E il mensile gennaio 2012

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il capitale di

Niccolò Mancini

salvi per un pelo Questa è la sintesi brutale di un anno, il 2011, che avrebbe potuto passare alla storia come l’anno del default italiano, sulla scia della vera e propria fuga dai titoli del nostro debito pubblico, con conseguente innalzamento dei rendimenti ben oltre il 7 per cento, soglia indicata da molti economisti come limite alla sostenibilità del nostro stock di debito. E proprio gli oltre 1.900 miliardi di titoli di Stato in circolazione, ai quali si è sommata la progressiva perdita di credibilità del governo guidato da Silvio Berlusconi, hanno fatto del nostro Paese l’obiettivo prediletto della speculazione che, attaccando l’Italia, ha messo in discussione la sopravvivenza stessa dell’euro. Ad alimentare ulteriormente l’incertezza, hanno anche contribuito le discutibili scelte dei leader dei due principali Paesi del continente, Germania e Francia, che prima hanno lasciato peggiorare la situazione della Grecia, diventata nel corso del 2011 addirittura esplosiva, e poi non hanno saputo contrastare l’azione speculativa dei mercati finanziari, arroccandosi – in particolare Angela Merkel – su posizioni di estrema rigidità che hanno provocato danni ingenti a banche e aziende dei loro stessi Paesi, come sta a testimoniare il salvataggio in extremis di Commerzbank, seconda banca tedesca. Conseguenza della pressione dei mercati, sono stati il cambio di governo in Italia, con l’insediamento di un esecutivo tecnico guidato da Mario Monti, e le elezioni in Spagna, che hanno chiaramente allentato la pressione sui titoli di Stato dei due Paesi e sul differenziale di rendimento (spread) nei confronti dei “titoli guida” tedeschi, arrivato nelle fasi più acute della crisi a oltre il 5,5 per cento. In particolare i mercati, per quanto riguarda l’Italia, hanno atteso la presentazione della manovra da parte del governo Monti per dare il loro assenso alle misure proposte, come testimoniato dal rally scatenatosi sui Cct, Btp e Bot, che nelle prime settimane di dicembre hanno registrato dei progressi notevoli, con il rendimento dei titoli a dieci anni (quello su cui si misura lo spread con la Germania e che si traduce in oneri da pagare da parte dello Stato) precipitato di oltre il 2,5 per cento. Inutile dire che i mercati non sono stati a disquisire sull’equità della manovra mentre, per quanto riguarda i numeri, questi parlano di un oggettivo recupero di credibilità del nostro Paese che secondo alcuni analisti, dovrebbe proseguire anche nel 2012.

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