Orfani di Patria

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Fu una delle più grandi ondate migratorie di tutti i tempi: alle popolazioni meridionali, sconfitte e colonizzate altro non rimaneva che battere la via dell’oceano: “Partetemmo pè mmare, eravamo sciumme!” [partimmo per mare ed eravamo un fiume]: i porti di Napoli e Palermo diventarono i più grandi centri di espatrio dei meridionali (Genova lo fu per gli emigranti settentrionali). Pasquale D’Angelo così descriveva il suo commiato dalla madre: “Mi gettò le braccia al collo singhiozzando e mi strinse a sè. Serrato nel buio di quell’abbraccio stretto, chiusi gli occhi e piansi. Piangevamo entrambi, fermi sui gradini, ed ella mi baciava e ribaciava le labbra. Sentivo le sue lacrime calde irrigarmi il volto. “Tornerò presto”, le dicevo singhiozzando “Tornerò presto”. Ma non fu così. I timori della mamma presagivano la verità. Non ritornai mai più. Mi strinse ancora fra le braccia, quasi volesse farmi addormentare sul suo petto. E tornò a baciarmi. Così rimanemmo a lungo finchè su di noi discese una gran pace”. Tratto da: Gli emigranti vittoriosi, Mondadori, Milano, 1972

copyright Rosanna Gadaleta


Racconta Bevilacqua: partirono “gruppi e famiglie, e talora interi quartieri di piccoli e grandi paesi, attraverso le catene dei richiami”. Ha aggiunto lo scrittore Domenico Porzio: “I cafoni del Sud si imbarcavano fissi come sardelle sui tremendi bastimenti delle rotte oceaniche. In gran parte analfabeti, non possedevano che la cultura della povertà”. I rapidi ed elegantissimi piroscafi decantati dalla società di navigazione La Veloce erano spesso “vechie carcasse sulle quali si viaggiava stipati come bestie, accampati sui ponti o, quando il mare era mosso, chiusi nel fetidume delle stive”. Frequenti erano durante le traversate, le epidemie, sopratutto di morbillo. I barcaioli portavano i parenti lungo le fiancate delle navi del porto di Napoli per l’ultimo saluto. Altri le accostavano per vendere l’ultima pizza e l’ultimo babà. Chi stava sulle banchine per lo straziante addio aveva nelle mani il capo di un filo di cotone e l’altro capo era stretto da chi partiva: quando suonava la sirena, e i motori cominciavano ad ansimare, quel filo che sfuggiva di mano era una piccola morte. Se ne andavano figli “belli come bandiere”, orfani di una patria crudele che li aveva voluti o “briganti o emigranti”. E tutti partivano, e non “c’era casa che non piangesse. Pareva la guerra, e come quando c’è la guerra, le mogli restavano senza marito e le mamme senza figli”. Tratto da: Fuoco del sud di Lino Patruno

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Gli emigranti arrivavano sulla costa orientale degli Stati Uniti d o p o t re n t a g i o r n i d i n av i ga z i o n e a va p o re (prevalentemente in terza classe), in terre “assai luntane” di cui ignoravano la lingua parlata; la maggior parte di loro non aveva mai visto una grande città e l’85% dichiarava all’ufficio dell’immigrazione di essere agricoltore. Nonostante ciò la gran parte si trasformò in operaio dell’industria, delle miniere o delle ferrovie (che erano in rapidissima espansione) per due motivi: spesso erano quasi completamente privi di denaro (il costo del viaggio in nave poteva già costituire un problema) e impossibilitati ad acquistare le terre. Ma le origini non si dimenticavano per cui, dopo qualche anno, un buon numero di loro lasciò le grandi metropoli della costa orientale americana portando con sé la classica valigia piena dei pochi effetti personali, fece il gran salto verso le terre sconfinate del Far West. Il sogno della terra, coltivato in Patria per secoli, finalmente diventava realtà e con esso arrivava il benessere economico tanto che i meridionali riuscivano, insieme ai “pacchi alimentari e di vestiario”, ad inviare in Italia parte dei risparmi per aiutare le famiglie di origine. L'emigrazione non era, quindi, solo una valvola di sfogo per liberare la Penisola da un numero eccessivo di disoccupati ma anche uno strumento che permetteva di rastrellare denaro all'estero per far fronte ai problemi di bilancio dello Stato italiano, sono cifre alte: due miliardi di lire all'anno dal 1896 al 1900, più di quattro miliardi all'anno dal 1909 al 1914. Tratto da: Le Monografie storiche di Giuseppe Ressa

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“Dall’Unità d’Italia al 1913, la percentuale di meridionali che abbandona la propria terra aumenta del 600% In questo periodo se ne vanno sei milioni di persone. Al momento dell’emigrazione, un bel viatico, la tassa per l’emigrazione oltre oceano , quasi esclusivamente meridionale. Con quei soldi viene costituito un fondo per rimborsare parzialmente il biglietto agli italiani che emigrano nel nord europa, e solo a loro. Essi sono per 4/5 settentrionali. Poco si sa dei benefici che l’immigrazione dalle regioni del sud, porta all’economia del centro-nord. Una ricerca dell’Accademia Nazionale dei Lincei, guidata da Giuseppe de Meo, valuta in 3mln e 300.000 miliardi di lire in trent’anni, il contributo allo sviluppo del paese da parte dei meridionali trasferitisi al nord, cinque volte il prodotto lordo del centro-nord, trentadue volte quello che la cassa per il mezzogiorno spende nello stesso periodo“ Tratto dal documentario “Viaggio nel Sud di Sergio Zavoli (1958)

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Per quanto riguarda il numero degli emigrati, sebbene vi siano dati ufficiali solo a partire dal 1875, le tabelle di Nitti ci offrono, comunque, per il periodo precedente, una eloquente panoramica: 1861: 5.525; 1862: 4.287; 1863: 5.070; 1864: 4.879; 1865: 9.742; 1866: 8.790; 1867: 18.447; 1868: 18.120; 1869: 23.325; 1870: 15.473; 1871: 15.027; 1872: 16.256; 1873: 26.183. Percentualmente, in quei primi anni, l’85% degli emigrati proveniva dalle regioni del Nord Italia, fu solo dopo la crisi agraria degli anni ’80 che i meridionali presero il sopravvento raggiungendo il 56% nel 1920. Nell’anno 1900 l'emigrazione italiana complessiva aveva già raggiunto la enorme cifra di 8 milioni di individui di cui 5 milioni provenivano dalle ex Due Sicilie, espatriò dal Sud oltre il 30% della popolazione. “Nel 1901 il sindaco di Moliterno, in Lucania, porgendo il saluto della città al capo del governo, venuto a visitarla, diceva: ”La saluto in nome di ottomila concittadini, tremila dei quali risiedono in America, mentre gli altri cinquemila si preparano a seguirli”. Nel successivo decennio 1901-1910 partirono per nave più di 350.000 persone all'anno, poi aumentarono negli anni successivi e nel solo 1913, che fu l'anno della più forte emigrazione, lasciarono l'Italia per le Americhe 560.000 persone, cui si devono aggiungere 313.000 partenze per Paesi europei. Ancora negli anni '50 e '60 del Novecento altri sei milioni di meridionali emigrarono, ai giorni nostri la diaspora continua e, a 150 anni dall’unità, ben 90mila meridionali sono costretti a lasciare ogni anno le loro terre: la eterna “questione meridionale”. Tratto da: Le Monografie storiche di Giuseppe Ressa

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“Imparate le lingue e andate a lavorare all’estero”, diceva De Gasperi quando gli prospettavano il problema della disoccupazione. “Fateli entrare nell’ordine di idee di emigrare, vadano a far carbone in Belgio”, disse Fanfani rivolgendosi ai sindaci Abruzzasi. Il 23 giugno del '46 De Gasperi firmò un accordo di tipo schiavistico con il Ministro belga Van Hacker che prevedeva l'impegno italiano di mandare 50 mila uomini, sotto i 35 anni, in buono stato di salute, per 12 mesi di lavoro, duro e pericolosissimo in miniera. Il Belgio in cambio avrebbe fornito all’Italia 200 kg di carbone al giorno, per le industrie del triangolo Torino-Genova-Milano, la nostra locomotiva. In quegli anni partirono per il Belgio 140.000 lavoratori, 18.000 donne e 29.000 bambini, moltissimi di loro erano di San Giovanni in Fiore, Caccuri, Cerenzia, Castelsilano, Santa Severina, Rocca Bernarda, Savelli, Scandale, di tutta la Sila e dell'intero Marchesato di Crotone. Un fiume di Calabresi giunse in Belgio con i convogli ferroviari che partivano da Milano. A causa di un errore umano, l'8 agosto 1956 il Belgio venne scosso da una tragedia senza precedenti, un incendio scoppiato in uno dei pozzi della miniera di carbon fossile del Bois du Cazier, causò la morte di 262 persone di dodici diverse nazionalità, soprattutto italiane, 136 vittime, poi belghe, 95; fu una tragedia agghiacciante, i minatori rimasero senza via di scampo, soffocati dalle esalazioni di gas. Le operazioni di salvataggio furono disperate fino al 23 agosto quando uno dei soccorritori pronunciò in italiano: "Tutti cadaveri!” Fiore, Caccuri, Cerenzia, Castelsilano, Santa Severina, Rocca Bernarda, Savelli, Scandale, di tutta la Sila e dell'intero Marchesato di Crotone. Un fiume di Calabresi giunse in Belgio con i convogli ferroviari che partivano da Milano. A causa di un errore umano, l'8 agosto 1956 il Belgio venne scosso da una tragedia senza precedenti, un incendio scoppiato in uno dei pozzi della miniera di carbon fossile del Bois du Cazier, causò la morte di 262 persone di dodici diverse nazionalità, soprattutto italiane, 136 vittime, poi belghe, 95; fu una tragedia agghiacciante, i minatori rimasero senza via di scampo, soffocati dalle esalazioni di gas. Le operazioni di salvataggio furono disperate fino al 23 agosto quando uno dei soccorritori pronunciò in italiano: "Tutti cadaveri!” Tratto da: La Storia Siamo Noi e http://www.emigrati.it/Tragedie/MARCINELLE.asp copyright Rosanna Gadaleta


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