Mensile Valori n.30 2005

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Millennium Goals, pochi anni e ancora molta strada >42 Eveline Herfkens: «troppe promesse dimenticate» >44 Transparency, il peso della corruzione >46

internazionale IN SOMALIA DECIDONO I SIGNORI DELLA GUERRA

PROSEGUONO LE SPARIZIONI E LE VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI IN CECENIA NEL SILENZIO DEI GRANDI MEDIA

AUMENTANO CORRUZIONE E SEQUESTRI IN IRAQ

PER LA GUERRA IN IRAQ MILIARDI DI DOLLARI DAGLI USA

ABUSI SU DONNE ROM IN ITALIA DENUNCIATI A PADOVA DALLE ASSOCIAZIONI ANTIRAZZISTE

OMS SOTTO ACCUSA PER LE MORTI DA MALARIA

Un accordo per il controllo delle vie di accesso e di circolazione nella capitale somala di Mogadiscio è stato raggiunto dai “signori della guerra” che partecipano al neonato governo somalo. Dopo la rissa e i conseguenti arresti nel corso dell’ultima riunione per la formazione del governo a Nairobi, dove il parlamento somalo in esilio ha deciso il rientro nel Paese, e l’esplosione di una bomba allo stadio di Mogadiscio durante un meeting di presentazione del premier somalo Ali Mohammed Gedi, il potere dei “war lords” è stato ribadito dall’accordo stretto fra i potenti signori della guerra per togliere i check point sulle strade e rafforzare il quasi inesistente potere della polizia somala. L’accordo avrebbe lo scopo di preservare la capitale dagli scontri delle ultime settimane per presentarla come una zona pacificata. Il presidente e il primo ministro somalo starebbero trattandola scelta di una capitale temporanea prima del ritorno delle istituzioni a Mogadiscio, ritenuta ancora troppo insicura, come avrebbe dimostrato l’attentato allo stadio costato quindici morti. L’esecutivo avrebbe individuato in Baidoa o Jowhar la sede provvisoria del governo, un progetto avversato dai signori della guerra che si sono contesi per anni il controllo di porzioni della capitale e dei suoi commerci, dal controllo del porto al traffico dello stupefacente Khat.

Le violazioni dei diritti umani in Cecenia non accennano a diminuire. Human Rights Watch, che ha denunciato come tra le tremila e le cinquemila persone siano scomparse dal 1999 ad oggi, chiede un’indagine a carico delle truppe di occupazione per “crimini contro l’umanità”. Tuttavia, secondo il delegato per i rapporti con l’Unione Europea del governo russo Sergei Iastrjembski, la situazione in Cecenia «non è più all’ordine del giorno» nei rapporti tra Russia ed Europa a 25, in quanto «tale questione perso il carattere drammatico e mediatico». La politica russa è sempre stata improntata ad un lavoro di grande repressione sul territorio (tra gli scomparsi si registrano i pochi giornalisti che hanno potuto denunciare dalla Cecenia le continue violazioni dei diritti umani perpetrate durante i rastrellamenti e gli interrogatori), tentativo di imbavagliare le poche fonti di informazione indipendenti e sul piano internazionale l’accostamento tra il caso Ceceno a quello dell’Afganistan dei Talebani e della guerra globale al terrorismo post 11 settembre. Accanto a questo tentativo di inserire la repressione della indipendenza cecena nel contesto della guerra contro il terrorismo, in una duplicità di messaggio che è spesso stata contestata ai politici russi, la tendenza di Vladimir Putin e delle gerarchie russe è stata quella di minimizzare la portata del lungo conflitto ceceno e la sua carica di vittime e distruzione, malgrado le continue denuncie sul peggiorare della crisi sotto il profilo delle violazioni dei diritti umani. Secondo “Reporter sans frontières” la censura imposta dal governo russo impedisce di conoscere la reale situazione in Cecenia, ulteriormente peggiorata dopo l’attentato che ha portato alla morte del presidente filo russo Akhmad Kadirov.

La pratica della corruzione per intraprendere commerci ed ottenere permessi è sempre più diffusa a Baghdad ed aumentano tra i cittadini comuni della capitale irachena i rischi di rapimento legati alle nuove attività commerciali. Dopo il giuramento del premier sciita Al Jaafari dello scorso 28 aprile, presentato come un segnale di riconciliazione, i cittadini della capitale irachena, oltre ai continui attacchi della guerriglia, devono fare i conti con una situazione di estrema difficoltà nella riorganizzazione della vita e dei commerci. La presenza di più autorità sul territorio, in cui ora vi è formalmente un governo eletto dai cittadini impossibilitato però a mantenere il controllo del paese senza il sostegno militare ed economico degli eserciti di occupazione, rende estremamente difficile la gestione della vita quotidiana sopratutto nelle aree a ridosso delle installazioni militari e dei centri di governo. Gli attacchi della guerriglia inoltre non hanno mai rallentato di intensità, pur divenendo di pubblico dominio essenzialmente quando riguardano cittadini o militari occidentali. L’attacco di un kamikaze a Erbil, capoluogo del Kurdistan iracheno, pur provocando 47 morti nelle file degli aspiranti poliziotti di un centro reclute, ha avuto scarsa eco nei media occidentali.

Il senato statunitense ha approvato un aumento di oltre ottanta miliardi del preventivo di spesa per la guerra in Iraq. Questa misura porta il costo dell’invasione e dell’occupazione del territorio iracheno a oltre duecento miliardi di dollari. Entro il 2010 il costo della “guerra permanente” decretata dell’amministrazione Bush potrebbe superare il trilione di dollari se non vi saranno mutamenti nella politica estera statunitense. Già dal mese di ottobre, tuttavia, malgrado l’aumento appena approvato saranno necessari, secondo i vertici militari, nuovi finanziamenti, sopratutto legati alla necessità di riparare e sostituire i veicoli impiegati in Iraq nei pattugliamenti di terra. La motivazione del finanziamento è piuttosto imbarazzante per l’amministrazione Bush perchè dimostra che gli attacchi alle truppe di occupazione sono più diffusi e quotidiani di quanto di vorrebbe far intendere. Nel piano di finanziamento vi sono tuttavia anche delle misure per la sicurezza interna, in particolare legate all’identificazione dei passeggeri in transito e degli immigrati. Una parte dei finanziamenti è destinata alla ricostruzione dell’ambasciata nordamericana a Bagdad, destinata a diventare la principale sede diplomatica degli Stati Uniti al mondo.

Ragazze rom spogliate in mezzo alla strada, davanti alla stazione di Padova, e sottoposte da parte di carabineiri in borghese e divisa a una visita intima di fronte agli occhi dei passanti. La denuncia è stata fatta da una studentessa di Padova che dopo aver realizzato delle immagini con un telefono cellualre è stata notata da un carabiniere che l’avrebbe rincorsa per evitare la diffusione delle fotografie. La ragazza, salita sul suo treno alla stazione di Padova, ha quindi telefonato in diretta a Radio Sherwood raccontando l’episodio. Le immagini sono state postate dalla radio sul sito antirazzista “www.meltingpot.org”. La ragazza ha raccontato quello a cui ha visto in stazione a Padova, assieme ad altre persone, tra cui una giornalista allontanata dai carabinieri. I fatti riguardano un fermo da parte dei carabinieri di alcuni rom sospettati di avere della cocaina. In particolare le ragazze fermate sarebbero state spogliate, denudate e sottoposte a una perquisizione intima da parte di militari maschi. Già in passato fra le forze dell’ordine e le comunità rom nel padovano si erano registrati episodi molto gravi di violazione dei diritti umani. Nel settembre del 1993 Tarzan Sulic, un ragazzino rom di 11 anni, era stato ucciso da un carabiniere durante un fermo nella caserma in cui era stato accompagnato insieme alla cugina Mira Djuric di 14 anni. Il carabiniere aveva sostenuto che il ragazzino aveva tentato di sottrargli la pistola dalla fondina. Secondo Mira Djuric invece Trazan era stato minacciato con la pistola dal militare quando aveva cercato di difendere la cugina dalla vicinanza fisica del militare. Del caso e del successivo processo si era ripetutamente occupata anche la sede londinese di Amnesty International che analizza le violazioni dei diritti umani in Italia.

L’associazione umanitaria internazionale Medici Senza Frontiere ha denunciato l’assenza di una chiara politica dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per la lotta contro la malaria. Nell’aprile del 2001 l’OMS aveva raccomandato ai Paesi maggiormente colpiti dalla malaria l’utilizzo di farmaci di provata efficacia in considerazione dello sviluppo di forme più virulente, divenute resistenti ai vecchi farmaci. Il fenomeno, diffusosi nella stragrande maggioranza dei Paesi in cui è diffusa la malattia provoca centinaia di migliaia di decessi l’anno. La nuova coraggiosa strategia consisteva nel passare dai vecchi trattamenti inefficaci alle ACT (Artemisin combination therapies), terapie combinate a base di artemisina. La sostituzione di vecchi farmaci con l’ACT potrebbe salvare le vite di bambini e adulti che soffrono di malaria resistente. Secondo le stime dell’OMS oltre un milione di persone muoiono di malaria ogni anno. Solo 9 dei 33 Paesi africani che hanno deciso di adottare questo cambiamento terapeutico hanno effettivamente accesso alle ACT e solo da poco hanno iniziato a usare questi trattamenti più efficaci contro la malaria. La maggior parte dei paesi colpiti dalla malattia sta quindi utilizzando farmaci a bassa efficacia per un problema di accesso alle nuove medicine, il cui costo è più elevato.

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