Le farfalle volano quando piove?

Page 1

Le farfalle volano quando piove? di silvana vistola

1


INDICE Il paese in Collina Fil-di-Ferro Il convento delle Ciambelline Il campanile dai mille gradini La famiglia Eternum La Casa del Glicine Teodora e il debito del Marchese La storia di Teodora Teodora e le stanze vuote Rosamaria e Mariarosa Il triste destino degli studenti del Liceo Il peccato di gola Speranza 2


Speranza e la Casa del Glicine Il giorno tanto atteso L'arrivo di Speranza alla Casa del Glicine e l'incontro con Allegra Le cinque sorelle Cia trama qualcosa La zia e la tartaruga Il museo delle scienze L'arrivo di Mr. Dinero Dopo la morte del Marchese L'effetto dello scandalo sulla famiglia Regalbuto Il risveglio di P.P. L'incontro tra il Sig. Fil-di-Ferro e Cia Bac첫 lo scrittore 3


Bakunin e gli 85 uomini pi첫 ricchi del mondo La ricetta del peccato di gola Intervallo con coro greco Bac첫 e Fil-di-Ferro Bac첫 e la Luna Il piano d'azione La riunione al chiaro di luna Bac첫 e Speranza si sposano Epilogo L'ultima cena

4


Silvana Vistola

LE FARFALLE VOLANO QUANDO PIOVE?

5


Il Paese in Collina L'ultima nota del campanile risuonò nell'aria, rimbombando tra le pareti e il soffitto a cupola del salone, come un colpo di martello seguito dall'infrangersi di tanti piccoli cristalli sul marmo. Era una di quelle giornate turchine con il cielo dipinto tutto di un unico colore ‒ senza sfumature ‒ e il vento che sussurrava parole misteriose e incomprensibili. L'odore di azalee misto a quello di gelsomini e di stucchevoli fichi d'India costringeva gli abitanti del paese in collina a camminare velocemente ‒ impauriti e timorosi di incorrere in un possibile malore, in uno svenimento improvviso, o di essere colti da rapture, un tipo di trance da cui era molto difficile riprendersi. La signora Piedipiccoli-e-Fianchilarghi, conosciuta anche come Petits-Pieds, avvolta in un vestito blu a grossi pois bianchi si alzò dalla comoda poltrona del salone, si aggiustò la veletta di pizzo veneziano che dal cappello le scendeva sul viso e dopo aver preso per mano i suoi due figli si avviò verso l’uscio di casa. 6


I tre camminavano spediti ‒ la madre al centro e Gaspare ed Elisabetta ai lati ‒ mentre con la mano libera si tappavano il naso con un fazzoletto imbevuto di ‘spiacevoli odori’‒ fragranze, queste, che la signora Petits-Pieds coltivava in casa apposta per queste giornate particolarmente magiche e incredibilmente pericolose. 'Buon giorno signora' e levandosi il cappello a cilindro un uomo alto e magro tutto vestito di nero si inchinò facendoli passare. 'Che insopportabile odore, è peggio del solito. Sarebbe capace di stecchire chiunque.' La signora Petits-Pieds, conosciuta nei circoli più intimi come P.P., lo guardò, annuì col capo e lo fulminò con lo sguardo. P.P. non sapeva distinguere lo scherzo dall'oltraggio e l'oltraggio dall'infamia bella e buona, così, per mettersi al sicuro, prendeva subito le debite distanze e trattava ogni cosa come una presunta offesa. E poi con il Sig. Fildi-Ferro era meglio non aprire bocca, pensava P.P., anche un semplice buongiorno poteva essere di troppo e si correva il rischio di incoraggiare ulteriori scambi verbali che andavano meglio evitati. Nella testa di P.P. tutto veniva ridotto alla più 7


scarna ed essenziale semplicità. Ad esempio, il genere umano era suddiviso in tre gruppi: le persone comprensibili, quelle quasi comprensibili, e quelle completamente incomprensibili, come il Sig. Fil-di-Ferro che andava sempre in giro con un cilindro talmente lungo che quando camminava ‒ il Sig. Fil-diFerro era il più alto del paese ‒ i bambini dai balconi vi posavano le bucce d'arancia e quell'imbecille, pensava P.P., neanche se ne accorgeva. P.P., come abbiamo detto, non amava le persone ‘incomprensibili’ perché le suscitavano un misto di paura e rabbia. Paura perché istintivamente non si fidava di loro e rabbia perché tutto ciò che non capiva la faceva arrabbiare, come le giornate magiche.

Fil-di-Ferro Il Sig. Fil-di-Ferro non temeva né le giornate magiche né P.P. e camminava impavido senza tapparsi il naso. Sapeva benissimo che le bucce d'arancia si accumulavano sul suo cappello ma gli piaceva scherzare e quando incontrava qualcuno che, facendo finta di niente, lo salutava, il Sig. Fil-di-Ferro per ricambiare il 8


saluto si levava il cappello e faceva cadere sul malcapitato ‒ il quale era costretto a far finta di nulla ancora una volta ‒tutte le bucce. Così impari a fingere, diceva tra sé e sé il Sig. Fil-diFerro, conosciuto dagli amici ‒ i quali erano talmente pochi che nessuno eccetto loro si ricordava più il suo nome ‒ come Fino. Che paese strano! La gente ha paura di cadere in trance e va in giro con il naso tappato, pensava Fino, ma come si può avere paura dell'azzurro intenso e del dolce profumo di frutti e fiori? Strano per quanto possa sembrare il Sig. Fil-diFerro aveva una consorte, conosciuta come la Sig.ra Fil-di-Ferro. La suddetta signora sembrava - e c'era chi diceva che lo fosse davvero ‒ fatta di cera. Si vociferava che qualcuno avesse visto Fino con il candelabro del convento oltrepassare il portone di casa sua di sera tardi con il bavero alzato e un'espressione preoccupata sul volto. Alcuni lo avevano persino accusato d'essere stato l'artefice di un singolare furto avvenuto nella chiesa delle Angeliche – conosciute dal Vulgus come le Ciambelline – in cui tutte le candele erano improvvisamente scomparse dalla chiesa del convento, inclusa la candela dell'altare maggiore che raggiungeva l'altezza di ben tre metri e mezzo. 9


Il convento delle Ciambelline L'antico ordine delle Ciambelline, il cui piccolo convento, con i balconcini dalle inferriate baroccheggianti sembrava una scultura di zucchero e miele, con le sue imposte color pistacchio e l'intonaco rosa antico, non si scioglieva al sole di Maggio solo perché a proteggerlo c'era l'ombra del vecchissimo palazzo appartenente alla confraternita dei Ciambellani – una congrega massone stabilitasi in città dopo l'arrivo dei Genovesi, nel lontano 1040. Il vecchio palazzo dei Ciambellani sembrava a prima vista schiacciare e incupire il vezzoso convento ma in verità lo proteggeva dal sole per non farlo sciogliere. Si diceva anche che c'erano stati degli scambi culinari tra i due palazzi, ma questa era una delle tante ciarle messe in giro dai soliti ignoti. Tutti i bambini che passavano davanti al convento, specialmente la sera, leccavano di nascosto l'intonaco e dicevano che fosse dolce. Quelli più coraggiosi, i quali si erano spinti oltre e avevano staccato un pezzetto di ruggine dal balconcino, giuravano che fosse di cioccolato.

10


Le Ciambelline smentivano sempre tutto, ridendosela tra di loro di tanto interesse, ma non potevano negare a nessuno che quell'odore delicato e appetitoso usciva proprio dalle finestre delle loro cucine. Certo fare torte e qualche ciambella era lecito per delle suore ‒ diceva P.P. alle sue amiche ‒ ma questi erano dolci di grandi pasticceri, degni di re e regine, dolci mai visti, torte a venti piani, bignè grandi quanto meloni, e creme pasticcere in pentoloni enormi dove ci si poteva fare il bagno. 'No, no, solo qualche pasticcino per il vescovo' diceva Suor Gemma, la cuoca, 'per il pranzo della domenica. Cose modeste. Cose da poco' e intanto rideva sino alle lacrime e non si capiva se ridesse per l'imbarazzo o perché erano riuscite a ingannare tutti così bene per anni. Il sig. Fil-di-Ferro non si faceva mai scappare l'occasione per stuzzicarla. 'Suor Gemma' diceva 'io aspetto sempre la sua torta, quando posso venire a trovarla?' 'Ma che dite, Professore. Sono torte facili, facili. Ditelo a vostra moglie di farvene una.' 'Eh! mia moglie ci ha provato' rispondeva Fil-diFerro 'ma la torta è uscita dal forno piatta come una focaccia e lei ci ha rimesso quasi una mano, voglio dire, una piccola bruciacchiatura.' si correggeva subito. 11


La Casa del Glicine P.P. appena rientrata a casa si levò il fazzoletto dal naso e andò a stendersi sulla dormeuse, all'ombra, dietro le finestre chiuse e le imposte abbassate. Qualche striscia di luce attraversava le numerose fessure delle persiane e tracciava sul pavimento dei disegni a forma di raggi che salivano e scendevano sui divani e le pareti. Il silenzio era assoluto. P.P. era sola in casa: una casa grande e solenne, piena di mobili scuri e tende bianche, di pavimenti verde giada, lucidi come il marmo, di pareti coperte di carta da parati adorne di grandi rose color pesca con sullo sfondo delle righe variopinte ma delicate. P.P. non amava lo stile di questa casa, lo trovava pieno di contraddizioni che oscillavano tra cupa austerità e sfrontata frivolezza. Era per questo motivo che si limitava ad usare solo quelle stanze che, per posizione e dimensioni, erano state adibite all'uso giornaliero della sua famiglia: il salone piccolo, la stanza da pranzo e le stanze da letto. La sua stanza da letto con le pareti rosso fragola e i mobili con la patina in oro, come una gondola veneziana, non infastidiva piÚ P.P. la quale non accendeva mai 12


la luce prima di entrare ma si faceva guidare dalla luce debole di una torcia che, una volta sotto le coperte, spegneva in fretta. P.P. avrebbe preferito dormire in una grande camera dalle pareti bianche, con pochi mobili scuri e una grande finestra, piuttosto che in questa bomboniera minuscola con un terrazzino che si sporgeva traballante tra le tegole da cui scendevano grappoli di glicine profumatissimo. L'odore del glicine disturbava molto P.P. che lo riteneva responsabile dei suoi frequenti mal di testa, ma non faceva in tempo a potare un ramo che un altro subito cresceva da sotto un'altra tegola. Si diceva che le radici di questa pianta fossero talmente profonde che per trovarle bisognava buttare a terra tutto il palazzo, e che non appena si tagliava un ramo ne cresceva subito un altro da un'altra parte. P.P. aveva fatto diversi tentativi per eliminare la pianta di glicine ma senza successo, e si era cosĂŹ rassegnata a vivere tra l'olezzo di questo fiore, in questa prigione fatta di petali lilla che si infittivano dietro i vetri di tutte le finestre e di tutti i balconi. Fu proprio a causa di queste dolorose circostanze che alla casa di P.P. era stato dato il nome di 'la 13


Casa del Glicine', ma guai a dirlo davanti a lei. A volte P.P. si recava di nascosto nel giardino recintato da mura alte e spesse e cercava tra gli arbusti un segno, una traccia, che potesse condurla alle radici nascoste. Un giorno si era spinta anche in cantina e aveva guardato dentro le botti di vino, pensando di trovarci le grosse radici, affondate nella botte, che si nutrivano del nettare. L'idea le era venuta una sera quando uno degli invitati, durante una cena, assaporando il vino dal bicchiere a calice aveva affermato 'che delizioso odore di glicine ha questo vino. Davvero singolare.' A tale affermazione tutti i convitati avevano smesso di parlare e alcune delle ospiti si erano scambiate qualche risatina da dietro i ventagli. A parlare era stato un gentiluomo che veniva da lontano e che non sapeva nulla dell'avversione di P.P. per il glicine e della sua battaglia per abbatterlo. Non appena la cena si concluse e l'ultimo ospite lasciò la Casa del Glicine, P.P., da sola, si precipitò con una torcia giù in cantina e cominciò a cercare in lungo e largo ‒ per almeno un'ora ‒ sulle pareti, sotto le volte, i soffitti, negli angoli più reconditi, sui gradini, tra le travi, sotto i mattoni staccati, ma delle radici non trovò nessuna traccia. 14


P.P. si destò di botto da tutti questi pensieri che l'avevano importunata durante il suo riposino pomeridiano, guardò l'orologio e si mise seduta, con le palme delle mani distese sulle pieghe della gonna, poi si passò una mano sui capelli, che le si erano leggermente allentati sotto il nastro bianco legato intorno alle ciocche di capelli scuri, lucidi e fini come fili di seta. Era giovedì pomeriggio e tra poco, come succedeva ogni settimana, sarebbero venute le sue amiche a prendere il tè, e ad informarla sugli ultimi avvenimenti del Paese in Collina.

15


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.