, ci diedero due carote, due patate, un pezzetto di pane e un po’ d’acqua. Tutto puzzava di latrina. Con lo stesso treno ripartimmo per un’altra destinazione sconosciuta. Si trattava del Campo di smistamento denominato “Stettin”. Ci divisero e ci mischiarono con Serbi, Polacchi e tanti altri, ma con il resto degli italiani ci perdemmo di vista per sempre. Mi destinarono a Schweningen nel Baden-Württemberg (45 km a Est di Friburgo) dove rimasi a lavorare tre mesi in un’acciaieria, dopo di ché fui trasferito presso la vicina Villingen. Con il numero di matricola 41665, fui destinato allo stabilimento Kaiser
Uhren (ex fabbrica di orologi) che durante la guerra produceva pistoni, spolette e detonatori per mine. Sotto di noi i tedeschi sperimentavano lanci di razzi che ci tormentavano soprattutto di notte attirando i bombardamenti alleati. Rimasi due anni a lavorare come tornitore su macchine speciali. Imparai in poco tempo il lavoro da un capo officina austriaco che mi prese a ben volere per la mia facilità di apprendere il mestiere ed anche la lingua tedesca. Il padrone della fabbrica, oltre ad essere il sindaco del paese, era anche un colonnello a riposo della Wehrmacht. Vivevo in un campo di concentramento sorvegliato dalle SS che di notte giravano con i cani lupo sotto le luci dei riflettori che spazzolavano il terreno da torri di guardia unite tra loro da muri alti e filo spinato elettrificato. Mi davano da mangiare quel tanto da stare in piedi e lavorare, ma la fame era il mio incubo continuo e la paura di ammalarmi mi torturava, il lavoro era l’unica assicurazione sulla mia misera vita. “Mai di peggio” era il mio motto e tra lunghi pianti notturni, nostalgia e umiliazioni continue dovute alla spietata segregazione, vivevo alla giornata sognando la fine della guerra, la liberazione e il ritorno a casa. Ma un giorno successe un fatto grave che improvvisamente peggiorò di brutto la mia prigionia. La figlia del capo reparto austriaco si era invaghita di me, oppure le facevo soltanto pena. Fatto sta che un giorno Ingrid mi aspettò nel gabinetto del reparto, mi diede due pezzetti di pane spalmato di burro e scappò via come un fulmine. Ricordo che mangiai anche la carta unta che avvolgeva quel bene prezioso, ma fui subito assalito dal mi-
litare di guardia che si mise a urlare, mi picchiò, mi minacciò e mi portò dalle SS dicendo che ero un ladro e sabotatore. Senza neppure ascoltare minimamente le mie “bugie”, fui spedito con una camionetta, sotto scorta armata, verso il campo di sterminio chiamato Campo di Gesù dal quale era impensabile uscirne vivo. Quel campo era sinonimo di morte, rappresentava la fine di tutto e l’incontro con Gesù nell’al di là. Erano 20 baracche stracolme di militari denutriti di ogni razza. Chi si ammalava veniva ucciso nelle fosse comuni di un bosco vicino. Rimasi più di tre mesi in quell’inferno sopravvivendo con due patate al giorno ed 1 kg. di pane di segale da dividere tra 25 prigionieri. Sette metri di filo spinato ci dividevano dal resto del mondo. I prigionieri sani scavavano “fosse comuni” nel bosco da riempire di cadaveri quando il campo superava il numero stabilito d’inter-
nati. Ma non avvenivano fucilazioni. Il rito di morte era un altro. Sul fondo delle fosse, simili a trincee, erano stesi cinque fili elettrici scoperti. I prigionieri ammalati o in esubero erano spinti a calci dentro la trincea e, al segnale convenuto, era data corrente elettrica e la morte di quei poveracci era istantanea. In quel lager si diceva che era il modo migliore per congedarsi dalla vita, il più rapido per liberarsi da altre peggiori atrocità. Fui assegnato anche al trasporto dei “morituri” nelle fosse comuni nel bosco. Tra le tante bestialità cui accennavo, ricordo che due volte la settimana arrivavano medici militari per elaborare esperimenti sui prigionieri. Praticavano punture nelle gambe che subito gonfiavano come palloni. Trapanavano crani per vedere le reazioni dei centri nervosi del cervello. Sezionavano corpi vivi a scopo scientifico. Alla sera le SS si ubriacavano e scommettevano tra loro sparando con le pistole sulla fronte di prigionieri scelti a caso e legati al palo. In questo modo, ognuno di noi aspettava il proprio turno. A volte i “bersagli” erano denudati e le SS si divertivano ad aizzargli contro i dobberman. Dopo oltre tre mesi trascorsi senza speranza in quell’inferno animato da pazzi criminali, una sera si presentarono al comandante del campo due militari che chiesero, a nome della fabbrica Kaiser Uhren, la liberazione della matricola n.43. Il miracolato ero proprio io. Non fu facile. Successe un parapiglia. Nessuno era mai uscito vivo dal Campo di Gesù e la Gestapo si oppose con tutti i mezzi che aveva a disposizione. Alla fine dovette cedere
campo di concentramento costringendoci a vivere nelle stesse identiche condizioni di prigionieri. Eravamo liberi di circolare, ma era pericoloso allontanarsi dal centro cittadino perchè i tedeschi sbandati e in fuga, temendo forse che potessimo raccontare in patria le loro atrocità, ci davano la caccia. I francesi ci tennero 80/90 giorni segregati e guardati a vista. Si é saputo in seguito che intendevano dirottarci in Francia come “manodopera” in conto-riparazione-danni di guerra provocati dall’Italia alla Francia. Per tre mesi continuammo a sopravvivere come nei lager tedeschi. Ci buttavano gli avanzi dai balconi per umiliarci come fossimo cani randagi, e poi ci gettavano addosso pentole d’acqua bollente per provocare le nostre reazioni che, vista la nostra debolezza, non potevano che essere timidamente verbali. Odiammo i francesi forse più dei tedeschi perché non capivamo le ragioni di tanto accanimento nei nostri confronti. La guerra era finita e tanto odio verso di noi era del tutto ingiustificato. Non sapevamo nulla della guerra e di come erano andate le cose. In ogni caso l’Odissea terminò quando gli Americani e la Croce Rossa si fecero carico del nostro rientro e la storia si concluse quando un giorno, per me indimenticabile, si presentò un ufficiale italiano della Croce Rossa e c’informò che saremmo presto rimpatriati. Stipati come acciughe arrivammo a Milano dove fummo accolti finalmente da “cristiani”, ci schedarono e dopo le pratiche burocratiche ognuno raggiunse la propria città.
CHI SIAMO ?
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Siamo una lista civica, di moderati, dʼ ispirazione cattolica , che vuole essere slegata dalle solite logiche clientelari e rimanere lontani da regie partitiche. Vogliamo intendere il mandato elettorale come “servizio alla Cittàʼʼ e non come “esercizio del potereʼʼ. La lista presenta il Dott. Mauro Barra come candidato sindaco per le elezioni del 2012.
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perché l’ordine veniva dall’alto e più o meno recitava: “Il n. 43 é un operaio specializzato che conosce perfettamente certe macchine che producono materiale bellico molto importante per il Terzo Reich in questo momento”. Alla fine fui rilasciato e il comandante mi congedò sarcasticamente con due parole che non ho più dimenticato: “fortunello! – fortunello!”. Fu un dono del Signore, una Grazia ricevuta. Ingrid aveva pregato suo padre, capo reparto della Kaiser Uren, di convincere l’anziano Padrone, Sindaco e Collonello della Wermacht di salvarmi perché ero un insostituibile operaio di quella fabbrica. Non so se fu l’amore, la compassione o il senso di colpa a muovere quello strano ingranaggio che mi salvò la vita, sta di fatto che ora sono qui per raccontare quell’episodio. Quando ritornai in fabbrica e rividi la ragazza, fu un indescrivibile momento di commozione. Mi confessò che era stata vista consegnarmi quel famigerato pezzo di pane e per quella imprudenza le furono tagliati i capelli a zero. Io negai sempre quel suo gesto generoso e fui condannato a morte proprio perché mentii. Ricevetti anche un altro grande regalo: lo spione tedesco che mi aveva fatto deportare al Campo di Gesù era stranamente sparito. In seguito la ragazza cercò di convincermi a ritornare in Germania dopo la guerra per sposarla e condurre la fabbrica. Finalmente arrivò il momento della liberazione, ma la delusione fu grande quanto incomprensibile. I Marocchini comandati dal Presidio Francese ci trasferirono nuovamente in un
COSA VOGLIAMO CAMBIARE ?
BARRA S I N DA CO
Lista Progetto Rapallo
• IL MODO DI FAR POLITICA, cercando un confronto sereno sui programmi, lontano da sterili polemiche e risse. • IL MODO DI FARE AMMINISTRAZIONE, mettendo veramente al centro dellʼ attenzione i bisogni del Cittadino. In questa fase stiamo rivisitando le criticità di Rapallo, che purtroppo scopriamo essere sempre le stesse come la viabilità, il traffico, lʼinquinamento, i posteggi, il turismo, lo sport, il sociale, la sicurezza e lʼ occupazione giovanile. • Lʼ ASSENZA DI PROGRAMMAZIONE PER IL FUTURO, sognando ancora di poter realizzare un progetto di sviluppo per una città del benessere; progetto da svilupparsi in unʼottica comprensoriale lontana da sterili campanilismi, nel rispetto delle radici storiche e culturali di Rapallo ma che contempli il recupero dellʼ ambiente, lo sviluppo dellʼ energia alternativa, la razionalizzazione della viabilità esistente, la ristrutturazione del fronte mare, il recupero di aree degradate. Vogliamo prediligere un nuovo metodo di lavoro con la finalità di realizzare progetti a breve, medio e lungo termine che hanno come obiettivo il miglioramento della vivibilità della città nell' immediato ma anche una seria programmazione per il futuro.
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RIFORME E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o
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di Benedetta MAGRI
FORMAZIONE
Consulta regionale: ponte tra giovani e istituzioni a Regione Liguria si fa pioniere di una nuova iniziativa per i giovani, che li introduce nel mondo politico, dando loro opportunità nuove. La nascita della Consulta Regio-
L
nale degli studenti è stata approvata con l’ art.72 della legge 18/2009 e le Province liguri si sono impegnate a coordinare tutte le azioni di organizzazione sul loro territorio. Nei mesi di aprile e maggio si sono svolte le elezioni nella Provincia di Genova, che ha eletto 11 rappresentanti. Tutto sembrava molto vago, ma i problemi sono nati dal fatto che la nostra Regione è stata la prima in Italia a dare vita a questo ente consultivo. I termini sono molto retorici e la dicitura recita che la Consulta Regionale consiste in un organo consultivo in materia di politiche giovanili, cioè, in parole più semplici, rappresenta e costituisce un momento di confronto tra le istituzioni e alcuni rappresentanti dei giovani. Probabilmente si riunirà periodicamente e avrà un ruolo fondamentale per la programmazione della revisione dell’offerta formativa redatta ogni tre anni, la prossima avverrà tra due anni. E fino ad allora, che ruolo avrà? Innanzitutto dovrà darsi una forma reale, stilando uno statuto e un regolamento, per i quali saranno chiamati a partecipare proprio i giovani rappresentanti eletti. Inoltre essa nasce per offrire ai ragazzi un ulteriore strumento di democrazia e maggiore informazione, anche con il diritto di intervenire attivamente riguardo a tutte le opportunità offerte dalla Provincia per la scuola, la formazione e il lavoro, non solo per il piano di programmazione annula regionale. Di sicuro si sa da chi sarà composta: da 20 rappresentanti d’istituto liguri, di cui 11 appartenenti alla Provincia di Genova (3 per il Ponente, che sono stati eletti il 13 aprile, 6 per il centro, eletti il 4 maggio e 2 per il Tigullio-Golfo Paradiso eletti l'11 maggio), i presidenti delle Consulte Provinciali e gli studenti eletti nel Consiglio di amministrazione dell’Università e nell’A.R.S.S.U. Insomma più di 20 ragazzi, che avranno il diritto e il dovere di comunicare con le istituzioni e di portare avanti un progetto di ampio respiro, che li coinvolgerà con due o tre riunioni l'anno minime e la possibilità e che ne vengano richieste altre a fronte di un numero congruente di richiedenti. La durata delle cariche e le possibilità offerte dalla Consulta Regionale saranno stabilite subito, con la redazione dello statuto e del regolamento prima citati, che rappresenteranno il primo vero atto e impegno della Con-
Claudio Troqe
Roberto Dogoustan
sulta Regionale. Nasce subito un dubbio sulle modalità di funzionamento di questo ente. Le elezioni, infatti, non si sono svolte per democrazia diretta, ma per democrazia rappresentativa. All’interno del panorama democratico giovanile questo potrebbe apparire un po' strano. Per esempio, per un ente come la Consulta Provinciale si vota ogni due anni e tutti gli studenti frequentanti le scuole secondarie superiori hanno diritto di elettorato attivo e passivo. Invece, per l'elezione della Consulta regionale hanno votato solo i rappresentanti d'istituto in carica per l'a.s. 2010/11, che erano anche gli unici possibili candidati. Inoltre non si sa ancora quali saranno le modalità che verranno adottate, ma di sicuro è stato posto un vincolo: requisito fondamentale per essere eletti, era che i candidati stessero frequentando il quarto anno delle superiori. Questa scelta sembra sia stata effettuata per portare a una possibile maggiore continuità, anche se è presto per dire se le cariche saranno biennali oppure no. Nonostante le incertezze questa avventura ha avuto inizio e per il Tigullio – Golfo Paradiso sono stati scelti due maschi, forti e vigorosi, ma non troppo motivati, che davanti ad una totale apatia si sono visti quasi spinti per orgoglio a candidarsi per ricoprire i due posti offerti alla nostra circoscrizione, che in caso di mancata elezione sarebbero stati occupati dai primi non eletti delle altre zone
della nostra Provincia. Le votazioni sono avvenute l'11 maggio nell’aula magna del Liceo Artistico Luzzati di Chiavari in modo tranquillo e con una partecipazione ristretta. Infatti erano presenti 12 rappresentanti d’istituto, su 40 convocati, appartenenti alle scuole superiori Da Vigo, De Ambrosis, Delpino, In Memoria dei Morti per la Patria, Marconi, Liceti, Luzzati, Nicoloso da Recco e un rappresentante della Consulta Provinciale del Liceo Emiliani, che aveva solo facoltà di uditore. Gli eletti, entrambi con 10 voti, sono Claudio Troqe, rappresentante dell’Istituto Tecnico e Liceo Scientifico Tecnologico Liceti di Rapallo, e Roberto Dogoustan, rappresentante dell’Istituto Tecnico De Ambrosis – Natta di Sestri Levante, che rappresenteranno il 5° distretto della provincia di Genova. Le votazioni sono avvenute in maniera regolare e tutti i rappresentanti d’istituto presenti avevano diritto a due voti. La candidatura non è stata combattuta ed è avvenuta direttamente nella mattinata. Di fronte al microfono i due ragazzi hanno spiegato la loro candidatura come risposta ad un’opportunità che viene fornita ai giovani e che sicuramente non va buttata via, perché è sempre necessario vivere in prima persona queste opportunità. Inoltre Troqe, di Rapallo, punta l’attenzione sull’avvicinare i giovani alle istituzioni. I volti noti del panorama politico genovese che hanno presenziato erano il Presidente della Provincia di Genova Alessandro Repetto e l’Assessore all’Istruzione e alle politiche giovanili Francesco De Simone, che ha sottolineato la diversità tra l’elezione avvenuta a Chiavari e quelle svoltesi a Genova e Sestri Ponente. «In questa seduta – spiega De Simone - non ci sono stati toni polemici non consoni alla situazione, come si è verificato durante le altre elezioni. La Consulta Regionale è un ente importante che si sta formando con l’appoggio della Provincia e sono disposto all’ascolto per le critiche in altre occasioni. Faremo partecipare attivamente i ragazzi proprio a partire dalla stesura del regolamento e dello statuto». Repetto ha voluto complimentarsi con i giovani per l’interesse e la responsabilità dimostrati e ha puntualizzato che «non si tratta solo di un’operazione formale: vogliamo aprire un dialogo concreto con i giovani, perché spesso capita di prendere delle decisioni che riguardano i ragazzi, senza interpellarli, piuttosto rivolgendosi agli adulti e rischiando di cadere in errore». I primi argomenti che verranno discussi saranno il ridimensionamento scolastico e
l’organizzazione degli indirizzi, oltre alle possibilità di collegamento con il mondo del lavoro. Ecco che viene fornita ai giovani una nuova opportunità, però saranno loro a doversi muovere, perché verranno chiamati in prima persona a intervenire con una realtà maggiore rispetto a quella strettamente scolastica e che presenterà maggiori possibilità di agire. Speriamo si riscattino, perché la figura fatta l'11 maggio non é stata delle migliori, confidiamo comunque nella buona volontà dei nostri rappresentanti!
L’angolo di Rossella*
A tre anni già pronti per l’inglese “la loro mente è molto flessibile” Inglese prima delle elementari? Sono pienamente d’accordo. Per i bambini è molto più facile degli adulti imparare un’altra lingua. Penso che se si apprendono l’italiano e l’inglese contemporaneamente, il bambino si abituerà a parlare entrambe. Certo, non pretendiamo che i piccoli diventino madrelingua subito, ma intanto si inizia ad instillare la lingua e abituare l’orecchio, cosi che quando in prima elementare impareranno a scrivere e leggere, saranno facilitati per l’inglese, che non sarà così totalmente nuovo ed estraneo. Il problema è che in Italia quest’iniziativa (di insegnare l’inglese alla scuola materna) non ha successo nelle scuole pubbliche perché mancano i fondi per pagare le insegnanti che, ludicamente insegnino ai piccoli l’idioma. Cosa che in Francia non succede; sarà perché c’é più attenzione o forse più soldi, fatto sta che un giornale titolava: “Francia maxi investimenti” per tale iniziativa. E non venitemi a dire che i bambini non hanno bisogno di impegni “così grandi”, che poi vediamo in giro bambine che gia’ vanno nelle beauty farm, si mettono i tacchi e si truccano. Il tempo spendiamolo nelle cose utili, che un domani quei bambini avranno in mano il mondo, e come potranno cavarsela con un rossetto in mano e senza cultura?
SOCIETÀ E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o
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di Elena LAVAGNO CANACARI
CODICE DONNA
Le quote rosa entrano nei CDA: approvata la legge Il Senato ha approvato il decreto Legge sulle quote rosa nei Consigli di Amministrazione delle aziende quotate ed a partecipazione statale, con 203 voti a favore, 14 contrari e 33 astenuti.
U
na maggioranza elevata, chiaramente bipartisan, e per questo ancora più importante, che sancisce una normativa fondamentale per il lavoro femminile. Oggi la presenza delle donne nei Consigli di Amministrazione delle società raggiunge a stento il 6 per cento del totale dei Consiglieri ed è rappresentata per lo più da donne manager che , oltre a possedere intelligenza e preparazione, hanno anche alle spalle famiglie e tradizioni importanti, pensiamo a Marina Berlusconi ed Emma Marcegaglia, tanto per citare qualche nome di rilievo. Dopo l'approvazione della Legge di cui parliamo, nel 2015, anno in cui entrerà a regime, le aziende dovranno inserire nei loro CDA almeno il trenta per cento di donne. Questa, a nostro parere, è una grande opportunità per le tante giovani donne che sono in possesso di titoli di studio prestigiosi, hanno capacità e talento, ma difficilmente riescono a raggiungere i vertici delle posizioni di potere nelle grandi aziende pubbliche e private. Le pene previste per la mancata realizzazione della legge sono: - Diffida di 4 mesi nel caso non si applichi la legge entro due mandati; - Diffida di altri tre mesi per adeguarsi alla legge; - Sanzione pecuniaria nel caso in cui non si realizzi quanto previsto dalla legge stessa ; - Decadenza del CDA nel caso di particolare recidività. Occorre precisare che l'approvazione del Decreto Legge non è avvenuta senza polemiche e pareri negativi, come del resto sempre succede quando si tratta di provvedimenti a favore del mondo femminile, in una società a tutt'oggi ancorata ai vecchi retaggi che tendono a collocare nelle posizioni di potere sopratutto o solo uomini. Qualche detrattore della Legge sottolinea che la quota rosa obbligatoria potrebbe
portare all'interno dei CDA donne poco meritevoli , raccomandate o addirittura pedine da utilizzare nei giochi di potere che avvengono nelle stanze in cui si decide il destino di un'azienda. Chi ha queste riserve mentali o nutre comunque perplessità che possono anche essere legittime, a nostro parere non conosce a fondo le donne, non si rende conto della concretezza, della libertà di pensiero e della determinazione , mai condizionate da compromessi, con cui le stesse portano avanti i loro molteplici impegni nella famiglia, nella società e nel mondo del lavoro, dando un contributo prezioso alla crescita della Comunità. Quanto poi alle “pedine”, gli esempi della politica ci insegnano che queste possono essere sia donne che uomini, ma per quanto riguarda le donne , noi le riteniamo eccezioni, portate alla ribalta dai media che tendono ad omologare comportamenti propri di una particolare nicchia del mondo femminile vittima della sua miseria mentale e dalla quale le donne “vere” prendono le distanze. Il “pink power”, il potere rosa, cambierà dunque la faccia del mondo? Ne sono convinte le “grandi donne” che hanno partecipato al Forum Internazionale Women in the World di New York, Madeleine Albright , Condoleezza Rice e la nostra Emma Bonino, unica italiana presente. Il Forum ha esaltato il boom dell'istruzione femminile in tutti i Paesi del mondo, strumento indispensabile alla crescita del potere rosa, basato su talento, tecnologia, tolleranza. Entrando nel campo dell'imprenditoria, dove le donne si sono inserite a pieno titolo, ottenendo lusinghieri risultati anche a livello dirigenziale, nella nostra Liguria mentre il totale delle donne imprenditrici è superiore, anche se di poco, alla media nazionale (24,8 per cento), si contano meno dirigenti (8,20 per cento del totale) ri-
spetto alla media. E' noto che in Italia oggi, per una donna, raggiungere posizioni di vertice e diventare dirigente è difficile anche per la carenza di strutture sociali a supporto del lavoro femminile. Nelle aziende infatti, specie in quelle di dimensioni più modeste, ed in Liguria quest'ultime sono parecchie, per lo più mancano servizi di assistenza, quali asili nido per i bambini più piccoli, oppure gli strumenti già presenti nel contratto di lavoro non vengono utilizzati in pieno. Se a questo si sommano le carenze istituzionali di strutture per anziani , - e noi sappiamo che è per lo più la donna ad occuparsi dell'assistenza di familiari anziani e malati tante lavoratrici che hanno la ambizione ed i requisiti ncessari per fare carriera, sovente sono costrette a rinunciare ai loro progetti per seguire la propria famiglia. Anche il congedo parentale paterno per la nascita di figli, tanto adottato nei paesi nordici ( 40,2 per cento in Svezia, 85 per cento in Norvegia ) dove il numero delle donne dirigenti sia nel settore pubblico che privato, è altissimo, in Italia stenta ad essere applicato in quanto è ancora carente “la cultura” del padre che si occupa a tempo pieno del neonato (in
Inghilterra di recente il premier David Cameron ha fruito del congedo di paternità per la sua bimba!), e si tende invece a delegare alla donna tutti i compiti di cura ed assistenza familiare. Comunque, un primo riscontro positivo sulle quote rosa nei CDA si è avuto dalla Società PIRELLI la cui Assemblea degli Azionisti ha di recente nominato il nuovo board che vede la presenza di tre donne su venti consiglieri. Il Presidente della società ha annunciato che nella Pirelli saranno aumentate le quote rosa al di là delle norme di legge. Concludendo, se è vero che per le donne sono ancora molte le battaglie da sostenere, almeno questa delle quote rosa nei CDA è stata vinta. E' consolante constatare che, in questo caso, la politica ha dimostrato di poter essere uno strumento di dialogo corretto ed equilibrato per governare efficacemente , convergendo su un problema che vede al centro non solo donne di talento, indispensabili per il loro apporto all'imprenditoria pubblica e privata, ma anche tutto il nostro Paese, che ha raggiunto un importante traguardo in materia di Pari Opportunità, che ci mette finalmente in linea con le moderne democrazie europee.
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ARTE E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o
di Claudio MOLFINO
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QUADRERIE
Due fiamminghi primitivi a San Michele di Pagana Sono una preziosa testimonianza dei floridi commerci tra la Superba e le Fiandre del XV e XVI secolo elle chiese della nostra bella riviera sono conservate numerose opere di pittori fiamminghi, alcune anche molto antiche, testimonianza di un florido e reddittizio commercio che la Repubblica di Genova aveva intessuto con quella zona del nord Europa.
N
Nella chiesa parrocchiale di San Michele di Pagana oltre all’arcinoto dipinto di Anton Van Dyck, sono conservate anche due piccole tavole, dipinte agli inizi del ‘500, restaurate qualche anno fà e attribuite alla bottega del “Maestro del 1518” identificato in Jan van Dornicke, pittore e mercante d’arte attivo ad Anversa che nel cinquecento aveva sostituito Bruges come maggior centro commerciale delle Fiandre meridionali. Le tavole rappresentano una la Fuga in Egitto e l’altra la Natività, e sono state donate alla chiesa nel 1815, dal marchese Giacomo Spinola, proprietario della villa che oggi ospita i Cavalieri Malta. Inizialmente erano collocate, rispettivamente sulla porta a sinistra e a destra della balaustrata dell’altar maggiore, negli anni 1956/57 su intervento della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici della Liguria, sono state collocate in una teca di vetro addossata alla parete destra della navata. Le prime attribuzioni rimandano ad un anonimo della scuola di Brabante contemporaneo di Joos van Cleve, che potrebbe aver lavorato in Liguria, ma le notevoli analogie con le ante del Trittico l’Adorazione dei Magi (Parigi, collezione Barcillon), attribuito al “Maestro del 1518”, hanno spinto gli studiosi a ritenere le opere dipinte nella bottega di quest’ultimo. Le due tavole risentono profondamente del clima culturale anversese del primo quarto del cinquecento, nella Natività le poche figure di non grandi dimensioni
Fuga in Egitto, olio su tavola cm 80x50
sono collocate in uno spazio creato da archittetture classicheggianti in rovina. Il Bambinello è coricato su di un’ara, esposto all’adorazione degli angeli, e all’amore della Madonna e di san Giuseppe, che regge una piccola candela. Discosti dietro ad un parapetto si notano dei pastori mentre sopra le figure l’Angelo in volo è come sospeso, immobile a parte un lieve arricciamento delle vesti alla maniera di Hugo van der Goes o di Gerard David. La Fuga in Egitto mostra la Sacra Famiglia in movimento, Maria è seduta sull’asino condotto da san Giuseppe con bastone e cappello da viaggio,
Natività, olio su tavola cm 80x50
sullo sfondo un idolo che sta per rompersi al loro passaggio. Il riferimento iconografico lo ritroviamo nel Ciclo della Vergine di Albrecht Dürer anteriore al 1506. Le due piccole tavole comunque presentano caratterische e particolari che ci rimandano al sopracitato “Maestro del 1518” però l’ingenuita e la semplicità dell’iconografia e del linguaggio pittorico ci fanno ipotizzare che la paternità sia da attribuire non al maestro stesso, ma ad un allievo che si formò a bottega o che comunque conosceva molto bene la produzione del pittore Anversese.
BIOGRAFIA: Il “Maestro del 1518” è identificato in Jan van Dornicke pittore e mercante d’arte, nato attorno al 1470 e morto nel 1527 circa. Egli fu attivo ad Anversa dal 1509 ca. fino alla morte, la sua pittura definita “manierismo Anversano”. Autore di numerosi trittici i suoi soggetti preferiti erano, la Fuga in Egitto, la Natività, l’Annunciazione, la Circoncisione, la Presentazione al Tempio. REFERENZE STORICO ARTISTICHE: Carla Cavelli Traverso
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NATURA E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o
di Giorgio MASSA
FLORA
Ma che bel parassita! Viaggio tra le piante che ne sfruttano altre per la loro sopravvivenza
La bella fioritura dell’ipocisto (foto R. Fiorentino) Il fior di legna (Limodorum abortivum) cresce nelle pinete e nella macchia mediterranea.
el mondo degli esseri viventi esistono numerosi casi di parassitismo. Si trovano infatti batteri, virus e animali, sia uni che pluricellulari, che parassitano altri animali e in molti casi ne fa le spese anche la specie umana. I funghi, come le muffe,
N
possono parassitare i batteri, ma alcune specie sono comuni parassiti di alberi e ne provocano la morte in poco tempo. Questa loro attitudine non va vista come l'implacabile attività di un killer, ma al contrario come un attività selettiva, rivolta ad alberi vecchi o sofferenti allo scopo di favorire la rigenerazione dei boschi. Il mondo vegetale subisce attacchi anche da numerosi animali, come i mammiferi erbivori, che normalmente non vengono considerati parassiti, termine che invece finisce per essere attribuito a molti insetti fitofagi (che si nutrono di parti di piante) che rodono le foglie o ne succhiano la linfa. I parassiti quindi sono organismi che vivono a spese di altri esseri viventi. Questa definizione in senso ampio può includere moltissimi organismi e in senso stretto solo quelli che hanno un rapporto quasi esclusivo con una specie ospite. Generalmente però si finisce per chiamare parassiti le specie fastidiose o particolarmente dannose o quelle che ci ri-
guardano direttamente. Esistono rapporti di parassitismo anche tra vegetale e vegetale e sono più diffusi di quanto si pensi. Ecco una panoramica sulle specie presenti nella nostra flora, “abituate”, per sopravvivere, a sfruttare il “lavoro” di altri. Certamente, la pianta parassita più nota è il vischio, molto rara in natura. La sua presenza non è nota sul Promontorio di Portofino anche se è segnalata in Liguria. In Italia, nelle aree coltivate, sembra che i contadini, per poterne disporre nel periodo natalizio, “innestassero” il vischio su alberi da frutto. Secondo alcuni ricercatori, il vischio, a dispetto della sua fama, pare non essere un vero e proprio parassita perché, grazie alle sue foglie verdi, effettua la fotosintesi, mettendo a disposizione anche per la pianta ospite, nel periodo di riposo di questa (quando cioè è senza foglie), le sostanze sintetizzate sfruttando la luce solare. Si tratta comunque al massimo di una pianta emiparassita (parassita solo in parte), che in rari casi può uccidere il suo ospite, ma solo se quest’ultimo è già sofferente. A tutti sarà capitato di veder spuntare tra il fogliame del sottobosco o direttamente dalla terra nuda strani steli fiorali, per nulla verdi e senza nessuna foglia intorno. Le
piante che producono questi steli sono definite oloparassite (esclusivamente parassite) e per sopravvivere non traggono l’energia dalla fotosintesi, utilizzando le sostanze disciolte nel terreno, ma hanno strane radici capaci di “introdursi” nei tessuti di altri vegetali.. In parole povere, queste piante digeriscono i tessuti corticali esterni delle radici del loro ospite e con alcune propaggini cercano e trovano i vasi della pianta aggredita, poi, grazie ad organi assorbenti chiamati austori, iniziano a nutrirsi di linfa e ad assorbire l’acqua necessaria per la loro vita. Quelle più diffuse sono le piante del genere Orobanche, che comprende le “parassite” più conosciute. I loro steli fioriferi compaiono in primavera tra l’edera, nei boschi, ma anche nei prati e nei coltivi e portano curiosi fiori, di colore diverso da specie a specie e leggermente ricurvi. L’assenza di clorofilla e quindi di parti verdi è proprio un sicuro indice che queste piante siano parassite. Le orobanche o “succiamele” possono essere parassiti molto specializzati, ma più spesso sono in grado di attaccare molte piante della stessa famiglia (es: leguminose). Il seme delle orobanche germina, pare, in risposta a stimoli legati a secrezioni della pianta ospite. In breve tempo si forma un piccolo tubero che prende contatto con le radici dell’ospite stesso. La pianta è tutta lì, ma i fiori che fuoriescono dalla terra sono spesso molto alti, con steli che possono raggiungere i 50 centimetri di lunghezza. La cuscuta è una piccola pianta parassita i cui fusti somigliano ad un insieme di piccoli fili rossi che avvolgono le piante parassitate e che in estate si adornano di minuscoli fiori bianchi e campanulati. Questa pianta produce austori che si fissano al fusto dell’ospite e svolgono quindi anche una funzione di sostegno. Da sempre è considerata un’infestante di alcune colture agricole, ma alcune specie si trovano anche in ambienti selvatici dove possono parassitare le piante di timo o di santoreggia. Anche specie di orchidee come Neottia nidus avis e Limodorum abortivum sono parassite di altri vegetali, così come Monotropa hypopitys, una piccola ombrelli-
I fiori della cuscuta (Cuscuta epithymum)
fera boschiva. Molte orchidee della nostra flora crescono e si sviluppano ottimamente grazie a rapporti simili a simbiosi con funghi presenti nel terreno, che garantiscono apporti di sali minerali ed acqua. Il parassitismo delle orchidee, soprattutto di Neottia nidus avis, sembra coinvolgere oltre che le piante ospiti proprio questi funghi simbionti. In ogni caso le piante parassitate sembrano non risentire negativamente della presenza delle orchidee. Sulle radici del cisto (pianta della macchia mediterranea dalla vistosa fioritura) si insedia talvolta una pianta parassita, unico rappresentante nella nostra flora della famiglia delle Rafflesiacee. L’ipocisto (Cytinus hypocistis) è una pianta estremamente specializzata che parassita i cisti e cresce e si sviluppa sottoterra, direttamente sulle radici dell’ospite. Solo quando produce i fiori, molto caratteristici e dai colori sgargianti, gialli e rossi, lo si vede spuntare con questi ultimi qualche centimetro sopra il terreno. La pianta parassita, appena nata, può comunque andare incontro ad una fine tragica perché, dopo essere germinata, se non riesce a fissarsi ad un ospite, è destinata a soccombere. Gran parte delle piante appartenenti al genere Odontites, insieme a quelle dei generi Thesium, Osyris, Melampyrum, Euphrasia, Pedicularis e Rhinanthus, vengono definite “emiparassite” come il vischio. Si tratta di vegetali che apparentemente vivono una vita “normale”; sono verdi e quindi effettuano la fotosintesi ed hanno radici simili a quelle di altre specie. Talvolta, però, lungo queste compaiono austori che appena si trovano nelle vicinanze di radici di piante ospiti si conficcano nei tessuti per prelevare nutrimento. Si tratta di un modo meno invasivo per parassitare altri vegetali rispetto al parassitismo tipico delle specie precedenti.
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E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o
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MONUMENTI
Per i rapallini il Castello sul mare resta “le prigioni” A llorchè varcammo la soglia del terzo millennio, l'inconfondibile maniero ancorato sulla scogliera a difesa del borgo rapallese compì quattro secoli e mezzo di vita, a dispetto delle ribollenti onde del mare e delle mutevoli intenzioni degli uomini. Ci riferiamo all'Antico Castello (spesso tutt'ora denominato "medioevale" in contrasto con il suo certificato di nascita che indica 1550) scelto, anche per la sua indubbia fotogenia, simbolo della città. Un "logo" di sicuro valore storico, con particolarità architettoniche ed elementi strutturali direttamente connessi all'ambiente ligure, preziosi perchè unici; un monumento dotato di una imponenza "nobile" accentuata dall'isolamento sullo specchio acqueo e dalla severità delle mura in pietra, corrose dal tempo e dalla salsedine. Tutto vero, tutto esaltante e suggestivo, ma che non riesce a cancellare per i Rapallini un nome utilizzato per identificarlo in un passato non ancora remoto: "E Prexuin" (le prigioni).
Sì, perchè nell'immaginario collettivo locale le celle terribili poste nei fondi del fortilizio, al livello del mare, formarono l'idea dominante a suo riguardo e la parte prevalse sul tutto. E si diceva: "Da a spiaggia de prexuin", "a stramugine da e prexuin" senza tirare in ballo il forte... Ragioni turistiche facilmente intuibili obbligarono però a preferire il termine "castello", anche se il carcere mandamentale era ancora operante negli anni Cinquanta e per condizioni inumane di disagio poteva competere con i Piombi a Venezia e lo Spielberg conosciuto da Pellico. Non è ancora svanito il ricordo di quando, ad interrompere il gioco di noi ragazzi, giungeva dal ponte sul San Francesco una carrozza di piazza con il soffietto abbassato ed il vetturino scendeva di casetta a prendere per il morso il cavallo mentre due carabinieri, imponenti nella loro divisa tiravano giù un poveraccio con le mani strette da orribili aggeggi di ferro e lo avviavano verso quelle celle (fortunatamente
per brevi soggiorni) dove umidità e buio erano custodi. Solo alla fine degli anni Cinquanta le prigioni saranno trasferite nell'ex Casa Littoria per un certo tempo ed in locali che, ironia della sorte, ospiteranno poi aule studentesche. Le celle, come l'intero edificio, ebbero destinazioni molteplici anche dopo che provvidenzialmente il castello fu acquistato, con delibera del 20 ottobre 1958 dal nostro Comune e con un esborso al demanio di Lire 6.720.000 a fronte di una iniziale richiesta di Lire 9.000.000. E se nel passato il forte aveva accolto il Capitano con la sua scorta di soldati corsi, esso vide la presenza della Guardia di Finanza, del complesso bandistico cittadino, di un gruppo folcloristico (Rapallo ride); fu utilizzato come balera famigliare, come esposizione delle bottiglie di una rassegna enologica ed anche come studi per un'emittente televisiva locale. Avviati nel 1963 e protrattisi sino al 1965 i restauri, sotto la direzione appassionata dell'Ingegnere Alberto
COME ERAVAMO E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o
di Bruno MANCINI
Pucci, comportarono una spesa di Lire 23.000.000 di allora, ma aprirono prospettive di destinazione essenziali per Rapallo. Se ora si realizzerà un nuovo progetto di valorizzazione completa, si apriranno ancor più ampi orizzonti culturali, artistici, espositivi e di rappresentanza. Allora le "prigioni" potranno far parte di una visita interessantissima al castello che, ci auguriamo, possa comprendere anche l'ascesa alla sommità della torre consentendo di ammirare, in tutto il suo splendore l'incantevole falce del nostro mare.
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PASSIONI
I Tempi d’oro del biliardo 6-7-8 dicembre 1975, Coppa d’argento “Golfo del Grifo” Eccezionale successo, per qualità e per numero di partecipanti (1.033), della seconda edizione della coppa d'argento "Golfo del grifo" di biliardo. Come sempre il palazzetto dello sport di Rapallo ha offerto un eccellente apporto al comitato organizzativo. Un torneo al quale erano presenti i più forti giocatori di biliardo, vale a dire i bolognesi, ma che ha visto il dominio dei genovesi del Borgo Pila e il successo individuale del milanese Cambielli, che ha contrastato il successo alla fortissima equipe del Borgo Pila. Nelle prime quattro
piazze, ad eccezione del primo posto di Cambielli, si trovano tre genovesi: Ilari - secondo classificato, Ghio e Cassolino - terzi ex aequo. La classifica della manifestazione vede dal quinto all'ottavo posto pari merito: Casadei - Imola, Fioribello - La Spezia, Rivera e Picchio - Alessandria; dal nono al sedicesimo posto: Bertoni - Italsider, Benenati - Rivarese, Volpone - Varazze, Reatti - Bologna, Caorsi Ugo e Arminetti Giuseppe - Rane Ra- Nella foto - da sinistra: Cap. Riccardo Lugaro - organizzatore, rag. Nino Capallo, De Cet - Borgo Pila, Mantovani - Dante nacari Vice Presidente che ha offerto la Coppa d'argento, i due finalisti CamMilano. bielli e Ilari, dott. Antonio Viani Presidente FISAB, Sig. Benito Fulle - arbitro.
Unità d'Italia - Festa dell'artiglieria corazzata Vercelli 15 giugno 1961 - Il nostro amico Mattia Verrone, stimato e conosciuto acconciatore per uomo, in occasione della ricorrenza e dei festeggiamenti del 150° anno dell'unità d'Italia, ci ha fatto pervenire questa fotografia che immortala diversi cingolati militari schierati in attesa di sfilar "50 anni fa" per le vie principali di Vercelli e festeggiare, allora, il traguardo dei 100 anni. L'artigliere Mattia è il secondo da destra sul primo mezzo. Siamo certi che questa foto farà riaffiorare dalla mente, in special modo a chi ha prestato il servizio militare di leva (nàia) in tempo di pace, tanti momenti di gioventù spensierata e alcune esperienze di vita, diverse da quella civile. ERRATA CORRIGE - Abbiamo pubblicato sul n° 2 del MARE la fotografia “Festa del Corpus Domini”. Correggiamo la didascalia Lorenza “Lore” Besagno Tacchini con in braccio il nipote Leopoldo “Dino” Alloi. Ci scusiamo con l’interessato
RICORDO O SOGNO? QUANDO... di Mauro MANCINI
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RAPALLIN
Oggi come ieri „lÊImpero del Male‰ non fa sconti Perchè non venga mai meno la memoria di questi otto ragazzi, vittime innocenti degli eterni ”signori della guerra” ditore e direttore di questo periodico che da marzo fanno rivivere la testata originale del glorioso settimanale ”Il Mare” edito fin dai primi anni del secolo scorso, mi hanno offerto la possibilità di pubblicare mensilmente questa mia ”Ricordo o sogno ? Quando…..”; una ricerca di eventi, immagini e sentimenti di una Rapallo del ”tempo che fu”. Cosciente della vastità di questo tema, ho chiesto ad amici e coetanei di aiutarmi a ripensare a questo nostro ’paise cöscì löntan’. Giorgio Berruti e Franco Tadini che per primi rispondono a questo mio invito mi raccontano di una tragedia da loro vissuta con altri sei ragazzi esattamente sessantasei anni fa. Un articolo della ”Voce del popolo” del 2 giugno 1945, gelosamente conservato dalla signora Teresa Canessa, sorella di una delle vittime, così titola quell’evento: ”Imprudenze fatali di ragazzi”.
E
La cava oggi
Giorgio, che dispone di una memoria sconfinata, correggendo alcune descrizioni inesatte di quell’articolo, mi racconta: ” L’antico Castello sul mare era adibito negli anni del conflitto, dalle truppe di occupazione tedesche, come deposito di armi e munizioni e che qui abbandonarono prima della ritirata verso Genova. Dopo la Liberazione tecnici del Comune, ritenendo pericoloso quel sito, trasferirono tutta quella ’santabàrbara’ in una vecchia galleria di pietrisco in via Costaguta, già adibita a rifugio antiaereo. Il giorno 26 maggio alle ore 18, io ed altri sette ragazzi penetriamo nel tunnel scavalcando i reticolati messi ad ostruzione; dopo aver tolto dai tubi di lancio di alcuni ”Panzer-Faust”(proiettili anticarro) i sacchetti di polvere pirica usciamo dalla grotta; un ragazzo più grande appena sopraggiunto, resosi conto del pericolo, corre ad avvertire il capo cantiere della cava. Uno di noi, indispettito, rovescia per terra il contenuto della cassetta porta munizioni, altri cercano di raccogliere la polvere, ma parte di essa rimane sul pietrisco, un altro ancora accende pochi grani che fanno da miccia verso la scatola che si infiamma: il fuoco ci avvolge. “ Anche Franco ricorda fedelmente quei momenti atroci: ” Con quei sacchetti di polvere pirica volevamo azionare un piccolo cannoncino ad avancarica che ci eravamo procurati poco prima. Il fuoco ci avvolse. Seguii per pochi passi Adriano Canessa che si immerse in una
Adriano Canessa
“Pino” Aste
fossa di acqua stagnante, io scelsi invece di correre sul piazzale della casa del fascio, i miei vestiti stavano bruciando quando un adulto, per liberarmi da loro, tagliò la cintura dei pantaloni. Il fuoco mi aveva preso anche alla gola dove portavo un paio di occhiali di celluloide da carrista, vidi nel frattempo un’altra persona innaffiare Pino Aste con una pompa per lavaggio del vicino garage Savoia; in quel momento transitava una jeep di soldati americani, ci fecero salire, io addirittura sul cofano, per portarci al vicino hotel Verdi allora adibito ad Ospedale Civile; altri lo raggiunsero di corsa con i vestiti in fiamme. Fui salvato da ustioni peggiori dal giubbotto di lana che non si infiammò, il volto era però così sfigurato che mia madre non mi riconobbe se non dal torace. Le prime cure, non avendo altro i sanitari, furono impacchi con acqua di mare e olio di oliva. Giovanni, Il fratello maggiore degli Aste, recuperò a Genova una quantità di fleboclisi che gli stessi medici subito non sapevano usare, tanto erano novità. “ E ancora Giorgio: ”Quella prima notte
le autorità mediche non permisero ai genitori di rimanere con noi; nel buio della camerata continuavamo a chiamarci fra di noi per un insistente e rassicurante appello. I meno gravi: io, Franco Tadini, Enzo Pendola, Luigi Aste, Ugo Lucerti e Bruno Righi guarimmo dopo molti mesi; Adriano Canessa di anni tredici e Giuseppe ”Pino” Aste di nove anni morirono tra atroci sofferenze dopo pochi giorni.“ Ho voluto ricordare questo tragico episodio per due ragioni precise e ben doverose, onde evitare interpretazioni superficiali e strumentali dell’accaduto. La prima è che non venga mai meno la memoria di questi otto ragazzi, vittime innocenti degli eterni ”signori della guerra”; la seconda è quella di precisare che tutti indistintamente i sei ragazzi sopravvissuti hanno trascinato, durante la loro esistenza, gravi ferite psico-fisiche per quell’attimo di ingenua, innocente, giustificabile imprudenza dovuta alla loro tenera età e a quell’esuberante costume di vita di quegli anni. A tutti loro un nostro pensiero affettuoso e solidale.
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ANNI SESSANTA E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o
di Silvana GAMBÈRI GALLO
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AMARCORD
Ricordi di scuola Perché anche le jene hanno un cuore avoro nella scuola, è la mia nemesi. Contrappasso di chi ha scombinato la quiete delle Reverende Suore Gianelline per due lustri, tanto che la pronuncia del mio cognome dopo anni dall’esame di maturità – fece sospirare l’ex preside: “Sì, ricordo”.
L
Attenzione, nessun bullismo, no vandalismi e affini; anzi, una mediavoti dignitosa che spingeva – probabil- mente – le sventurate monache a interrogarsi sul caso conclamato di dualismo, Dr. Jekyll e Mr. Hide in grembiulino blu. Greca bianca laterale, ricamata lato asole. E’ che il periodo tra medie e superiori coincise col famigerato postsessantotto, e pur vivendo in provincia con Tg regionali e Internet ancora da venire, qualcosa trapelava. Irrimediabilmente.
“Non riconosco alcuna autorità, se non da chi possa darmi l’esempio”. Le parole di una minorenne anni settanta (che non ho ancora rinnegato), le discussioni politiche con mio padre e la determinazione a
DITTA SPECIALIZZATA in
“Rimozione e bonifica nidi di CALABRONI,
VESPE e VOLATILI IN GENERE”
causare una ventata reazionaria nell’ambiente perbene cui ero toccata in malasorte, in un mix ad alto voltaggio. Non che fossi l’unica, la formazione era piuttosto compatta: e tenere a bada un drappello di oltre trenta elementi con la supremazia di venti iene, qualche eccezione remissiva e pochissimi maschietti (tre, nell’anno migliore) risultò abbastanza complicato. I capisaldi? Le elezioni dei rappresentanti di classe, qualche prova di “collettivo” in sit-in sulle scale, l’ostentazione di collant neri (velati con riga o a rete) abbinati ai calzoncini nell’ora di ginnastica. Sciocchezze, si dirà. Oggi. In quel periodo lontano, in un paesone dove si avvertiva mia madre se esibivo il rossetto e – soprattutto – “dalle suore”, era scandaloso. Toccammo l’apice appropriandoci di merendine e frutta dalla mensa, o presentando alla recita di fine anno una parodia dell’istituto, ciascun docente spietatamente replicato. Presenziava anche il sindaco di allora, Rinaldo Turpini, cui mi toccò rivolgermi coi versi del Giusti “Vostra Eccellenza che mi sta in cagnesco…”. Lui rise, altri no. Pazienza, ci avrebbero comunque ricordate come la “famigerata terza magistrale”, quasi dovessimo fermarci tutte lì, a un passo dal diploma. Però, diciamolo, mi garbava l’ambiente; pur se nella connotazione di Mark Twain: “Amo il Paradiso per il clima, l’Inferno per la compagnia”. Compagnia dalle radici forti, con alcune ci siamo ritrovate sul lavoro, con altre scatta la risata ad ogni incontro. Sono sopravissuta al tracollo scolastico – compensando l’indole da
cialtrona – solo grazie a memoria di ferro e curiosità innata, oltre allo scribacchiare appunti con cerchi e freccette: la tattica – desueta? – dei “riferimenti”, da un argomento si traghetta all’altro. Ho visto cambiare nel tempo, la struttura dell’Istituto Gianelli: le classi dapprima relegate in un seminterrato grigio – banchi di legno nero, col buco per un calamaio già estinto al tempo - si trasferirono in un palazzo solare, coi pavimenti sempre tirati a lucido e mosaici colorati a decorare le pareti. Manco da un po’, e non escludo di tornarci, fosse solo per un pizzico di nostalgia; guidando l’auto, perché l’età ed il fisico non consentono più la volata sui gradini di un tempo. Quando ero costantemente in ritardo, sempre graziata dalla campanella successiva. Il vezzo di aggirare – giusto al limite – le regole mi ha sempre accompagnata, e lo fa tuttora. Successe anche al già citato esame di maturità, quando pensai bene di risolvere la diatriba in filosofia con una manata sul tavolo, rovesciando una sedia e uscendo tra sbattere di porte. Personalmente, ora mi boccerei; allora, per fortuna, non successe. Immatura, come il titolo di un film recente, noi come loro a puntare – invano - alto sul sessanta. Ma quella ex ragazzina, impulsiva e sfibrante, conserva ancora nell’armadio il suddetto grembiulino blu, greca bianca lato bottoni. E chissà se qualcuno – nell’Istituto Gianelli – ricorda ancora la “famigerata terza magistrale”, quella con una manciata di sogni ed il panino con frittata e i libri tenuti assieme da una cinghia elastica.
GENTE DI LIGURIA E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o
di Alfredo BERTOLLO
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CASATI
La famiglia Canevaro di Zoagli l paese delle Due Torri, Zoagli, a levante di Rapallo, posto in un’amenissima posizione sempre esposta al sole, è anche luogo d’origine della famiglia Canevaro, un cognome famoso che gli ha dato lustro. Riccardo
I
Marini di Villafranca, nella sua ricostruzione del cognome, avvicina la famiglia Canevaro a quella dei Canevari, dei quali già ho trattato in un mio precedente studio. Ed è quindi facile che, riportato nei secoli nei registri di Battesimo dal XVI secolo, questo cognome Canevari, famoso soprattutto a causa di Demetrio, medico alla corte dei papi nel Millecinquecento, sia stato modificato in Canevaro. A dar maggiore sostegno a questa tesi sta il fatto che gli stemmi delle due famiglie abbiano, nel XVI secolo, delle notevoli somiglianze. Legami di parentela non sono mancati fra le due famiglie anche in tempi a noi recenti: Umberto Lasagna Canevari era cugino primo di Ugo Conz, marito di Alessandra Negrotto Cambiaso-Lucini Passalacqua e un rapporto di parentela esisteva tra questa nobile signora e la famiglia Canevaro. La ricostruzione della storia dei Canevari/ Canevaro nei secoli richiederebbe centinaia
Castello Canevaro
di pagine; l’etimologia del cognome è senza dubbio collegata alla canepa (genovese caneva ) della quale i membri della famiglia dovevano essere tessitori. In questo breve scritto mi limito a ricordare due nomi famosi dei Canevaro di Zoagli: Giuseppe e l’ammiraglio Luigi Napoleone. Giuseppe, nato a Zoagli nel 1803, naviga già da ragazzino e a 12 anni s’imbarca per Cuba sul veliero “Calipso”. A vent’anni diventa capitano e fonda una società commerciale prima a Panama, poi in Equador (Guayakil) e in Perù. Nominato console del Regno di Sardegna, rifonda il “Banco Nacional del Perù” sistemandone la sua disastrata situazione debitoria nei confronti del
Governo, finanziandolo con i proventi della sua Società che teneva il monopolio dello sfruttamento del guano e della sua esportazione. Offre asilo politico a Garibaldi che si era battuto a duello con il console francese e lo invia a Canton al comando di una sua nave che trasportava guano. Proprietario di molti velieri, fa arrivare dalla Cina migliaia di cinesi perchè, nel freddo clima delle isole guanifere, non resistevano nè i neri, nè i meticci. Invia all’amico Camillo, conte di Cavour, del quale era fornitore di guano per i suoi terreni in Piemonte, e con cui tiene una fitta corrispondenza, 350.000 sterline per finanziare l’armamento e gli ospedali da campo durante le guerre del Risorgimento, alle quali partecipa di persona. Nel 1870 compra la villa Spinola-Malfanti con il Castello, a ponente di Zoagli, da dove partì nel 1812 “con la maglietta che aveva addosso e con la benedizione di sua madre”. Muore nel 1883 a La Spezia nel palazzone del nuovo Lungomare, costruito dal figlio Ammiraglio, non ancora duca ma Commendatore di San Maurizio e Lazzaro e conte. Sarà il figlio maggiore Felice Napoleone a ricevere da Umberto I° il titolo di Duca di Castelvari, sua tenuta, in val di Pesa e nel 1884 quello di Duca di Zoagli. Ebbe dodici fra figli e figlie. Quattro dei figli maschi furono eminenti personaggi peruviani: José Francesco ministro plenipotenziario per l’Europa, José Francesco capo di Stato Maggiore e Vice-presidente del Perù, Ottavio Carlo e Bernardino Cincinnato ambasciatori. Gli altri due Carlos Pompeo e Felice Napoleone, di cui tra poco scriverò, rientrarono in Italia per la loro formazione. Carlos Pompeo fu incaricato dal Ministro della Marina, dell’Agricultra e del Commercio di creare una razza italiana di purisangue da corsa e per questo frequentava le aste di Newmarket, Parigi ed Istambul ed impiantò l’allevamento nazionale a Barbaricina, tra San Rossore e Pisa. Felice Napoleone era nato da Giuseppe e Francesca Valega il 7 luglio 1838 a Lima in Perù, dove la sua famiglia, come tante altre della Liguria, aveva fatto fortuna. Discendente di una forte stirpe di marinai, egli ne aveva ereditato le più belle qualità. Ancora
Giuseppe Canevaro
adolescente, frequentò la scuola della Regia Marina uscendone guardiamarina nel 1855. La sua fu una carriera brillante per capacità e coraggio: partecipò alla II guerra d’indipendenza del 1859. Nel 1860 fu nominato luogotenente di vascello; dopo la conquista della Sicilia si distinse alla presa di Gaeta; partecipò accanto a Persano e Roboty alla difficile prova della battaglia di Lissa nel 1866 e, a soli 49 anni nel 1887, fu nominato contrammiraglio e poi vice-ammiraglio. Dal 1876 al 1879 guida l’incrociatore “Cristoforo Colombo” nella campagna di circunavigazione del globo. Quando era a capo della flotta alleata che pose il blocco a Creta nel 1896 fu determinante nel dare l’isola alla Grecia e non alle Cinque Grandi Potenze, tutte intese a spartirsi l’impero ottomano. Nella città di Hania, la via principale porta il suo nome e la sua memoria è viva nel popolo; a tal punto che Katzantzkis in “Zorba il Greco” fa proclamare più volte alla sua “madame” che l’Ammiraglio italiano era tra tutti il suo preferito e che lo aveva con successo supplicato “Canevaro mio! Caro piccolo Canevaro mio! ti prego non fare bum bum, niente bum bum...” . La città di Hania fu risparmiata dal bombardamento. Nel 1898 fu nominato Ministro della Marina nel Gabinetto Rudinì, quindi nominato Ministro degli Esteri in quello Pelloux. Patriota e fulgida figura di marinaio, il conte Canevaro ottenne “un mare” di onorificenze e nel 1884 fu insignito del titolo di Duca di Castelvari e Zoagli. Dopo avere ricordato questi illustri antenati non posso non citare l’attuale “testimone” il duca Emanuele, che ha mantenuto e mantiene in maniera perfetta lo splendido Castello di Zoagli a picco sulla passeggiata di Zoagli, una delle più belle e meglio tenute pedonali della Liguria.
Associazione E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o
Liguri Antighi - I Rapallin
www.liguriantighi.it - info@liguriantighi.it Presidenza: tel. 349/3819645 - Segreteria: 0185/206073 - 328/7137716
AL SINDACO DI RAPALLO
8 – 9 – 10 LUGLIO 2011 Con il Patrocinio della
Regione Liguria - Provincia di Genova - Comune di Rapallo
3° Raduno dei Rapallin Programma Venerdì 8 mattino, ore 9,30: S. Messa in Basilica a suffragio dei defunti dei Soci dell’Associazione “Liguri Antighi - I Rapallin”; venerdì pomeriggio, ore 16,00: nel Salone del Consiglio Comunale, Conferenza della dott.ssa Barbara Bernabò su “ I Mercanti Rapallin nel Mediterraneo”;
venerdì sera, ore 21,00: Concerto di organo e tromba in Basilica. Sabato 9 mattino, ore 9,30: nel Salone del Consiglio Comunale, Conferenza del Signor Giorgio Getto Viarengo su “Il mito di S. Erasmo nel Tigullio”;
sabato sera, ore 18,00: Santa Messa solenne in Basilica presieduta da S.E. Mons. Martino Canessa, Vescovo della Diocesi di Tortona, il quale, al termine della S. Messa, alla presenza di Mons. Arciprete, del Clero, delle Autorità e dell’ Assemblea dei Fedeli, conferirà il “Rapallino d’Oro” a Don Emilio Arata che, per i suoi meriti, è stato designato dall’apposita Commmissione; sabato sera, ore 21,00: INCONTRO CONVIVIALE DEI RAPALLIN* presso il Ristorante “Gran Caffè Rapallo”, con la partecipazione delle autorità civili, religiose e degli insigniti del “Rapallino d’Oro”. Domenica 10, ore 10,00 circa: a Montallegro per il Pellegrinaggio al Santuario insieme alla Comunità di Rapallo per il ringraziamento e il rito dello scioglimento del voto. domenica sera, ore 21,00: Concerto del Corpo Bandistico “Città di Rapallo” nel Chiosco della Musica, offerto dall’Amministrazione Comunale. *Il costo dell’ Incontro Conviviale è di Euro 35,00. Il menù consiste in: antipasto ( parte di mare e parte di terra), due primi, tra cui i pansoti de “LA CASANA”, due secondi con contorni, torta classica (pan di spagna con crema e panna), spumante, vini bianchi e rossi, acqua minerale e caffè*. Per informazioni su altri dettagli del menù e prenotazioni rivolgersi direttamente al Bar del Ristorante Gran Caffè Rapallo, sul Lungomare Vittorio Veneto 32, oppure telefonare a: 0185/206073 – 328/7137716 – 327/5938040 * Si può prenotare sino il 4 luglio, salvo anticipato esaurimento di posti.
29 maggio 2011: Rapallini davanti al Santuario di Soviore
Ricorrendo il 150° dell’Unità d’Italia ci appelliamo a Lei perché voglia rendere onore, con tangibili segni ad imperitura memoria, ai tre Rapallini Bartolomeo Canessa, Giovanni Pendola e Lorenzo Pellerano, che con estremo coraggio hanno seguito Garibaldi nella temeraria impresa della Spedizione dei Mille, sprezzanti del pericolo per la propria vita, pur di dare agli Italiani un’ unica Nazione. Molti sono i segni imperituri possibili e quindi confidiamo nell’accoglimento di questo appello.
Domenica 11 settembre 2011 MATTINO:
partenza da Rapallo ore 7,00
Pellegrinaggio al Santuario di Gesu’Bambino di Praga di Arenzano Santa Messa e Devozioni ore 10,00: partenza da Arenzano per Sassello, CAPITALE LIGURE DEL FUNGO PORCINO E DEGLI AMARETTI ore 12,30 pranzo al ristorante Menù:
antipasto: carpaccio di manzo affumicato con rucola e grana due primi: lasagne ai funghi porcini, trofiette ai calamari e zucchine
secondo: arista e porcini con contorno patate al forno e carote dessert: budino agli amaretti bevande: vino bianco e nero, acqua minerale, caffè. (per intollerabilità di qualche piatto possono essere fatte delle variazioni)
POMERIGGIO, partenza da Sassello ore 15,00 per
Albissola Superiore e Marina CAPITALI LIGURI DELLA CERAMICA
Sosta di circa tre ore per Visite a Museo (se aperto), Passeggiata degli Artisti, Esposizioni e/o Negozi. Ritorno ore 19,30 ed arrivo a Rapallo ore 20,30 circa. Costo complessivo del Viaggio AR più pranzo: € 38,00 per i Soci e famigliari (coniuge, figli, genitori) per i Non Soci € 43,00 Per la prenotazione e informazioni telefonare a:
0185/206073 - 328/7137716 – 327/5938040
Rapallini nel Santuario in attesa della Santa Messa
PERSONAGGI E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o
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di Eugenio BRASEY
MESTIERI SCOMPARSI
Poggia... balin!! «Signuri... in carrossa!» Repetto detto U Badin, l’ultimo testimone di un lavoro che non esiste più: il vetturino o trovate al Bar Roma in Via della Libertà, magro, gentile, disponibile, educato, dall’alto del suo metro e novanta e dei suoi quasi novantanni.
L
Seduto ai tavolini del bar, vede sfilare la gente di oggi, come un film, quasi con noncuranza, ma sempre attento, cosi come ha visto sfilare generazioni di rapallini, di principi, regnanti e … filibustieri. Non lo troverete più “.. a maina …”, li c’è stato per quarant’anni, con la sua carrozza, ma è da più di venti che ha lasciato il suo ultimo cavallo e si è ritirato in pensione. Una pensione forse modesta ma molto dignitosa, perche dignitosa è la persona; mai un lamento contro la vita o un’imprecazione per qualche acciacco, una cortesia antica, un rispetto ancestrale per la persona che gli sta di fronte, parole pesate le sue e la consapevolezza di chi ne ha viste tante, e visti tanti, un film lungo, che dovrà finire, come tutto finisce prima o poi. La dignità non è acqua, è merce rara; la potete trovare ad un tavolino di Via della Libertà. “Che bei tempi, che bella Rapallo”. “Quanto gente c’era e che gente, gente da … franchi, da …. palanche, ma ben ben de palanche. Ho portou pen meise in gio Re Farouk, me lo sono portato in ogni angolo del levante, anche a Chiavari ed a Portofino Vetta insieme al mio Bartali, soggiornava all’Excelsior, era venuto con la macchina, una delle prime autovetture, ma poi chi veniva in auto, soleva lasciarle in albergo e girare con la carrozza; che persona per bene, veramente un signore, una gentilezza, una signorilità, un’educazione che mi è rimasta impressa in mente.” Signor Repetto, all’epoca Rapallo era un vero posto di villeggiatura e vi ve-
niva solo l’elite del turismo, ma la ricchezza, ad onor del vero, l’abbiamo conosciuta solo con il turismo di massa, forse è meglio oggi. “Nu l’e veo, mi d’estè arrivava a ca a trei ue de neutte, ghea ben ben de travaggio e tanta gente pe-e strae. Oua d’estae a unz’ue de seia, a maina, ghe o deserto” . “Che bei tempi”. “Rapallo era una gran Rapallo prima e anche subito dopo la guerra. A Portofino ci andavano in pochi, era poco conosciuta o frequentata, mentre invece tutti parlavano di Rapallo, era la regina turistica del Levante. D’estate si arrivava anche a 40.000 abitanti, noi vetturini facevano la spola da una sala da ballo all’altra. Si ballava a Villa Doria sopra il porto, si ballava al Porticciolo, al Kursaal , al Trianon Palace, vi era la Taverna Azzurra, quando si passava in corso Matteotti, da ragazzo, si passava con timore perche li, in quella via c’erano i ricchi ed i nobili che soggiornavano, c’era il jet set internazionale. Venivano a Rapallo gli attori del cinema anche quelli americani, John Wayne uno dei tanti”. “Che tempi, che bei tempi”. All’epoca forse il lavoro era meno stressante e più gratificante!. “Si lavorava da Pasqua sino ad ottobre, ma si lavorava tanto, d’estate si andava a casa alle tre di notte, era frequente partire alle due di notte per andare a Portofino a prendere dei turisti, si lavorava tanto e si guadagnava bene; eravamo anche di bocca buona, tanti turisti pagavano in sterline ma noi non le volevamo, solo lire italiane, impensabile oggi.. Una carrozza con i finimenti valeva anche 50.000 lire. La corsa all’Excelsior costava 50 lire ? e quella al Golf 60 lire”. Ma i cavalli tutto il giorno al sole davanti ai Bagni Lido all’inizio della pas-
seggiata, non soffrivano? “I cavalli all’epoca erano accuditi meglio della moglie. L’è na battua, me raccumando nu sta a scrivila miga. Tutte le sere venivano strigliati. Avevo un cavallo nero, bello e forte che si chiamava Bartali, aveva un cuore grande, con lui andavamo dappertutto, su qualsiasi salita. Quando faceva molto caldo i cavalli li portavamo verso il Boate, sotto le palme, al fresco e comunque avevano sempre il cappellino sulla testa, con i due buchi per le orecchie. Anche le carrozze erano tenute bene e lavate spesso, sempre di nascosto perchè era proibito lavarle al posteggio, ma non avevamo altro posto. C’erano solo tre guardie a Rapallo ma sapevano fare bene il loro lavoro, anche alle 7 del mattino appena iniziavi a lavare la carrozza arrivavano subito e ti multavano, non c’era verso di evitarla quella maledetta multa di dieci lire, quante multe ho preso”. “Ma che tempi, che bei tempi”. Poi sono arrivate le autovetture ed il lavoro è finito? “Lavoravamo più noi con le carrozze. I ricchi venivano in Riviera in macchina e poi prendevano la carrozza. Facevamo quasi tutte le comunioni e i ma-
Il Castello bar enoteca
Terrazza sul mare
Lungomare Castello, 6 RAPALLO
trimoni. Noi vetturini stavamo bene, ed andavamo d’accordo, si era un blocco unico, se qualcuno lavorava bene tutti erano contenti, non come ora che qualcuno si prende a botte per una corsa. Le sere di piena estate, nei giorni in cui si era guadagnato bene, si rinunciava alla scodella portata da casa e si andava tutti a mangiare la pizza da “U maneggio” in Via Cairoli dove oggi c’è il Ristorante Vecchia Rapallo o al Nettuno a cenare insieme con i ricchi, che magari si era portato durante il giorno. E ce la ridevamo!” “Me ricordu ben i me amisci vetturin, Tasso detto U Fante doriano sfegatato, u Vexina, u Tascea, u Maccaferri, Ernesto detto “u meghu”; me sembra vei, che bei tempi, che bella a me Rapallo”. E mentre mi dice queste cose guarda lontano, gli occhi sembrano galoppare nel passato, la mente ritorna “a maina”, il film della sua vita si riavvolge, le immagini ritornano, ricompaiono gli amici, il suo Bartali, la Rapallo che quasi nessuno conosce più. “ Che tempi, che bei tempi, che bella la mia Rapallo ”. Un grazie di cuore Badin.
CULTURA
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di Massimo BACIGALUPO
E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o
PREMI NOBEL NEL TIGULLIO
La “Catena umana” di Seamus Heaney appena uscito l’ultimo libro di poesie di Seamus Heaney, premio Nobel irlandese sui settant’anni, più di quanti ne aveva il suo maestro e connazionale Yeats quando venne a Rapallo. Si intitola Catena umana e conviene correre a comprarlo nella elegante confezione della collana Lo Specchio della Mondadori (traduzione di Luca Guerneri, pp. 171, €15,00, con testo inglese a fronte). Potrebbe essere un modo di scoprire la poesia di un grande di oggi in un formato appetibile. La prima poesia si chiama Non fossi stato sveglio e racconta quella che sembra un’impressione notturna, con grande semplicità: “Non fossi stato sveglio l’avrei mancato, / un vento che s’alzò e mulinò sinché il tetto / mormorò di un crepitio di foglie di sicomòro // e mi fece alzare, io tutto un mormorio...” Sono momenti imprevisti come questi che ci fanno realizzare cosa significa essere vivi. L’ultima poesia, dedicata a una nipotina con un nome irlandese naturalmente, Un aquilone per Aibhín (che sarebbe il nostro Yvonne), è un rifacimento di L’aquilone di Pascoli: “Aria d’altra vita e tempo e luogo, / aria celestina, sostiene / un’ala bianca che batte alta contro la brezza....”. (Questa è la ritraduzione di Guerneri dell’inglese “Air from another life and time and place, / Pale blue heavenly air is supporting / A white wing beating high against the breeze”. Pascoli aveva scritto, inimitabilmente: “un’aria d’altro luogo e d’altro mese / e d’altra vita: un’aria celestina / che regga molte bianche ali sospese...”.) Questo rifacimento ha una storia. Qualche anno fa Heaney e io eravamo insieme a cena a Dublino da una comune amica, Mary Kelleher, bibliotecaria della Royal Dublin Society, grande amica dell’Italia, e abbiamo trascorso una serata piacevolmente irlandese, leggendo fra l’altro a turno brani del millenario poema Beowulf nell’originale anglosassone, nella versione inglese di Heaney e in quella italiana mia (edita da Fazi nel 2002). Quando poco dopo Mary è andata in pensione, i colleghi le hanno dedicato un volume con scritti di amici, fra
È
cui Heaney e io. L’omaggio di Heaney consisteva in una versione molto bella di L’aquilone. Quando la lessi gli dissi che speravo l’avrebbe inclusa nella sua prossima raccolta, ma lui obiettò che esitava a mettere troppe traduzioni in un volume originale. Ed ecco però che proprio alla fine di Catena umana l’ha inserita, anche se in forma molto scorciata e cambiata, come regalo alla nipotina. Così le emozioni del nostro Pascoli più scolastico ma non dimenticato tornano a vivere in quello che è forse il maggiore poeta oggi attivo in lingua inglese (e Catena umana gli ha già valso l’importante premio dell’Irish Times – del resto a chi altro poteva andare?). Heaney è nato in una famiglia cattolica contadina dell’Ulster, cioè nell’Irlanda protestante, primo di una nidiata numerosa come quella di un altro predecessore, James Joyce, che però era di Dublino. I genitori ricorrono frequentemente, senza schermi, anche in Catena umana, che fin dal titolo lascia presumere un passaggio di generazioni, quattro per la precisione, da Patrick e Margaret Heaney alla bisnipotina Aidhin. Una delle prime poesie della raccolta si chiama Album e presenta proprio delle istantanee dei genitori come Heaney li immagina da fidanzati e sposi: “E’ inverno e sono andati al mare / per il pranzo nuziale. Io siedo al tavolo / non invitato, ineluttabile. // Stridio di gabbiani. Odore di pesce che cuoce. / Pesanti posate d’argento sonnecchianti. Silenzio sfilacciato. Lacrime. / La cameriera in pettorina scoperchia un piatto tintinnante...” Non è una scena allegra, anche se i due sono legati da vero amore: “Gli anniversari di quel giorno / non li celebreranno mai / e nemmeno li nomineranno negli anni a venire...” E’ la vita di persone troppo occupate dalla fatica di sopravvivere. Questa come altre poesie di Catena umana è scritta in gruppi di tre versi, terzine non rimate ma pur sempre legate da assonanze e ritmi. Heaney a 70 anni è molto franco, ci fa entrare nel suo mondo con generosità e discrezione, così insegnandoci come riflettere sui nostri affetti, la nostra cultura, la nostra
lingua. “Avessi dovuto abbracciarlo da qualche parte / sarebbe dovuto accadere sulla riva del fiume”, dice del padre. Fra altri episodi Heaney evoca un’emergenza recente, quando è stato vittima di un ictus e ha dovuto essere ricoverato: “Fissato con le fibbie, carrellato, sollevato, bloccato / in posizione per il trasporto...”. Non è che egli indulga al sentimentalismo autobiografico, ma ci mostra come l’esperienza personale diventa conoscenza. E’ per questo che consiglio di acquistare e meditare queste pagine preziose. Dove si trova persino, verso la fine, un testo riflessivo su un amico scomparso (tema inevitabilmente ricorrente nell’opera di un settantenne, che Settembre 2005. Seamus Heaney con (da sinistra) Angela qui invoca spesso non solo Kirsten Bacigalupo, Marie Devlin Heaney e Raffaella Bini Graziani, Dante ma anche la discesa nel giardino della casa di S. Ambrogio di Zoagli dove vissero a agli Inferi di Enea): “La porta lungo Olga Rudge ed Ezra Pound. Foto di Massimo Bacigalupo. era aperta e la casa era buia / ecco perché chiamai il suo nome, ben- commenta) cose sacre. E quotidiane. ché sapessi / che la risposta questa Qualche anno fa Heaney ha ricevuto il volta sarebbe stata il silenzio...” Ci vuole Premio LericiPea per l’Opera Poetica, un grande poeta per essere così e in quell’occasione si è fermato anche a Rapallo per vedere la casa schietto e semplice. Non che a prima vista i versi di Heaney abitata da Yeats con la sua eloquente siano facili. Bisogna prendersi tempo per lapide (presso il Ponte d’Annibale) e colloquiare con lui. Chi sa un po’ di in- fare un salto a S. Ambrogio a godersi la glese può scoprire che splendido lettore vista sul Tigullio dalla casa di Olga delle sue poesie egli è cercando su You Rudge ed Ezra Pound, che di Yeats fu Tube appunto “Heaney-Human Chain”. riottoso discepolo. A S. Ambrogio siamo Lo sentirà leggere le poesie iniziali sui ge- stati accolti dalla gentile padrona di nitori e sul miracolo evangelico del pa- casa, Raffaella Graziani, e da una vicina ralitico, di cui dà una lettura originale: con i suoi affettuosi ricordi del “poeta”. sono gli amici che sollevarono il letto del Era bello ritrovarsi in quei luoghi cari malato per avvicinarlo a Gesù che meri- alle Muse con un altro eloquente espotano attenzione ancor più del miracolato. nente del ruolo della poesia, anche e soprattutto nel nostro tempo. Abbiamo tutti dei debiti. Così Heaney passa dalla sua vita a quella Apro Catena umana e leggo: “Cosa dei conoscenti, al mondo dei poeti e delle c’era di meglio allora // che schiacletture (quella copia dell’Eneide com- ciare una foglia o un’erba / tra i palmi prata da ginnasiale in una liberia di Bel- delle mani// e poi sventolarla lentafast) al testo sacro. Il poeta, lo diceva mente, rasserenante, / davanti al naso già Yeats, svolge una funzione sacer- e alla bocca / e respirare?”. Ecco, i dotale giacché parla di (e ricorda, e poeti ci insegnano a... respirare.
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CULTURA E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o
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di Domenico PERTUSATI
Pio IX e lÊunificazione italiana (II) È senza dubbio un compito arduo, impegnativo e anche un po’ imbarazzante soffermarsi a riflettere sull’at- teggiamento di Pio IX nei confronti dell’unificazione italiana per almeno due motivi: anzitutto perché si corre l’alea di incorrere nella disapprovazione di un certo mondo cattolico contrario a rispolverare fatti ed avvenimenti che non sono proprio esaltanti per l’Autorità ecclesiastica, in secondo luogo perché si tratta di un Pontefice che è venerato come beato dopo che la Chiesa ne ha riconosciuto la santità. Al riguardo non intendiamo fare
obiezioni: il nostro unico intento sta nel richiamare con onestà e veridicità i documenti che attestano determinate scelte e prese di posizione circa i problemi riguardanti l’unificazione italiana La difesa dello Stato temporale fu condotta con energia da Pio IX che non esitò a condannare quanti attentarono alla sua integrità: furono colpiti da scomunica gli “usurpatori” delle Legazioni prima, del territorio del Lazio poi, e, da ultimo, della stessa città di Roma. CONDANNA DELLE OPINIONI PERVERSE E PERNICIOSE Ci soffermiamo anzitutto sull’enciclica “Quanta cura” (8 dicembre 1864), che esorcizza i mali del tempo, pubblicata insieme al “Sillabo”, un documento “esplosivo” che contiene gli errori riprovati e condannati. Questi i punti salienti della “Quanta cura”. Pio IX afferma di riprendere l'azione di resistenza agli errori intrapresa dai suoi predecessori che “con apostolica fortezza continuamente resistettero alle nefande macchinazioni di uomini iniqui, che schizzando come i flutti di procelloso mare la spuma delle loro fallacie e promettendo libertà mentre che sono schiavi della corruzione, con le loro opinioni ingannevoli e con i loro scritti perniciosissimi si sono sforzati di sconquassare le fondamenta della cattolica religione e della società civile, di levare di mezzo ogni virtù e di depravare gli animi e le menti di tutti [...]” .. Ricorda le precedenti condanne dei principali errori e raccomanda di aver “in sommo abominio la infezione di una peste così crudele”. Dichiara falsa e perversa l'opinione “di chi vuole impedire e rimuovere quella salutare forza che la cattolica Chiesa deve liberamente esercitare fino alla consumazione dei secoli non meno verso i singoli uomini che verso le nazioni, i popoli e supremi loro Prìncipi e che sia tolta di mezzo quella mutua società e concordia di consiglio tra il Sacerdozio e l'Im-
pero, che sempre riuscì fausta e salutare alle cose tanto sante come civili”. È per il Papa assurdo ed empio il principio del naturalismo che “la società si governi senza alcun riguardo alla religione”. Ripete la condanna, pronunziata già da Gregorio XVI, di quel delirio che è la libertà di coscienza e dei culti come diritto proprio di ciascun uomo. Questa è libertà della perdizione. Riprova l'affermazione che “la volontà del popolo, manifestata per l'opinione pubblica o per altra guisa, costituisca una sovrana legge, sciolta da qualunque divino e umano diritto, e nell'ordine politico i fatti consumati, per ciò stesso che sono consumati, abbiano vigore di diritto”. Condanna “il funestissimo errore del Comunismo e del Socialismo”. “Cotesti fallacissimi uomini vogliono togliere alla Chiesa ogni influenza educativa sui giovani, “in modo che i teneri e flessibili animi dei giovani vengano miseramente infetti e depravati da ogni fatta di errori perniciosi e di vizi”. Respinge “l'impudenza di chi vuole sottomettere all'arbitrio dell'autorità civile la suprema autorità della Chiesa e di questa Sede apostolica e negare ad essa Chiesa tutti i diritti che ella ha intorno alle cose che appartengono all'ordine esteriore”. Rammenta la scomunica del concilio di Trento e dei Papi a coloro che invadono e usurpano i diritti e le possessioni della Chiesa - Condanna chi afferma che “la Chiesa non deve niente decretare che possa astringere le coscienze dei fedeli, in ordine all'uso delle cose temporali; che alla Chiesa non compete il diritto di punire con pene temporali i violatori delle sue leggi ”. “Noi dunque, in tanta perversità di depravate opinioni [...] colla nostra autorità apostolica riproviamo, proscriviamo e condanniamo e vogliamo e comandiamo che esse siano da tutti i figlioli della cattolica Chiesa tenute per riprovate, proscritte e condannate”. Il Papa fa notare che di passo in passo si arriva a negare la divinità di Cristo. Insegna che “sul fondamento della fede cattolica sussistono i regni” e che “la reale potestà non fu data solamente pel reggimento del mondo, bensì massime per il presidio della Chiesa”, ricordando che il Papa Felice inculcava all'imperatore Zenone non di anteporre, ma di sottoporre la regia volontà ai sacerdoti di Cristo. Chiude l'enciclica indicendo, per far fronte a questi errori, un Giubileo per il 1865. IL CONTENUTO DEL “SILLABO” il “Sillabo” è un elenco di 80 proposizioni, frutto di 12 anni di laboriosa preparazione da parte di una apposita commissione e vari consulenti, accompagnate
Pio IX (Giovanni Maria Mastai-Ferretti) regnò dal 16 giugno 1846 al 7 febbraio 1878. Fu lʼultimo Papa-Re.
da riferimenti a precedenti documenti papali. Vengono condannati gli errori del tempo: panteismo, nichilismo, razionalismo, naturalismo, indifferentismo, socialismo, comunismo… Questo documento provocò forti reazioni negli avversari, disappunto e preoccupazioni tra i liberali cattolici (come Montalembert) e una certa divisione di opinioni tra i teologi sul suo preciso valore dottrinale. Va detto che si tratta di un testo formulato in modo negativo, vale a dire esprime affermazioni contrarie all’insegnamento della Chiesa e pertanto rigorosamente da respingere e condannare. Non ci è possibile soffermarci sulle singole proposizioni. Ci limitiamo a segnalarne alcune: quelle concernenti la supremazia del potere ecclesiastico e il “Civile Principato” dei Pontefici. “I sacri ministri della Chiesa e lo stesso Romano Pontefice debbonsi al tutto rimuovere da ogni cura e dominio delle cose temporali” (n.27). “Si deve separare la Chiesa dallo Stato e lo Stato dalla Chiesa” (n.55). “L'annullamento del Principato civile che possiede la Sede Apostolica gioverebbe assaissimo alla libertà e felicità della Chiesa” (n.76). L'ultima proposizione (n.80) dichiarata erronea afferma: “Il Romano Pontefice può e deve riconciliarsi e venire a composizione col progresso, col liberalismo e con la moderna civiltà” . Ernesto Rossi così commenta: “Nonostante tutte le acrobazie dialettiche degli scrittori cattolici, che hanno cercato di limitarne e attenuarne il significato, queste parole sono chiarissime: rovesciando la proposizione erronea si ha: “Il Romano Pontefice non può e non deve riconciliarsi e venire a composizione col progresso, col liberalismo e con la moderna civiltà”. Questa - a suo dire - non è che una logica conseguenza della proposizione n.19, con la quale viene condannata la tesi: “La
Chiesa non è una vera e perfetta società, pienamente libera, ne' fornita di suoi proprii e costanti diritti, conferitile dal suo Divino Fondatore, ma spetta alla potestà civile definire quali siano i diritti della Chiesa e i limiti dentro i quali possa esercitare i detti diritti”. Da questa negativa fa rilevare il Rossi - non possiamo ricavare altra positiva che quella dello Stato teocratico, antitesi appunto del progresso, del liberalismo e della civiltà moderna. (Ernesto Rossi, “Il programma politico della Chiesa” in “I problemi di Ulisse” - Stato e Chiesa, Sansoni, Firenze 1958). Non va dimenticato che Pio IX aveva già anticipato le condanne della “Quanta cura” e del “Sillabo” in documenti precedenti di cui ci limitiamo a fornire pochi cenni. La “Qui pluribus” (9-XI-1846) in cui conferma le costituzioni dei Predecessori contro le sette e stigmatizza gli errori dell’epoca (antitesi tra comunismo e cattolicesimo). La “Qui Nuper” (18-4-1859): breve enciclica con cui, seguendo con preoccupazione l’evoluzione degli avvenimenti della Seconda guerra d’Indipendenza, reclama la necessità del Principato civile della Chiesa. Con la “Nullis certe verbis” del 19-11860 riafferma i principi dell’enciclica precedente e respinge i consigli di Napoleone III perché il Pontefice consenta alla cessione di parte del territorio della Chiesa. ULTERIORI PROTESTE La “Respicientes ea omnia” (I-XI-70) contiene la protesta per la presa di Roma e la dichiarazione di considerare la Chiesa romana come prigioniera di fatto. Questa enciclica non fu resa pubblica immediatamente, ma inviata ai soli vescovi. Il giornale “L’unità cattolica” di Torino la pubblicò, ma fu subito sequestrata dal governo. Il 25 novembre del ‘70 il Vaticano protestò per dimostrare al mondo cattolico lo stato di soggezione della Chiesa. Con la “Ubi nos arcano” del 15-5-71 rifiuta le “guarentigie” e si appella alla solidarietà delle nazioni cattoliche. A questo riguardo le aspettative di Pio IX ben presto naufragarono. Non pochi storici sottolineano che proprio la sua intransigenza ottenne risultati negativi anche dal punto di vista politico: non una sola potenza cattolica intervenne a sua difesa. La “Beneficia Dei” scritta in occasione del 25mo di Pontificato (4-6-71) rinnova la protesta per la situazione creatasi con la presa di Roma. LA “MODERNITÀ” DEL SILLABO Per evitare di apparire “di parte” non avendo esaltato “ tout court” l’operato di
20 settembre 1870: la “breccia di Porta Pia” segnò la fine del potere temporale dei Papi. Nel luglio del 1871 la capitale del Regno dʼItalia venne definitivamente trasferita a Roma.
Pio IX, non ho difficoltà a far conoscere il parere di coloro che dissentono e sono convinti che la “ Quanta cura” e soprattutto “il Sillabo” siano documenti quanto mai importanti sia per quei tempi sia per il nostro. Trascrivo le valutazioni che ho trovato in un articolo pubblicato sul giornale dei vescovi, l’Avvenire, il 26 agosto del 2000 cioè pochi giorni prima della beatificazione di Pio IX ( 3 settembre), dal titolo quanto mai eloquente: “Com’è moderno il “Sillabo”. Vi si legge: “Quel repertorio di brevi proposizioni, secche, precise, terribili, ebbe l’effetto di un macigno
piombato in un negozio di specchi (…) : un pugno diretto allo stomaco del mondo moderno (anzi al suo cuore) ... La semplice impostazione di condanna costituiva una sorta di prontuario per il credente: gli bastava fare il contrario per essere nella verità cattolica”. Viene sottolineato: “Pio IX lanciò un monito contro tutti gli “ismi” e solo noi, uomini del 2000, possiamo apprezzarne la lucidità”. L’articolista mette in guardia da errori di valutazione: “Giudicare il Sillabo senza conoscere niente del clima in cui maturò è come deridere i fucili ad avancarica
avendo l’occhio sulle moderne armi al laser .(…) Lo studio sereno e pacato non potrà non rivelare in esso il grido - profetico - di un pastore che dice al suo gregge: state attenti, quel che vi sembra “sol dell’avvenir” si rivelerà puro veleno”. (Rino Camilleri – l’Avvenire, pg. 23) UN MAGISTERO “SECOLARE” Non possiamo non menzionare l’ “Osservatore romano” che nello stesso giorno pubblicò un lungo articolo intitolato “Pio IX . Una parola chiara” a firma di Brunero Gherardini. Vi si precisa: “Nel Sillabo confluì un magistero secolare sull’inconciliabilità di due prospettive: l’antropocentrica e la teocentrica…. Il Sillabo non colpì nè condannò il progresso in quanto tale; ma i pericoli ai quali quel tipo di progresso esponeva la civiltà cristiana”. Non manca di richiamare anche gli storici cattolici ad una maggior obiettività. LA “BEATIFICAZIONE” IN CONTEMPORANEA DI DUE PAPI Mi sia consentito avanzare un interrogativo: è casuale l’abbinamento di due “beatificazioni”, rispettivamente di Pio IX (Giovanni Maria Mastai-Ferretti) e Giovanni XXIII (Angelo Roncalli) il papa “buono”, benvoluto da tutti, non solamente dai cattolici? Memorabile e commovente il suo improvvisato discorso della “carezza del Papa”, la sera del-
l’apertura del Concilio Vaticano II (11 ottobre 1962). Non sarà che da parte del Vaticano si è voluto con la presentazione di Papa Giovanni stendere un velo sulle resistenze e sopire le perplessità di quanti ritenevano non proponibile la “beatificazione” dell’autore del Sillabo? Ho trovato la risposta sempre nell’articolo (già ricordato) sul giornale dei Vescovi: “La beatificazione in contemporanea di due papi, Pio IX e Giovanni XXIII, mostra tangibilmente che la Chiesa è sempre la stessa; cambia solo il modo di predicare un identico messaggio a uomini di epoche differenti”. E aggiunge con una certa ironia (almeno così mi è parso): “Ma è quanto meno singolare osservare quante voci si sono levate a dichiarare il “gradimento”: questo Papa sì, quello no (…). Tanto per cambiare i più critici sono quelli a cui le beatificazioni dovrebbero importare meno, visto che sono dichiaratamente i più distanti dal mondo cattolico”. (Rino Camilleri, l’ “Avvenire” 26-VIII-2000) Termino con un’altra domanda: non sono forse più marcate le differenze che non le convergenze tra i due Papi? Qualunque sia la risposta, un fatto è certo e indiscutibile: sono entrambi “beati”. “Roma locuta est….”
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TRADIZIONI E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o
di Annalisa NOZIGLIA
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VERSO LE FESTE
Lo scioglimento del voto delle parrocchie a Montallegro secolare tradizione che a partire dal mese di maggio, mese peraltro dedicato alla devozione mariana, che le varie comunità parrocchiali del capitaneato di Rapallo si rechino a Montallegro in pellegrinaggio per quello che viene chiamato lo “scioglimento del voto”.
È
Secondo fonti locali, sono molti i motivi che inducono i fedeli delle valli circostanti a recarsi sul Monte Allegro per ringraziare la Madonna della protezione concessa ai nostri avi in momenti di grave pericolo. Ripercorrendo alcune fasi storiche della nostra terra sappiamo che tra il 1656 e il 1657 su Genova e su tutta la Liguria si manifestò una spaventosa epidemia di peste che uccise almeno un quinto della popolazione. A Rapallo, straordinariamente, la peste non si propagò, ci furono solo alcuni casi isolati. Rapallo poté dire di aver scampato il flagello della peste. Con queste parole i consiglieri del borgo marinaro, che si riunirono alla presenza del Capitano, espressero la loro gratitudine alla Madonna di Montallegro e decisero di sancire un voto perpetuo in ringraziamento: «Considerato che la S. V. del Monte Allegro ha con sì evidente miracolo conservato intatto questo luogo da ogni avversità hanno a perpetua memoria di ciò, ordinato di far solenne voto di perpetuamente santificare il giorno di detta Santissima Vergine facendo anche voto di recarsi al Santuario per portarvi un ex-voto». E’ noto a tutti che la domenica successiva le feste di luglio la comunità di Rapallo si rechi sul monte per onorare l’impegno preso. La documentazione storica evidenzia che non solo la parrocchia di Rapallo ogni anno, salga in pellegrinaggio a Montallegro ma che anche le piccole parrocchie delle frazioni abbiano la consuetudine di ascendere al santuario una volta all’anno. La Parrocchia di S. Maria del Campo, salì per la prima volta in pellegrinaggio a Montallegro nel 1662, portando un’offerta di lire 111,12. Le pratiche per eleggere N. S. di Montallegro quale protettrice di S. Maria iniziarono il 13 dicembre del 1736; i 129 parrocchiani, alla presenza del notaio Gerolamo Cagnone, approvarono l’iniziativa all’unanimità. Il patronato della Madonna di Montallegro fu concesso alla parrocchia di Santa Maria con Bolla Pontificia del 31 dicembre del 1739. Ancora oggi, ogni anno, si rinnova lo scioglimento del voto: i parrocchiani salgono al Santuario per ringraziare la Madonna che preservò dalla peste i nostri avi, e per le tante grazie che continua generosamente a concedere. I fedeli oltre alle offerte portano una “mezza d’olio”, trenta litri, per mantenere sempre ac-
cesa la lampada votiva che si trova nel Santuario. La domenica precedente il pellegrinaggio si è soliti fare una raccolta straordinaria per racimolare offerte e olio per la lampada, sempre una settimana prima i “massari” si occupano della botte dell’olio. La botte, peraltro molto antica, essendo di legno deve essere immersa nell’acqua e tenuta bagnata affinché il legno si gonfi e al momento opportuno non perda il suo prezioso contenuto. I nostri nonni ci raccontano che ai loro tempi l’olio era un bene pregiato, era il frutto delle giornate di duro lavoro trascorse nelle fasce, simbolo di grande sacrificio ed era una vera e propria fatica dal punto di vista economico per le famiglie privarsene, ma per la Madonna di Montallegro il sacrificio si trasformava in gioia e non c’era famiglia che, secondo le proprie possibilità, non ne donasse un poco. Una volta preparata e riempita la mezza è tradizione che uno dei “massari” se la carichi in spalla appoggiandola su un sacco chiamato “U pagettu”; poi, in processione lungo il viale, i devoti accompagnati dal parroco ascendono al Santuario dove il Rettore e i “massari” del santuario accolgono la comunità e ritirano la mezza il cui olio servirà per far ardere il cero votivo. La Parrocchia di Santa Maria sale in pellegrinaggio al Santuario tradizionalmente la prima domenica di maggio, quest’anno è stata la trecentoquarantanovesima volta! Anche le parrocchie di San Pietro, San Massimo, San Lorenzo, Foggia, tra le molte altre, adempiono annualmente lo scioglimento del voto, questa rimane nel tempo una delle tradizioni più importanti e caratteristiche delle varie comunità. Tutto ciò è humus fondante della nostra tradizione e ci au-
guriamo che le future generazioni continuino a compiere questi gesti votivi che per noi e i nostri avi tanto signifi-
cano, in memoria di quella ma- terna protezione che la Madre Celeste non ci ha mai negato.
Il proverbio del mese... e della polemica Pescoéi da canna, caccioéi da visco, stramuéi da Cristo: belinoin coscì no n'ho mai visto Pescatori da canna, cacciatori da vischio, traslocatori da Cristo: persone così sciocche non ne ho mai viste. «In piazza San Lorenzo i portatori del Cristo - moro - con le facce serie, scolpite, si allenavano in attesa della partenza. A turno reggevano il Cristo, conficcando la punta della Croce nell'apposita guaina del cinturone di cuoio. Chi si intende di queste cose sa che il momento più difficile è quello nel quale si cambia il portatore: avviene cioè uno stramûo. Uno del gruppo, uno specialista che si chiama stramùou, afferra l'asta della Croce e a braccia la tiene sospesa, sino a che è pronto il portatore che da il cambio a quello precedente; il peso complessivo da reggere a braccia tese è di oltre un quintale e non si tratta di un sacco ma di un oggetto che mantiene con estrema difficoltà il suo equilibrio» (dal Giornalaio di Nelio Ferrando). Per ottenere il privilegio di portare il Cristo si partecipava in parrocchia ad una specie di asta e il Cristo veniva assegnato al maggior offerente. Si racconta che l'orologiaio Oscar Linke, provenendo dalla Svizzera, incontrasse alle porte di Genova una processione. Chiese «Quanto li pagano quei portatori?» Gli fu risposto che erano loro pagate. «Questo è il posto giusto per il mio commercio» decise il Linke. E aprì negozio in piazza De Ferrari. Poco o nulla redditizio è anche passare lunghe ore su uno scoglio a pescare con la canna: tutt'al più si metterà nel bugliolo qualche ghigione, qualche zigurella e due o tre teste nere, insufficienti a compensare la spesa per l'esca. Sono attività del tutto improduttive. Da “I proverbi dei genovesi” di Nelio e Ivana Ferrando ed. Sagep - Genova, 1984
CINEMA E c o d e l g o l f o Ti g u l l i o
di Luciano RAINUSSO
AL CINEMAin
Desdemona: “Che scriveresti di me, dovendo fare il mio elogio?” Jago: “Non me lo domandate, signora. Io non sono che un critico.”
diagonale
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William Shakespeare, Otello
Nessuno mi può giudicare
Il cigno nero di Darren Aronofsky
di Massimiliano Bruno Le prime escort sullo schermo con questa commedia alla cui regia ha provveduto un esordiente attivo da anni in cinema teatro e televisione. Formano un nutrito gruppo di belle ragazze, tutte in abitino nero, corto e senza spalline. Fanno quello che sappiamo per qualche migliaio di euro, frequentando politici e imprenditori, non più giovani, ma danarosi e dotati di vizietto. Il film però si occupa prevalentemente di una di loro: una ricca cafona che, alla morte del marito intrallazzatore, si ritrova sul lastrico, piena di debiti e con un figlioletto da mantenere. La necessità di sbarcare il lunario la spinge a farsi escort. (Oggi, non occorre molta fantasia per inventare una storia che faccia ridere, partendo da certe realtà del nostro tempo). Occorre dire che il film è abbastanza scorrevole, si mantiene lontano dalla volgarità, ma non si perita di saziarsi alla tavola dell'ovvio. Soprattutto quando inscena il mondo della borgata, dove le persone hanno mille problemi ma sono felici, extra-comunitari compresi. Paola Cortellesi non si risparmia e si capisce la fatica che compie nel sostenere un personaggio assai lontano dalle sue caratteristiche fisiche ed espressive. Assai meglio Raoul Bova, proletario cuore-d'oro, sorprendente per genuina naturalezza.
Pure qui il corpo umano, come nel precendente film di Aronofsky, The Wrestler, dove un lottatore non più giovane e colpito da infarto, rischiava la vita, tornando sul ring per un nuovo incontro. Ora, il corpo di una ballerina di danza classica, meraviglia per abilità e sacrificio, ma che, preda di misteriose ossessioni, si cimenta nell'antitetico duplice ruolo (il Bene e il Male) de “Il lago dei Cigni” di Ciaikowskij. Un impegno estremo per il suo fisico e la sua mente avviata alla follia. Una favola nera, se vogliamo, dove la danza in tutù è ben lungi dall'essere soltanto levità e poesia. Se nel citato The Wrestler Aronofsky rinunciava alle soluzioni horror presenti in altri suoi film, qui torna ad affondarvi le mani, appesantendo non poco la vicenda, già densa di suo, per le insolite psicologie delle varie figure che lʼattraversano: un'opprimente madre, ex ballerina senza successo, una collega corrotta ed astiosa, nonchè un coreografo che pretende l'impossibile. Eccellente sul piano spettacolare, il film deve molto alla bravura della protagonista, una Natalie Portman che, nel ballo, si fa doppiare più volte, sebbene abbia studiato danza per diversi anni, ma che vive con disperata intensità il dramma del suo personaggio. Nel ruolo della madre una ritrovata Barbara Hershey, indimenticata Maria Maddalena ne L'ultima tentazione di Cristo di Martin Scorsese.
Il gioiellino di Andrea Molaioli Una vera storia di finanza creativa made in Italy. Riguarda un'azienda agro-alimentare tra le maggiori del nostro paese che viene portata alla rovina dai suoi dirigenti sgraffignatori ed incapaci, quasi tutti imparentati tra loro. Forse una metafora sul destino di certo capitalismo nostrano dal respiro corto e dalla gestione sempre poco chiara. Condotto con efficacia di linguaggio e sempre calato in unʼatmosfera dai toni grigiastri, il film porta la firma di un regista alla sua seconda prova. (L'esordio avvenne qualche anno fa con La ragazza del lago, un buon thriller con poca azione che ambientava nel Friuli il romanzo di una scrittrice norvegese, sull'uccisione di una giocatrice di hockey). Qui si rinvengono echi di un nostro cinema del passato: quello di denuncia di Francesco Rosi, ma soprattutto dei film provinciali del mai dimenticato Pietro Germi. Regista di attori, Molaioli cava il meglio da loro, creando personaggi molti umani. Con un Servillo da tragedia moderna, Remo Girone, di sicuro alla sua migliore prova sul grande schermo, e l'emergente anglo-americana Sarah Felberbaum, unica dirigente aziendale con laurea, ma ovviamente disposta a tutto.
Il Grinta di Ethan e Joel Coen Quasi un remake dell'omonimo film girato nel 1969 ricordato soprattutto per la superba interpretazione dell'allora sessantaduenne John Wayne, una delle poche vere icone del genere western. Di polvere, in quarant'anni, se n'è posata a iosa sulle desertiche pianure del West e il genere cavallo-pistola ha subito inevitabili cambiamenti, in parte anche per i nostri western-spaghetti. Se la vicenda del film originale è rispettata quasi alla lettera, in questo rifacimento personaggi e situazioni rivelano un ben diverso impasto, reso più gustoso dall'umorismo che i fratelli Coen hanno sempre profuso nei loro film. (Da ricordare tra questi: Fargo e Non è un paese per vecchi, autentici capolavori). Un umorismo nero particolarmente adatto a descrivere i giochi del caso che sempre governa la vita degli uomini. Persino quella dei due protagonisti del film: il miserabile sceriffo con un occhio solo e l'intrepida ragazzina che a lui si rivolge per portare sulla forca l'assassino di suo padre. Jeff Bridges regge il confronto con il mitico Wayne. Straordinaria la giovanissima Hailee Steinfeld, meritatamente nominata all'Oscar, ma purtroppo non premiata.
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La lettera del mese
Gravero dimenticata da Dio e dagli uomini Spettabile Redazione, lo scrivente, Pietro “Rino” Barile, Rapallino di adozione (vivo nella nostra cittadina da oltre 60 anni) e milanese di nascita, ha letto con molto interesse l'articolo in merito alle frazioni. Senz'altro molto bello ed interessante, però, ci siamo dimenticati di una frazioncina, ormai abbandonata da quasi tutti, (vive ancora una famiglia) che si chiama Grè (Gravero). E' sita fra Rapallo e San Maurizio dei Monti, si trova a 700 metri dalla
Genova chiama Cina Quando, nel 2006, il Presidente della Regione Liguria si recò con la sua maximissione in Cina, avevo pensato che tutto fosse molto logico, anche per l'assonanza tra le due lingue, la cinese e la genovese. Sembrerà strano, ma molte parole del dialetto ligure paiono provenire dalla millenaria lingua dei Mandarini. Sentite qui (i termini liguri sono accorpati, il "ch" muta in "q") : Sun Za Qi , Mun Ta Sciù , Nughe Ne Ciù , Emu Za Detu , Ghe Ne Za , Ciù In Zu , Ghe Semu Za , An Cun Dasè , Tite Ciù Inlà , Ghe Pensu Mi (ogni riferimento ad un Personaggio nostrano è del tutto casuale..) , Ancun De Ciù , Dème Du Laite (questa è dell'estremo Ponente Ligure....). Sarà per l' "assonanza" sopra citata che all'Euroflora, Fiera Internazionale del fiore e delle piante che si tiene ad Aprile a Genova, si registra da qualche anno una sempre più massiccia presenza di visitatori cinesi?... Luigi Fassone
Moto, gabelle e fantasia Credo che la Liguria registri la più alta concentrazione di motociclette e motorini che in qualsiasi altra zona del globo terracqueo. E’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto che obbligherà a partire dal 14 luglio prossimo chiunque acquisterà un cinquantino a munirsi della nuova targa di sei caratteri che verrà abbinata al veicolo e risulterà sul certificato di circolazione insieme alle generalità del proprietario e alle caratteristiche tecniche del veicolo. Sono convinto che se,tra una targa e l'altra e tra un rimpasto di Governo e l'altro,si pubblicasse sulla stessa Gazzetta un decreto che rendesse obbligatoria una severa sanzione
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strada carrozzabile ed è una località amena, soleggiata e con vista di Rapallo e del mare. Molti anni or sono (1968) ho acquistato un rustico con annesso terreno ulivetato per potermi trasferire a risiedere in campagna con tutta la famiglia. Ho coinvolto altri amici ad acquistare altri rustici negli anni a seguire, in attesa che il Comune di Rapallo mi approvasse il progetto della strada carrabile che nel frattempo avevo presentato. Non andando bene il primo, ne ho presentato un secondo e poi un terzo, ma qualche cosa non andava bene all'amministrazione ed oggi, 2011, dopo 43 anni, io ne ho 71, sono diventato nonno ma, chissà perchè, di strada a Gravero non se ne parla, se non con un progetto attraverso la cava cosidetta “di Razeto”, inserita nel PUC, che ha qualche problema da risolvere. Nel frattempo, tutte, dico tutte, le case (rustici) di Gravero hanno il tetto sfondato e muri crollati per mancanza di manutenzione, vista la difficoltà di portare materiali e mano d'opera. Non so se si conosce la storia di Gravero, ma negli anni intorno al '700 era molto apprezzata per la presenza di un frate guaritore, certo Fra' Cavagnaro che era noto come taumaturgo che faceva impiastri con le
a chi pesa più di settanta chilogrammi, possiede motorini col motore ormai spompato,e si accinge ad affrontare una ligure salita, si farebbe opera meritoria, per l'ecologia tanto invocata e per le orecchie dei... viandanti ! lettera firmata
Tutto casa e chiesa La casa di Via Mameli, a Rapallo, che ha visto affiorare recentemente crepe profonde soprattutto nell’area esterna del cortile e nella zona di confine con la palazzina accanto, muove ad alcune considerazioni. La prima, ovvia, è che i tecnici dovranno valutare la causa del grave cedimento e provvedere a mettere in sicurezza l'area prima di continuare i lavori. La seconda, che si sia subito manifestato un "comitato" che è contrario alla costruzione della Chiesa di Sant'Anna, e si è dato il titolo significativo (online) "rapallo-via-mameli-petizione-zona-verde-impianto-sportivo-al-posto-della-chiesa" . Come se il programma di edificare una Chiesa capace di contenere, anche se la laicizzazione in corso nel nuovo secolo ne sta riducendo alla grande il numero,tutti i fedeli che tuttora vogliono partecipare ai riti Cristiani, fosse sbagliato. Una Chiesa contornata anche dal "verde", si badi bene. Come se l'umanità di Rapallo avesse soltanto bisogno di ritemprare il fisico con attività sportive e non abbisognasse, visto il marasma cui stiamo assistendo quotidianamente, di raccogliersi in "ispirito". Come se liberare le strade e le piazze della Città dalla ferraglia dei moderni barrocci, come intelligentemente hanno fatto già in altre Città affacciate sul mare, cito qui Montecarlo, fosse cosa errata... lettera firmata
Invitiamo i lettori a volerci segnalare suggerimenti, problemi. Pubblicheremo le vostre istanze, raccomandandovi la brevità dei testi per evitare dolorosi tagli.
Scriveteci a Redazione “IL MARE” via Volta 35 - 16035 Rapallo - E-mail: rapallonotizie@libero.it
erbe per curare malattie varie. Infatti si leggeva in vecchi manoscritti che le persone andavano in groppa a muli sino alla frazione. Se non si interviene velocemente, il tempo cancellerà parte della storia di Rapallo. Personalmente con gli amici di sempre siamo interessati a far rivivere e rivalutare la bellezza di un simile borgo magari facendolo conoscere attraverso un agriturismo o bed and brekfast, ristrutturando quei meravigliosi rustici, fra cui due frantoi, ma abbiamo bisogno di un aiuto anche dall'amministrazione del Comune a cui, sembra, non interessi assolutamente. Chissà se riuscirò a vedere realizzati i miei sogni prima di andare a risiedere definitivamenti in Via Cerisola. Con cordialità. Pietro “Rino” Barile
Giovedì 12 maggio 2011 è mancato Giuliano Gaggero, Massaro fondatore dell’Associazione Culturale Sestiere Seglio-San Rocco. Figura riservata, discreta, ma di rilievo nel contesto del sodalizio per esperienza, capacità, dedizione nell’organizzare la partecipazione dello stesso alle festività in onore di N.S. di Montallegro. Sino a quando le condizioni di salute glielo hanno permesso, ha saputo incarnare compiutamente la figura dell’autentico Massaro. Quanti momenti sereni, in allegria abbiamo trascorso insieme! Ota, con mestizia, ti scorgiamo nel novero dei massari amici che ci sono stati maestri. Ci rimane l’impegno, la promessa, lo spirito emulativo per essere degni testimoni della tradizione in cui tu hai tanto creduto e saputo onorare e perpetuare. Ciao, Giuli, arrivederci... Così ci piace salutarti e ricordarti Gli amici Massari di San Rocco
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ORIZZONTALI: 1.Un ristorante in passeggiata 8. Quartiere popolare di Genova 9. Stridore a Londra 10. Una delle creature inventate da Tolkien 11. Lo è il Savagna 13. Il nome della Gruber 15. Un ristorante lungo il Boate 17. Un romanzo di Stephen King 18. Nitroglicerina VERTICALI: 1.Raffaele, presidente del Rapallo 2. Don Salvatore, rettore del Santuario di Montallegro 3. La più grande azienda mondiale nel settore alimentare 4. Riconoscimento richiesto dalla focaccia col formaggio di Recco 5. Misura lʼintelligenza 6. Popolo guerriero proveniente dallʼAsia centrale 7. I confini dellʼEuropa 11. Al casinò: “..ne va plus” 12. Contrario di off 14. Lodato senza pari 16. Anita senza vocali
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LETTERE E NOTIZIE
di Renzo Bagnasco
Gargantua
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Spazio Aperto di Via dell’Arco Associazione di Promozione Sociale
GIUGNO VENERDÌ 3, ore 17.00
Incuria e fili scoperti Gentile Direttore, da tempo nelle aiuole del posteggio a pagamento di via M. Ignoto vi sono delle vaschette contenenti fili elettrici scoperti. Molti coperchi delle vaschette sono rotti o fuori posto, consentendo all’acqua piovana pericolose infiltrazioni, ma nessuno provvede alla sostituzione. Che si aspetta, che qualcuno resti fulminato? Grazie per l’attenzione. Paolo Cresci
Associazione Culturale A COALINN-A 9 GIUGNO Gita a Casale Monferrato in bus per visitare la città, la Sinagoga, e la glipsoteca. Pranzo e nel pomeriggio, prima di rientrare a Rapallo visita al Museo della battaglia di Marengo. 28 GIUGNO ORE 18 Sala-congressi hotel Regina Elena di Santa Margherita Incontro sulla poesia e la musica russa in occasione della presentazione della traduzione di Alfredo Bertollo del libro "Puskin e i Paesi Baltici" di Ninel Podgorna. Vi saranno interventi di quattro professori universitari slavisti. Seguirà cena nel ristorante dell'hotel.
Associazione Culturale
Caroggio Drito
10 GIUGNO 2011 - ore 18 Gran Caffè Rapallo Presentazione mostra di S. Fruttuoso “Storie di navi e relitti del promontorio di Portofino” Interventi di Alessandro Capretti, property manager dell'Abbazia di San Fruttuoso FAI, Emilio Carta, Lorenzo Del Veneziano, Carlo Gatti e Claudio Molfino con proiezione di filmato illustrativo 11 GIUGNO 2011 - ore 16,30 Villa Queirolo Dott. Roberto Bixio speleologo " Da Genova alla Turchia per vie sotterranee " 24 GIUGNO 2011 - ore 19,45 S. Tomaso Cena Conviviale
2011
Apertura: Martedi ore 12
Giugno
Giorno
SABATO 4, ore 17.00 Navi che hanno scritto la storia: le “Liberty Ships” Dalla Seconda Guerra Mondiale ai nostri giorni Emilio Carta, giornalista e scrittore; Carlo Gatti, Comandante di rimorchiatori portuali e d’altomare e Pilota del Porto di Genova Un “triangolare” di tennis Il film “Lui e lei” di George Cukor – 1952 [RISERVATO AI SOCI] a cura di Maria Grazia Bevilacqua Pelissa, giornalista
VENERDÌ 10, ore 17.00 Ardesia: storia di luoghi, persone e prodotti Remo Terranova, geologo, autore del libro “Le Ardesie della Liguria – dalla geologia all’arte”
SABATO 11, ore 17.00 Il tempo fugge Le macchine del tempo: dalle meridiane agli orologi atomici, il tempo e la società Diego Mecca, scrittore
SABATO 18, ore 17.00
CASARZA LIGURE Via Annuti 40 (Croce Verde)
MESE
INGREDIENTI: 12 carciofi teneri di Albenga, grana, 2 uova, ½ bicchiere d’olio extravergine, pangrattato e sale ESECUZIONE: Pulire e lessare i carciofi in abbondante acqua salata; sbattere le uova con il grana. Prima che siano completamente cotti, toglierli e tagliarli a fette; una volta freddati, immergerli nell’uovo sbattuto per passarli poi nel pangrattato. Friggerli, salarli adagiandoli poi su carta da cucina per “ asciugarli”
MERCOLEDÌ 8, ore 17.00
Per informazioni telefonare a 339-8688040 o 0185-291945
www.ac-ilsestante.it
Cotoletta di carciofi
I pizzi di Genova e di Santa Margherita Ligure Arte e tradizione del merletto a fuselli Luisa de Gasperi, presidente associazione “Amici del Tombolo” e Alberto Girani, direttore Ente Parco di Portofino con laboratorio/esposizione aperto fino al 11 giugno
Lunazioni, Stagioni e Segni Zodiacali
Ora.min. Descrizione
Mercoledì 01
23:02
Luna Nuova: 3A Lunazione dell’Opulenza (Eclissi parziale di Sole - non visibile dall’Italia)
Giovedì
09
04:10
Primo Quarto
Mercoledì 15
22:13
Luna Piena (Eclissi totale di Luna - visibile dall’Italia)
Martedì
21
19:17
Il Sole entra nel segno del CANCRO (o GRACNHIO): Solstizio d’Estate
Giovedì
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13:48
Ultimo Quarto
Le scuole pittoriche italiane dell’800 e il “dialogo” con Parigi Un lungo percorso dal Romanticismo alla Scapigliatura alla pittura dei Macchiaioli, mentre si fa l’Italia Antonetta De Robertis, insegnante di Storia dell’arte
MERCOLEDÌ 22, ore 17.00 La lezione di un grande amore Il film “I ponti di Madison County” di Clint Eastwood – 1995 [RISERVATO AI SOCI] a cura di Maria Grazia Bevilacqua Pelissa, giornalista
SABATO 25, ore 17.00 Storie di vita dalla posta militare Il percorso italiano delle truppe francesi verso Oriente, durante la 1a Guerra Mondiale Raffaele Ciccarelli, collezionista e studioso di storia postale