Rivista lasalliana 1-2008

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Recensioni e segnalazioni

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Antonia Chiara SCARDICCHIO

Il cielo in una stanza Psicosomatica ed educazione tra Magritte e Battiato Stilo Editrice, Bari 2005.

Già il Magritte in copertina sembra volerti far aprire le pagine. E le apri. Cominci a leggerne, una dopo l’altra, e sembra subito paradossale che un tema così apparentemente ostico - le dinamiche psicosomatiche del cancro - possa essere trattato con tanta serenità, dolcezza, comprensione, competenza. Paradossale, perché viviamo un tempo in cui la malattia, soprattutto il cancro - e aggiungerei anche la morte - sono temi trattati mai di petto se non per suscitare un senso di impotenza seguito da ammirevoli ma a volte deliranti operazioni di propaganda verso una scienza che tutto dovrebbe risolvere: compreso il progetto dell’immortalità. Questo lavoro della Scardicchio si colloca nel panorama saggistico italiano come una provocazione partendo da una consapevolezza: siamo abituati a definire la salute come “mancanza di malattia”, siamo abituati a definire la medicina come scienza della malattia (cf. Gadamer). Ma chi stabilisce le proprietà definitorie della “malattia”? Dove sta il confine tra chi è “sano” e chi è “malato”? E soprattutto: la malattia è solo “corruzione” del corpo o c’è qualcosa di più? Non è superfluo provare a rispondere a queste domande: sapere cosa la salute sia significa impostare anche a livello sociale i servizi per garantirla e promuoverla. La Scardicchio si muove all’interno del Progetto Amaltea, promosso dal Ministero della Salute e dall’IRCCS Ospedale Oncologico di Bari, per il quale ha curato gli Atelier autobiografici I care da svolgersi nelle scuole: l’idea di fondo è che la malattia è una esperienza che si verifica non solo nel corpo ma anche nell’anima; e che per questo l’idea di salute ha a che fare con la storia personale di ognuno e con le capacità che ognuno di noi può adoperare e adoperarsi a incentivare per reagire ed interagire con la malattia. «Abbiamo bisogno della ricerca scientifica e degli esperimenti in laboratorio. Ma anche della poesia», scrive la Scardicchio (p. 24), riassumendo la peculiarità della sua trattazione, che sa integrare riferimenti alla scienza psicosomatica e neurologica con quelli alle scienze umane e all’arte. Intravede così ne La cura di F. Battiato un manifesto programmatico per le cosiddette “personalità da cancro” (contro le cosiddette “personalità cardiopatiche”): come se in queste personalità sia violato il primordiale istinto a prendersi cura di se stessi, una sorta di “regressione alla vita intrauterina” (p. 20). Ecco allora che la patologia si lega imprescindibilmente alla propria autobiografia, che va indagata, esplorata e soprattutto narrata; ma anche amata e compresa, per trovare in essa la possibilità di “costruire la propria salute”. «Il lavoro fenomenologico-costruttivista sulle proprie immagini autobiografiche ha permesso di promuovere (…) le life skills – le abilità di vita – ma, soprattutto, quella che si è considerata la competenza chiave per l’educazione alla salute: la resilienza» (p.123): ovvero quella capacità che permette di trasformare traumi o eventi negativi della propria storia in risorsa o apprendimento, di rendere le ferite delle feritoie. Far parlare il proprio dolore, dunque, perché la malattia consenta poi di ri-vedere e ri-vedersi. E in questa operazione è di vitale importanza la produzione e l’uso di immagini e metafore come ponti tra mente e corpo, tra razionale ed emotivo. Un po’ come Magritte; un po’ come Il postino di Troisi, che ad un certo punto si accorge di poter fare poesia. A libro concluso, specie dopo aver scorso le schede riassuntive dei laboratori svolti con gli studenti, resta qualcosa… Restano le voci di questi ragazzi, adolescenti di nuova generazione, che si sono avventurati in questa esplorazione - forse anche dolorosa - delle proprie vicende, che si sono confrontati con il faticoso (ancor più per un giovane) tema della malattia e che hanno provato a comprendere come sollecitare quella creatività che è propria di ogni essere umano, che lo rende unico e irripetibile e per questo infinitamente degno di felicità.

Flavia Marcacci


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