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N.2 2021 L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati personali in suo possesso. Tali dati saranno utilizzati per la gestione degli abbonamenti e per l’invio di informazioni commerciali. In base all’Art. 13 della Legge n° 196/2003, i dati potranno essere rettificati o cancellati in qualsiasi momento scrivendo a: INRETE S.r.l. Responsabile dati: Maria Ballatore Copyright Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte della rivista può essere riprodotta in qualsiasi forma o rielaborata con l’uso di sistemi elettronici, o riprodotta, o diffusa, senza l’autorizzazione scritta dell’editore. Manoscritti e foto, anche se non pubblicati, non vengono restituiti. la redazione si è curata di ottenere il copyright delle immagini pubblicate, nel caso in cui ciò non sia stato possibile, l’editore è a disposizione degli aventi diritto per regolare eventuali spettanze. Questo numero è stato chiuso in redazione il 14 maggio 2021
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INDICE DEI CONTENUTI
Ripartenza post Covid. Il futuro all’insegna del digitale
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Nino Testa: tra presente, passato e futuro
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GS1 Italy. #quellidelcodiceabarre a sostegno della tecnologia blockchain
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Storia di DUWO: la cassetta ecosostenibile, nata dalla visione avanguardistica di La Campania Plastica
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Lo status dello Stock del Pesce Spada nella di pesca di competenza
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Il progetto BAPSI e la tutela della biodiversità
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Alla scoperta di Blu Ocean e delle pescherie “Angolo di Porticello”
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E-Fish, il sistema telematico per gestire le aste dei mercati ittici, raccontanto dalla sua società ideatrice Go Infoteam
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Colatura di Gambero: un nuovo prodotto alimentare sostenibile
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Friultrota, innovatori da sempre
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Grande è la confusione sopra e sotto il mare, ma la situazione non è eccellente!
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ALASKA SEAFOOD
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La Banda Bassotti di Topolino o la Spectra di James Bond?
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BMTI e il Mercato telematico sperimentale dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura
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Il pesce allevato può essere definito anisakis free?
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Marpesca, tra passato e presente di un’azienda leader calabrese
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UE nuova strategia per il futuro dell’acquacoltura
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FRIEND OF THE SEA - La tracciabilità dei prodotti ittici è una necessità, non una scelta
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Il ruolo dell'ittico in GDO: Trend e prospettive
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Il Direttore
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Ripartenza post Covid. Il futuro all’insegna del digitale di Mariella Ballatore
Le speranze per il ritorno alla nuova normalità passano dall’innovazione e dalla digitalizzazione, dalla quale non è più possibile prescindere.
Il momento è decisivo, l’economia italiana si prepara alla ripartenza dopo il duro colpo inferto dalla pandemia. La fase attuale è quella che dal tamponamento della crisi ci porta verso il rilancio, la ripresa. Sulla linea della ripartenza trova spazio anche il settore ittico per il quale è arrivato il momento di comunicare fiducia, fiducia che ben sappiamo, da sola, non essere bastevole. Questa va corroborata con chiare prospettive di crescita. È pertanto il momento di mettere a sistema le competenze, acquisite prima della pandemia e consolidate durante il periodo emergenziale, per rispondere alle sfide del futuro. L’accelerazione della campagna vaccinale (secondo gli ultimi dati l’80% della popolazione sarà coperto prima dell’arrivo dell’autunno) ha generato il clima di ottimismo da cui attingere la giusta energia per ripensare a progetti di investimento, a nuovi perimetri e strategie di mercato così come pure alle giuste modalità per arrivare al consumatore. www.pesceinrete.com
La direzione imboccata è quella giusta, si va verso il ritorno alla normalità. Incognite e speranze si trovano rispettivamente sui due piatti della stessa bilancia e quell’umore in miglioramento generato dall’estate deve essere “sfruttato” per fare crescere la nostra economia. Se guardiamo al passato, la storia ci racconta che dopo una crisi si passa a una crescita economica: le persone sono più
propense a rischiare negli investimenti e a spendere. Il fervore che si registra è generato anche dall’erogazione dello scorso agosto del prefinanziamento del 13% delle risorse chieste al Recovery Plan, quasi 25 miliardi di euro che sosterranno l'attuazione del Pnrr italiano. Prove di assestamento, quindi, di un’economia nazionale che certo non può prescindere dalla capacità aziendale di individuare obiettivi consapevoli da realizzare a medio e a lungo termine il cui successo richiede un deciso cambio di mentalità, soprattutto sul fronte del digitale. Innovazione e cambiamento devono andare di pari passo. Il recente “Rapporto sul benessere equo e sostenibile (BES 2021)” realizzato dall’ISTAT scatta un’istantanea dell’impresa italiana ancora distante dalle opportunità offerte dal web. Secondo la ricerca, la distanza tra l’azienda e il digitale che si era decisamente accorciata durante il lockdown si è nuovamente dilatata. L’Italia (DESI 2020) in quanto ad utilizzo del digitale a livello europeo è quartultima davanti soltanto a Romania, Grecia e Bulgaria. L’emergenza sanitaria ci ha resi tutti più consapevoli dell’importanza fondamentale del digitale e della tecnologia ed ha permesso a molte aziende di “restare a galla”, ciò ci impone di andare avanti nella strada dell’innovazione.
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L'intervista
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Nino Testa: tra presente, passato e futuro di un’impresa con radici nella tradizione familiare e con lo sguardo rivolto all’avvenire di Gianpiero Margiotta
Abbiamo incontrato Nino Testa, responsabile della Gestione e dell’Innovazione di Testa Conserve
Raccontateci la vostra storia. Qual è il vostro legame col mare?
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Più che un legame è un destino. Sono almeno due secoli che la nostra famiglia, originaria di Ognina, vive del proprio lavoro, andando per mare. Sempre pescatori, passati, di generazione in generazione, dalle barche a vela a internet, con l’obbligo di inviare in tempo reale al MiPAAF i dati della cattura del tonno rosso per attendere la conferma della conta nel rispetto della quota assegnata. I cambiamenti sono rapidissimi e se non ci fossimo attrezzati per tempo, investendo in barche all’altezza dei compiti, in tecnologie e
in formazione, forse questa storia sarebbe stata raccontata al passato. Invece, il punto di svolta ha coinciso con il punto di massima crisi: il blocco della pesca del tonno rosso nel 2010, l’istituzione delle quote ICCAT, che regolamentando la cattura, hanno permesso alla specie di non estinguersi e di espandersi. Proprio quando tutto sembrava complicarsi,
lo spirito di famiglia, la tenacia dei vecchi pescatori hanno prevalso. In fondo, come sottintende la parola “impresa”, si va avanti solo credendoci e combattendo. Reagendo da imprenditori, abbiamo accettato la sfida di crescere, di adeguarci alle nuove situazioni, facendoci trovare pronti, con i mezzi giusti, a recepire le direttive nazionali ed europee. I risultati sono stati la logica conseguenza di due fattori: preparazione e determinazione. Famiglia è quasi un sinonimo di squadra con una dose superiore di senso del sacrificio. E tuttavia, non sarebbe bastato, se non avessimo imboccato la via della differenziazione, mettendo radici anche in terra. Lo stabilimento di Portopalo di Capo Passero ci permette, oggi, di avere il controllo assoluto della qualità e di tracciare il nostro tonno rosso e il nostro pesce azzurro dal momento in cui è in barca. Abbiamo così stabilito un rapporto di fiducia diretto e reciproco con i consumatori, rendendo onore alla frase che ci distingue: “Coltiviamo il mare” La vostra volontà di collaborare con il famoso chef Ciccio Sultano evoca un forte attaccamento all’identità siciliana. In cosa consiste la “sicilianità” di un prodotto? Quanto è un fattore differenziante nel mercato?
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Per rispondere potremmo citare Ciccio Sultano, che sottolinea sempre come in un prodotto di qualità c’è «tanto di natura e tanto di uomo». La sicilianità non è un fatto geografico, non basta vivere in Sicilia. Con Sultano ci accomuna una conoscenza della storia, un controllo assoluto della tecnica e la capacità di pensare al futuro, di innovare. Solo dopo aver assaggiato il prodotto, Sultano si è messo a disposizione con la sua creatività. Le salse, i due kit per la pasta alla buzzonaglia e Taratatà fino ad un vero e proprio secondo come lo sgombro in caponata nascono da un vero e proprio entusiasmo per la materia prima. Insieme abbiamo coniugato grande conserve e grande tavola. E se poi, il semplice fatto di essere siciliani ci ha aiutato a fare le cose bene, ringraziamo la provvidenza.
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Cosa vuol dire sostenibilità per Testa Conserve?
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Sostenibilità significa pescare nei limiti di taglia e di quantità consentiti nel rispetto delle norme e della risorsa mare e nel contempo garantire un’adeguata e dignitosa sostenibilità economica alle nostre aziende e ai nostri lavoratori. Il progetto di Testa Conserve nasce all’insegna della sostenibilità e dell’innovazione attraverso un percorso che cerca di coniugare i tre aspetti della sostenibilità (ambientale, economica e sociale) nel pieno rispetto dei dettami imposti dalla PCP (Politica Comune della Pesca). Quando parlo della Testa Conserve sottolineo sempre come la nostra azienda di trasformazione rimanga un’azienda di pescatori che per valorizzare il proprio pescato ha creato nuove opportunità di commercializzazione attraverso la trasformazione. Per capire il vero significato della parola sostenibilità, secondo gli orientamenti comunitari, dobbiamo prendere in considerazione il periodo 2007-2011, quando l'ICAAT e di conseguenza la UE decisero una ferrea politica di controllo e riduzione dello sforzo di pesca, determinando una drastica diminuzione del totale ammissibile di catture (TAC). Una riduzione che si è fatta sempre più stringente nel corso degli anni, al punto che la TAC italiana del tonno è passata da 3.176,10 tonnellate del 2009 a 1451,23 tonnellate del 2014 (meno della metà!). Di conseguenza, delle 68 imbarcazione italiane che nel 2008 erano autorizzate alla pesca a circuizione del tonno rosso ne sono rimaste solo 12. Con il decreto direttoriale 27 aprile 2010 del MIPAAF, veniva fissata una soglia minima del “totale ammissibili di cattura” (TAC) pari a 130 tonnellate che ciascuna imbarcazione a circuizione avrebbe dovuto possedere per essere autorizzata alla pesca del tonno rosso. L'Amministrazione italiana, per raggiungere tali obiettivi e rispettare i disposti di ICCAT ed UE in merito a quantità pescate e numero di imbarcazioni, non ha potuto che procedere a bandi di arresto definitivo delle imbarcazioni, non ha potuto che procedere a bandi di arresto definitivo delle imbarcazioni e a una concentrazione di quote in capo a poche unità navali, innalzando la soglia minima a 130 tonnellate. Si decise, quindi, attraverso accordi volontari tra le parti, il trasferimento delle quote individuali di cattura, nel totale rispetto di criteri di sostenibilità economica e di redditività delle imprese indicati dalla stessa ICCAT. Poche di quelle 68 imbarcazioni esistenti possedevano la quota minima delle 130 tonnellate e chi riuscì a rimanere, con grande coraggio e lungimiranza, dovette lottare per reperire la quota necessaria al raggiungimento di tale soglia prefissata oltre a sostenere gli investimenti necessari e riorganizzare la propria azienda.
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Quella che abbiamo condotto è stata una lotta per la sopravvivenza e la permanenza in questo settore. Accettammo le nuove restrizioni con difficoltà, consapevoli però che sarebbero state indispensabili per salvaguardare il tonno rosso dall’estinzione. Il cambiamento ci faceva comunque paura perché ci obbligava a operare, pensare e concepire in maniera diversa il nostro lavoro. Per le 12 imbarcazioni che rimasero dal 2011 iniziò un nuovo periodo in cui, piano piano, ci si rese conto come il nuovo modo di operare cominciava a dare i suoi frutti sia dal punto di vista economico sia ambientale: i dati che provenivano dalla ricerca scientifica e dal mondo accademico cominciavano a essere incoraggianti. Per la riorganizzazione del nostro lavoro il passo successivo fu l’acquisto di una seconda imbarcazione, la “Futura Prima” che si affianca alla nostra motonave “Atlante”. La “Futura Prima” era stata fino al 2010 tra le imbarcazioni autorizzate alla pesca del tonno rosso, ritrovandosi invece esclusa non essendo riuscita a rientrare nel limite delle 130 tonnellate. Questo fu causa del tracollo economico dell’impresa di pesca proprietaria ed armatrice della stessa che aveva basato l'attività economico/finanziaria ed il piano di rientro degli investimenti sostenuti per la costruzione di tale imbarcazione sui proventi della pesca del tonno e del pesce azzurro. Con l'acquisto della “Futura Prima” è stato possibile raggiungere tre obiettivi: 1. organizzare il nostro gruppo di lavoro in base alle nuove esigenze; 2. salvaguardare il posto di lavoro all'equipaggio e ai precedenti proprietari (altra famiglia storica di pescatori) non disperdendo così le loro competenze; 3. riorganizzare quell’impresa di pesca appena acquisita all’insegna della sostenibilità, concetto che per noi iniziava ad assumere un significato di più ampio respiro. L’imbarcazione appena acquistata aveva dimensioni e capacità di pesca che ne garantivano la remunerabilità economica, affiancandola all’ “Atlante” nel breve periodo della cattura del tonno rosso tra fine maggio e giugno e dedicandola alla pesca del pesce azzurro (sgombro, alici, sarde ecc.), nei rimanenti mesi.
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Grazie al progetto di conservazione e trasformazione del pescato siamo riusciti a limitare lo sforzo di pesca del pesce azzurro dando "valore aggiunto" a un prodotto comunque di qualità che, non sempre, sul mercato trova un prezzo adeguato. Nasce così il progetto Testa Conserve, basato sullo stabilimento di proprietà a Portopalo di Capo Passero. Come si vede, il tema della sostenibilità ha vaste implicazioni, toccando il futuro delle aziende, la vita dei propri dipendenti, senza dimenticare il significato più comune di sostenibilità ambientale. Da questo punto di vista, il nostro impegno non si limita al rispetto delle quote ICCAT, ma coinvolge ogni aspetto sensibile: dalla raccolta differenziata in mare, all’abolizione della plastica da ogni confezione, all’uso di olio extra vergine di oliva per la conservazione del tonno rosso e del pesce azzurro. Una scelta che invoglia i consumatori a “non buttare più” l’olio di conserva.
I dati disponibili mostrano come la PCP dell’UE generi risultati economici migliori nel Mare del Nord rispetto al Mediterraneo e come ancora sia preoccupante lo stato di difficoltà in cui versano parecchi pescatori, molti dei quali guadagnano ben al di sotto del salario minimo nazionale. Il problema è reale e allarmante! Trovo, pertanto, legittima la posizione assunta dai pescatori italiani nei confronti delle azioni UE per la tutela del mare. Ancora oggi, all’applicazione della PCP dell’UE non corrisponde un miglioramento delle condizioni di vita dei pescatori. Una situazione in contrasto con lo stesso principio guida della PCP che punta a raggiungere la sostenibilità attraverso un equilibrio tra i vari aspetti ambientale, economico e sociale. Ciò accade, perché per raggiungere gli obiettivi che la PCP si prefigge vengono imposti adempimenti e norme che, alle volte, risultano incompatibili e difficilmente applicabili. Credo che sia necessario rafforzare la possibilità di coinvolgere i diretti interessati nelle scelte dell’UE in modo che i loro pareri e le loro conoscenze siano presi in considerazione da chi ha il compito di decidere e dagli scienziati che elaborano i pareri scientifici. D’altra parte, un maggiore coinvolgimento dei diretti interessati permette di adottare misure che gli stessi possono meglio condividere, supportare e sostenere. Anche a livello politico serve una maggiore determinazione e capacità di affrontare i problemi della pesca, a tutti i livelli
istituzionali (europeo, nazionale, regionale) che tengano conto delle specificità legate alle nostre realtà locali, trovando un equilibrio ragionevole tra gli interessi dell'ambiente e quelli della pesca. In ogni caso, quando si discute del settore pesca bisogna ricordarsi che si parla comunque di “imprese” che devono salvaguardare la loro capacità di investire, generando lavoro, profitti e benessere. Considero, quindi, indispensabile una maggiore e sinergica concertazione di tutte le parti in causa da cui dipende il futuro di questa attività: operatori del settore, politica e mondo della ricerca. Qual è la vostra posizione in merito alla modalità di assegnazione delle quote tonno da parte dell'ICCAT? Ovviamente, si potrebbe pensare che la mia sia una posizione di parte, essendo tra le aziende armatrici di imbarcazioni autorizzate alla pesca del tonno rosso mediante il sistema a circuizione, in quanto assegnatarie delle quote tonno. Tuttavia, sono fermamente convinto che quelle restrizioni che dal 2008 abbiamo subito e sofferto, abbiano contribuito realmente a rendere la nostra pesca sostenibile sotto il profilo ambientale. Anche, se a prima vista, l’uso di grosse motonavi potrebbe indurre a pensare a un eccessivo sfruttamento di risorse, è vero proprio il contrario. Le imbarcazioni autorizzate alla pesca del tonno rosso con il sistema a circuizione, prelevano solo ed esclusivamente il quantitativo di tonno rosso che l’ICCAT stabilisce ogni anno per non stressare e sovrasfruttare la specie. Ci sono stati anni in cui tale TAC è stato diminuito e altri in cui è stato aumentato. Una variazione, sempre decisa
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I pescatori italiani molto spesso non accolgono di buon grado le azioni dell’UE volte a tutelare il mare e i suoi frutti e recriminano all’Europa una scarsa conoscenza del Mediterraneo. Vorremmo un vostro parere in merito.
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dagli esperti che monitorano costantemente lo stato di salute della specie. Ogni volta abbiamo prelevato solo nei quantitativi prefissati prima dell’inizio della campagna di pesca. Inoltre, non abbiamo alcun interesse nel prelevare più di quanto ci è stato assegnato e ciò per due ragioni. La prima è perché non è possibile farlo (su ciascuna delle imbarcazioni autorizzate per tutto il periodo della campagna di pesca viene imbarcato un osservatore ICCAT che controlla che il quantitativo prelevato sia quello assegnato alla singola imbarcazione e/o JFO). Tale controllo viene esercitato fino a quando il tonno raggiunge i siti di stabulazione e poi fino alla “mattanza”. La seconda è che l’esperienza ci insegna come pescare più tonno non equivale a guadagnare di più. La storia della nostra azienda ha dimostrato esattamente il contrario. Va, poi, sottolineato che il metodo di pesca a circuizione è un sistema di pesca realmente selettivo. La circuizione riduce al minimo la cattura accidentale di esemplari sotto taglia e non preleva altre specie ittiche non bersaglio. Infatti, le reti a circuizione, supportate dalla tecnologia, permettono di selezionare i branchi di tonni ed evitare così la cattura degli esemplari sotto taglia, consentendo l’immediato rilascio di eccessi di cattura oltre la quota permessa. In più, nonostante le limitazioni di cattura imposte, questa attività è riuscita a trovare una sua sostenibilità economica, perché tale prodotto trova il suo principale mercato di riferimento in quello giapponese, che ne riesce ad assorbire la quasi totalità, garantendone prezzi che valorizzano lo stesso prodotto. L’esperienza acquisita, ci ha, però, fatto capire come il mercato giapponese non sia un punto di arrivo, ma un punto di partenza verso nuove opportunità commerciali. Siamo consapevoli che il mercato giapponese da solo non sia sufficiente a garantire gli investimenti fatti oltre al fatto che non conviene mai concentrare i propri sforzi e i propri profitti solo in una direzione. La risposta è investire nel proprio territorio. Cito due esempi: il tonno delle nostre conserve è solo quello che peschiamo con la quota e che, a volte, per motivi organizzativi, non potendolo prelevare a bordo al momento in cui abbiamo la rete in mare, viene venduto al nostro commerciante – al momento del passaggio del tonno dalle reti alla gabbia che lo trasporterà nei siti di stabulazione - per poi riacquistarlo dopo la “mattanza”. Se osservate i barattoli delle nostre conserve di tonno, questi riportano il numero di BCD (Bluefin tuna Catch Document) che è un identificativo del tonno rosso, una specie di carta di identità, che ne racconta la sua storia garantendone la tracciabilità in tutte le fasi dal mare alla commercializzazione sino alla tavola dei consumatori. Da qualche anno, insieme ad altre società armatrici di
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imbarcazioni tonniere, stiamo lavorando per realizzare delle farm in mare (a largo della Sicilia) per l’ingrasso del tonno, attività che adesso viene svolta esclusivamente all’estero (Malta e Spagna in prevalenza). La realizzazione di queste farm avrebbe, certamente, un’importante ricaduta occupazionale, aprendo nuovi mercati locali, nazionali ed esteri per la commercializzazione del tonno fresco e frozen. Quanto stiamo già facendo noi e altri colleghi richiede sforzi e sacrifici. Mi rammarica che, da alcune parti, quando si parla dell’attività, svolta dalle nostre aziende armatrici le cui navi sono assegnatarie di quote tonno, piuttosto che riconoscerne i grandi sforzi non solo economici ma anche di impegno per promuovere nuove abitudini e modi di pensare (nel senso di recepire e applicare il concetto di sostenibilità) si preferisce banalizzare e denigrare questa realtà imprenditoriale, modello di sviluppo per le imprese di pesca, definendola, addirittura, una “lobby” che opera in regime di monopolio. E mi dispiace che queste posizioni vengano anche sostenute da alcuni schieramenti politici. Ciò non rende giustizia a un percorso intrapreso e condotto nel pieno rispetto delle regole. Mi chiedo quale sia la colpa di queste imprese che da generazioni esercitano l’attività di pesca del tonno a circuizione, che hanno lottato per sopravvivere alle drastiche limitazioni imposte e che piuttosto di farsi allettare dai contributi economici che venivano stanziati dalla UE per incentivare le demolizioni (e ridurre così la flotta tonniera) hanno preferito continuare a credere nel proprio lavoro e nel fatto che questo potesse essere condotto anche con criteri ed approcci nuovi nel rispetto dell’ambiente e delle imprese. Nei mesi scorsi è stato approvato alla Camera dei Deputati l’emendamento 19.101 all’art. 19 del Testo unificato – A. C. 1008-1009-1936-A c.d. Testo Unico Ittico con il quale - in merito alla gestione delle quote tonno – con il quale viene messo in discussione un principio fondamentale, stabilito in sede internazionale (ICCAT) e su cui si basa l’attuale ripartizione delle quote tonno, vale a dire: “il principio di stabilità relativa”. Rinunciare al principio di stabilità relativa e al contemperamento dello stesso con il principio di equità significa rimettere in discussione le modalità di ripartizione dell’intero contingente di cattura del tonno rosso e venir meno ai principi dettati dall’ICAAT e dall’Unione Europea dal 2008 ad oggi. Va sottolineato come il complessivo “riassetto” del sistema tonno e la conseguente ripartizione delle quote, scaturiti dai provvedimenti emessi nel periodo 2008-2011, ancora oggi adottati, hanno trovato, tra l’altro, legittimazione in diverse sentenze del TAR Lazio, della Corte Costituzionale e del Consiglio di Stato. Se tale emendamento dovesse essere approvato anche al Senato, verrebbe rimesso in discussione il criterio di ripartizione delle quote. E ciò avrebbe drastiche ripercussioni
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sulle nostre attività, vanificando tutto quanto costruito in questi anni. Queste iniziative della politica, mostrano una scarsa conoscenza della problematica. Contestualmente alla proposta degli emendamenti di modifica si dovrebbe prima capire quali siano i nuovi criteri di ripartizione che si intendono adottare in sostituzione di quelli attuali. Certamente, allargando le maglie nei criteri di ripartizione della quota, si darebbe accesso a tante altre imbarcazioni da pesca, offrendo a queste ultime una boccata di ossigeno. Ma siamo certi che ciò inneschi un processo virtuoso facile da monitorare e in linea con le disposizioni dell’UE per il rispetto dell’ambiente e della sostenibilità economica delle aziende? Senza dimenticare che la legislazione in materia di tonno rosso sia di esclusiva competenza di ICAAT ed Unione Europea. E con questo nuovo metodo di ripartizione delle quote in che modo si pensa di poter tutelare e non danneggiare quelle aziende (attuali assegnatarie di quote tonno) che da anni hanno intrapreso un percorso imposto con il quale hanno dovuto fare i conti? Penso che ogni sistema sia perfettibile e migliorabile così come certamente lo è l’attuale metodo di ripartizione delle quote. Però prima di cambiare occorre avere chiari i metodi
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e le procedure con cui si vuole realizzare e strutturare questo cambiamento. Anche in questo caso, penso che sarebbe stato importante un coinvolgimento dei diretti interessati. Sono certo, che con un confronto scrupoloso, attento e competente si possa trovare il modo di migliorare l’attuale sistema di ripartizione delle quote tonno, tutelando gli investimenti e gli interessi di chi già da tanti anni ha creduto ed investito in questa attività e nel contempo venire incontro alle istanze di chi rivendica la possibilità di usufruire di queste quote. Secondo voi quale sarà il futuro della pesca in Italia? Il mare è una risorsa e la pesca da sempre ha costituito un modo attraverso il quale l’uomo ne ha potuto usufruire. Pertanto, è doveroso intravedere per la pesca un futuro migliore e certo con la consapevolezza che la varietà dei mestieri con cui la si esercita rende indispensabile il riconoscere la regola che ogni problema prevede una soluzione diversa e che non esiste una soluzione unica per tutte le questioni. La necessità di confrontarsi va di pari passo con una duttilità di pensiero e di azione.
BluFish è un progetto promosso da Marine Stewardship Council (MSC) per promuovere la sostenibilità della pesca nel Mediterraneo, uno dei mari più sfruttati al mondo.
BluFish è realizzato grazie al supporto della Fondazione Mava. Scopri di più su www.msc.org/it
Illustrazione di Pierre Bourrigault/2021
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Attraverso un approccio partecipativo, BluFish lavora con le attività di pesca, principalmente del Sud Italia e delle Isole, per identificare insieme pratiche e azioni concrete di miglioramento delle attività di pesca per una rotta verso la sostenibilità.
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#quellidelcodiceabarre a supporto della tecnologia blockchain La crescente attenzione dei consumatori nei confronti dei dati riguardanti la trasparenza e la tracciabilità dei prodotti, e la conseguente necessità di creare filiere più efficienti e sicure, richiedono l’utilizzo di tecnologie innovative: una soluzione di grande attualità è data dalla blockchain.
Blockchain e interoperabilità Una blockchain è un registro distribuito che cataloga le transazioni in modo immutabile e secondo un ordine cronologico. I dati iscritti in un registro blockchain e i soggetti abilitati alla visualizzazione dei dati archiviati variano a seconda del sistema che si decide di adottare. Quando un settore decide di ricorrere a un registro distribuito al fine di assicurare un livello di affidabilità e trasparenza non ottenibile con altre tecnologie, occorre analizzare e garantire l’interoperabilità delle soluzioni di tracciabilità basate sulla blockchain. Per interoperabilità si intende la capacità di diverse soluzioni di collegarsi e comunicare tra loro anche se sviluppate all’interno di ecosistemi separati.
Per saperne di più: Visita il nostro sito
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GS1 Italy e la comunicazione di filiera
È il momento di riunire produttori e distributori per delineare un cammino che porti ciascun settore ad adottare modalità di scambio dei dati che siano interoperabili, basate su standard e scalabili in funzione degli sviluppi futuri. Da 45 anni GS1 promuove la collaborazione tra organizzazioni proprio per affrontare questo genere di sfide.
Noi di GS1 Italy crediamo che non ci sia comunicazione senza standard, non ci siano standard senza collaborazione e non ci sia collaborazione senza GS1. Rimani in contatto con noi: gs1it.org/ittico
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GS1 Italy supporta l’interoperabilità attraverso standard diffusi in tutto il mondo, primo fra tutti il GTIN del codice a barre, ed è pronta a soddisfare le nuove esigenze imposte dall'evoluzione del settore, tra cui quelle legate all’integrazione della blockchain.
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Storia di DUWO: la cassetta ecosostenibile, nata dalla visione avanguardistica di La Campania Plastica di Davide Ciravolo
Concepita per ridurre l’inquinamento da polistirolo in mare, oggi DUWO si pone come strumento necessario a tutela dell’ambiente marino e non solo La Campania Plastica, storica azienda dell'agro nocerino sarnese, ha sviluppato una soluzione per risolvere i problemi ambientali per quanto concerne gli imballaggi alimentari e soprattutto la conservazione, nello specifico la conservazione del pesce. Si tratta di DUWO, cassetta realizzata con l’obiettivo di ridurre drasticamente il problema dell'inquinamento da polistirolo nel mare. La cassetta è dotata di microchip per la tracciabilità della filiera del pesce e della cassetta stessa in modo da garantire freschezza e un prodotto di eccellenza per il consumatore. Con il plauso ricevuto dal dipartimento IRBIM-CNR di Ancona, tramite la cassetta DUWO, La Campania Plastica si colloca a tutti gli effetti in un mondo sempre più votato all’ecosostenibilità. Nata nel 1987 nell'agro nocerino sarnese in provincia di Salerno, La Campania Plastica si pone come industria di stampaggio packaging nel settore ortofrutticolo. Fin da subito, il fondatore dell’azienda, Dante Mele, grazie al suo solido background tecnico inventa un packaging completamente composto da materiale riciclato e destinato al settore ortofrutticolo, ponendo essenzialmente le basi, già trent’anni fa, a quello che oggi la legge impone per avvantaggiare l’economia circolare. Dante Mele, però, non si è mai fermato, mettendo a punto nel corso degli anni nuove tecniche di stampaggio e vari modelli, sempre rivolti al mercato ortofrutticolo. www.pesceinrete.com
Nel 2010, dopo anni di focus sull’ortofrutta, il fondatore di La Campania Plastica si cimenta della progettazione di quella che sarebbe stata la prima cassetta DUWO, cassetta in grado di sostituire il polistirolo e dedicata questa volta sia al settore del pesce che al contenimento di mozzarelle. Nella fattispecie, occorre sapere che il polistirolo, si configura come materiale altamente inquinante per i nostri mari, in quanto di facile frantumazione.
Erano anni, però, nei quali la visione avanguardistica di Mele non era ancora ben compresa dal mercato, ancora non troppo legato a tematiche come l'ecosostenibilità, oggi più attuali che mai, e l’economia circolare, preferendo l’ormai quasi debellata modalità dell’usa e getta. Il progetto di Mele torna in auge nel 2019, quando temi come l’inquinamento del mare da polistirolo, economia circolare ed ecosostenibilità' sono ormai non più ignorabili e il progetto della cassetta DUWO diventa oggetto di uno studio di fattibilità e di inserimento nel mercato. Le prime prove hanno luogo sulle imbarcazioni della marineria di San Benedetto del Tronto, prima marineria a fare una richiesta inerente alla sostituzione del polistirolo nelle cassette. Una volta messo a punto il progetto della cassetta, si fa strada l’esigenza di trovare una modalità tramite cui tracciare le cassette, che si risolve tramite l’inserimento di un cip rfid riscrivibile, un coperchio portaghiaccio e una card per lo scambio di imballaggio. Tutto questo accade nel 2020, quando le cassette DUWO vengono sperimentate con grande successo anche sui pescherecci del porto di Ancona. L’anno della pandemia ha però reso difficile la partenza di questo progetto, che inizia adesso a muovere degli importanti passi all’interno del circuito dei ristoranti e delle pescherie del territorio italiano. Nel futuro, lo sguardo di La Campania Plastica è rivolto verso i mercati esteri, ma non prima di essere entrati, con DUWO, capillarmente all’interno del mercato italiano. Usare DUWO, sistema brevettato PCT, è una scelta consapevole in termini di risparmio economico, migliore conservazione del pescato ed ecosostenibilità, con la prospettiva di cambiare la cultura del packaging, ancora troppo legata al modello usa e getta.
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Lo status dello Stock del Pesce Spada nella di pesca di competenza di Pierluigi Monticini
Lo Xiphias gladius è l’unica specie appartenente alla Famiglia Xiphidae, si puo facilmente identificare per la tipica forma del corpo e del caratteristico muso allungato. Dal punto di visto sistematico la classificazione corretta risulta essere la seguente: Xiphias gladius (Linnaeus, 1758),
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La specie ha una diffusione cosmopolita nelle aree temperate e tropicali degli oceani, Si tratta di una specie pelagica oceanica la quale ha un optimun di temperatura che va dai 18 ai 22 gradi celsius. Trattassi di un predatore opportunista con un elevato range di prede a livello pelagico, si nutre di un'ampia varietà di prede tra cui anche prede di fondo, pesci pelagici, pesci di acque profonde ed invertebrati. La specie e molto adattabile e puo cacciare sia a notevole profondità oppure vivere al di fuori del proprio range di temperatura.
Lo Xiphias gladius puo raggiungere taglie di tutto rispetto, fino ai 4 metri di lunghezza e piu ,ed un peso superiore ai 500 kg. È una specie di notevole interesse commerciale in quanto viene catturata in almeno 14 delle FAO Major Fishing Areas, tra queste quelle di competenza della ICCAT (International Commission for the Conservation of Atlantic Tunas) come la 31, 34, 47, 41 ed infine la 37 che riguarda il Mar Mediterraneo ed il Mar Nero.
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http://thewonderingtuna.blogspot.com/2013/11/priorities-for-iccat.html.
La ICCAT, utilizza delle Sampling Areas and Stock/Statistical Areas per gestire in modo piu uniforme e organico i vari stock di pesce e per semplificare i dati statistici. Per quanto riguarda lo Xiphias gladius, ICCAT suddivide la propria area di competenza in tre zone, ad ognuna delle quali occupata da uno stock differente di pesce spada. Ha assegnato il codice SWO alla specie (Sword fish appunto) indicando i tre differenti Stock code: - SWO-N relativo allo stock Nord Atlantico, - SWO-S relativo allo stock Sud Atlantico, - SWO-M relativo allo stock del Mare Mediterraneo. (la classificazione in Sub-area di pesca, utilizzate già per le specie di tonno non risulta ancora dal sito di ICCAT operativa). Lo status dello stock per quanto riguarda il Pesce Spada è stato effettuato in un singolo documento per quanto riguarda i due stock atlantici, mentre per quanto riguarda lo stock del Mediterraneo è stato fatto uno studio a parte: - https://www.iccat.int/Documents/SCRS/ExecSum/SWO_
ATL_ENG.pdf; - https://www.iccat.int/Documents/SCRS/ExecSum/SWO_ MED_ENG.pdf.
Status dello Stock Atlantico L´ ultimo report disponibile è relativo alla valutazione del 2017. Sia per quanto riguarda lo stock Nord che per quello riguardante lo stock Sud, alcuni dei dati sono stati, in passato influenzati dai cambiamenti tecnologici e nella gestione delle attrezzature di pesca. Le catture totali stimate nell´ Atlantico (totale sbarcato piu discards) di Xiphias gladius nel 2018 sono state pari a 19,262t inferiori del 7,1% rispetto alle catture del 2017 pari a 20.726t. Alcuni paesi membri (Contracting Parties) non hanno ancora comunicato le catture 2018 inoltre a causa di catture non dichiarate il valore di cui sopra dovrebbe essere considerato parziale e considerato oggetto di ulteriore revisione. Rispetto al Discards, dal 1991, pochissime flotte hanno segnalato il fenomeno. Per l'Atlantico settentrionale il volume dei rigetti dichiarati varia da un minimo di 157t nel 2009 a un massimo di 1.138t nel 2000, con 150t dichiarate per il 2018. Per l'Atlantico meridionale il volume dei rigetti dichiarati varia da un minimo di 1t in diversi anni fino a un massimo di 147t nel 2010, con 27t segnalate per il 2018.
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La ICCAT è una Organizzazione Intergovernativa la quale è responsabile del sistema di Gestione e della Conservazione delle specie di Tonno e affini nelle acque dell’Oceano Atlantico e nei mari adiacenti.
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North Atlantic stock: Nell'ultimo decennio, le catture stimate del Nord Atlantico (sbarchi più discards) sono state in media di circa 11.245 t all'anno. Il pescato nel 2018 (8.858t) rappresenta una diminuzione del 56,2% rispetto al picco del 1987 negli sbarchi del Nord Atlantico (20.238t). Questi sbarchi si sono ridotti a causa delle raccomandazioni (normative) dell'ICCAT e ai cambiamenti nella distribuzione delle flotte, compreso il movimento di alcune navi verso l'Atlantico meridionale o fuori dall'area di competenza ICCAT.
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Per quanto riguarda lo status dello stock sono state utilizzate tre differenti piattaforme di valutazione, mentre lo stock è stato determinato da modelli statistici principalmente per fornire continuità con le valutazioni precedenti. I dati principali si possono riassumere nella tabella sotto, per quanto riguarda i dati completi o informazioni piu dettagliate si puo fare riferimento ai link indicati in precedenza:
Relevant data
North Atlantic stock
Maximum Sustainable Yield
13,059 (11,840-14,970)
BMSY
82,640 t (51,580-132,010)
FMSY
0.17 (0.10-0.27)
Relative Biomass (B2015/BMSY)
1.04 (0.82 - 1.39)
Relative Fishing Mortality (F2015/FMSY)
0.78 (0.62-1.01)
Stock Status (2015) Management Measures in place
Overfished: No Overfishing: No TAC (2018-2021): 13,200 t – Rec. 17-02
Minimum legal size
125/119 cm
Ref: https://www.iccat.int/Documents/SCRS/ExecSum/SWO_ATL_ENG.pdf.
South Atlantic Stock
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Dopo il 1980, gli sbarchi sono aumentati continuamente fino a raggiungere un picco di 21.930 t nel 1995, livelli paragonabili al picco dell'Atlantico settentrionale (20.238 t nel 1987). Questo aumento degli sbarchi è stato in parte dovuto al progressivo spostamento dello sforzo di pesca verso l'Atlantico meridionale, principalmente dall'Atlantico settentrionale, nonché da altre acque. La riduzione delle catture dopo il picco del 1995 è stata determinata dai regolamenti ICCAT ed è stata in parte dovuta allo spostamento verso altre aree di pesca. Nel 2018, le 10.404t
di catture dichiarate erano inferiori di circa il 53% rispetto al livello riportato nel 1995. Per quanto riguarda lo status dello stock sono state utilizzate due differenti modelli statistici mentre lo stock e le proiezioni future sono stati determinate da modelli statistici ad elevata sensibilità. I dati principali si possono riassumere nella tabella sotto, per quanto riguarda i dati completi o informazioni piu dettagliate si puo fare riferimento ai link indicati in precedenza:
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Relevant data
South Atlantic stock
Maximum Sustainable Yield
14,570 (12,962-16,123)
BMSY
52,465 t (35,119-80,951)
FMSY
0.28 (0.17-0.44)
Relative Biomass (B2015/BMSY)
0.72 (0.53 - 1.01)
Relative Fishing Mortality (F2015/FMSY)
0.98 (0.70 - 1.36)
Stock Status (2015) Management Measures in place
Overfished: Yes Overfishing: No TAC (2018-2021): 14,000 t – Rec. 17-03
Minimum legal size
125/119 cm
Quindi come si puo vedere per entrambi gli stock di Pesce spada abbiamo sia delle quote di pesca TAC. 13,200t per lo stock North Atlantic e 14,000t per lo stock South Atlantic sia delle misure minime di cattura uguali per entrambi gli stock 125/119 cm. La situazione risulta essere non sostenibile per quanto riguarda lo stock South Atlantic in quanto i dati riportano un indice di Biomassa Relativa (B2015/BMSY) inferiore ad 1, mentre anche se di poco la situazione dello Stock North risulta leggermente migliore rispetto al parametro Overfished. Alcune delle Raccomandazioni di ICCAT per lo stock di Pesce spada del North and South Atlantic stock sono riportate sotto: https://www.iccat.int/en/RecRes.asp - [17-02] Recommendation by ICCAT Amending the
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Recommendation for the Conservation of North Atlantic Swordfish, Rec. 16-03; - [17-03] Recommendation by ICCAT Amending the Recommendation for the Conservation of South Atlantic Swordfish, Rec. 16-04; - [19-03] Recommendation by ICCAT amending the Recommendation 17-02 by ICCAT for the conservation of North Atlantic swordfish ; - [19-14] Resolution by ICCAT on development of initial management objectives for North Atlantic swordfish; - [97-08] Recommendation by ICCAT regarding compliance in the South Atlantic swordfish fishery; - [01-13] Supplemental Recommendation by ICCAT Regarding Compliance in the Bluefin Tuna and Atlantic Swordfish Fisheries;
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Status dello Stock Mar Mediterraneo Come detto per quanto riguarda lo stato di sfruttamento dello Xiphias gladius nel Mar Mediterraneo, zona di Pesca MEDITERRANEAN AND BLACK SEA (Major Fishing Area 37) viene assegnato della ICCAT un codice per la specie dedicato SWO-MED - MEDITERRANEAN SWORDFISH, e quindi viene svolto uno stock assessment a sé stante. http://www.fao.org/fishery/area/Area37/en
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Lo studio piu recente relativo allo status dello stock relativo al pesce Spada nel Mediterraneo è stato condotta nel 2016 utilizzando dati relativi al 2015. Dal punto di vista biologico studi genetici hanno dimostrato che lo Xiphias gladius del Mediterraneo è uno stock separato rispetto a quello atlantico – non risultano informazioni attendibili per quanto riguarda le zone limitrofe delle aree di pesca come lo Stretto di Gibilterra per quanto riguarda l unione dei due stock. Le principali differenze biologiche dei due stock riguardano principalmente la maturità sessuale e gli indici di crescita. Dal punto di vista degli attrezza di pesca utilizzati nel periodo 2003-2018, le Longlines (palamito) rappresentano circa 85% delle catture. Altri attrezzi di tipo piu tradizionale sono utilizzati come per quanto riguarda l´ harpoon (arpione). Nel Report disponibile sul sito ICCAT sono disponibili i dati relativi alle catture in totale, e suddivise per paese e per anno. Dal 2015 con un totale di 10751t si è passati da 10921t nel
N.2 2021 2016, successivamente le catture si sono ridotte sensibilmente, 8402t nel 2017 e 7079t nel 2018 (ultimo anno disponibile). Dal punto di vista del fishing gear utilizzato il 90% sono catture effettuate con Longline. I dati relativi al Discards non sono sempre disponibili. Vengono riportati nel 2018, con 84t, nel 2015 con 7t poi dobbiamo risalire addirittura al 2008 con 27t. Rispetto alle catture per paese, l’Italia con 1779t, nel 2018 è al primo posto seguito dalla Spagna con 1387t e dal Marocco con 1001t. Tutti gli altri paesi stanno sotto le 1000t o addirittura non hanno registrato (o comunicato) nessuna cattura. Il trend delle catture risulta a partire dal 2015 in costante decremento – come visto per le catture totali. Le Misure di gestione di ICCAT riguardano la messa al bando delle reti da posta (Driftnet ban - Rec. 03-04), della chiusura della pesca per un periodo di tre mesi, di misure minime di cattura e di quote di pesca ben definite, TAC 10,500t in 2017 (Rec16-05) ridotte del 3% annuo nel 2018 a 10,185t. I dati principali si possono riassumere nella tabella sotto, per quanto riguarda i dati completi o informazioni piu dettagliate si puo fare riferimento ai link indicati in precedenza:
Relevant data
Mediterranean Sword fish stock
Maximum Sustainable Yield
19,683t
FMSY
0.25
Relative Biomass (SSB2015/SSBMSY)
0.12
Relative Fishing Mortality (F2015/FMSY)
1.85
Stock Status (2015)
Overfished: Yes Overfishing: Yes TAC (2017): 10,500t, (2018): 10,185t – Rec. 16-05
Management Measures in place
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Lo stock risulta sovra sfruttato e secondo la ICCAT questo necessita di una ricostituzione insieme ad una riduzione della mortalità per attività di pesca – la Raccomandazione in forza è la Rec 11-13.
swordfish - [16-05] Recommendation by ICCAT replacing the Recommendation [13-04] and Establishing a Multi-annual Recovery Plan for Mediterranean Swordfish.
Il dato di maggior preoccupazione risulta essere l’incertezza sui dati futuri e la loro attendibilità.
Bibliografia di riferimento: http://www.fao.org/fishery/species/2503/en; http://thewonderingtuna.blogspot.com/2013/11/priorities-for-iccat.
Alcune delle Raccomandazioni di ICCAT per lo stock di Pesce spada del Mediterraneo sono riportate sotto: https://www.iccat.int/en/RecRes.asp. - [03-04] Recommendation by ICCAT relating to Mediterranean
html; https://www.iccat.int/en/assess.html; https://www.iccat.int/Documents/SCRS/ExecSum/SWO_MED_ ENG.pdf
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TONNO A PINNE GIALLE
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Il progetto BAPSI e la tutela della biodiversità di Domenico Letizia
L’intento è quello di generare un meccanismo virtuoso di cooperazione per la tutela, valorizzazione e tracciabilità della biodiversità marina, diffondendo tutte le opportunità economiche e comunitarie provenienti dal Mediterraneo e dalla blue economy
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Importanti novità provengono dagli operatori del mondo ittico per la tutela della biodiversità marina. Il progetto europeo BAPSI (Blue Academy for Professionals of the Seafood Industry) sta lavorando intensamente allo sviluppo di sinergie tra il nostro Paese, il Portogallo e la Spagna ed è stato cofinanziato dal programma EASME dell’Unione Europea. Lo scopo è legato all’urgenza di affrontare le prossime sfide dell’industria ittica, tutte in ottica di sostenibilità ambientale, e per farlo i professionisti della filiera necessitano di apprendere, comprendere e assimilare tutte le competenze tecniche e scientifiche del settore. Per tale ragione nasce BAPSI, in modo da poter sopperire alla mancanza di comunicazione tra il mondo dell’industria e quello dell’istruzione, identificata come una delle cause principali della mancanza di conoscenze condivise sul mondo ittico. Tra le priorità di BAPSI, ritroviamo quella di mettere in contatto costante i rappresentanti delle industrie della pesca, gli enti accademici e quelli
di ricerca e tutti i progetti sviluppati all’interno del programma così da formare figure professionali dotate di tutte le competenze richieste sia dall’industria che dal mercato, con un occhio di riguardo alla tutela della biodiversità del mare e dell’ambiente. Nel corso di tutto il 2021 è possibile visionare le innumerevoli attività dell’Accademia di BAPSI in cui trovare più di dieci corsi brevi, seminari e conferenze, giornate di apprendimento pratico, una continua esperienza per i volontari selezionati che potranno scegliere di svolgere anche un apprendistato al fianco dei manager dei partner coinvolti. Per quanto riguarda l’Italia, fanno parte del consorzio Assoittica Italia, Federalimentare, l’Università La Sapienza di Roma, la Federico II di Napoli e Aeiforia, lo spin off dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Piacenza, che fornisce servizi alle imprese agrarie e alimentari. Le ultime stime effettuate sulla biodiversità marina del Mediterraneo
GUIDA BUYER indicano la presenza di circa 17.000 specie. La biodiversità del Mediterraneo rappresenta, a seconda dei gruppi tassonomici, dal 4 al 25% della diversità di specie marine globali. Il Mediterraneo contiene circa il 7,5% delle specie mondiali in una superficie pari a 0,82%. Si può tranquillamente ribadire che la ricchezza di specie per area è circa dieci volte superiore alla media mondiale. La biodiversità presente nel bacino del Mediterraneo è il risultato dell’intrecciarsi di millenni di vicende umane e naturali. Le specie che vivono solo ed esclusivamente in questa parte del pianeta sono più numerose qui che in ogni altra parte d’Europa. Il 44% delle specie di pesci ed il 25% dei mammiferi presenti nel bacino del Mediterraneo sono endemici così come il 35% degli anfibi italiani e il 24% dei rettili della penisola iberica.
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della regione come la Spagna o la Francia e con una formazione specifica adatta agli operatori della blue economy. Compito del progetto BAPSI è quello di generare un meccanismo virtuoso di cooperazione per la tutela, valorizzazione e tracciabilità della biodiversità marina, diffondendo tutte le opportunità economiche e comunitarie provenienti dal Mediterraneo e dalla blue economy.
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L’ecosistema complessivo del Mediterraneo ospita quasi 25.000 specie vegetali, oltre la metà di queste è esclusivamente presente in quest’area. La sfida per la conservazione del Mediterraneo è una priorità globale che necessita di essere affrontata attraverso un coordinamento con tutti gli altri protagonisti
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Alla scoperta di Blu Ocean e delle pescherie “Angolo di Porticello” di Gianpiero Margiotta
Blu Ocean è la società della famiglia Lo Coco con sede a Casteldaccia (Palermo) che danni si occupa della pesca, lavorazione e distribuzione del pesce e di fornire preparati alimentari per le grandi catene GDO, per la ristorazione e i privati. Arco Azzurro, pescherie “Angolo di Porticello” è il marchio della catena di pescherie di proprietà di Blu Ocean che si trovano all’interno delle diverse catene GDO Siciliane (Conad, Decò, Famila, San Lorenzo Mercato, Il Centesimo), dedicate alla vendita di pescato fresco stagionale e territoriale e prodotti pronto cottura.
Quando inizia la vostra attività nel settore della pesca? Sin dal 1926 nostro nonno Nino era attivo nel settore della pesca. Dopo qualche anno di duro lavoro acquistò un suo peschereccio e iniziò un’attività in proprio. Da allora tutta la nostra famiglia ha continuato a seguire le sue orme rispettandone i valori: dedizione al lavoro, tutela dell’ambiente, per le stagioni e freschezza della materia prima. Nel 2001 l’attività di famiglia subisce un’importante trasformazione per diventare un’azienda strutturata che oggi conta 28 dipendenti all’interno dello stabilimento di produzione e circa 40 dipendenti distribuiti su suolo nazionale e preposti all’approvvigionamento dei punti vendita delle più importanti catene di supermercati italiani. Cosa rende Arco Azzurro diversa dalle aziende?
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Innanzitutto la qualità e la diffusione capillare dei nostri prodotti. All’interno dei grandi supermercati è possibile trovare le nostre pescherie con il pescato del giorno e i nostri preparati. Questo consente ai consumatori di poter acquistare il miglior pescato comodamente mentre effettuano la spesa. Inoltre tutti i nostri prodotti sono pescati certificati e nel rispetto delle normative vigenti e dei più alti standard di igiene e sicurezza; ogni singolo pesce e prodotto è tracciabile in ogni suo passaggio, dal mare fino ai punti vendita o distribuzione selezionati. Cosa significa “Angolo di Porticello”?
Garantiamo ogni giorno pesce freschissimo e locale anche per questo abbiamo dedicato il nome delle pescherie Arco Azzurro al paese di Porticello. L’ “Angolo di Porticello” richiama non soltanto le origini della nostra attività ma anche il concetto di pescato locale e il senso di fiducia che il consumatore prova nei confronti delle pescherie vicino casa. Un angolo di prodotti selezionati provenienti dal piccolo borgo di pescatori. Stiamo inoltre lavorando su un progetto di filiera, grazie al quale i nostri preparati saranno realizzati esclusivamente con materie prime provenienti dalla marineria di Porticello e comunque dalle sole marinerie siciliane. Arco Azzurro non propone soltanto pesce fresco ma anche preparati… La materia prima è sempre il pescato del giorno, che lavoriamo seguendo le antiche ricette di famiglia per garantire sempre la qualità dei prodotti e un gusto autentico. E’ una sezione molto importante all’interno della nostra azienda quella dedicata alla preparazione di una linea di prodotti freschi da pronto consumo a base di pesce, come involtini di pesce spada gratinati al pistacchio, salsiccia di salmone e pesce spada, paella, condimenti per primi piatti, burger di pesce, frittura di mare. Classiche ricette ai sapori del Mediterraneo, che coniugano insieme la qualità del miglior pescato e la cura della preparazione tradizionale. La linea dei nostri prodotti è sempre disponibile all’interno delle Pescherie l’ Angolo di Porticello ma anche sul nostro e-commerce: www.arcoazzurro.store.
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E-Fish, il sistema telematico per gestire le aste dei mercati ittici, raccontanto dalla sua società ideatrice Go Infoteam di Gianpiero Margiotta
Un progetto che va avanti da ben sedici anni e che migliora notevolmente le attività inerenti ai mercati ittici tramite la tecnologia
Parlateci di Go Infoteam. Raccontateci la vostra storia. I prodotti e servizi che offrite sono volti a settori anche molto diversi tra loro. Qual è stato l’input che vi ha portati ad avvicinarvi al settore ittico e quindi a creare E-Fish? www.pesceinrete.com
Go Infoteam è un gruppo che opera dal 1999 nel panorama nazionale dell'Information Technology. Poniamo la nostra attenzione a tutta la catena di valore dell'ICT: consulting, system & business integration, servizi di outsourcing, server virtualization, security, storage e backup, assistenza tecnica e sviluppo software. Tra i nostri clienti ci sono enti pubblici e aziende del settore manifatturiero, distribuzione e commercio.
Abbiamo sviluppato il primo sistema telematico di gestione dell’asta per i mercati ittici alla produzione nel 2005, in occasione della fornitura richiesta dal Mercato Ittico della Città di Pescara. I requisiti imponevano di ricorrere a strumenti e tecnologie non proprietarie e quindi basate su sistemi Open Source secondo una mozione adottata dall’Ente. In quel periodo non esistevano prodotti simili che rispettassero le caratteristiche richieste, così abbiamo colto la sfida ed iniziato un’avventura che dura ormai da sedici anni. Potreste illustrarci il funzionamento di E-Fish? Il sistema e-Fish si è evoluto moltissimo nell’ultimo
decennio, rimanendo al passo con le tecnologie, affiancando al sistema principale di gestione della contrattazione all’asta del prodotto ittico anche altri moduli e sistemi. In sostanza quindi E-Fish è oggi la soluzione completa per la gestione dei mercati ittici all’ingrosso, che consente la gestione facile di tutti i flussi telematici ministeriali per acquirenti e produttori, di ricevere ordini di acquisto della merce anche fuori orario, di portare l’asta OnLine sui dispositivi dei propri acquirenti che operano a centinaia di chilometri, di produrre tutti i flussi documentali ed amministrativi, oltre che implementare un sistema di filiera completo di applicazioni mobili per operatori e consumatori finali. Immaginate quindi un produttore ittico che, una volta affidato il suo prodotto alla struttura di commercializzazione, in qualche decina di minuti di contrattazione d’asta esce con la documentazione completa degli incassi che verranno corrisposti al suo duro lavoro. I commercianti invece che gravitano attorno ai mercati ittici hanno la possibilità di non recarsi più fisicamente presso le strutture a seguire le aste, che spesso si svolgono in orari notturni, lasciando loro la possibilità di partecipare nello stesso momento alle contrattazioni su più piazze. Infine gli esercizi commerciali e i ristoratori che acquistano prodotti ittici presso uno dei mercati, che ha avviato una campagna di promozione di filiera locale, entra a far parte del marchio di filiera a vantaggio diretto della qualità e quindi dei consumatori finali. Quali sono i principali player della filiera con i quali collaborate? Qual era il contesto tecnologico nel 2005 quando è avvenuta la prima installazione e qual è il contesto oggi?
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Oggi i player della filiera ittica con i quali collaboriamo sono sempre di più le organizzazioni di produttori locali OP e le imprese ittiche all’ingrosso, che via via stanno sostituendo le pubbliche amministrazioni nel ruolo di gestione dei mercati ittici all’ingrosso. Per il futuro puntiamo ad un coinvolgimento diretto del singolo produttore, che attraverso il suo tablet potrebbe ricevere ordini già prima di effettuare lo sbarco. Anche il contesto tecnologico è cambiato molto negli ultimi anni rispetto a quando molti vedevano con scetticismo la possibilità di acquistare OnLine grandi quantità di prodotto ittico senza poterlo vedere “dal vivo”. Le tecnologie che abbiamo oggi, come la banda ultra larga, i sistemi real-time e i dispositivi mobili, hanno reso possibile portare alcuni dei nostri clienti a commercializzare OnLine oltre il 50% del prodotto giornaliero. Come si riesce a fare penetrazione in un mercato in buona parte scarsamente digitalizzato? Anche la cultura digitale degli operatori si è iniziata a sviluppare, grazie al ricambio generazionale di acquirenti e produttori ittici. Oggi più che mai quindi è necessario rispondere alle esigenze di ottimizzazione dei processi con la tecnologia, l’unico modo per rendere competitivo un settore spesso attaccato dall’importazione estera. Quali requisiti deve avere l’azienda che decide di intraprendere un percorso con voi? Non è richiesto nessun requisito, siamo pronti ad ascoltare le problematiche sia del grande cliente che di un piccolo produttore ittico. Per noi la sfida è trovare la soluzione giusta che possa migliorare la competitività del cliente.
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E-fish offre supporto specifico per ogni attore della filiera, dal produttore al consumatore. Quanto sono importanti l’integrazione e collaborazione della filiera? Il software facilita la comunicazione tra le parti? E-Fish crede molto nei progetti di filiera e di valorizzazione delle tipicità locali, riteniamo sia l’unico modo possibile per dare valore a delle eccellenze tipiche dei nostri mari e allo stesso tempo rispettare la biodiversità dell’ambiente marino. Spesso l’attore più importante della filiera è l’ente pubblico che rappresenta il territorio, durante questi anni infatti siamo riusciti a portare avanti progetti interessanti grazie anche al coinvolgimento ad esempio dei FLAG (Fisheries Local Action Group), oppure in alternativa direttamente dalle organizzazioni di produttori OP che hanno istituito un proprio marchio di filiera. Senza un sistema informativo di filiera le informazioni provenienti dal produttore non arriverebbero mai in tempo reale in mano al consumatore. Dopo sedici anni nel settore ittico la vostra esperienza è ormai consolidata. Nel corso di questo lungo periodo immagino abbiate raccolto una significativa mole di dati. Nell’era dei Big Data rappresentano un tesoro. La difficoltà può consistere nel rendere i dati fruibili all’utente finale, soprattutto se l’utente è inesperto. Parlateci del contesto e di come riuscite a rendere i dati intelligibili.
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È vero, oltre ad un interessante numero di dati del contesto ittico nazionale abbiamo acquisito un know-how importante. Detenere i dati e non sapere come interpretarli correttamente, soprattutto tradurli in informazione utile al consumatore, è ovviamente inutile. Per questo e-Fish collabora con diversi partner delle istituzioni centrali nazionali, università, centri di ricerca e su progetti europei. Riteniamo che i temi in materia di Blue Economy e Green Deal europeo ci coinvolgeranno sempre di più nell’imminente futuro. Possiamo immaginare che grazie ai nostri dati e alle applicazioni specializzate in grado di geolocalizzare la pesca, dal punto di vista pratico, nuove generazioni di piccoli pescatori locali sapranno dove e come concentrare il loro sforzo di pesca quotidiano in modo proficuo e allo stesso tempo nel rispetto dell’ambiente. D’altro canto sarà possibile sensibilizzare sempre di più le coscienze dei consumatori che daranno il giusto valore ad un prodotto locale freschissimo e catturato in maniera responsabile.
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E-fish è stata una soluzione finanziabile tramite FEAMP 2014-2020. A luglio scorso la Commissione Europea ha approvato il nuovo FEAMPA 2021-2027 per un valore complessivo di 6.1 miliardi di euro. É una nuova occasione per le aziende del settore ittico che vogliono abbracciare il futuro? Oggi più che mai, in un momento di ripartenza come questo, è necessario cogliere al volo le opportunità che arrivano dai finanziamenti nazionali ed europei per il settore ittico ed il suo indotto. Per qualcuno spesso è stato l’unico modo per accedere ad investimenti tecnologici altrimenti non sostenibili con le proprie risorse. Quello che è davvero importante per il settore ittico è non perdere le opportunità e sfruttarle sempre in ambito di tecnologia e implementazione di filiere. Abbracciare il futuro per le categorie del comparto ittico come - pescatori, acquacoltori, OP, grossisti, esportatori, GDO e operatori della logistica del freddo - oggi significa investire fortemente nella ricerca e nello sviluppo della tecnologia a loro beneficio. Le nostre soluzioni, già finanziabili da diverse misure previste dal PO FEAMP 2014-2020, saranno allineate e conformi a quanto ad oggi prevede la nuova linea di indirizzo FEAMPA 2021-2027. Il FEAMPA fornirà sostegno finanziario per proteggere, gestire e utilizzare in modo sostenibile l’oceano e le sue risorse contribuendo quindi agli obiettivi del Green Deal europeo. E-Fish può essere applicato a progetti di Blue Economy, valorizzazione di filiere ittiche, tracciabilità alimentare e per valorizzare la Pesca artigianale e le OP? Seguiamo con attenzione la programmazione europea 2021-2027, per questo motivo crediamo e puntiamo molto agli obiettivi relativi soprattutto ai progetti di Blue Economy. Negli ultimi anni infatti, grazie alle competenze acquisite nel settore, spingiamo sempre di più i nostri clienti a rafforzare la loro visibilità creando partnership e progetti di filiera in grado di valorizzare il prodotto locale e di implementare una tracciabilità alimentare diretta, nelle mani del consumatore finale per mezzo delle applicazioni mobili. Allo stesso tempo ci stiamo attivando per favorire il lavoro della piccola pesca artigianale e consentire anche ai più piccoli di accorciare la filiera ed arrivare in modo competitivo e digitale sulle piazze dove il loro sforzo viene più apprezzato. Siamo a disposizione quindi di chiunque del comparto ittico, come anche enti, associazioni di categoria e FLAG, vogliano collaborare per sviluppare progetti in linea con la nuova programmazione europea.
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un mare di notizie
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Colatura di Gambero: un nuovo prodotto alimentare sostenibile di Davide Ciravolo
Una nuova strategia di gestione del comparto ittico che trasforma lo scarto in risorsa
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Giuseppe Gaudioso e Maria Chiara Valdemone, giovani imprenditori di 35 e 29 anni di Mazara del Vallo, entrambi accomunati dalla passione per il proprio territorio e sensibili ai temi del riuso e dell’economia circolare, fondano la loro azienda nel 2019 con il nome di Lalaina. La scelta del nome nasce in Madagascar dopo avere trascorso del tempo con un amico del luogo, appunto Lalaina, particolarmente attento all’ambiente il che li ha ispirati ad utilizzare il suo nome per il loro progetto.
L’attenzione per l’ambiente è la caratteristica che vogliono trasferire alla loro azienda ed è per questo che hanno brevettato un nuovo processo che consiste nel riutilizzo degli scarti ittici, nello specifico la materia prima oggetto del processo è lo scarto del gambero, scientificamente noto come Aristaeomorpha foliacea.
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COLATURA DI GAMBERO PRODUCT CYCLE
RECUPERO DELLE TESTE DEL GAMBERO
ESTRAZIONE TRAMITE PROCESSO BREVETTATO
L’idea di realizzare questo brevetto è nata dalla grande quantità di scarto emesso dalle aziende ittiche che, al fine di realizzare prodotti commerciali, inevitabilmente produce enormi quantità di teste del gambero che regolarmente vengono gettate e smaltite come rifiuto speciale. Questo implica notevoli costi economici e ambientali. Il processo è una valida alternativa allo smaltimento poiché riesce trasformare lo scarto del gambero in risorsa attraverso il suo riutilizzo e il reinserimento nel ciclo produttivo, quindi nessun costo di smaltimento da sostenere, ma una nuova risorsa da cui trarre profitto. Infatti, gli scarti del gambero vengono recuperati, lottizzati e rigenerati dando vita ad un nuovo prodotto alimentare sostenibile: la “Colatura di Gambero”. “Attraverso questo prodotto rivoluzionario e a basso costo produttivo ci impegniamo a portare pratiche sostenibili nell’industria ittica e cerchiamo di trasmettere i valori d’impresa etica e sostenibile per dare nuovo valore a ciò che troppo spesso viene considerato solo uno scarto”, sottolinea Maria Chiara Valdemone. Il brevetto si rivolge sia alle aziende ittiche sia alle aziende di trasformazione che vogliono intraprendere una nuova strategia di gestione ed ottenere vantaggi competitivi e risultati economici.
PRODOTTO IMBOTTIGLIATO
PRONTO PER ESSERE COMMERCIALIZZATO
Emerge, quindi, l’importanza per le aziende di riuscire a chiudere il cerchio senza perdere risorse economiche rilevanti contenute in quelli che tradizionalmente riteniamo essere rifiuti o scarti senza alcuna residua utilità. Inoltre utilizzare lo scarto del gambero permette all’azienda di essere concorrenziale nei prezzi poiché utilizza il 100% della materia prima innescando così una economia circolare.
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GAMBERO DECAPITATO UTILIZZATO DALLE AZIENDE ITTICHE
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Questo tipo di modello economico garantisce un risparmio per le imprese e le conduce verso uno sviluppo sostenibile attraverso una straordinaria opportunità in termini di competitività e innovazione, creando valore tanto per le imprese quanto per i loro clienti. Oggi ci troviamo di fronte a un numero sempre crescente di consumatori che richiedono prodotti sostenibili e aziende che cercano innovazione. I vantaggi per le aziende sono: una riduzione dei costi della materia prima, un efficace strumento di comunicazione per il mercato poiché ti permette di raccontare risultati aziendali in termini di sostenibilità, una leva strategica e
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competitiva basata sui principi di economia circolare che consente di accrescere il valore dell’azienda sul mercato e la possibilità di accesso ad opportunità di finanziamento dedicati all’economia circolare. La “Colatura di gambero” è un prodotto caratterizzato dal colore arancione e dal sapore delicato poiché è lasciato al naturale senza alcuna aggiunta di sale. Questa può essere commercializzata in bottigliette su scaffale il che permette una logistica più fluida, senza seguire la catena del freddo. È un prodotto accessibile a tutti i tipi di clientela sia per il prezzo contenuto sia per il suo utilizzo in cucina facile da abbinare a primi piatti, bruschette e secondi di pesce.
LA COLATURA Introduzione
DI GAMBERO
Obiettivo
E' un processo
Trasformare lo scarto in
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consiste nel
NUOVA STRATEGIA DI GESTIONE DEL COMPARTO ITTICO
economico
riutilizzo degli scarti del gambero per generare un nuovo prodotto alimentare
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"Colatura di gambero"
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brevettato L’idea di realizzare questo Vendere il prodotto a
brevetto è nata dalla scaffale
grande quantità di scarto logistica più fluida, senza
emesso dalle aziende seguire la catena del
ittiche che, al fine di freddo
realizzare prodotti aggiungere una nuova
commerciali, inevitabilmente produce enormi quantità di scarto da smaltite come rifiuto speciale. Il processo è una valida alternativa allo
linea di mercato risparmiare sui costi legati all'approvvigionamento delle materie prime Innescare un'economia circolare
Utilizzare scarti ittici (le
Nessun costo di smaltimento, ma valida prospettiva di guadagno
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prezzi Utilizzando lo scarto del Gambero, l'azienda utilizza il 100% della materia prima
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È GRECO, È FRESCO, È BUONO.
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DALLE NOSTRE ACQUE TRASPARENTI PORTIAMO IN ITALIA IL PESCE MIGLIORE CHE C’È.
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Friultrota, innovatori da sempre di Mariella Ballatore
Grazie alla preziosa collaborazione dell'Associazione Piscicoltori Italiani abbiamo incontrato Mauro Pighin titolare dell’azienda
La Friultrota pur mantenendo ben salde le radici nelle origini e nella tradizione non ha tardato ad innovarsi, a testimonianza di ciò una produzione attenta alle esigenze del consumatore e la presenza sul web già in tempi non sospetti, pre covid per intenderci, con un sito dinamico e uno spazio dedicato all’e-commerce. Mauro Pighin ci racconta l’azienda di cui è titolare.
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Per noi il rispetto delle tradizioni e l’impiego di metodi tradizionali di lavorazione sono fondamentali, ma la nostra azienda è nata in realtà proprio con un’innovazione: siamo stati i primi negli anni ‘80 ad offrire la Trota già pronta da mangiare, cogliendo le nuove esigenze dei consumatori che avevano sempre meno tempo da dedicare alla cucina, e valorizzando un prodotto del territorio che era poco considerato e ancora sottovalutato. Nella nostra produzione abbiamo sempre posto un’attenzione particolare agli aspetti nutrizionali,
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utilizzando solo ingredienti naturali, senza l’impiego di coloranti e conservanti e impiegando metodi di lavorazione appositamente studiati per preservare al meglio la ricchezza nutrizionale del pesce, in particolare il contenuto di Omega-3. Anche questa scelta si è rivelata vincente vista la crescente attenzione dei consumatori verso gli aspetti della propria salute legati all’alimentazione. Il nostro prodotto principale è la Regina di San Daniele, la trota affumicata a freddo riconosciuta prodotto agroalimentare tradizionale italiano assieme al Fil di Fumo, il filetto di trota affumicato a caldo. Negli anni abbiamo costantemente innovato la gamma di pesci lavorati e di metodi utilizzati per la trasformazione, e contiamo oggi una varietà di oltre 30 specialità ittiche che vanno dai filetti cotti al vapore o affumicati, ai sughi agli stuzzichini. Tutte pronte da mangiare, si adattano facilmente anche a ricette più elaborate. Da molti anni cerchiamo di raccontarci al meglio tramite il sito web e i social Facebook e Instagram. Abbiamo inoltre attivo lo shop online per raggiungere i nostri clienti anche nelle zone dove purtroppo non sono presenti negozi di gastronomia. Per presenziare un mercato sempre più attento a valori sociali quali il rispetto per l’ambiente e la sostenibilità, l’acquacoltura ha la necessità di conformarsi a regole ben precise. Obbligo morale ma anche valore aggiunto spingono i produttori verso un approccio in grado di andare oltre la conformità. In che modo è possibile tener fede a questi valori pur rimanendo competitivi? Qual è il vostro modello di business? Fortunatamente questi vincoli morali sono sempre stati alla base della nostra filosofia, da prima che diventassero mainstream. Per il settore dell’acquacoltura la sostenibilità ambientale, oltre che un valore perseguito, è anche una necessità. Se non
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manteniamo un ambiente sano, nel tempo non ci può essere futuro. Materia prima sana vuol dire un prodotto finito sano. Vogliamo rimanere competitivi distinguendoci per la qualità, non facendo leva sui prezzi. Come difendersi dalle fake news e veicolare invece le informazioni corrette sulla produzione e la trasformazione e la salubrità dei prodotti di acquacoltura? Tramite una comunicazione diretta con i consumatori, veicolando messaggi trasparenti su tutti gli aspetti che riguardano la produzione: dalla materia prima, ai metodi di trasformazione utilizzati, alle proprietà nutrizionali del prodotto finito. Impegnandosi nell’educare i consumatori riguardo i rigidi controlli che effettuiamo per assicurare la salubrità e sul fatto che la qualità ha un costo. Fargli capire che se di un prodotto valutiamo solo il prezzo, quello che non paghiamo alla cassa rischiano di pagarlo l’ambiente…e la nostra salute.
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Vogliamo parlare Come nasce l’idea?
del
vostro
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30-70”?
Con lo spirito innovativo che ci contraddistingue, oggi abbiamo pensato di spingerci oltre per abbinare le caratteristiche nutrizionali del pesce e dei cereali in un nuovo formato, creativamente italiano. Facile da trasportare e da preparare. Da questa idea nasce 30-70: una “pasta” che contiene il 30% di pesce e il 70% di cereali. Un alimento all’apparenza semplice, ispirato alla tradizione alimentare italiana, ricco di proprietà nutrizionali. È innanzitutto Ricco di Omega-3: la quantità di Omega-3 presente in una porzione consigliata di 100g corrisponde al fabbisogno giornaliero per la popolazione adulta di EPA+DHA, con bilancio Omega-3:Omega-6 di 2:1. È inoltre fonte di fosforo, fonte di proteine e a basso contenuto di grassi saturi. I macronutrienti bilanciati lo rendono ideale per la preparazione di un pasto completo, equilibrato e saziante. 30-70 è disponibile in due versioni: Fusilli 30-70 con pesce e mais (senza glutine) e Sedanini 30-70 con pesce, farro e legumi (Fonte di fibre). Le sue caratteristiche nutrizionali rendono il prodotto ideale per chi persegue il benessere e crede nel valore dell’alimentazione per una vita sana, e per le particolari esigenze di sportivi, bambini e anziani. Per nutrirsi in modo sano senza rinunciare al gusto, e con un occhio di riguardo alla sostenibilità e alla praticità: 3070 non richiede infatti la conservazione in frigorifero. Anche se in maniera piuttosto light stanno riprendendo gli eventi dal vivo. Quanto è importante per la vostra azienda tornare ad occupare fisicamente i padiglioni fieristici?
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Le fiere e gli eventi di degustazione sono fondamentali per noi: la Trota è un pesce spesso poco conosciuto e sottostimato. L’assaggio è fondamentale per riuscire a trasmettere il vero valore dei nostri prodotti. Per questo puntiamo molto anche sugli eventi degustativi in azienda, dove abbiamo creato uno spazio dedicato alla realizzazione di corsi di cucina con importanti Chef della regione, e degustazioni guidate anche in abbinamento a vini e altre specialità locali in ottica di promozione del nostro territorio. Crede nel potenziale di una filiera coesa? Certamente. Per assicurare un prodotto finito di qualità eccellente è necessario che tutti gli attori della filiera condividano metodi, principi e obiettivi.
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Quali sfide il settore dove ancora affrontare e come lo immagina tra 10 anni? La crescita della popolazione mondiale e i nuovi trend alimentari comporteranno una consistente aumento della domanda di prodotti ittici che non può essere soddisfatta dai prodotti della pesca. Già oggi diversi stock di pesce selvaggio sono in sofferenza. Ciò renderà necessario un adeguato incremento della capacità produttiva dell’acquacoltura. Questo sarà
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possibile solo promuovendo uno sviluppo sostenibile grazie al miglioramento delle tecniche di allevamento, favorito dalla ricerca e dallo sviluppo tecnologico. Un altro rischio per le aziende di trasformazione medio piccole come la nostra sarà la competizione delle grandi aziende che operano a livello globale, spesso con regole diverse, contro le quali le nostre armi di difesa continueranno ad essere la qualità dei prodotti e la territorialità che li rende unici. Per questo…siamo pronti!
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Grande è la confusione sopra e sotto il mare, ma la situazione non è eccellente! di Sergio Ragonese
Perché sarebbe utile distinguere bene le Aree Marine Protette dalle Aree di Restrizione alla Pesca Un tormentone pubblicitario di diversi anni fa utilizzava un buffo ritornello “È scoppiata la lotta fra cacao e albicocca” e questa frase mi è ritornata in mente leggendo alcuni articoli su pesceinrete (e non solo) concernenti il dibattito sull’utilità o inutilità di istituire Aree Marine Protette (di seguito AMP) ai fini della salvaguardia del mare e delle sue risorse. In particolare, mi riferisco agli interessanti articoli “Uno studio scientifico nega l’utilità delle aree marine protette per preservare le specie altamente migratorie” e “Aree Marine Protette, ruolo benefico per ambiente, pesca e comunità costiere” pubblicati su Pesceinrete del 20 Maggio 2020 e 3 Giugno 2021, rispettivamente.
Dividere un tratto di mare per le le diverse esigenze d’uso? Vasto programma (da FAO, 2011)
Il tema è spinosissimo e divisivo perché, in soldoni, le AMP significano un inasprimento delle già esistenti poliedriche restrizioni alla fruizione di un tratto di mare e delle sue risorse da parte non solo dei pescatori, siano essi professionisti o ricreativi, ma anche dei semplici turisti, bagnanti e sub amatoriali. Tipicamente (perché le norme possono variare e limitandoci per semplicità solo alla realtà italiana) una AMP comprende una divisione spaziale in 3 sottozone A, B e C. La denominazione di queste zone è, nell’ordine di comparizione di cui prima, Riserva (o Tutela) Integrale, Generale e Parziale (o “cuscinetto”). In linea teorica (perché ci sono eccezioni), la zona C è quella dove si applicano le normative generali o “ordinarie”
vigenti nelle aree limitrofe al di fuori della AMP. La zona B, se “pescabile”, è destinata, di solito, ai soli pescatori professionali e ricreativi residenti nel comune della AMP e, previo permesso, agli altri possibili fruitori come i sub ricreativi o i bagnanti (che però non possono nemmeno pensare di toccare o asportare alcunché dal mare). Infine, nella zona A, si può accedere solo per monitorare lo stato delle biocenosi, sempre previa giustificata e motivata richiesta e successiva autorizzazione rilasciata dall’ente gestore. Per completare la presentazione basterà dire che sempre tipicamente, la zona A è quella più “ristretta” fra i tre “compartimenti” (Figura 1).
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Figura 1 – Le tre zone tipiche di una Area Marina Protetta in Italia applicata alla AMP di Ustica (Mar Tirreno meridionale). Si percepisce a colpo d’occhio come la zona A (riserva integrale) rappresenti la frazione minore dell’AMP. Fonte: http://www.ampustica.it/it/zone.asp?idmenu=4.
GUIDA BUYER Fatta salva la capacità di controllare e sanzionare chi viola le regole (i bracconieri e gli abusivi), è auto dimostrativo che in una AMP così congegnata il tratto di mare (per quanto piccolo) e le sue risorse siano meno disturbate rispetto alle aree limitrofe, di conseguenza, il saggio lettore di pesceinrete si potrà chiedere:
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sono le restrizioni più alto sarà il grado di protezione del sito (verso il colore blu), mentre più ci si avvicina al Res nullius (“faccio quello che mi garba”) più minacciati e compromessi saranno il mare e le sue risorse (colore rosso vivo).
“Allora? Dove rimane il problema? Perché ci si azzuffa sull’efficacia delle AMP?” Scopo della presente notarella è proprio quello di cercare di chiarire dove si nascondono i roditori (in questo caso,i molluschi bivalvi marini chiamati teredini) che, non lasciando tracce all’esterno, dall’interno rodono e compromettono l’impianto concettuale rendendo difficile comprendere i diversi meccanismi di protezione del mare e delle sue risorse. Per iniziare, è sembrato opportuno storpiare un poco la celeberrima locuzione attribuita a Confucio, ma usata anche da Mao Zedong (o Mao Tse Tung): “Grande è la confusione sopra e sotto il mare, ma la situazione non è eccellente!”
La Figura 2 mostra quali siano le possibilità di utilizzazione di un dato tratto di mare, definito come una parte all’interno di un’area più ampia di riferimento, ma non preoccupandoci al momento dell’estensione dello stesso. Per intenderci, un’isola o arcipelago dei mari italiani come Ustica o le Egadi ricadenti nel Mar Tirreno meridionale e al limite occidentale dello Stretto di Sicilia potrebbero essere dei buoni esempi. Come indicato dalla scala dei valori di protezione / restrizioni all’uso (da nessuna restrizione ad area proibita, 0% > 100%), il possibile fruitore (al momento non preoccupiamoci della sua connotazione) si potrà trovare davanti un’ampia gamma di potenziali possibilità che vanno dal poter fare di quel tratto di mare e delle sue risorse tutto ciò che gli garba (0% restrizioni o Res nullius) o, all’estremo opposto (100% di restrizioni), essere fermato, multato ed eventualmente denunciato (dopo aver sequestrato barca ed eventuale attrezzatura da pesca) se solo mette un piede in acqua senza avere la preventiva autorizzazione da parte dell’ente gestore o dell’autorità di vigilanza (ammesso e non concesso che esista questa possibilità per lo sventurato fruitore). Detto questo, è ovvio che volendo assegnare un colore all’auspicabile livello di protezione del tratto di mare in oggetto, in base alla gradualità fra 0 e 100%, è intuitivo pensare che più
Figura 2 - Schema semplificato del grado potenziale di fruizione di un dato tratto di mare con la freccia che da sinistra a destra indica l’aumento delle restrizioni (e quindi della protezione), per due fondamentali motivazioni. La scala di colore denota le corrispondenti conseguenze attese sull’ambiente e le sue risorse: da molto negative (rosso vivo) a molto positive (blu). La figura è stata realizzata da Roberta Ragonese.
Prima di procedere oltre, però, è opportuno ricordare che per noi cittadini europei, la condizione di Res nullius (0% restrizioni) esiste ormai solo nei ricordi più lontani e per afferrare il concetto basterà fare una semplice simulazione. Immaginatevi come dei pescatori siciliani (professionisti o ricreativi, poco importa) a cui degli amici naviganti hanno riferito che è tornata ad emergere la celeberrima Isola vulcanica Ferdinandea. Con la classica mimica e gestualità (forse un po' esagerata), gli amici aggiungono anche che le acque circostanti l’isola brulichino di pesci enormi. Come certamente ricorderete, l’isola è emersa diverse volte in passato (anche ai tempi degli antichi romani, almeno secondo i Prodigi di Giulio Ossequente) e quando il vulcano è quiescente, il mare “sfarina” la parte emersa lasciando l’apice del vulcano sommerso (che compare nelle carte nautiche con il nome di Banco Graham). Tutti contenti, vi mettete a bordo della vostra imbarcazione e vi precipitate, muniti di reti, ami, lenze, nasse e fucili subacquei, verso l’appetitoso bottino di cernie, saraghi, ricciole, aragoste,
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Infatti, appare opportuno fare un primo passo per illustrare i termini della questione e cominciare a provare a dissipare, o almeno ridurre, la confusione.
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astici e polpi. La vostra contentezza deriva dal fatto che pensando che data la distanza dalla costa (16 miglia da Sciacca, quindi fuori dalle acque territoriali italiane) e il fatto che l’isola non sia stata ancora rivendicata da qualche altra nazione vi consentirà di pescare a più non posso, giorno e notte, insomma senza alcun limite a cui pensare. Purtroppo, vi sbagliate clamorosamente! Il motivo è che i pescatori italiani sono soggetti alle regole / restrizioni generali alla fruizione del mare e delle sue risorse dovunque essi si trovino e anche quando il tratto di mare in cui vorrebbero pescare non ricade nelle acque territoriali italiane o non è soggetto a speciali norme aggiuntive. In sintesi, i pescatori della novella Isola Ferdinandea dovranno operare rispettando le proprie limitazioni come se pescassero a poche miglia da Sciacca e quindi dovranno essere in regola con le norme vigenti secondo la specifica connotazione. Tradotto, il pescatore professionale dovrà avere con sé la licenza, le dotazioni di sicurezza per più di 12 miglia, gli attrezzi da pesca consentiti dalla sua licenza, la certificazione che non si trovi in fermo stagionale di pesca, eventuale log book da compilare etc., mentre il ricreativo dovrà esibire la patente nautica (non sarebbe saggio andare a 16 miglia dalla costa con un motore di 20 cavalli), le dotazioni di sicurezza per più di 12 miglia, l’assistente di superfice (la barca non si può lasciare sguarnita), iscrizione alla lista dei pescatori ricreativi del Ministero, il pallone segna sub con bandierina con striscia bianca su sfondo rosso, l’omologa bandiera sull’imbarcazione, non superare il limite giornaliero di cattura in numero (5 pesci) o peso (1 pesce più grosso di 5 kg), rispettare le specie proibite, non pescare aragoste o astici con le uova, rispettare le taglie minime, non usare autorespiratori, non pescare di notte etc. Chiarito cosa si intende per Res nullius e anticipata la voce “Norme ordinarie”, che compare in Figura 2, possiamo adesso porci un'altra domanda. Cosa ci dicono le altre scritte nella Figura 2? www.pesceinrete.com
In primo luogo, che le restrizioni su un tratto di mare possono scaturire da più contesti che in Figura 2 abbiamo sintetizzato come “finalizzati alla protezione del mare o alla pesca” e “finalizzati ad altre motivazioni” e che si cercherà di spiegare meglio di seguito: i) ii)
servitù militari (tipo area destinata alle esercitazioni); servitù industriali (tipo pontili di attracco per le centrali
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elettriche, piattaforme estrattive, cavi sottomarini, gasdotti etc.); iii) sicurezza della navigazione o dei fruitori (area di transito di naviglio o fondali compromessi da materiali pericolosi abbandonati in mare come rifiuti, munizioni o esplosivi); iv) norme ordinarie, ovvero i regolamenti generali di uso (che in genere comprendono i punti i, ii e iii) validi a livello nazionale o comunque attivi nell’area più ampia dove ricade il sito specifico (per intenderci il Mar Tirreno meridionale nel caso di Ustica); v) regolamenti aggiuntivi (rispetto al punto iv) per il sito specifico e mirati alla pesca professionale o ricreativa; vi) regolamenti aggiuntivi (rispetto al punto iv) per il sito specifico, ma stavolta mirati alla protezione dell’ambiente (incluse le risorse viventi e paesaggistiche) con riduzione della pesca (rimanendo comunque interdetta a qualunque tipo di pesca la zona A); vii) regolamenti aggiuntivi (rispetto al punto iv) per il sito specifico e mirati alla protezione di ambienti (incluse le risorse viventi e paesaggistiche) ritenuti talmente delicati e fragili da richiedere norme più stringenti rispetto al punto vi). Adesso, penso ci sia completo accordo sul fatto che le restrizioni relative ai punti i) > iii) non siano finalizzate né alla protezione dell’ambiente e nemmeno alla pesca; in altri termini, rimarranno in vigore finché persisteranno le cause che le hanno determinate ed eventuali valutazioni sui possibili effetti nelle aree interessate dai divieti e circostanti potranno essere interessanti, ma non influenzeranno i regolamenti restrittivi. Per quanto detto in precedenza, nemmeno il punto iv) ci interessa in questa sede perché riguarda tutto il territorio nazionale o, comunque, l’area di cui il sito particolare fa parte, e quindi le valutazioni (e successive decisioni per eventuali cambiamenti normativi) andranno calibrate su una scala più ampia di quella che tipicamente interessa una AMP. Per fare un esempio più illuminante relativo al punto iv), basterà ricordare una norma generale italiana, nata negli anni 60 del secolo scorso (adesso adottata anche dalla Unione Europea) che vieta la pesca a strascico all’interno della fascia costiera, intesa come i fondali ricadenti entro le 3 miglia dalla costa o entro i 50m di profondità se questo limite dovesse cadere entro le 3 miglia di cui in precedenza. Per le definizioni date in questa nota, è ovvio che tale fascia di interdizione non può essere considerata né una AMP né una ARP perché è una norma generale e non particolare; inoltre,
non prevede né la triplice zonazione (A, B e C) delle AMP né le giustificazioni richieste dalle ARP (come vedremo di seguito). Inoltre, la norma delle “3 miglia / 50m” difficilmente potrà essere annullata in futuro perché ormai è ritenuta una norma consolidata ed utile (a prescindere dalla difficoltà di farla rispettare). Per semplificare ulteriormente il contesto, potremmo escludere anche i Santuari (punto vii, talvolta detti “Rifugi”) perché gli stessi potrebbero essere visti come una AMP mono zona (nello specifico solo la A) con al limite una zona periferica di “cuscinetto” (buffer in gergo), che in teoria si può trovare anche nelle ARP. Anche in questo caso, una volta deciso un santuario, difficilmente la restrizione potrà cambiare nel tempo perché la cosa significherebbe che la peculiarità biologica sia andata perduta. Un esempio di potenziale Santuario è dato dallo Scoglio corallo, una piccola emergenza rocciosa sommersa (una “secca” in gergo) nei pressi di Terrasini dove è tornato ad insediarsi il delicatissimo Corallo rosso. Un altro famoso “santuario” è il Pelagos, un triangolo di mare fra la Corsica e la Liguria, finalizzato alla protezione dei mammiferi marini (ma che per le definizioni date in questa nota dovrebbe essere chiamato in altro modo). Fatte queste debite premesse, è evidente che il bandolo della matassa per la diatriba utilità / non utilità delle AMP vada ricercato nei punti dal v) al vi). A questo punto il sagace lettore di pesceinrete avrà afferrato veramente qual è la causa più probabile della confusione e della divergenza di vedute ed opinioni sugli effetti delle AMP. Una volta istituita, è molto improbabile che una AMP possa essere soppressa perché la sua principale finalità non dovrebbe essere quella di promuovere la pesca ma, al contrario, creare una sorta di piccolo rifugio sia per le risorse del sito che per la comunità dei pescatori locali, compensando l’eventuale calo delle catture con l’aumento del turismo. Queste comunità, generalmente, sono composte da pescatori artigianali che prima della AMP soffrivano della forte competizione con la pesca semi industriale o vedevano i loro pesci più pregiati, come le cernie, i saraghi, i dentici o le ricciole, depredati da orde di subacquei “ricreativi” che spesso usavano autorespiratori per rastrellare i fondali senza limite alcuno alle catture o alle taglie minime e, ancora peggio, svendevano il loro pesce ai ristoranti locali facendo concorrenza sleale ai pescatori.
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In sintesi, una AMP rimarrà probabilmente in essere indipendentemente da quali potranno essere i benefici derivanti dalla sua istituzione perché l’assioma è che se non ci fosse la AMP la situazione sarebbe certamente peggiore. Certo, questo assioma non dovrebbe significare non monitorare la condizione della AMP, non effettuare i controlli contro i bracconieri e non intervenire per correggere eventuali storture anche se la pesca è consentita solo ai residenti. Nella letteratura scientifica, ci sono molti esempi di AMP che sembrano non garantire le finalità ed un titolo esemplare sul fatto che una AMP non garantisce a scatola chiusa la protezione almeno di alcune specie sensibili lo troviamo in un articolo del maggio 2018, sempre in pesceinrete (“Area marina protetta di Portofino. A rischio estinzione la patella ferruginea”). Parlandoci chiaro, bisogna sempre vigilare che una data AMP non diventi quello che alcuni autori anglosassoni chiamano “paper parks” (parchi di carta), ovvero aree protette solo sulla cartina geografica, ma di fatto prossime alla famosa Res nullius. Ed eccoci arrivati finalmente all’altra faccia della medaglia che nella Figura 2 è rappresentata dalle “Aree di restrizione alla pesca” o ARP (Fisheries Restricted Areas, FRA, per i colleghi anglosassoni). Ma, alla fine dei conti, quali sono le differenze fra ARP e AMP? Come già in parte tentato di mostrare, le ARP andrebbero istituite come zone di limitata estensione individuate secondo precisi metodi di valutazione degli stock (assessment) e chiari e predefiniti (in termini quantitativi) criteri e finalità gestionali nell’ambito di una più ampia area di pesca di riferimento. Inoltre, i loro effetti attesi sulla pesca vanno monitorati secondo calendari dettagliati e, cosa più importante, le ARP dovrebbero essere abolite ove i risultati attesi non siano stati raggiunti nei termini di tempo prefissati. Per fare un esempio chiaro, il governo italiano ha recentemente istituito delle ARP nella regione di pesca denominata Sud Sicilia (GSA 16 secondo la classificazione della Commissione Generale della Pesca del Mar Mediterraneo, GFCM; Figura 3). Queste due ARP sono state individuate (c’è da dire sulla base di evidenze scientifiche molto discusse da alcuni autori) e comunque sono state finalizzate alla protezione delle reclute (cioè sono state considerate come importanti aree di nursery) di stock importanti; gli studiosi ai quali le Autorità hanno dato credito hanno previsto che tale chiusura determinerà un
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netto miglioramento sia della consistenza in mare degli stock interessati sia della pesca commerciale nella GSA 16 nel giro di pochi anni.
Figura 3 – Rappresentazione delle due Aree di Restrizione alla Pesca (ARP) recentemente introdotte dal Governo Italiano nella GSA 16 Sud Sicilia (con l’avvallo del GFCM e della Unione Europea). Le tre macchioline che si vedono al limite del lembo superiore della GSA 16 sono le Isole Egadi intorno alle quali insiste, dal 1991, una vasta Area Marina Protetta.
Come si percepisce chiaramente dalle minuscole e piccole dimensioni della AMP Egadi e delle due ARP in relazione a tutta la GSA 16, le 3 entità ricadono perfettamente nelle definizioni date in precedenza in questo documento. Orbene, ai fini della protezione, è molto probabile che l’AMP Egadi rimarrà in essere per moli anni ancora, ma per la scienza alieutica, ove i risultati attesi secondo le simulazioni di cui prima (basate però su un lavoro viziato da un’erronea attribuzione delle catture commerciali alla GSA 16) non si dovessero verificare nei tempi previsti, le due ARP dovrebbero essere abolite. Ma il lettore di pesceinrete potrebbe chiedere “Perché non applicare l’assioma delle AMP anche alle ARP?" Una risposta esauriente sarebbe complessa e richiederebbe più spazio, ma volendo sintetizzare si deve considerare che: www.pesceinrete.com
1) la norma attuativa delle due ARP non prevede una riduzione dello sforzo di pesca, quindi se i pescatori rispetteranno la ARP, ma vorranno mantenere le catture precedenti, allora vorrà dire che probabilmente cercheranno di compensare le mancate catture delle due ARP aumentando la loro attività sui fondali circostanti e conseguentemente aumenterà la mortalità da pesca sulla frazione dello stock al di fuori delle ARP, quindi non protetta e già sovra sfruttata (specialmente i riproduttori nel caso specifico), sovra sfruttamento che è stato invocato come
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co-motivazione per stabilire le due ARP; 2) nelle due ARP, le reclute, non più pescate, si concentreranno ancora di più di prima e questo di solito determina l’allargamento della nursery al di fuori della ARP (e quindi parte della nursery “ingrandita” sarà comunque esposta alla pesca), l’aumento della competizione per il cibo, il rallentamento della crescita e l’aumento dell’esposizione ai predatori (anche al cannibalismo da parte dei consimili più grossi); in altri termini, non è assicurato che la riduzione della moralità da pesca (F) dopo la chiusura si traduca in un proporzionale decremento della mortalità totale (Z) a causa di un aumento della mortalità naturale (M), cioè quella non causata dalla pesca. Tradotto, c’è il rischio che buona parte delle reclute salvate dai pescatori moriranno comunque per cause naturali. In ultima analisi, non è per nulla scontato che una ARP porti ai previsti sostanziali benefici alla pesca e potrebbe, addirittura, rivelarsi, alla prova dei fatti, controproducente sia per gli stock che per i pescatori. Di fatto, la probabilità di successo di una ARP dipende da molteplici fattori tutti da verificare, ma fondamentalmente è la dimensione relativa della ARP rispetto all’area generale di riferimento il fattore cruciale; per esempio, alcuni studi suggeriscono che l’insieme delle ARP istituite nell’area più generale, per essere efficace per la pesca, non debba essere inferiore al 30 – 40% della superfice totale dell’area generale utilizzata dai pescatori! Addirittura, alcuni studiosi hanno portato all’estremo l’idea dell’espansione delle AMP proponendo di invertire le scale dei fattori spaziali; cioè, che siano le aree disponibili alla pesca non più del 20 - 30% dell’area generale e tutto il resto divenendo una sorta di grande AMP o zona di assoluto non prelievo. Di contro, altri colleghi hanno fatto notare (a parte lo spostamento dello sforzo di pesca sulle aree limitrofe alle AMP / ARP) che le azioni più importanti per proteggere il mare e le sue risorse sarebbero quelle di mettere in atto seri piani gestionali, contrastare efficacemente tutte le attività illegali (non solo la pesca, ma anche, per esempio, le carrette del mare che poi naufragano liberando il loro carico) o le attività rischiose come l’estrazione di petrolio tramite le piattaforme off-shore. La capacità dei paesi europei di svolgere i controlli, far rispettare i regolamenti e sanzionare severamente i trasgressori (con sequestro delle attrezzature e multe) sembra ancora deficitario almeno a leggere il recente rapporto della UE. In particolare, per
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quanto l’Italia sia fra i paesi che hanno denunciato più infrazioni totali (sia serie che meno serie) e fatto pagare le multe più alte per capita, non sembra aver fornito tutti i dati richiesti e in più spicca una frase secondo la quale l’Italia presenta i livelli più bassi nel sanzionare le infrazioni più gravi rispetto a quanto fanno altri paesi. Nel tema di questa nota, inoltre, l’Italia è il terzo paese per sanzioni contro chi ha pescato in aree o stagioni “chiuse” alla pesca (13% del totale europeo, prossimo alla Spagna, 12%, entrambi più bassi di quelli della Francia, 26%, e della Grecia, 38%).
Quindi considerare le AMP alla stessa stregua delle ARP e come voler confrontare le arance con le pere trattandosi di due entità diverse sia nei fondamenti concettuali che nelle finalità e di conseguenza non strettamente paragonabili.
In effetti, è un mistero per chi scrive su come mai non sia stato attivato in passato (e non so se lo sarà in futuro) un modulo di ricerca sulla pesca illegale nell’ambito dei piani nazionali di raccolta dati italiani.
Di contro, le ARP vanno visti come strumenti di estrema ratio (quando non si può fare altro a livello gestionale) per cercare di mitigare gli effetti della sovra pesca e migliorare lo stato delle risorse e delle attività peschereccie ad esse collegate.
Accettando la visione capovolta (solo piccole aree pescabili), non solo la problematica sulle AMP o ARP non avrebbe più senso, ma bisognerebbe pensare a trovare le risorse economiche per controllare il mare e prevenire i bracconieri e, nel contempo, dare sostegni al settore (per esempio, per compensare la perdita di migliaia di posti di lavoro) e all’indotto (per esempio, la riduzione delle attività dei cantieri navali e delle officine meccaniche impegnate nella manutenzione dei pescherecci). Inoltre, ci sarebbe il problemino di garantire il fabbisogno nazionale di prodotti ittici marini senza aggravare la bilancia commerciale del settore (a meno di non obbligare gli italiani a consumare solo pesce di allevamento).
Ma allora da dove deriva la confusione?
Come già detto, le AMP dovrebbero essere finalizzate a proteggere a lungo termine la ricchezza di specie (biodiversità) e il paesaggio del fondo marino del sito a favore dei pescatori locali e del turismo (specialmente i sub che amano immergersi e fotografare i fondali con annessi spugne, gorgonie, nudibranchi o barracuda).
Almeno a parere di fondamentalmente tre:
chi
scrive,
i
problemi
sono
Tornando alle dimensioni attuali, è ormai evidente che una AMP, come tipicamente definita, molto difficilmente raggiungerà limiti di copertura così elevati, ergo è estremamente improbabile che una AMP possa influenzare lo status della pesca nell’area più generale in cui ricade. Anche ammettendo che la AMP ricostituisca la primigenia abbondanza (almeno nella zona A), il trasferimento di uova, larve, reclute e esemplari adulti all’esterno della AMP (il cd Spillover / Spill-over) sarà una goccia per le risorse nel mare circostante per le specie stanziali e nemmeno una “sfumatura di blu” per le specie pelagiche migratorie.
I) non esiste un accordo generale su questa tematica per le definizioni e la semplificazione terminologica proposta in questa nota non è accettata né da molti colleghi né tantomeno dalle agenzie o governi che tendono a complicare gli enti enfatizzando i nomi e le denominazioni; II) le parole “Area Marina Protetta” o simili (vedi Tabella 1) hanno una “sonorità” di gran lunga più invitante dell’analoga “Area di Restrizione alla Pesca” sia per le riviste scientifiche (dove i ricercatori pubblicano i lavori necessari anche per la progressione della loro carriera) sia per il pubblico non specialista; III) valutare le condizioni per prima istituire una ARP e successivamente per dimostrare che i positivi effetti sulla pesca siano stati effettivamente raggiunti e, nel caso di risposta positiva, che il risultato rifletta veramente l’azione della ARP e non di altri fattori concomitanti (per esempio, la recente rottamazione di centinaia di pescherecci a strascico nella GSA16), è un’operazione estremamente difficile (nel gergo politichese si direbbe “non porta voti”).
Tornado all’esempio della GSA 16, per quanto noto a chi scrive, non esiste alcune evidenza di un effetto positivo della AMP Isole Egadi sulla pesca generale della costa meridionale della Sicilia, mentre certamente, per esperienza personale dopo centinaia di immersioni, ha garantito una maggiore protezione di molte specie di pesci demersali più stanziali come cernie, dotti, saraghi, dentici e simili (ma altri colleghi hanno un giudizio meno lusinghiero sul successo di questa AMP).
Tornando alla lista vista in precedenza, un esempio lampante di possibile confusione terminologica (almeno secondo le definizioni date in questa nota) è rappresentato dal Golfo di Castellammare (Sicilia nord occidentale). Nel 1990, in questo Golfo il divieto di strascico è stato “allargato” dai già previsti 50m sino all’isobata dei 200m non essendo state considerate sufficienti le diverse piramidi di blocchi di calcestruzzo calate, come deterrenti allo strascico, nella fascia costiera.
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Entità di riferimento
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Categorie assimilabili
AMP Area Marina Protetta
Area chiusa, Area di gestione marina, Area di protezione alla pesca, Area di protezione biologica, Area di speciale interesse scientifico, Area marina specialmente protetta, Area parzialmente protetta, Area speciale di conservazione, Area speciale di conservazione di importanza nazionale, Area specialmente protetta di interesse Mediterraneo, Area totalmente protetta, Parco marino, Riserva marina, Santuario, Sito di interesse comunitario, Sito di speciale interesse comunitario, Zona di Tutela Marina, Zona specialmente protetta del Mediterraneo, Zona di pesca protetta, Zona di tutela biologica, Zona marina esclusiva.
ARP Area di Restrizioni alla Pesca
Area di gestione marina, Area di nursery (reclute), Area di protezione alla pesca, Area di riproduttori, Area parzialmente protetta, Area totalmente protetta, “Box xxx” (per i sotto taglia, dove xxx indica la specie a cui si riferisce il Box), Area Marina Protetta con non prelievo (generale o per tipo di attrezzo), Riserva di pesca, Santuario marino delle pesca, Zona di esclusione, Zona di non prelievo (generale o per tipo di attrezzo), Zona di pesca esclusiva, Zona di tutela biologica.
Tabella 1 - Tentativo di raggruppare le varie denominazioni di zone marine sottoposte a specifiche e ulteriori restrizioni di quelle operanti nell’area più generale dove ricade la zona in oggetto secondo le due categorie base: Aree Marine Protette (AMP) e Aree di Restrizione alla Pesca (ARP). NB alcune voci possono comparire in entrambe le entità secondo quale finalità preminente gli venga riconosciuta.
Tornando alla lista vista in precedenza, un esempio lampante di possibile confusione terminologica (almeno secondo le definizioni date in questa nota) è rappresentato dal Golfo di Castellammare (Sicilia nord occidentale). Nel 1990, in questo Golfo il divieto di strascico è stato “allargato” dai già previsti 50m sino all’isobata dei 200m non essendo state considerate sufficienti le diverse piramidi di blocchi di calcestruzzo calate, come deterrenti allo strascico, nella fascia costiera.
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Dopo questa chiusura, in molte pubblicazioni e report scientifici, il Golfo di Castellammare è citato spesso fra le AMP seppure viene specificato nei titoli o nel testo che si tratta di una “area non strascicabile” o “zona esclusiva marina” o “zona di pesca esclusiva” o “zona di non prelievo”, comunque considerandola come una sottocategoria di AMP. Invece, Castellammare dovrebbe essere considerato una ARP a tutto tondo dato che 1) non esiste una zonazione A-B-C e 2) l’area esclusa allo strascico rimane fruibile a tutti gli altri tipi di pesca sia professionale che ricreativa e, per quanto noto, senza privilegi particolari per i pescatori residenti nei vari comuni interessati e senza bisogno di chiedere permessi per i pescatori ricreativi, i sub foto amatori o i bagnanti. Di contro, altre entità in Tabella 1 meritano una specifica come le cd Zone di tutela biologica che furono concepite in
Italia alla fine degli anni 60 del secolo scorso (come AMP o ARP in nuce), ma furono istituite (con modalità discutibili) molti anni dopo (a partire dal 1993) e più come AMP/ Santuari che come ARP. Insomma, è evidente che il combinato disposto di quanto esposto in precedenza tenda a determinare il fiorire di un caleidoscopio (forse sarebbe meglio usare la parola “Jungla”) di denominazioni e definizioni di molteplici entità i cui confini sfuggono (almeno per il sottoscritto) ad una precisa collocazione nella scala cromatica della Figura 1. Alcuni colleghi hanno cercato di ovviare allungando la semplice “etichetta” “Area marina protetta” in “Area marina protetta come strumento gestionale della pesca”, ma forse sarebbe auspicabile applicare alla tematica il celeberrimo principio logico di parsimonia (o “Rasoio”) attribuito al frate francescano William da Ockham (anche noto come Guglielmo di Occam; XIV secolo), principio che, nello specifico, può riassumersi nelle semplici parole: “Non moltiplicare gli elementi più del necessario” Ovvero, perché non limitarci a distinguere le AMP dalle ARP?
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ALASKA SEAFOOD www.alaskaseafood.it
"il futuro degli stock ittici e dell’ambiente sono più importanti delle opportunità immediate della pesca commerciale"
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ASMI è l’acronimo di “Alaska Seafood Marketing Institute” ossia l’Istituto per la Promozione dei prodotti Ittici dell’Alaska. Si tratta infatti di un’Associazione Interprofessionale che rappresenta l’industria della pesca in quello Stato. Sede principale è Juneau, la capitale, ma ci sono uffici anche a Seattle, Barcellona, San Paolo, Parigi, Londra, Tokio e Pechino. ASMI, per promuovere lo sviluppo e il consumo della pesca in Alaska, si avvale di programmi di formazione, di ricerca, oltre che di pianificazioni pubblicitarie e promozionali sui principali mercati di competenza. Da questo stato, con i suoi 55.000 chilometri di costa, proviene più della metà della produzione alieutica americana e, inoltre, l’intera regione appartiene alla zona 67 FAO. Una produttività, quella dell’Alaska, che deve la sua ricchezza alle fredde e pulitissime acque del Mare di Bering e del Golfo che ospitano enormi e diverse popolazioni di pesci e crostacei che si nutrono in modo naturale con sostanze di eccellenza che esistono grazie ai fitoplancton, costituito da piante microscopiche che alimentano lo zooplancton, piccoli animali quali il krill, piccolo crostaceo che vive sospeso in acqua e alla deriva. Proprio il fitoplancton e lo zooplancton forniscono il cibo necessario ai piccoli pesci e crostacei che vengono cacciati da esemplari più grandi, da mammiferi e uccelli marini. Si tratta di un ecosistema fondamentale per la pesca in questo Stato che, da decenni, rappresenta un’attività non solo sostenibile ma che ottiene risultati abbondanti. In Alaska il futuro degli stock ittici e dell’ambiente sono più importanti delle opportunità immediate della pesca commerciale. Le zone di pesca sono gestite in modo da garantire una fornitura sostenibile dei prodotti ittici provenienti dalle acque dell’Alaska così come imposto dalla costituzione dello Stato. Nel 1959 il popolo dell’Alaska decise che “Il pesce…dovrà essere
utilizzato, sviluppato e conservato secondo il principio dello sfruttamento sostenibile”. Tutti gli aspetti della pesca dell’Alaska sono rigorosamente regolamentati, monitorati da vicino e rigidamente rispettati. I rigorosi regolamenti e le politiche di pesca stabiliti dall’Alaska Board of Fisheries e messi in atto dall’ADFG assicurano che le popolazioni ittiche vengano gestite per garantire il miglior sfruttamento sostenibile. La pesca in Alaska è certificata da organismi indipendenti come pesca sostenibile sia dal programma della Gestione Responsabile della Pesca in Alaska, sia dal Marine Stewardship Council. Tra i prodotti ittici dell’Alaska troviamo il Salmone Selvaggio, il Carbonaro, il Merluzzo, il Granchio Reale, tutte specie selvagge e sostenibili. Per esempio, per il Salmone, l’Alaska Department of Fish and Game (ADFG) ne gestisce la pesca fissando i cosiddetti “obiettivi di fuga”. Questo, per consentire a un numero sufficiente di salmoni adulti da riproduzione di sfuggire alla cattura nelle zone di pesca e di raggiungere le zone di riproduzione nelle acque dolci così da mantenerne la sostenibilità a lungo termine. Il ADFG, attraverso controlli con sonar, ricognizioni aeree e postazioni fisse di avvistamento, prende le necessarie decisioni sulla gestione di oltre 15.000 corsi d’acqua di riproduzione stabilendo la numerosità del pescato che di conseguenza fluttua di anno in anno, durante la stagione prefissata. Il Salmone pescato nelle acque pulite e pure dell’Alaska è ricco di nutrienti: E’ una grande fonte di proteine povere di grassi ed è zeppo degli essenziali acidi grassi omega 3 a catena lunga quali DHA e EPA che si trovano solo nelle fonti di origine marina. Per qualsiasi informazione potete consultare www. alaskaseafood.it.
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La Banda Bassotti di Topolino o la Spectra di James Bond? di Sergio Ragonese
Ovvero: qual è l’incidenza della pesca illegale nei mari italiani? C’è un termine siciliano molto evocativo, ma sul quale esistono dubbi interpretativi. Mi riferisco a “scassapagghiaru”, dove il “pagliaro” indica un piccolo capanno conico fatto di canne poggianti su una base circolare di pietre. In questo rifugio di fortuna, i contadini pernottavano alla bisogna, per esempio, per non farsi rubare i gustosi meloni quasi pronti per la raccolta. In questa sede, propongo di risolvere il dubbio interpretativo accettando la congettura che “scassapagghiaru” sia nato per indicare un ladruncolo talmente poco abile nel suo lavoro da riuscire solo nell’impresa di rubare i poveri contenuti dei pagliari, ovviamente, data la relativa facilità di accedere all’interno degli stessi (di solito, non dotati di porte corazzate). Traslato nel contesto di maggiore interesse del titolo di questa nota e di Pesceinrete, la precedente interpretazione dello scassapagghiaro vorrebbe indicare che la attività illegali che interessano la pesca marittima italiana siano qualcosa di poco conto, ovvero, con un’incidenza marginale rispetto all’intero settore produttivo. Per inciso, Pesceinrete ha dedicato diversi articoli sul tema negli ultimi anni spaziando dalla pesca illegale di diverse tonnellate di Tonno rosso al problema delle catture dei sotto taglia rigettate in mare (a dispetto dell’obbligo di sbarco), senza dimenticare la violazione delle aree chiuse alla pesca e gli ausili tecnologici per la video sorveglianza in remoto, come le telecamere o i droni, pensati per contrastare la pesca illegale.
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Rispolverando ricordi personali, ahimè di qualche decennio fa (l’interesse per le commedie italiane cinematografiche in bianco e nero e la lettura dei fascicoli settimanali Topolino della Disney / Mondadori), si potrebbe pensare ad una presupposta sparuta pattuglia di pescatori (sia commerciali / professionisti che ricreativi) e commercianti ittici che svolgono illegalmente la loro attività paragonandoli alla celeberrima “Banda degli onesti” (con Totò e Peppino) o alla maldestra “Banda Bassotti” contrastata, sempre con successo, dal commissario Bassettoni (con il risolutivo aiuto di Topolino). Purtroppo, l’immagine molto inquietante scelta come apertura
Figura 1 - Iimmagine di copertina del romanzo di Wolfram Fleischhauer, Rosso come il mare, che tratta delle associazioni criminali che operano nel traffico illegale di prodotti ittici
di questa nota fa presupporre uno scenario alternativo più grave e preoccupante. Continuando ad utilizzare una metafora cinematografica, ci sono evidenze lampanti che descrivono la pesca illegale (nel mondo e anche in Italia) più come un’attività radicata e diffusa, comunque incisiva, temibile e, ovviamente, tendenzialmente nascosta come la Spectra, contrastata da James Bond, piuttosto che alla Banda Bassotti di prima. Traslati nella tematica della presente nota, i due estremi di prima ci serviranno per cercare di capire se la pesca illegale nei mari italiani sia assimilabile a un fenomeno marginale, folcloristico esercitato da pochi “scappati di casa” (scassapagghiari o Banda Bassotti, di seguito BB) o, al contrario, ad un fenomeno che inquini gravemente tutto il settore (la Spectra, di seguito SP). La differenza fra i due estremi, BB vs SP, non è trascurabile! A parte la concorrenza sleale verso chi vive onestamente delle risorse del mare rispettando la crescente pletora di regolamenti imposti dalla UE (e, come si suol dire, “paga le tasse”), una diffusa e intensa pesca illegale non solo rende estremamente difficile compiere delle corrette valutazioni (e conseguentemente, elaborare i piani di gestione più idonei ed efficaci per una pesca cd “sostenibile”), ma rappresenta anche un ingente danno economico per il paese. C’è poi da rimarcare fra gli effetti
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Figura 2 - Il poster prodotto dall’Unione Europea per evidenziare la tematica “Illegal, Unreported and Unregulated (IUU) fishing”, di solito tradotta in italiano come “Pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (INN)” (di seguito, però si è preferito mantenere la dizione originale - IUU).
In altre parole, un livello BB di illegalità probabilmente non confonderà le valutazioni e non pregiudicherà gli interventi (ed i sacrifici) per gestire al meglio gli stock, mentre un livello SP potrebbe essere almeno la concausa che spiega come mai certi obiettivi gestionali della pesca italiana, perseguiti anche con la demolizione di centinaia di pescherecci (costata al pubblico erario centinaia di milioni di euro per demolirli e molti di più per compensare il calo delle catture), sembrano mete sfuggenti e irraggiungibili. Come sempre, iniziamo a dare delle definizioni minime utilizzando un estratto del poster (Figura 1) predisposto dall’Unione Europea (di seguito UE) sulla problematica della pesca illegale (e non solo) e che i lettori potranno trovare, nella sua interezza, nel sito https://ec.europa.eu/oceans-andfisheries/fisheries/rules/. Per quanto la scritta sia in inglese, dalle figure appare evidente che per pesca illegale si intendano tutte quelle attività condotte senza essere autorizzati o, pur essendo autorizzati, violando i regolamenti contenuti nei piani di gestione prodotti da entità ufficiali regionali (per esempio
il GFCM per il Mediterraneo) o, più in generale, regolamenti o convenzioni riconosciute a livello internazionale (dove vale il principio che in caso esistano più regolamenti si deve adottare quello più conservativo / restrittivo). By the way, devo ricordare ai lettori di Pesceinrete che i pescatori (di tutti i tipi) e commercianti ittici dei paesi che aderiscono alla UE sono obbligati a rispettare qualunque legge della UE dovunque essi si trovino ad agire. Tornando alla Figura 2, è da evidenziare come il sacchetto di soldi associato alla pesca IUU indica un volume delle IUU stimato nel 19% dell’intero settore per un giro d’affari di 10 miliardi di euro ogni anno; questi numeri fanno presupporre che l’incidenza mondiale delle IUU sia assimilabile più alla SP che alla BB di prima. Ma non si tratta solo di catture e soldi; come recentemente enfatizzato dal film documentario Seaspiracy, la pesca illegale ha risvolti criminali e criminogeni che possono travalicare i soli aspetti quantitativi e possono culminare, oltre che nella devastazione degli ecosistemi marini, in omicidi come raccontato nel romanzo Rosso come il mare di Wolfram Fleischhauer. Prima di procedere, per semplicità, tralasceremo gli altri due ingredienti IUU (pesca non dichiarata e non regolamentata) perché non necessariamente una pesca “non dichiarata” o “non regolamentata” implica illegalità.
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collaterali le frodi alimentari legate alla pesca illegale con annesso rischio di salute per i consumatori dato che spesso il pesce catturato e commercializzato illegalmente non è idoneo al consumo (per es., per il mancato rispetto delle minime norme igieniche o della catena del freddo).
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Figura 2 - A sinistra delle Oloturie di mare all’inizio della preparazione per ottenere gli “stracciatelli” di carne (a destra) da utilizzare per il Trepang. Da Toral-Granda et al. (2008) FAO Tech. Paper, 516: 317p. (fonte primaria: Alaska department of Fish & game, commercial Fisheries).
L’esempio più calzante e recente per i mari Italiani è dato dalla pesca delle Oloturie o Cocomeri di mare (echinodermi parenti dei ricci e delle stelle di mare che i siciliani chiamano in modo più folcloristico). Sino a pochi anni fa, chiunque poteva legalmente pescare questi organismi senza alcuna autorizzazione, limite quantitativo o obbligo di dichiarazione. Le cose sono cambiate quando delle oloturie italiane si sono interessati i mercati orientali che le usano per preparare una (per loro) ghiottoneria (il Trepang; Figura 3). Si è scatenata una “corsa all’oro” che stava minacciando addirittura la sopravvivenza di molte specie e quindi il governo italiano è intervenuto per regolamentarne la pesca.
riguarda uno degli ingredienti della cd Pasta allo scoglio: le patelle. Si tratta di molluschi gasteropodi (cioè che hanno una sola conchiglia e non due come le cozze) comunissimi sulle coste rocciose nostrane e depredati non solo dai bagnanti, ma anche da pescatori pseudo-professionisti che ne raccolgono grandi quantitativi per rivenderli ai ristoranti che poi offrono ai loro clienti la gustosa pietanza. I clienti però dovrebbero informarsi bene perché c’è una specie (Patella ferruginea) protetta in “assoluto” nel senso che non solo non si può pescare, ma nemmeno tenere la conchiglia come souvenir sulla scrivania. Di contro, le altre patelle rientrano nella categoria peschereccia “non regolamentata”.
Quindi, adesso in Italia tutte le oloturie sono regolamentate in assoluto, nel senso che non si possono pescare, ma per altre categorie le cose sono un po' più complicate. L’esempio scelto
Fatte queste precisazioni, basterà osservare le specifiche riassunte in Tabella 1 per confermare l’elevata preoccupazione ed attenzione della UE sulle IUU.
Argomento
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- Limiti e quote di cattura - Pesca e gestione delle specie di acque profonde - Piani pluriennali di gestione - Cattura ritornata al mare (rigetto / scarto) - Pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata - Come l'UE gestisce la capacità della sua flotta peschereccia - Misure tecniche; regole che disciplinano come, dove e quando i pescatori possono pescare - Cosa sta facendo l'UE per far rispettare le regole - Scopri di più sulla piccola pesca nell'UE (pesca artigianale)
Localizzazione dei documenti /oceans-and-fisheries/fisheries/rules/fishing-quotas /oceans-and-fisheries/fisheries/rules/deep-sea-fisheries /oceans-and-fisheries/fisheries/rules/multiannual-plans /oceans-and-fisheries/fisheries/rules/discarding-fisheries /oceans-and-fisheries/fisheries/rules/illegal-fishing /oceans-and-fisheries/fisheries/rules/fishing-fleetcapacities /oceans-and-fisheries/fisheries/rules/technical-measures /oceans-and-fisheries/fisheries/rules/enforcing-rules /oceans-and-fisheries/fisheries/rules/small-scale-fisheries
Tabella 1 - Una sintesi dei richiami della Unione europea sui diversi aspetti delle norme sulla pesca e sulla loro violazione che si potrebbero caratterizzare sotto l’egida “Scopri di più sulle norme dell'UE in materia di ….”. I documenti sono anche disponibili in italiano. Dal sito https://ec.europa.eu/oceans-and-fisheries/fisheries/rules/.
La Tabella 1 è molto utile sia per il variegato panorama degli argomenti sui quali può incidere la pesca IUU, sia perché mette in evidenza il secondo ingrediente fondamentale per perlomeno contenere e mitigare la pesca IUU: le attività di controllo / sorveglianza da mettere in atto per far rispettare i regolamenti ed, eventualmente, sanzionare (si spera, in modo draconiano) i contravventori. Come si è cercato di spiegare sinteticamente sino a questo punto, sembra evidente che l’UE da tempo abbia accesso i riflettori sulla pesca IUU proponendo interventi e relativa documentazione ritenendo, evidentemente, la tematica “Pesca IUU” più assimilabile alla SP di James Bond che non alla BB di Topolino.
E in Italia? Da anni nel nostro paese si svolge un imponente programma a livello nazionale per monitorare la pesca (e non solo) sia professionale / commerciale e (recentemente) ricreativa denominato “Piano di Lavoro Nazionale per la Raccolta di Dati Alieutici (PLNRDA)”. Il PLNRDA stabilisce un insieme di “moduli di ricerca” (anche WP Work Package) che spaziano dai dati di cattura e sforzo di pesca alla consistenza in numero e peso degli stock in mare, comprendendo anche la stima delle strutture biologiche degli stock (utilizzando dati sia sperimentali che commerciali), e non tralasciando altri aspetti come la cattura incidentale di specie protette o sensibili tipo i mammiferi marini e le tartarughe (T5.1a – catture accessorie nel WP 5, impatto sull’ecosistema) oppure i contenuti stomacali (nel WP 5 T5.3 catene trofiche). Tuttavia, per quanto chi scrive abbia cercato nei siti del PLNRDA, sia quelli vecchi (http://dcf-italia.cnr.it/ o http://dcfitalia.cnr.it/main) sia nel nuovo (2020; https://dcf-italia.cnr.it/ web/ o Fishnet), qualche richiamo o modulo riferito alla Pesca IUU, con grande sorpresa, nulla di assimilabile a quanto presentato in Figura 1 e Tabella 1 è stato trovato. Le parole “Pesca illegale” sembrano anche essere un tabù per gli “Annuari sullo stato delle risorse e sulle strutture produttive dei mari italiani” (pubblicati nel 2008, 2015 e 2019, sempre nell’ambito del PLNRDA (T7.2 utilizzo dati – annuario – nel modulo WP 7 gestione ed utilizzo dati). Eppure, come dimostrato anche da un recente lavoro concernente la marineria di Sciacca in Sicilia (Falautano et al., 2018, Ocean Coast. Manag., 151), il fenomeno IUU sembra occorrere ancora oggi in maniera significativa anche in Italia. Di conseguenza, salvo un ritrovamento di un documento
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/ modulo “Pesca IUU” che mi è sfuggito, da ciò si deve evidentemente dedurre che i decisori del PLNRDA (e i loro consulenti scientifici) hanno una percezione della pesca IUU diversa da quella manifestata dalla maggior parte dei ricercatori alieutici del mondo secondo i quali la Illegal, Unreported and Unregulated (IUU) fishing rappresenta un item cruciale e prioritario da considerare a livello mondiale nei piani di valutazione dato che queste attività catturano qualche decina di milioni di tonnellate di pescato contribuendo in modo sostanziale non solo a mantenere sovra sfruttati gli stock, ma anche ad ostacolare il loro recupero previsto dai piani di gestione. Ovviamente, il fenomeno interessa anche il Mar Mediterraneo e non a caso, a parte la UE, la FAO ha creato un gruppo di lavoro apposito per prevenire, contrastare ed eliminare la piaga della Pesca IUU. Prima di concludere la parentesi del PLNRDA, c’è però da dare una notizia incoraggiante: chi scrive ha appena appreso che un valido ed esperto collega “alieutico”, Enrico Arneri, è stato nominato coordinatore unico del programma di raccolta dati (almeno per il 2021) e c’è da augurarsi che lo stesso possa dare ai lettori di Pesceinrete qualche informazione sul fatto che si possa attivare un modulo anche sull’incidenza della pesca IUU. A questo punto, però, il lettore di pesceinrete potrebbe obiettare che la mancanza del modulo IUU nel piano rifletta il fatto che gli Italiani, oltre ad essere un “popolo di santi, poeti e navigatori”, abbia una vocazione innata a rispettare le regole della pesca, tranne qualche sconsiderato “scappato di casa”; cioè, in Italia la pesca illegale riguarderebbe più il modello BB piuttosto che quello SP. Purtroppo, a parte il citato recente riferimento a Sciacca, come ha potuto sperimentare chiunque abbia interagito con il mondo della pesca, sia commerciale che ricreativa, frequentando con spirito di osservazione le coste ed i fondali dei mari italiani, svolto campionamenti di cattura presso i mercati ittici all’ingrosso, osservato ed acquistato prodotti ittici ai mercati al dettaglio e ordinato pietanze marinare al ristorante, la sensazione fondata è che anche la Pesca IUU in Italia sia più vicina alla SP che non alla BB. Solo per fare alcuni esempi generali, che dire dei pescherecci che strascicano a meno di 50m, della moltitudine di pesci e crostacei sotto taglia minima, dei datteri di mare presi con la dinamite, delle femmine di aragoste / astici / scampi con le uova esposte sui banco espositivo dei mercato del ristorante, degli abusivi che prelevano migliaia di ricci di mare in un solo
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giorno (1000 esemplari è il limite), dei ricreativi che pescano più dei 50 ricci giornalieri permessi e la qualsiasi (anche di notte e magari utilizzando gli autorespiratori) senza badare ai limiti di cattura giornaliera (5 kg o un solo pesce grosso) e vendendo a privati o compiacenti ristoratori il loro prodotto, ai “gamberoni rossi di Mazara” a prezzi irrisori (perché, in realtà, provenienti dall’Oceano Atlantico o Indiano), del “pescato fresco di giornata” scongelato poco prima in riva al mare, delle tannute spacciate per pagri (pure buone, ma di costo inferiore), delle code di rospo spacciate come parti delle rane pescatrici mediterranee (in realtà, altre specie fra cui anche alcune velenose), di tranci di “pesce spada / tonno rosso mediterraneo” venduti a prezzi imbattibili (perché catturati in Atlantico e non Tonno rosso), del calamaro ripieno che in realtà è un totano (di nuovo pure buono, ma sempre ad un prezzo di gran lunga inferiore al primo) e via discorrendo. A questi fenomeni illegali e gravi, ma comunque finalizzati al consumo di prodotti ittici, c’è da aggiungere la moltitudine di sconsiderati e irresponsabili che si portano a casa come souvenir stelle di mare, valve madreperlacee della Pinna nobilis (nacchera, al momento decimata da un’epidemia) e persino i simpatici cavallucci marini (ricercatissimi dagli orientali che li macinano per venderli come afrodisiaci). Ovviamente non è possibile in questa sede fare una disamina completa della problematica per cui da un lato si rimanda a due interessanti documenti e dall’altro si presenta un gustoso quanto istruttivo aneddoto riportato da un collega esperto anche di cefalopodi (G. Bello).
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Per i documenti, basterà citare il capitolo 9.4 “La Capitaneria di porto e il contrasto alla pesca illegale” nel voluminoso rapporto sullo “Stato della pesca e dell’acquacoltura nei mari italiani” (pubblicato nel 2011 e curato da Cautadella & Spagnolo), il dato sconcertante che il 50% della pesca italiana dal 1950 ai tempi recenti sia sfuggito alla rilevazione statistica (almeno secondo una ricostruzione pubblicata nel 2015 da Piroddi et al. su Fish. Res., 172) e il più recente rapporto sulla Pesca IUU del 2021 che descrive la situazione nei paesi dell’UE (fra cui l’Italia). Non è stato però possibile resistere alla tentazione di riportare, dal rapporto del 2021, l’interessante Figura 3. Tornando all’aneddoto, l’amico e collega Gianni Bello riporta nel suo bel libro tematico (Polpo di Scena pubblicato nel 2017 da Mario Adda Editore) la seguente storiella, denominata giustamente dei “Polpi nanerottoli”, che sarà capitata chissà quante volte ai consumatori al dettaglio o agli avventori dei ristoranti (ovviamente, a loro insaputa). Un suo congiunto gli mostrò dei piccoli esemplari di polpi venduti dal pescivendolo come polpi veraci o nostrani o “di scoglio” (Octopus vulgaris). Nonostante avessero due fila di ventose (come O. vulgaris, mentre i moscardini, per inciso, ne hanno una sola), l’ispezione dei visceri, da parte del collega (come accennato esperto anche di molluschi cefalopodi, in gergo un Teutologo) rivelò che tutti i polpi “nanerottoli” mostravano gonadi completamente mature nonostante la loro taglia fosse inferiore a quella alla quella maturano i polpi mediterranei. Per farla breve, il collega scoprii che si trattava di un’altra specie di polpo, ma proveniente dall’Oceano Indiano; il prodotto aveva invaso il mercato locale grazie alle piccole dimensioni, predilette dai consumatori, e alla complicità di fraudolenti rivenditori che cercavano di lucrare qualche soldo in più visto che i polpi veraci sarebbero stati di gran lunga più cari (ed anche illegali in alcune zone dove vige il peso minimo di 400g) rispetto ai nanerottoli.
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Questo aneddoto è importante perché ci dice che i consumatori possono contribuire a contrastare la pesca IUU in Italia, cercando di informarsi (magari sfogliando una guida agli organismi marini del Mediterraneo), prestando molta attenzione alla scelta del rivenditore e non avendo esitazioni a chiedere informazioni al pescivendolo o al ristoratore; minimi tentennamenti e risposte ambigue o evasive dovrebbero fare scattare il campanello d’allarme!
Figura 3 – Le violazioni (in %) dei regolamenti della pesca riportati dai paesi della Unione Europea. Con il 42% dei casi, l’Italia ha il triste primato in solitario seguita a distanza dalla Grecia, Spagna e Francia. Da Unione Europea (2021) Study on the sanctioning systems of Member States for infringements to the rules of the Common Fisheries Policy. EU Overall Report - Final Report - MARE/2019/02: 222 pp.
Ovviamente, un contrasto effettivo alla Pesca IUU deve vedere interventi più generali e incisivi a livello dei governi e delle entità scientifiche deputate a valutare sia l’incidenza sugli stock che i miglioramenti del loro status che si potrebbero raggiungere contrastando l’illegalità. In effetti, si stanno moltiplicando nuove misure che sembrano molto efficaci come deterrenti quali una sorveglianza con droni o telecamere (a circuito chiuso) a bordo, sistema sanzionatorio a punti, premialità per chi rispetta le regole, obbligo di- e maggiore dettagli nella- tracciabilità della cattura e dei prodotti ittici dal produttore al consumatore (il cd percorso farm-to-fork), maggiore vigilanza su pratiche come il trasbordo di cattura fra pescherecci diversi (magari di diversa nazionalità), libro nero con riportati i pescherecci che non collaborano o pizzicati a violare le regole etc. In conclusione di questa nota, l’autore si permette di rinnovare tre suggerimenti già espressi in precedenza. A) Predisporre un testo unico relativo alle regolamentazioni relative al mondo della pesca marittima italiana dove, con linguaggio semplice e divulgativo, si spieghino anche ai non specialisti le buone prassi per non contravvenire alle regole e tutelarsi dalle contraffazioni e truffe; il suggerimento prende spunto da iniziative omologhe svolte ormai più di 20 anni fa presso l’allora Istituto di Ricerche sulla Pesca Marittima (IRPEM – CNR) a cura di Maria Emilia Gramitto.
Bibliografia essenziale AA.VV. (2011) Lo stato della pesca e dell’acquacoltura nei mari italiani a cura di Cataudella S. e Spagnolo M. Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, Roma, Italia: 904 pp. Anon. (2015) Workshop on a new technical measures framework for the new common fisheries policy – Study. Directorate-general for internal policies policy department b: structural and cohesion policies fisheries. Bello G.B. (2017) Polpo di scena - Vita, morte… e miracoli in cucina del polpo di scoglio. Mario Adda Editore, Bari, Italia: 270 pp. Falautano, M., Castriota, L., Cillari, T., Vivona, P., Finoia, M.G., Andaloro, F., (2018) Characterization of artisanal fishery in a coastal area of the Strait of Sicily (Mediterranean Sea): evaluation of legal and IUU fishing. Ocean Coast. Manag. 151, 77–91. https//doi. orgD10.1016DE.ocecoaman.201F.10.022. Falco F., F. Falsone, V. Gancitano, M.L. Geraci, D. Scannella & S. Ragonese (2021) La scienza della pesca a tavola: ovvero perché il commissario Salvo Montalbano non troverà mai l’insalata verde di Posidonia nel menù della trattoria di Punta Secca. NTR-ITPP, sr104, UIL pesca: 32 pp. FAO (2016) Report of the FAO Workshop on Implementing the Agreement on Port State Measures to Prevent, Deter and Eliminate Illegal, Unreported and Unregulated Fishing in the Mediterranean and Black Sea. Tirana, Albania, 29 February–4 March 2016. FAO Fisheries and Aquaculture Report. No.1151. Rome, Italy: 53 pp. FAO (2018) The State of Mediterranean and Black Sea Fisheries. General Fisheries Commission for the Mediterranean. Rome. 172 pp. Fleischhauer W. (2019) Rosso come il mare. Emons edizioni: 365 pp.
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B) Obbligare tutti i fruitori delle risorse del mare, sia in prima battuta (cioè i pescatori commerciali e ricreativi) sia in seconda battuta (commercianti e ristoratori) a seguire un corso ufficiale e standard a livello nazionale di “Principi di biologia marina applicata alla pesca e ai suoi prodotti”; in particolare, i pescatori ricreativi riceverebbero un patentino plastificato dopo il corso da esibire agli organi di vigilanza e che sarebbe ritirato in caso di gravi violazioni. In effetti, il Ministero competente Italiano (il Mipaaf) ha iniziato a richiedere la registrazione su un sito ufficiale di tuti i ricreativi, ma la cosa sembra non abbia avuto successivi sviluppi. C) Preparare e diffondere pubblicazioni divulgative (e perché no, anche App sui cellulari) per aiutare i consumatori a districarsi fra le varie offerte di prodotti ittici e difendersi dalle frodi; un simile opuscolo è stato recentemente pubblicato dalla sede di Mazara dell’IRBIM CNR in collaborazione con la UIL pesca. L’opuscolo prende l’avvio da uno stimolante interrogativo: “perché il commissario Salvo Montalbano non troverà mai l’insalata verde di Posidonia nel menù della trattoria di Punta Secca?”. Insomma, la Pesca IUU rappresenta una grave piaga per la pesca marittima italiana e tutti gli amanti del mare e dei suoi gustosi prodotti hanno il dovere morale di contribuire al suo ridimensionamento dall’attuale presunto livello Spectra di James Bond all’auspicabile livello di scassapaghiari o Banda Bassotti di Topolino.
Gramitto M.E. (curatrice) (2001) La gestione della pesca marittima in Italia - Fondamenti tecnico-biologici e normative vigente. CNR - Istituto di Ricerche sulla Pesca Marittima, Monografie Scientifiche, serie Scienze e Tecnologiae dell’Ambiente: 318 pp. Maiorano P., Sabatella R.F., Marzocchi B.M. (eds) (2019) Annuario sullo stato delle risorse e sulle strutture produttive dei mari italiani. 432 pp. MEDAC (2016) Recreational fisheries in the Mediterranean - MEDAC Advice for a regulatory framework and efficient management. Ref: 155/2016, Split, 20th April 2016: 30 pp. Piroddi, C., Gristina, M., Zylich, K., Greer, K., Ulman, A., Zeller, D., Pauly, D. (2015) Reconstruction of Italy’s marine fisheries removals and fishing capacity, 1950–2010. Fish. Res. 172, 137–147. Ragonese S. & G. Norrito (2020) Le principali criticità del Piano Italiano di Raccolta Dati Alieutici dal punto di vista di un collega esperto in pesca e proveniente da un esopianeta (in vista della nuova programmazione 2021 – 2024). NTR-ITPP, sr102: 49 pp. Toral-Granda, V., Lovatelli, A. & Vasconcellos, M. (eds) (2008) Sea cucumbers. A global review of fisheries and trade. FAO Fisheries and Aquaculture Technical Paper. No. 516. Rome, FAO: 317p. Unione Europea (2008) Regolamento (CE) n. 1005/2008 del Consiglio del 29 settembre 2008 che istituisce un regime comunitario per prevenire, scoraggiare ed eliminare la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata, che modifica i regolamenti (CEE) n. 2847/93, (CE) n. 1936/2001 e (CE) n. 601/2004 e che abroga i regolamenti (CE) n. 1093/94 e (CE) n. 1447/ Unione Europea (2021) Study on the sanctioning systems of Member States for infringements to the rules of the Common Fisheries Policy. EU Overall Report - Final Report - MARE/2019/02: 222 pp.
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Scarica l’ App. Prezzi ingrosso ittico L’App nasce dalla collaborazione tra il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e Unioncamere – con il supporto di BMTI S.c.p.A. che si è avvalsa anche dell’esperienza di Italmercati Rete d'Imprese – per la realizzazione di sistemi innovativi di gestione delle informazioni di commercializzazione nel settore ittico, nell’ambito del Programma Operativo Nazionale FEAMP 2014-2020.
Per maggiori informazioni e per scaricare l’App vai su https://www.bmti.it/app-prezziingrosso-ittico/
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L’ Appvb Prezzi ingrosso ittico, per gli operatori professionali dell’ ittico, è uno strumento gratuito, disponibile sia su App Store sia su Google Play. Attraverso l’applicazione è possibile accedere con facilità ed immediatezza ai prezzi dei mercati ittici alla distribuzione, favorendo la trasparenza in questo settore. Una volta registrato, l’utente potrà consultare i prezzi all'ingrosso rilevati nei vari mercati in riferimento ai prodotti pescati, allevati e trasformati, non appena gli stessi saranno stati ufficialmente pubblicati. Quest’anno, poi, l’Applicazione porta con sé una grande novità! Da luglio, infatti, è possibile visualizzare l’andamento del prezzo di un prodotto in un determinato mercato ittico.
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Il pesce allevato può essere definito anisakis free? di Valentina Tepedino, Medico Veterinario Direttore di Eurofishmarket e autrice del Blog InforMare per non Abboccare
Numerose ricerche stanno dimostrando che il prodotto allevato è più sicuro rispetto al rischio potenziale “Anisakis” soprattutto perché il suo ciclo produttivo, a partire dal mangime, è controllato e comunque è più semplice “interrompere” il ciclo biologico del parassita. Da apripista in tal senso sono stati i produttori di salmone norvegesi che, in collaborazione con gli enti di ricerca norvegesi, hanno realizzato i primi studi mirati in tal senso al fine di verificare la possibilità di non dovere congelare obbligatoriamente il loro salmone destinato ad essere consumato crudo o tal quale. Questo considerando l’importante utilizzo dello stesso come specie di riferimento per diverse preparazioni crude come sushi, sashimi, tartare, ecc. Infatti va detto che per molti consumatori il prodotto fresco, e dunque non preventivamente congelato se da consumarsi crudo, viene percepito come di maggiore qualità e quindi di maggior pregio in generale. www.pesceinrete.com
Gli studi scientifici effettuati hanno evidenziato la sicurezza del salmone allevato in Norvegia relativamente al parassita Anisakis. Da qui il parere positivo dell’EFSA del 2010 e dunque il Regolamento (UE) n° 1276 del 2011 che ha modificato l’allegato III del Regolamento (CE) n° 853/2004 dando appunto l’opportunità agli allevatori di salmone norvegese di usufruire della deroga che consente oggi loro di non dover congelare il prodotto destinato al mercato del «crudo». Nel resto d’Europa attualmente non è invece possibile
per gli acquacoltori usufruire di nessuna deroga. A tal fine risulta strategico e di rilievo l’importante progetto di ricerca ParaFishControl, finaziato dall’UE e mirato a dimostrare l'assenza di vermi parassiti zoonotici nei pesci d'allevamento europei, in particolare nell'orata, nella spigola europea, nel rombo, nel salmone atlantico, nella trota iridea e nella carpa comune. ParaFishControl è un progetto di ricerca e innovazione che ha ricevuto finanziamenti nell'ambito del Programma quadro dell'UE per la ricerca e l'innovazione, Horizon 2020, Grant Agreement n. 634429. Il progetto è durato cinque anni dal 2015 al 2020. Il consorzio ParaFishControl di 28 partner rappresenta le organizzazioni leader nei rispettivi campi di lavoro di 13 diversi Paesi europei. Il progetto è coordinato dall’ Agencia Estatal Consejo Superior de Investigaciones Cientificas (CSIC), Spagna. AquaTT è il partner per la diffusione del progetto. I parassiti zoonotici vengono trasmessi dagli animali all'uomo; i vermi zoonotici (elminti) possono diffondersi agli esseri umani quando il pesce infestato viene consumato crudo o parzialmente cotto. Dalla primavera 2016 all'inverno 2017, più di 7.000 pesci sono stati analizzati da allevamenti di acquacoltura commerciale in tutta Europa, tra cui Croazia, Danimarca, Grecia, Ungheria, Italia, Norvegia, Spagna e Turchia. Nessun elemento parassitario zoonotico, come
Anisakis, è stato trovato in nessuno dei pesci esaminati, con un livello di confidenza del 95-99%. Questo è il più grande studio mai condotto in Europa e i risultati sono stati anche migliori del previsto. "Questa è un'ottima notizia per l'acquacoltura europea", ha affermato il dottor Miguel Ángel Pardo di AZTI Tecnalia, partner del progetto ParaFishControl, "i risultati indicano che il consumo di pesce proveniente da allevamenti europei presenta un rischio trascurabile per la salute umana quando si tratta di vermi parassiti zoonotici". Questi risultati fanno parte di un'indagine più ampia sui pesci d'allevamento marini e d'acqua dolce intrapresa da ParaFishControl, che mira a migliorare la nostra comprensione delle interazioni pesce-parassiti e sviluppare soluzioni e strumenti innovativi per prevenire, controllare e mitigare i parassiti nocivi che colpiscono le principali specie ittiche allevate in Europa. Questo sforzo faceva parte del pacchetto di lavoro "Fish Product Safety", guidato da AZTI in collaborazione con altri sei membri del consorzio di tutta Europa (Consiglio Nazionale delle Ricerche spagnolo, Università di Bologna, Accademia delle Scienze Ungherese, Università di Copenaghen, Centro Ellenico per la Ricerca Marina e Università di Bergen). Il dott. Miguel Ángel Pardo ha spiegato l'importanza di questi risultati positivi che li hanno condotti a progettare ricerche più specifiche da svolgere in merito ai parassiti e al mangime come possibile vettore di trasmissione. “Questo ci consentirà di valutare tutti gli aspetti cruciali dell'infezione dei pesci da parassiti zoonotici” aggiunge Pardo. I risultati finali di ParaFishControl consentiranno agli acquacultori europei di gestire il proprio rischio a livelli molto bassi, differenziando i prodotti dell'acquacoltura europei di alta qualità da altri in tutto il mondo (www.parafishcontrol. eu.) Il progetto - ha riferito la Prof.ssa Fioravanti del Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie - Alma Mater Studiorum Università di Bologna - ha rappresentato una svolta rispetto al passato in quanto ha visto riconoscere l’importanza dei parassiti ittici e delle malattie da essi causate come fattori limitanti lo sviluppo dell’acquacoltura, ritenuta non solo a livello globale ma anche nell’ Unione Europea come un settore strategico di sviluppo e con i maggiori margini di crescita tra i comparti zootecnici. Oltre alla messa a punto di metodiche diagnostiche avanzate per l’identificazione e la quantificazione dei parassiti individuati come quelli di maggior rilievo nell’acquacoltura europea, sono state elaborate soluzioni innovative di profilassi e controllo delle rispettive malattie parassitarie attraverso l’utilizzo di vaccini, trattamenti naturali, mangimi funzionali e buone pratiche gestionali. Dal punto di vista della sicurezza alimentare dei prodotti d’acquacoltura, per la prima volta è stato condotto un
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monitoraggio su larga scala e statisticamente significativo volto a stimare il rischio di presenza di parassiti zoonotici, ovvero trasmissibili all’uomo, dimostrando che tutti i prodotti dell’acquacoltura europea presentano un rischio trascurabile. In base ai risultati ottenuti, che hanno evidenziato l’assenza di parassiti zoonotici in oltre 10.000 pesci esaminati delle specie ittiche maggiormente allevate in Europa, appare necessario un emendamento normativo che indichi come tutti i prodotti d’acquacoltura europea possano ottenere la deroga al congelamento similarmente a quanto è stato deciso in passato per il salmone atlantico. I dati sono già stati recepiti dalla DG SANCO e trasmessi all’EFSA che è stata chiamata ad esprimere un’opinione in merito. Grazie al progetto ParaFishControl gli acquacoltori europei potrebbero dunque a breve beneficiare della deroga già utilizzata dai produttori di salmone norvegese. Infatti è già partita da parte della DG Sanco la richiesta all’EFSA di un parere scientifico in merito a tale possibilità. I risultati finali di ParaFishControl consentiranno agli acquacoltori europei di gestire il proprio rischio a livelli molto bassi, differenziando i prodotti dell'acquacoltura europei di alta qualità da altri in tutto il mondo. A questo punto sarà però fondamentale ribadire a di tutti gli operatori coinvolti nel settore la validità dell’autocertificazione dei produttori in merito a questo aspetto. Scrivo questo perché, nonostante la normativa sia molto chiara in merito alla validità di questa deroga al momento (quella norvegese intendo), ancora oggi permangono, sia da parte di alcune autorità addette al controllo che da parte di alcuni distributori e trasformatori, dubbi sull’accettazione della stessa. Questo chiaramente crea disagi e criticità nella commercializzazione e valorizzazione di questo prodotto sul mercato. Per questo, a seguito di numerose segnalazioni di operatori pubblici e privati in merito alla corretta interpretazione dell’allegato III, sezione VIII, capitolo III, del Regolamento (CE) n. 853/2004, così come modificato dal Reg. (UE) 1276/2011, in merito alla validità dell’autocertificazione prodotta dagli allevatori norvegesi sulla sicurezza del loro salmone allevato rispetto al parassita Anisakis, sia la Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva, in rappresentanza di numerosi veterinari, che Eurofishmarket ( società specializzata nella consulenza nel settore ittico), in rappresentanza di numerosi operatori del settore ittico, hanno chiesto un chiarimento al Ministero della Salute italiano. Infatti, mentre negli altri Paesi UE alcuna obiezione è mai stata sollevata circa la possibilità di avvalersi della deroga di cui al punto d) per quanto riguarda il salmone norvegese di allevamento, in Italia sono accaduti casi di contestazione da parte dell’Autorità sanitaria.
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Eurofishmarket ha realizzato nr. 3 nuovi poster completi dal punto di vista tecnico con le foto delle specie ittiche principalmente presenti sul mercato italiano e tutte le denominazioni scientifiche e le relative denominazioni commerciali in lingua italiana indicate dalla normativa. Ogni poster misura 70×100cm ed è in materiale plastico (PVC) completamente lavabile.
I poster sono aggiornati e fanno riferimento all’elenco delle denominazioni in lingua italiana delle specie ittiche di interesse commerciale come da Decreto MIPAAF del 22-09-2017 aggiornato con Circolare n° 0020107 del 12-10-2018. È possibile acquistare i poster direttamente dal negozio online di Eurofishmarket.
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Marpesca, tra passato e presente di un’azienda leader calabrese
Calabria terra di sole, di mare generoso, ricco ed incontaminato, in cui la varietà dei fondali favorisce la presenza di molteplici specie ittiche. Una tradizione continuamente messa in atto in ogni fase della storia dei Ceravolo, titolari di Marpesca, per motivare le scelte e guidare le tendenze. La filosofia di Marpesca mette al centro l’importanza del prodotto ittico per la salute, mira a difendere il valore del pescato calabrese che si distingue per un’elevata qualità e garanzia di indiscutibile freschezza.
sono: - la pesca del tonno rosso del Mediterraneo svolte direttamente con i due motopesca “Nettuno” e “Marenostro III” titolari di autorizzazione alla pesca del tonno rosso con il sistema a palangaro per una quota ICCAT che è seconda in Italia per tonnellate di cattura; - la pesca del pesce azzurro, in particolare le alici di lampara che vengono pescate con il sistema del cianciolo con alcuni pescherecci della flotta operanti nel Golfo di S.Eufemia e nel Canale di Sicilia (Sciacca).
Marpesca vuole dare al pescato calabrese un valore aggiunto in più, portando direttamente sulle tavole delle famiglie il miglior pesce possibile, pescandolo, selezionandolo e commercializzandolo.
Le operazioni di pesca vengono effettuate a ridosso delle banchine del porto di Vibo Valentia Marina, dove ogni giorno viene sbarcato il miglior pescato che raggiunge, in soli cinque minuti, il mercato ittico locale che la famiglia Ceravolo gestisce da generazioni. È qui che la flotta peschereccia locale, inoltre, fa confluire la quasi totalità del pescato.
L’azienda è dotata di una propria flotta di pescherecci che quotidianamente battono le coste del versante tirrenico calabrese, operando con diversi sistemi di pesca tra i quali lo strascico e il palangaro. Le attività di pesca principali per cui Marpesca si distingue
Come anticipato, ogni giorno, nelle immediate vicinanze del porto, Marpesca svolge la vendita del pescato locale
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Marpesca nasce da un’antica tradizione tramandata da padre in figlio, a garanzia della qualità e della sicurezza nel selezionare i prodotti del mare della Calabria
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con il sistema ad asta con banditore a voce, sistema di vendita tradizionale che avviene secondo una ritualità e gestualità caratteristica che è molto apprezzata dai locali e che diventa attrazione per i turisti. Durante l'asta, il pescato freschissimo che arriva direttamente dai pescherecci viene battuto a voce ad un prezzo di partenza stabilito dal banditore per poi essere aggiudicato al miglior offerente. Queste sono proprio le concitate fasi che contraddistinguono la spettacolarità del mercato. Direttamente dal mercato il miglior pescato parte per arrivare sulle tavole delle famiglie italiane e dei migliori ristoranti locali specializzati con la certezza di trovare nel pescato di Marpesca materia prima eccellente, anche attraverso la scoperta di nuovi modi di preparazione. Negli ultimi anni Marpesca sta puntando molto a dare un valore aggiunto ai prodotti (tonno rosso e pesce spada in particolare) attraverso lo sviluppo di marchi aziendali ed il loro utilizzo nei canali distributivi e di comunicazione, nonché portando direttamente un prodotto tracciato sulle tavole dei consumatori, tramite il delivery, ed informando gli stessi su ogni aspetto connesso. I due nuovi brand, "IKEJIME ITALIAN QUALITY" (utilizzato
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per contrassegnare il tonno rosso) e "U RE'" (per il pesce spada), segnano il traguardo di anni di esperienza e passione nella pesca di queste due specie ittiche e vogliono contraddistinguere i prodotti di Marpesca che vengono lavorati con particolari tecniche che garantiscono una qualità superiore. L'attenzione nella manipolazione del pescato viene riposta da quando lo stesso viene issato a bordo: infatti al pesce, che è ancora vivo, viene effettuato un trattamento che evita lo sviluppo di sostanze nelle carni che potrebbero accelerare il decadimento della qualità. Queste attenzioni vengono riposte anche nel packaging e nella logistica distributiva, attraverso il mantenimento lungo tutta la filiera di condizioni che non depauperano il prodotto. I mercati di riferimento non sono, già da diversi anni, solo i confini regionali, la qualità dei prodotti Marpesca ormai viene apprezzata in tutta Europa, soprattutto per quel che riguarda il tonno rosso. Diversi anni addietro le esportazioni riguardavano anche Stati Uniti e Giappone ma le situazioni economiche e le scelte dei consumatori hanno creato mercati migliori anche nel nostro caro vecchio continente.
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UE nuova strategia per il futuro dell’acquacoltura Di Tosca Sala
Il 12 maggio 2021 a Bruxelles è stato rilasciato un comunicato della commissione al parlamento europeo, al consiglio, al comitato economico e sociale europeo e al comitato delle regioni riguardo agli orientamenti strategici per l'acquacoltura UE più sostenibile e competitiva dal 2021 al 2030. In questo articolo parleremo di queste strategie facendo riferimento al documento pubblicato in quella data
Perché concentrarsi sull acquacoltura?
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Il Green Deal europeo e la strategia "Dal produttore al consumatore" sottolineano il potenziale dei prodotti ittici di allevamento come fonte di proteine per alimenti e mangimi caratterizzati da un ridotto “carbon print”, strategia fondamentale per contribuire alla costruzione di un sistema alimentare sostenibile. L’acquacoltura oggi in Europa crea posti di lavoro e opportunità di sviluppo economico nelle comunità costiere e rurali. Questo settore inoltre può contribuire a decarbonizzare l'economia, contrastare i cambiamenti climatici e mitigarne gli effetti, ridurre l'inquinamento, facilitare una migliore conservazione degli ecosistemi nonché essere parte di una gestione più circolare delle risorse. Abbiamo bisogno di nuove strategie, perché? Gli orientamenti strategici stabiliti dalla comunità europea
mirano in particolare a contribuire alla creazione di un settore dell'acquacoltura dell'UE che sia competitivo e resiliente, garantisca l'approvvigionamento di alimenti nutrienti e sani, riduca la dipendenza dell'UE dalle importazioni di prodotti ittici, crei opportunità economiche e posti di lavoro e diventi un riferimento globale in termini di sostenibilità. Per realizzare tale visione si dovranno affrontare diverse sfide e opportunità del settore acquicolo nella UE al fine di conseguire i seguenti obiettivi interconnessi: promuovere lo sviluppo del settore in termini di resilienza e competitività; essere attori della transizione verde; garantire l'accettazione sociale mediante una corretta e condivisa informazione ai consumatori; rafforzare le conoscenze e l'innovazione. Appare evidente che il settore dell’acquacoltura in Europa possa soddisfare le aspettative sopra indicate: ha grandi potenzialità di sviluppo in quanto non è ancora in grado di soddisfare la crescente domanda di prodotti ittici sostenibili;
tale affermazione è cifrata da dati oggettivi che indicano che l’UE importa oltre il 70% dei prodotti ittici che consuma e la sua acquacoltura rappresenta meno del 2% della produzione acquicola mondiale. Da un confronto con altre realtà produttive, l'acquacoltura nell'UE è soggetta ad alcune delle restrizioni normative più severe in termini di qualità, salute e ambiente. Ciononostante questo settore produttivo è in continua evoluzione per ottimizzare ulteriormente le proprie strategie ambientali e quindi contribuire in modo sostanziale agli obiettivi del Green Deal europeo. Ma quali sono gli obiettivi concreti da raggiungere? 1) Sviluppare resilienza e competitività Secondo quanto pubblicato sono stati attivati a livello europeo due strumenti fondamentali che si fondano su di un quadro normativo e amministrativo trasparente ed efficiente. Questi non solo consentono ma auspicano che lo sviluppo dell'acquacoltura promuova e mantenga le sue caratteristiche di resilienza e competitività. Il primo strumento consiste nell’attuazione di una politica di regolamentazione del suolo in generale, il secondo una gestione condivisa dell'accesso all’acqua. 2) Accesso all’ acqua Per quanto riguarda l’accesso all’acqua, è fondamentale una pianificazione coordinata dal momento che a causa dei cambiamenti climatici si sta registrando una crescente conflittualità per la sua regolamentazione. Tale pianificazione può garantire l’assegnazione di spazi e acqua tra le diverse attività, preservando gli ecosistemi. Si dovrebbe prestare particolare attenzione allo sviluppo dell'acquacoltura con un minor impatto ambientale ad esempio combinando alcuni tipi di allevamento per ridurre ulteriormente le emissioni di nutrienti e sostanze organiche nell'ambiente. 3) Chiarezza e semplificazione nel quadro normativo e amministrativo Parlando di quadro normativo e amministrativo, la complessità dei sistemi di rilascio di licenze e la mancanza di prevedibilità delle tempistiche e dell'esito delle procedure negli Stati membri, rappresentano un limite allo sviluppo del settore dell’acquacoltura ed un oggettivo ostacolo alla sua crescita. Le difficoltà risiedono tanto nella complessità della normativa del settore, quanto nella necessità di coinvolgere più autorità nel processo di rilascio delle licenze. Dunque la strategia prevede di
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adottare una legislazione che dovrebbe fissare procedure e tempistiche chiare per la gestione delle domande di nuove licenze o dei rinnovi delle licenze; una struttura europea e nazionale unica per l'acquacoltura che riunisca le varie autorità competenti del settore, un sistema "a sportello unico" a disposizione degli operatori del settore soggetto a un monitoraggio regolare e continuo e a sanzioni in caso di inadempienza. 4) Salute degli animali acquatici Altro argomento importante è la salute animale, poiché nonostante la normativa UE in materia di salute degli animali acquatici e la ricerca finanziata dall'Unione in tale settore sia all’avanguardia, le malattie infettive costituiscono ancora un freno importante per la produttività dell'acquacoltura. 5) Adattamento ai cambiamenti climatici e loro mitigazione Il settore dell'acquacoltura dovrà adattarsi ai numerosi effetti perturbanti dei cambiamenti climatici e migliorare la propria resilienza, per questo motivo l’UE ha bisogno di sviluppare delle strategie di adattamento specificamente destinate a questo settore produttivo oltre che allo stesso tempo ridurre al minimo qualsiasi potenziale contributo negativo dato dall'acquacoltura ai cambiamenti climatici, come consumo di energia e le emissioni di carbonio derivanti dalla produzione, dalla trasformazione e dalla distribuzione. Allo stesso tempo bisogna rimarcare che l'acquacoltura presenta anche un potenziale notevole di mitigazione dei cambiamenti climatici. Infatti alcuni tipi di acquacoltura, come la coltivazione di alghe e l'allevamento di molluschi, possono fornire opportunità di riduzione dei cambiamenti climatici quali il sequestro del carbonio o di adattamento agli stessi come la protezione naturale delle coste garantita dall’importante ruolo che ricoprono le alghe. 6) Diversificazione e creazione di valore aggiunto Il settore acquicolo dell'UE presenta ancora un ampio potenziale di ulteriore diversificazione, non soltanto nell'allevamento di nuove specie ma anche in termini di metodi di produzione ad esempio policoltura negli stagni, acquacoltura multi trofica integrata, oltre che la diversificazione geografica. 7) Partecipare alla transizione verde L'acquacoltura richiede buone condizioni ambientali, come una buona qualità dell'acqua. Di conseguenza la lotta contro l'inquinamento delle acque da parte degli Stati
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membri dell'UE, in linea con l'obiettivo "inquinamento zero" definito nel Green Deal, è di particolare importanza per l'acquacoltura. Se gestita correttamente, l'acquacoltura può consentire la produzione di proteine con una minore impronta ambientale e di carbonio rispetto ad altri tipi di allevamento. A tal fine risultano fondamentali le seguenti strategie: utilizzare approcci basati sul ciclo di vita nella valutazione dell'impatto ambientale del settore dell’acquacoltura; assicurare la presenza di sistemi di alimentazione sostenibili; sviluppare soluzioni per ridurre l'uso di prodotti veterinari e altre sostanze e, se necessari prodotti veterinari, promuovere l'uso di quelli che presentano una bassa impronta ambientale; assicurare il monitoraggio ambientale dei siti di acquacoltura; definire pratiche di gestione che comprendano una strategia di rischio per la mitigazione degli impatti come la gestione dei predatori e la prevenzione di fuoriuscite di animali per evitare effetti negativi sulla biodiversità; limitare il contributo delle attività di acquacoltura alla generazione di rifiuti marini e promuovere l'uso di fonti di energia rinnovabili e una maggiore efficienza energetica, attuare sistemi di gestione dei rifiuti che riducano al minimo l'impronta ambientale delle attività d’acquacoltura; applicare un approccio di economia circolare ai cicli produttivi; promuovere lo sviluppo dell'acquacoltura biologica e di altri sistemi di acquacoltura aventi un minore impatto ambientale; promuovere e valorizzare tipologie di acquacoltura che offrono servizi ecosistemici; sostenere il mantenimento e il miglioramento delle risorse genetiche acquatiche e il ricorso alla riproduzione selettiva per gli stock d'acquacoltura. 8) Garantire trasparenza al consumatore È essenziale garantire trasparenza e informazioni più precise sulle modalità di svolgimento delle attività d'acquacoltura, infatti spesso la percezione negativa che il pubblico ha sull’ acquacoltura è un ostacolo alla creazione di nuovi impianti
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acquicoli visto che i benefici dell'acquacoltura come la creazione di posti di lavoro in zone remote, il fatto di costituire una fonte di alimenti a basse emissioni di carbonio o l'offerta di servizi ecosistemici sono in gran parte sconosciuti alla gente. L'informazione è inoltre essenziale per soddisfare la crescente domanda di prodotti sostenibili da parte dei consumatori contribuendo a rendere i prodotti dell'acquacoltura dell'UE più appetibili sui mercati. 9) Aumento delle conoscenze e dell’innovazione Le conoscenze e l’innovazione, compreso l'uso della tecnologia digitale, sono fondamentali per conseguire gli obiettivi stabiliti per il settore dell'acquacoltura dell'UE richiamati nella presente comunicazione. Sono particolarmente importanti per sviluppare la resilienza e la competitività dell'acquacoltura e garantire la transizione verde. Per fare ciò bisogna arrivare a creare un quadro per la cooperazione che riunisca autorità pubbliche, industria, ricercatori ed educatori, a livello sia nazionale sia regionale/locale. Occorre promuovere lo sviluppo e la combinazione dei punti di forza della ricerca e dell'innovazione tra gli Stati membri e le regioni, promuovere una diffusione efficace dei risultati della ricerca e innovazione tra gli utenti finali del settore e il pubblico in generale; promuovere la complementarità e le sinergie tra progetti di ricerca; facilitare l'accesso ai fondi dell'UE per la ricerca e l'innovazione nel settore dell'acquacoltura, fornendo una panoramica chiara dei finanziamenti UE disponibili. Per concludere un approccio strategico e a lungo termine per la crescita sostenibile dell'acquacoltura dell'UE è quindi rilevante oggi più che mai. Tale approccio dovrebbe inoltre definire il percorso per il recupero del settore dell'acquacoltura dell'UE nel periodo successivo alla crisi della COVID-19 e garantirne la sostenibilità e la resilienza a lungo termine.
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La tracciabilità dei prodotti ittici è una necessità, non una scelta
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La crescente globalizzazione del nostro approvvigionamento alimentare,unitaaifocolaidimalattielegateaiprodottialimentari, ha acuito i timori sulle questioni di sicurezza alimentare in tutto il mondo. Inoltre, la percentuale di consumatori che vuole conoscere la storia del cibo che viene servito nel loro piatto è in continuo aumento. In risposta a queste crescenti preoccupazioni e ai cambiamenti nel comportamento, sia da parte del governo che dei consumatori, molte nazioni stanno prendendo in considerazione la tracciabilità degli alimenti come un mezzo per ristabilire la sicurezza nell'approvvigionamento alimentare e limitare i danni causati dalla vendita e dalla distribuzione di prodotti non sicuri. Secondo le organizzazioni internazionali di standardizzazione, la "tracciabilità" è definita come la possibilità di individuare analiticamente un'unità di produzione, rintracciarne l'ubicazione e descriverne le trasformazioni in tutte le fasi di produzione, lavorazione, (Magera e Beaton, 2009). In termini di prodotti ittici, la piena tracciabilità implica anche che un'unità di consumo di prodotti ittici presso un ristorante o un rivenditore possa essere rintracciata lungo tutta la catena di approvvigionamento fino al suo punto di raccolta da una nave o in un allevamento, o possa essere rintracciata dalla forchetta alla rete da pesca. Questo è essenziale per la sicurezza alimentare, la salvaguardia della legalità del prodotto e l'autenticazione della sostenibilità. La tracciabilità completa si ottiene attraverso una documentazione adeguata e la registrazione in ogni fase, insieme a protocolli di gestione appropriati durante la lavorazione, la spedizione e la ricezione. In queste condizioni di crescente preoccupazione per l'autenticità, la sostenibilità,
le condizioni di lavorazione e l'aumento della responsabilità sociale, la tracciabilità è diventata una priorità e Allied Market Research prevede che il mercato globale delle tecnologie di tracciabilità crescerà dell'8,7% all'anno fino al 2020, momento in cui le entrate potrebbero raggiungere i 14,1 miliardi di dollari per le società specializzate in tale tecnologia.
Storia: La preoccupazione per l'origine dei prodotti animali era un tema già noto nel XIV secolo, con le grandi epidemie di peste umana (Blancou et al., 2008). Nel XVIII secolo, le esigenze di documentazione per l'esportazione e l'importazione di animali da macello si fanno sentire sulla scia delle malattie umane e del bestiame diffuse in Europa (Blancou, 2001). Nel recente passato, il Congresso degli Stati Uniti ha approvato il Federal Meat Inspection Act (FMIA) nel 1906 a causa delle preoccupazioni pubbliche sulle condizioni sanitarie dei macelli e degli impianti di confezionamento. Il FMIA prevede una registrazione "one up, one down" per i prodotti di carne bovina del paese, e le importazioni devono essere integrate da una documentazione contenente i dettagli del paese d'origine e dello stabilimento d'origine, insieme alla prova che i prodotti hanno superato sia i requisiti USDA che quelli doganali (FDA, 1906). Anche se i codici a barre sono stati ampiamente utilizzati nei beni di consumo confezionati fin dagli anni '70, è stato solo negli ultimi due decenni che l'industria alimentare ha iniziato a utilizzare i codici UPC a
sul prodotto e sull'origine (Uniform Code Council, 2003). Il National Seafood Inspection Laboratory degli Stati Uniti, dopo aver testato prodotti ittici per 10 anni (19881997), ha rilasciato un comunicato stampa in cui si indicava che il 37% del pesce e il 13% degli altri frutti di mare erano etichettati in modo errato (Tennyson, 1997). Nel 1994, è stata fornita una laboriosa definizione della catena di approvvigionamento alimentare da parte dell'Organizzazione Internazionale per la Standardizzazione e supportata dal Regolamento UE 178/2002. Solo in questi ultimi 2 decenni, con gli sviluppi dei mercati globali, i richiami di alimenti dagli scaffali e i potenziali atti di bioterrorismo, la tracciabilità è diventata una questione importante che riguarda l'intera catena di approvvigionamento alimentare.
Importanza della tracciabilità: 1) Sicurezza alimentare Il CDC stima che dal 2003 al 2008 i pesci sono stati all'ottavo posto nella classifica degli episodi di epidemie di singoli prodotti alimentari, e i molluschi all'undicesimo (CDC, 2011), indicando che la sicurezza alimentare dei prodotti ittici, se non manipolati correttamente o provenienti da acque contaminate, può causare molte malattie di origine alimentare. A livello globale i casi di etichettatura errata e di frode del pesce sono aumentati in modo esponenziale. I prodotti ittici sono uno dei beni di maggior valore commerciale, spesso venduti in modo fraudolento; le indagini di Consumer Reports (2011) e del Boston Globe (2011) hanno riportato tassi di etichettatura errata nei prodotti ittici pari al 20% e al 48%, rispettivamente. Il sistema di tracciabilità fornisce
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informazioni trasparenti di tracciabilità a monte e a valle. Se non abbiamo un'adeguata registrazione dell'origine dei prodotti ittici e dei trattamenti lungo tutta la catena di valore e presso i rivenditori e distributori, diventa difficile richiamare un lotto di prodotto quando si scopre che non è sicuro da mangiare, che è impossibile dimostrare che proviene da fonti legali, se è etichettato correttamente, se proviene da fonti che rispettano gli standard sociali e dei diritti umani, o se soddisfa l'impegno di approvvigionamento sostenibile di un'azienda. Se l'azienda non ha la corretta documentazione di tracciabilità e i protocolli in atto, si ritrova a dover vendere il proprio prodotto correndo dei rischi legali e di reputazione. Le aziende con piena tracciabilità hanno recentemente ottenuto una certa attenzione, in quanto i media creano un'opportunità per tali imprese di promuovere attivamente gli attributi dei loro prodotti, come la conformità sociale e il commercio equo e solidale, l'impegno nel miglioramento delle tecniche di pesca e il sostegno di iniziative imprenditoriali su piccola scala nelle aree in via di sviluppo. Molti studi genetici in diverse parti del mondo hanno rivelato etichettature errate e pratiche fraudolente, come negli Stati Uniti (Logan et al., 2008), Sud Africa (von der Heyden, 2009), Europa (Garcia-Vazquez, 2021; Blanco et al., 2021), Australia (Rumble et al., 2003) e Hong Kong (zhang et al., 2016). A sorpresa, l'etichettatura errata e la frode possono verificarsi anche all'interno della pesca certificata, come dimostrato da Marko et al. (2001) per il branzino cileno certificato dal Marine Stewardship Council (MSC).
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2) Pesca illegale, non regolamentata e non dichiarata Come dichiarato dall'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Alimentazione e l'Agricoltura (FAO), le attività di pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata sono responsabili della perdita di 11-26 milioni di tonnellate di pesce ogni anno, per un valore economico stimato di 10-23 miliardi di dollari (Doulman et al., 2010). In tutto il mondo si registrano livelli elevati di pesca illegale, non regolamentata e non dichiarata (IUU - illegal, unregulated, and unreported). In alcune parti del mondo la condizione è grave, come nell'Africa occidentale, in cui il 40% delle catture totali può essere illegale, e in altre la pesca illegale può raddoppiare rispetto ai numeri di raccolta documentati (Lewis et al. 2017). Si stima che il 90% del raccolto ittico mondiale sia prelevato dalle zone economiche esclusive (ZEE) al largo degli Stati costieri; è quindi probabile che una parte molto significativa della pesca IUU avvenga anche all'interno delle ZEE. I paesi in via di sviluppo sopportano il peso della pesca IUU in termini di perdita di reddito, diminuzione della sicurezza alimentare e perdita di biodiversità (FAO, 2012). Pertanto, il monitoraggio dell'intera catena di approvvigionamento dei prodotti ittici attraverso tecniche di tracciabilità potrebbe contribuire a risolvere il problema della pesca IUU e consentire la tracciabilità in
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Tecnologie attuali: Negli ultimi anni, poiché sempre più consumatori richiedono di sapere da dove proviene il pesce che mangiano, le imprese hanno iniziato a sviluppare soluzioni high-tech per acquisire, ricevere e trasmettere dati lungo ogni elemento della catena
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mare, compresi i sistemi di monitoraggio, marittimi e di conservazione delle risorse marine. 3) Diritti umani Oltre a destabilizzare la gestione delle attività di pesca legale, la pesca illegale è spesso strettamente legata al crimine organizzato, toccando così questioni relative ai diritti umani come le condizioni di lavoro insicure, la scarsa o nessuna retribuzione dei pescatori e il traffico di pescatori e bambini, come evidenziato in un rapporto dell'Ufficio delle Nazioni Unite sulla droga e il crimine sul crimine organizzato transnazionale nell'industria della pesca (Chapsos et al., 2019). A causa della mancanza di governance e dello stato di diritto associati al lavoro nel settore della pesca, l'industria ittica è molto vulnerabile al crimine organizzato. In particolare, la mancanza di sistemi di sorveglianza in mare, in combinazione con la mancanza di trasparenza per i proprietari e le storie delle navi, crea un ambiente in mare in cui le violazioni dei diritti umani possono verificarsi impunemente. Le tecnologie di tracciabilità aiutano a rivelare tali condizioni e a frenare questo tipo di crimini organizzati, passando le informazioni agli organi di governo e rendendo le persone consapevoli della condizione dei lavoratori che procurano il loro cibo.
di approvvigionamento dei prodotti ittici, dai pescatori ai preparatori, ai trasportatori, ai distributori e ai dettaglianti. Con l'avvento delle nuove tecnologie GPS, AIS, VMS, i pescherecci sono equipaggiati con una combinazione di dispositivi GPS e telecamere che registrano le calate, dopo di che i pescatori pesano il pescato su una bilancia dotata
di video ed etichettano ogni pesce con codici a barre e codici QR. Questi dati vengono poi caricati sul cloud, dove possono essere consultati da un cliente semplicemente agitando uno smartphone sul menu di un ristorante. Non solo i consumatori, ma anche i pescatori, i distributori e i rivenditori sono diventati sempre più consapevoli che il cibo con una storia tracciabile può rendere più facile la vendita, e i ristoranti e i supermercati di alto livello possono essere disposti a pagare di più per un pesce con un background verificato. Anche la FAO ha iniziato a concentrarsi sui Key Data Elements (KDE) e sui Critical Tracking Events (CTE), in quanto punti salienti di raccolta dei sistemi di tracciabilità. Negli ultimi anni, la tecnologia della blockchain ha assicurato una gestione sicura di alto livello, fornendo informazioni su ogni sottofase, costruendo così una fiducia superiore ed offrendo una trasparenza e una tracciabilità ineguagliabili. Inoltre, il database della blockchain non può essere manomesso o alterato senza il consenso di ogni singolo partecipante alla rete distribuita, il che lo rende altamente sicuro. Nel prossimo futuro, con la sofisticazione delle competenze e delle attrezzature e l'avanzamento delle tecnologie, il pesce sul piatto di un commensale potrà essere rintracciato fino allo stagno o alla rete a cui appartiene, fino a risalire con precisione alla posizione precisa della cattura, alla condizione olistica del pescato e alle condizioni di lavoro in cui è stato catturato.
Il ruolo di Friend of the Sea nella sostenibilità e tracciabilità dei prodotti ittici: Friend of the Sea, un progetto della World Sustainability Organization, premia le pratiche sostenibili nella pesca, acquacoltura, produzione di farina di pesce e Omega-3. L'organizzazione promuove progetti pilota relativi a ristoranti, navigazione sostenibile, whale e dolphinwatching, acquari, pesci ornamentali, creme UV, ecc. È
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l'unico programma di certificazione della pesca sostenibile riconosciuto e supervisionato globalmente da un organismo di accreditamento nazionale. Il Parlamento europeo ha recentemente approvato il Fondo europeo per gli affari marittimi, la pesca e l'acquacoltura (EMFAF), che comprende anche il sostegno agli investimenti in strumenti efficaci di controllo della pesca discussi nel contesto della revisione in corso del sistema di controllo della pesca dell'UE, come le telecamere a circuito chiuso (CCTV). Conoscendo le esigenze del momento, Friend of the Sea è in procinto di rendere le CCTV gradualmente obbligatorie, a partire dal Pacifico tropicale orientale e lavorando per includere tutti i servizi rilevanti con il supporto dei partner giusti. Questi servizi possono includere il monitoraggio delle tracce delle tonniere (pescherecci con reti da circuizione in particolare, ma anche pescherecci con palangari, lenze a mano, lenze e canne e reti da posta derivanti) in tutto il mondo, il monitoraggio di quando e dove le tonniere utilizzano le reti da circuizione o altri attrezzi da pesca, la presenza di delfini o altri grandi mammiferi marini quando vengono utilizzate le reti da circuizione, la pesca in aree marine protette, la pesca su FAD, la cattura accidentale di squali o lo shark finning, altre infrazioni (ad esempio la pesca in aree non di pesca, al di fuori della stagione di pesca, di notte quando non è ammessa), problemi di responsabilità sociale (ad esempio trattenere gli equipaggi a bordo per periodi di tempo non consentiti dall'ILO, ecc), lo scarico in mare di vecchie reti o attrezzi da pesca, lo scarico in mare di altri rifiuti o sostanze inquinanti per l'acqua, la segnalazione quando le navi raggiungono il porto per scaricare, il trasbordo legale e illegale, l'uso di esplosivi dagli elicotteri per raccogliere i delfini, l'uso di TED, la presenza di CCTV attive ecc.
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Conclusione: Le tecnologie di tracciabilità dei prodotti ittici aiutano a regolare efficacemente la raccolta e a mitigare il sovrasfruttamento, la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata, e le pratiche di pesca distruttive, migliorando così le strutture degli stock in declino. Convalida le etichette dei prodotti ittici che vantano la sostenibilità, l'autenticità, la provenienza e altri fattori importanti per i consumatori. In futuro, le tecniche di tracciabilità daranno alle imprese margini di profitto più alti, una maggiore fidelizzazione dei clienti e una migliore reputazione del brand, fornendo un prodotto socialmente responsabile. Con l'aggiunta di CCTV a bordo, gli schemi di ecolabel come Friend of the Sea potrebbero giocare un ruolo importante non solo nel certificare i prodotti della pesca più rigorosamente da fonti sostenibili, ma anche nel limitare in grande misura le pratiche di pesca IUU.
Fonti: Magera, A. and Beaton, S., 2009. Traceability systems, certification, eco-labeling and standards for achieving sustainable seafood. Blanco, M., Pérez-Martín, R.I. and Sotelo, C.G., 2008. Identification of shark species in seafood products by forensically informative nucleotide sequencing (FINS). Journal of agricultural and food chemistry, 56(21), pp.9868-9874. Tennyson, J.M., K.S. Winters, and K. Powell. 1997. “A Fish by any Other name: A Report on Species Substitution. Papers Presented at the 22nd Annual Meeting of Seafood Science Technology Society of the Americas.” Biloxi, MS. October 6-7, 1997. U.S. Centers for Disease Control and Prevention (2011) Trends in Foodborne Illness, 1996-2010. http://www.cdc.gov/ WinnableBattles/FoodSafety/pdf/Trends_in_Foodborne_Illness.pdf. Accessed 23 January 2012 Logan, C.A., Alter, S.E., Haupt, A.J., Tomalty, K. and Palumbi, S.R., 2008. An impediment to consumer choice: overfished species are sold as Pacific red snapper. Biological Conservation, 141(6), pp.1591-1599.
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Von Der Heyden, S., Barendse, J., Seebregts, A.J. and Matthee, C.A., 2010. Misleading the masses: detection of mislabelled and substituted frozen fish products in South Africa. ICES Journal of Marine Science, 67(1), pp.176-185. Blanco-Fernandez, C., Ardura, A., Masiá, P., Rodriguez, N., Voces, L., Fernandez-Raigoso, M., Roca, A., Machado-Schiaffino, G., Dopico, E. and Garcia-Vazquez, E., 2021. Fraud in highly appreciated fish detected from DNA in Europe may undermine the Development Goal of sustainable fishing in Africa. Scientific Reports, 11(1), pp.110. Rumble T, Wallace A, Deeps C, McVay K, Curran M, Allen J, Stafford J, O’Sullivan A. New food labelling initiatives in Australia and New Zealand. Food Control. 2003 Sep 1;14(6):417-27.
Zhang, W. and Xue, J., 2016. Economically motivated food fraud and adulteration in China: An analysis based on 1553 media reports. Food control, 67, pp.192-198. Marko, P.B., Nance, H.A. and van den Hurk, P., 2014. Seafood substitutions obscure patterns of mercury contamination in patagonian toothfish (dissostichus eleginoides) or “Chilean Sea Bass”. PLoS One, 9(8), p.e104140. Lewis, S.G. and Boyle, M., 2017. The expanding role of traceability in seafood: tools and key initiatives. Journal of food science, 82(S1), pp.A13-A21. Garibaldi, L., 2012. The FAO global capture production database: a six-decade effort to catch the trend. Marine Policy, 36(3), pp.760768. Chapsos, I. and Hamilton, S., 2019. Illegal fishing and fisheries crime as a transnational organized crime in Indonesia. Trends in Organized Crime, 22(3), pp.255-273. Doulman, D.J., 2010. 7. FAO Action To Combat IUU Fishing: Scope Of Initiatives And Constraints On Implementation. In Law, Technology and Science for Oceans in Globalisation (pp. 131-155). Brill Nijhoff.
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Il ruolo dell'ittico in GDO: Trend e prospettive di Salvo Garipoli
Cosa c’è nel futuro dell’ittico all’interno della grande distribuzione secondo Salvo Garipoli, Direttore di SGMARKETING Con una quota a valore dell’8,6% (fonte Ismea-Nielsen I trimestre 2021), ed un trend crescente pari al +15% rispetto ad un 2020 altalenante a causa del lockdown che ha condizionato l’andamento del consumo del pesce fresco, l’ittico si conferma la categoria che tra le fonti proteiche animali è naturalmente in grado di coniugare i due elementi di supporto al consumo del food: gusto e benessere. Spicca il ruolo della moderna distribuzione che, con super e iper, rappresenta veicolo prioritario per la categoria raggiungendo una quota pari al 64% degli acquisti per consumo domestico anche nel corso del 2020. È in questo contesto che si innesta il futuro del reparto pescheria in GDO, che, con un’incidenza sulle vendite dello store pari a circa il 2,4%, è ancora oggi la Cenerentola tra i reparti freschissimi pur mantenendo un ruolo strategicamente rilevante in termini di sostegno all’immagine d’insegna e al posizionamento distintivo. La “nuova normalità”, guidata dalle istanze consumer votate alla “responsabilità del consumo”, orienterà prospetticamente l’azione dei player distributivi su due aree critiche di successo:
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- Il presidio del fattore convenienza, espressione fattuale del rapporto qualità-prezzo, che, oltre ad essere una chiave operativa, impatterà sui format distributivi, sui formati di vendita e sulle politiche di prezzo di breve e lungo periodo. Un’opportunità di sostegno alle filiere produttive ittiche di pesce cosiddetto “povero”, pensiamo al pesce azzurro, che potrà così sempre più rafforzare la propria immagine di prodotto versatile, gustoso e salutare. - La traduzione concreta del tema della sostenibilità che vede nelle filiere nazionali e locali, nella valorizzazione dell’allevato, nel rispetto della stagionalità, nella gestione del prodotto confezionato e nell’attivazione di percorsi di certificazione inerenti alle modalità di cattura, elementi di attivazione di cui il punto vendita deve farsi diretto interprete. La pescheria, più di altri reparti in GDO, rappresenterà un terreno fertile per attrarre e soddisfare il sempre più esigente shopper al fine di generare fedeltà all’insegna e valore aggiunto al punto vendita. Urge, in prims, lavorare per incrementare la numerica dei punti vendita trattanti la categoria e, per farlo, operare in
direzione della: - Razionalizzazione dell’architettura assortimentale per il banco servito e per il take-away, funzionali per segmentare l’offerta e presidiare esperienza di acquisto e valore aggiunto. - Qualificazione della vendita grazie al supporto degli addetti in reparto, sul banco assistito, nella funzione di veri e propri “consulenti vendita” e, nel libero servizio, attraverso display organizzati e strutturati per veicolare messaggi volti a supportare il ruolo del pesce nel pasto quotidiano all’insegna della leggerezza e del ben-essere attraverso call to action stimolanti. La collaborazione tra gli attori della filiera, in questo senso, diventa fattore di innesco necessario a supportare un mercato che è destinato, nel complesso, a dinamizzarsi, anche grazie alla ripresa delle occasioni di consumo fuori-casa e al ritorno ad una socialità che fa del ben-essere il connotato distintivo del nostro tempo.
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