Anno I, n. 1 del 13 giugno 2010
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Il risveglio culturale del Polesine In questo numero: Pierre Andrieux Natalino Balasso Alberto Burato Anna De Pascalis Milena Dolcetto Andrea Duò Cristina Finotto Antonio Lodo Matteo Peretto Raffaele Peretto Giampietro Pizzo Leonardo Raito Paolo Rigoni Sergio Sottovia Elena Stoppa Danilo Trombin Emiliano Verza
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Nuovo polo turistico e divisione di uno dei più importanti gruppi industriali al mondo, MARCEGAGLIA tourism gestisce attualmente tre assets turistici: l’isola di Albarella situata nel Parco del Delta del Po, Pugnochiuso nei pressi di Vieste sul promontorio del Gargano e Le Tonnare di Stintino sulla costa nord-occidentale della Sardegna. La mission di MARCEGAGLIA tourism è stile di vita per tutta la vita = Creazione di ... valore. MARCEGAGLIA tourism vuole proporsi come punto di riferimento europeo nel settore TURISTICO - CULTURALE - SPORTIVO, attraverso il miglioramento continuo della qualità dei servizi e la valorizzazione dell’ambiente. Intende perseguire gli obiettivi tramite un’organizzazione nella quale il gruppo dei collaboratori fa propri i valori di onestà, professionalità, apertura verso gli altri, di sensibilità verso il cliente e verso l’ambiente, creando armonia e gratificazione all’interno e all’esterno.
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Anno I, n. 1 del 13 giugno 2010 Autorizzazione del Tribunale di Rovigo n. 3/2010 del 23/02/2010 Direttore Responsabile: Sandro Marchioro - direttore@remweb.it Editore: Apogeo Editore - editore@remweb.it Coordinamento Editoriale: Cristiana Cobianco, Monica Scarpari, Paolo Spinello Grafica e Impaginazione: Michele Beltramini Stampa: Grafiche Nuova Tipografia - Corbola (Ro) - Tel. 0426.45900
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Comunicazione: Fancy Grafica - Rovigo Ufficio stampa: Milena Dolcetto Blog: Matteo Peretto
Hanno collaborato a questo numero: Pierre Andrieux, Natalino Balasso, Alberto Burato, Anna De Pascalis, Milena Dolcetto, Andrea Duò, Cristina Finotto, Antonio Lodo, Matteo Peretto, Raffaele Peretto, Giampietro Pizzo, Leonardo Raito, Paolo Rigoni, Sergio Sottovia, Elena Stoppa, Danilo Trombin, Emiliano Verza. Il responsabile del trattamento dei dati raccolti in banche dati di uso redazionale è il direttore responsabile a cui, presso Apogeo Editore di Paolo Spinello - Corso Vittorio Emanuele II, 147 - 45011 ADRIA RO, Tel.0426 21500, Fax 0426 945487, ci si può rivolgere per i diritti previsti dal D.Lgs.196/03. Iscrizione al Registro degli operatori di comunicazione (ROC) n.19401 del 14/04/2010 Copyright - Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte della rivista può essere riprodotta in qualsiasi forma o rielaborata con l’uso di sistemi elettronici, o riprodotta, o diffusa, senza l’autorizzazione scritta dell’editore. Manoscritti e foto, anche se non pubblicati, non vengono restituiti. La redazione si è curata di ottenere il copyright delle immagini pubblicate, nel caso in cui ciò non sia stato possibile l’editore è a disposizione degli aventi diritto per regolare eventuali spettanze. Numero chiuso in redazione il 22 maggio 2010
Foto di Sandro Marchioro 4
SOMMARIO PRESENTAZIONE Di questi tempi ............................................................................................................... 7 RUBRICHE
Taccuino futile - Natalino Balasso....................................................................................... 9 Visti da lontano - Giampietro Pizzo.................................................................................. 11 Flash & News - Sergio Sottovia........................................................................................ 13
ATTUALITA’
Il risveglio culturale del Polesine - Sandro Marchioro.................................................... 14 LUOGHI
Luogo o non-luogo? Questo è il problema - Danilo Trombin....................................... 23 Il Po di Maistra prezioso gioiello di biodiversità - Emiliano Verza............................. 28 PAROLE
Verso la foce - Antonio Lodo............................................................................................ 33 Viaggiare tra pagine ed emozioni intervista a Paolo di Paolo - Cristiana Cobianco... 38 SUONI
La sorprendente via della musica intervista a Silvia Frigato - Milena Dolcetto............. 42 PALCOSCENICO
Il ritorno di “Tra Ville e Giardini” - Milena Dolcetto...................................................... 47 COLORI
Gianni Cagnoni: artista eclettico - Elena Stoppa.......................................................... 52 IMMAGINI
“Hi, I’m Pablo Chiereghin, I come from Adria” - Pierre Andrieux.............................. 60 PERSONAGGI
Gigi Fossati - Poeta del Polesine e non solo - Anna De Pascalis.................................. 66 Luigi Masetti - L’anarchico delle due ruote - Cristina Finotto........................................ 72 STORIA
I cavalieri dell’aria - Leonardo Raito e Alberto Burato........................................................ 77 PASSATO REMOTO
Il Polesine al tempo di Ulisse - Raffaele Peretto.............................................................. 88 Un patrimonio straordinario intervista a Giovanna Gambacurta - Monica Scarpari... 96 SAPORI E SAPERI
Valliera la patria delle patate americane - Paolo Rigoni........................................... 100 Màneghi di patate americane di Valliera - Matteo Peretto........................................ 104 TESI DI LAUREA
Adolfo Rossi - Andrea Duò............................................................................................. 109
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SISTEMA MUSEALE PROVINCIALE
Il Sistema Museale Provinciale Polesine (SMPP) è stato avviato dall’Assessorato alla Cultura della Provincia di Rovigo, in collaborazione con Enti Locali, la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto e privati titolari di musei, allo scopo di diffondere e valorizzare la conoscenza del ricchissimo patrimonio culturale polesano. I “musei” grandi e piccoli, attivi nel territorio provinciale, si presentano insieme come parti di un sistema, che rappresenta una pratica organizzativa efficace e funzionale per la realizzazione di iniziative e progetti qualificati, per lo scambio di informazioni, quale occasione di confronto. Oggi, il Sistema Museale Provinciale Polesine è una struttura forte, un biglietto da visita qualificato per la cultura polesana. Ha tutte le carte in regola per svolgere un ruolo fondamentale nel processo di sviluppo dell’offerta turistica/culturale della provincia di Rovigo. Il Sistema Museale è cresciuto enormemente in questi anni: ha acquisito consapevolezza, sicurezza, entusiasmo nel portare avanti progetti, iniziative, attività.
Provincia di Rovigo Servizio Cultura Ente coordinatore del
“Sistema Museale Provinciale Polesine”
Via Ricchieri detto Celio, 10 45100, Rovigo
dr. Roberto Mazzoni dr. Chiara Tosini Tel. 0425 386370 Tel. 0425 460318 Cell. 329.8328640 Fax 0425 386350 sistema.museale@provincia.rovigo.it chiara.tosini@provincia.rovigo.it roberto.mazzoni@provincia.rovigo.it
Il sito internet del sistema è prezioso per realizzare tutto ciò, uno strumento il cui valore è stato riconosciuto anche a livello nazionale; www.smppolesine.it è entrato infatti a far parte del “Portale della Cultura Italiana”, punto di accesso validato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali per comunicare al vasto pubblico i vari aspetti della cultura italiana. Il nostro Sistema Museale ne fa parte, perché rappresenta un tassello dell’offerta culturale del nostro Paese, magari meno conosciuto rispetto ad altre realtà di più largo consumo turistico, ma ricco comunque di storia e di cultura, un patrimonio che vale la pena di promuovere, far conoscere e apprezzare. Il SISTEMA MUSEALE PROVINCIALE è un progetto di tutti i Musei che vi aderiscono, degli Enti che lo sostengono, quali la Regione del Veneto e la Fondazione Banca del Monte di Rovigo, dei soggetti che vi partecipano attivamente a vario titolo. Dalla loro collaborazione nasce questa sfida per lavorare in modo sinergico alla promozione culturale del nostro Polesine. Laura Negri
Assessore alla Cultura Provincia di Rovigo
Comunicazione istituzionale
Anno I, n. 1 del 13 giugno 2010
- € 5.00
PRESENTAZIONE
Il risveglio culturale del Polesine In questo numero: Pierre Andrieux Natalino Balasso Alberto BuratoAnna De Pascalis Milena Dolcetto Andrea Duò Cristina Finotto Antonio Lodo Matteo Peretto Raffaele Peretto Giampietro Pizzo Leonardo Raito Paolo Rigoni Sergio Sottovia Danilo Trombin Emiliano Verza...
Di questi tempi
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he ci voglia l’impudenza di un biscazziere a mandare in edicola un nuovo giornale ce l’hanno già fatto notare. Sono tempi in cui la carta stampata, più che nascere, muore per lasciare il passo a forme diverse di comunicazione (di cui, comunque, anche noi siamo dotati). Ma l’acronimo che dà vita al titolo del quadrimestrale che avete tra le mani contiene delle motivazioni talmente forti da giustificare l’azzardo. Ricerca, Esperienza e Memoria sono infatti, per noi, una sorta di formula che non solo sintetizza un progetto editoriale, ma contiene dei valori che reputiamo fondamentali per costruire un’identità e, di conseguenza, un futuro. Non è un caso che questa rivista si rivolga ad un territorio ben definito, il Polesine, proponendo di raccontarlo da un punto di vista particolare: quello della cultura. Siamo infatti convinti che questa terra abbia delle potenzialità tuttora inespresse e soprattutto crediamo che per realizzarle completamente sia indispensabile prendere pienamente coscienza del fatto che la nostra provincia ha molto da raccontare anche dal punto di vista culturale. Per questo vogliamo scavare nella nostra storia, raccontare personaggi dimenticati, dare voce ad intelligenze di persone che, troppo spesso, sono costrette a rivolgersi altrove per potersi esprimere. Di questi tempi, quindi, riteniamo sempre più necessario rilanciare, anziché stare chini a lamentarci sui tempi che cambiano, sulle diverse crisi che affollano le nostre giornate, sulla difficoltà di cambiare le cose. L’esercizio della cultura può (e forse deve) essere anche una forma di lotta per il miglioramento di ciò che abbiamo intorno, altrimenti diventa solo conservazione di moduli espressivi che tendono a riempirsi di polvere ed a perdere la loro forza, il loro potere di indicare strade nuove. L’idea di Rem nasce dalla volontà e dalla tenacia di un piccolo gruppo di collaboratori che fin dall’inizio hanno condiviso il progetto. Pure questo, crediamo, deve essere letto come un segno di vitalità di questo territorio, che anche grazie ad una esperienza come questa può dimostrare di avere molto altro da dire oltre al ricordo di catastrofi naturali che ne hanno segnato il passato. Noi ci crediamo. La Redazione
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di Giribuola Luigi
BICICLETTE E ACCESSORI
ADRIA (RO) Via Marconi, 33/B Tel. 0426 22063 Fax 0426 945380
RUBRICA
Taccuino futile
Sharon Natalino Balasso
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rovo che sia lodevole il progetto di questa rivista. Lodevole tanto più che parlare di cultura in Veneto è un po’ come parlare di vibratori in chiesa e il fatto che persone provenienti dai più svariati interessi decidano di dedicare un po’ del proprio tempo alla creazione di una rivista che, una volta tanto, non si occupi dell’attività sessuale dei nostri ottuagenari politici vuol dire che anche in questo nostro Polesine c’è spazio per il pensiero, oltre che per le centrali nucleari. Mi piacerebbe cominciare parlando di calcio. Ma come? Balasso! Non se parla de calcio in te na rivista che la se ciama Rem! Calma. Lasciatemi raccontare un aneddoto. Stavo osservando in tv un incontro di calcio internazionale durante il quale, ad un certo punto, un attaccante veniva atterrato a centrocampo. La regia ha deciso di rimandare il replay dell’azione da sei angolature diverse e, durante questa accurata documentazione video, la punizione era già stata battuta. Quando le immagini sono tornate in diretta, un altro attaccante si trovava già a tu per tu col portiere. Come c’era arrivato? Per il momento non si poteva sapere, perché l’attaccante aveva segnato il gol. La regia ha deciso di mandare nell’ordine: alcuni minuti di festeggiamenti, le facce deluse degli avversari, la reazione delle due panchine al gol, il gol da 11 angolazioni diverse e, alla fine, l’intera azione. Dopo questa caterva di rallenty, ho scoperto che la squadra avversaria aveva già segnato il gol del pareggio. Mi sono chiesto cosa significasse tutto questo e sono giunto alla conclusione che non siamo più in grado di vivere il presente, quello che viviamo
in realtà è un presente appena passato e accuratamente documentato. Lo vediamo quotidianamente nelle catatoniche domeniche pomeriggio, quando le giovani famiglie girano come lemuri, leccando svogliatamente gelati al gusto di tartaruga ninja. Ecco il babbo che chiama a sé la figlioletta: “Sharon, sentate su sto mureto ca te fasso na fotografia col telefonin mentre ca te vardi el tramonto!”. Nel computer del babbo ci sono ormai migliaia di foto di Sharon, della moglie, di loro tre, in tutte le situazioni mondane possibili, dal parto alla comunione, dal saggio di fine anno alla visita alla zia; la zia però viene sempre mossa. Oggi è possibile realizzare video familiari non solo con le telecamere, ma anche con le macchine fotografiche, coi telefoni, con l’ipod, è il festival della documentazione. Sharon è abituata a vedere se stessa ritratta e ripresa praticamente ogni giorno e forse si convincerà che se non è ripresa, fotografata, documentata, non esisterà. Sono nella foto dunque sono. La riproduzione della realtà viene scambiata per la realtà stessa, al punto che si usano termini come “reality” per programmi tv che di reale hanno ben poco (ditemi, avete mai sentito parlare di politica in un reality? Dovremmo dunque concludere che nella realtà non si parla di politica?). Senza contare che una volta scattate migliaia di foto e dopo aver girato ore di filmati della nostra vita, dove lo troveremo il tempo per vedere tutto? Chiamatemi fesso ma a me piacerebbe che un bel giorno l’arbitro fischiasse il fuorigioco e gli spettatori dicessero “C’era o non c’era? Non so, non ho visto bene! Va be’, ormai non si potrà più sapere!”.
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non siamo più in grado di vivere il presente
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RUBRICA
Visti da lontano
Una terra invisibile? Giampietro Pizzo
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a dove vieni?”. “Da Adria”. “E dove sarebbe?”. Quante volte mi sono sentito chiedere: Adria, ma dov’è? Non solo all’estero ma anche in Italia, forse qualche volta nello stesso Veneto. Perché questa nostra terra è così poco conosciuta altrove? Perché questa terra tra due fiumi, l’Adige e il Po, è così invisibile nello scenario geografico e culturale italiano ed europeo? Dovremmo riflettere su questo aspetto; una questione certo dolorosa per chi è fiero delle proprie origini e delle proprie radici. Polesine: terra oppressa e sfruttata per secoli da colonizzatori interni
ed esterni di ogni sorta. Polesine: terra di emigrazione, oltreoceano o semplicemente verso i poli urbani dello sviluppo industriale novecentesco. Polesine: terra di sciagure e di tragedie naturali. Polesine uguale alluvione, nell’immaginario di tanti italiani ed europei. Solo i polesani sembrano conoscere l’altra faccia di questa realtà: le lotte bracciantili e il vento dell’emancipazione che hanno animato gli albori del secolo passato; la storia antica che riaffiora nella tradizione orale e nelle testimonianze materiali; la dimensione e la qualità del vivere insieme. A volte sono i “foresti”, coloro che incontrano la nostra terra per la prima volta, che ci manifestano il loro stupore per l’assoluta diversità del contesto; oppure siamo noi stessi, quando torniamo con gli occhi giusti, che ci rendiamo conto di quanta bellezza vi sia in questo paesaggio: basta deviare di poco, abbandonando le principali arterie viarie, per ritrovare altri ritmi e altri valori. Perché allora tutto questo è così poco visibile da fuori e così poco “visto” da chi vi abita? E mentre cerchiamo di guardare davvero questo nostro territorio, non possiamo far finta di nulla e non leggere, con tutto il doloroso sale che le ricopre, le tante troppe ferite. Penso alla storia economica di questa terra, ai ricatti che ha subito in nome del lavoro; ai disastri ambientali perpetrati (dalla centrale ENEL in giù) e alle occasioni perdute (la creazione di un Parco Nazionale del Delta, per esempio) e, allora, con la “giusta distanza” - parafrasando 11
il bellissimo film di Mazzacurati - sento che bisognerà, prima o poi, che la nostra gente torni a interrogarsi davvero sulla propria storia. Non per dire che il passato avrebbe potuto essere diverso, ma che diverso può essere il futuro. Ma che bisogna volerlo, un futuro migliore. A conferma di quanto sia delicata la questione, la stessa meccanica delle scelte e delle decisioni sembra ripetersi; gli errori di un tempo non sembrano costituire una lezione sufficiente per l’oggi. A Roma e a Venezia si pensa al Polesine come un luogo in cui si può, più facilmente che altrove, localizzare una centrale nucleare o un’industria inquinante. Qui, dove Natura e Spazio sono due grandi e inalienabili ricchezze, qualcuno continua a pensare che l’assenza dell’effetto “NIMBY” (not in my backyard), renda tutto più facile. Eppure, da inguaribile sognatore, mi ostino a credere che sia davvero possibile voltare pagina. Penso che nell’epoca della green economy e del turismo ambientale, Natura e Spazio costituiscano davvero la ricchezza del futuro. Basta esserne coscienti. E agire di conseguenza. Sinora a quella impertinente e un poco ignorante domanda su “Adria, ma dov’è?” ho sempre risposto: “Ma come, non lo sai? Adria è la città che ha dato il nome al Mare Adriatico”. La prossima volta mi piacerebbe invece rispondere: “Ma come, non sai dov’è Adria? Nel Polesine, dove la terra e l’acqua si confondono, dove il fiume diventa mare e il mare diventa fiume, dove gli uomini sono di casa da tanto tanto tempo e dove molti di noi vorrebbero tornare a vivere”.
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RUBRICA
Flash & News
Ugo Zagato e Maria Antonietta Avanzo due “Top stories” polesane Sergio Sottovia
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uriosità, aneddoti, personaggi particolari. Fatti storici ed eventi speciali. Sarà questo il nostro target, ben sapendo che di sport se ne parla a iosa ogni giorno su tutti i mass media. Ecco perché il nostro format sarà “Flash & News”, un appuntamento quadrimestrale dal taglio veloce e curioso. Perciò, pronti via e a tutto gas. Come ha fatto Ugo Zagato da Gavello. Aveva 15 anni quando emigrò in Germania. E da emigrante – operaio in una fabbrica di Colonia ha imparato i segreti del mestiere di ‘carrozziere’. Per questo il suo rientro in Polesine è stato una toccata e fuga. Ma non abbiamo detto che saremo ‘veloci anche noi’? E allora diciamo che Ugo Zagato è ripartito per Torino dove ha lavorato nelle “Officine aeronautiche O.Pomillo” (del gruppo Ansaldo), là dove si costruivano aerei da guerra. Poi dal 1919 va a Milano e si mette in proprio e fonderà la carrozzeria artigiana “Ugo Zagato”, là in Via Francesco Ferrer a Greco Milanese sulla strada per Monza. Il resto... lo sapete tutti. Fiat, Bianchi, Itala, Diatto, Chiribiri e poi (epoca del boom economico) la Abarth, Alfa Romeo, Aston Martin, Ferrari, Isotta Fraschini, Jaguar, Lancia, Maserati. Tutte marche di auto che si sono affidate alla “Carrozzeria Zagato”, anche dopo che l’azienda passerà in mano ai suoi figli Elio e Gianni fino al Terzo Millennio. Ma al di là dell’amicizia di Ugo coi piloti Ascari, Campari, Scarfiotti e Ferrari, c’è una curiosità speciale che voglio segnalarvi. E cioè che il 9 agosto 1918 è la data in cui Gabriele D’Annunzio volò su Vienna. L’aereo era un Savoia-Verduzo-Ansaldo A5. E sapete chi eseguì la progettazione di quell’aereo? Proprio il polesano 13
Ugo Zagato, che progettò “quel serbatoio supplementare di 300 litri” che non pregiudicò né la sicurezza né la maneggevolezza. Già, Gabriele D’annunzio, il poeta che volò anche su Fiume. Gabriele D’annunzio quello del Vittoriale. E allora parliamo della Maria Antonietta Avanzo, nata Bellan a Contarina e poi, sposatasi a Roma, baronessa appassionatissima di macchine. Bella e intrigante, la baronessa incontrò Gabriele d’Annunzio e il Vate, affascinato, la volle con sé per qualche tempo, al Vittoriale (gli antesignani del gossip raccontano che la baronessa fece morire di indigestione la tanto amata tartaruga del poeta). Ma noi parliamo di sport… e allora diciamo che la baronessa tornò alle corse nel 1926, con una Mercedes “180 HP Tipo K”, nella Coppa della Perugina (terzo posto nella classe oltre 2000 cm3). In seguito disputò anche quattro Mille Miglia (incompiute). Nel 1928, in coppia con il playboy Manuel de Teffé, figlio dell’ambasciatore del Brasile, su Chrysler “Series 72”. Coi piloti Minoia e Balestrero aveva fatto società e creato anche una scuderia, molto prima che Ferrari facesse la sua. Quindi nel 1929 su Alfa Romeo “6C 1750 SS” e nel 1931 su una Bugatti “Type 43”. Nel 1932 infine la Avanzo gareggiò con un’Alfa Romeo “6C 1750 GS” spider Touring della Scuderia Ferrari. Però benché gli amici le dicessero che ‘quelle erano corse per uomini duri’, beh lei Antonietta Bellan da Contarina scappò a provare anche ad Indianapolis. Certo tornò subito in Italia, ma per essere comunque e ancora la indomita ‘baronessa pilota’.
ATTUALITA’
Il risveglio culturale del Polesine Grandi mostre e molte altre manifestazioni diffuse in tutto il territorio portano a pensare che la nostra provincia sia più vivace di quanto di solito si crede. Ne parliamo con l’assessore alla cultura della Provincia, Laura Negri. Sandro Marchioro
P
er quanto logoro ed abusato, è certo che lo stereotipo di un Polesine depresso, inerte, culturalmente marginale e del tutto provinciale continua a resistere. Certo, come tutti gli stereotipi, qualcosa di vero c’è (o c’è stato). Ma è altrettanto indubitabile che, almeno nell’ultimo lustro, la vita culturale di questa provincia ha vissuto (e sta vivendo) una stagione di una certa vivacità, con diverse iniziative che hanno richiamato l’attenzione su questo territorio e che hanno avuto
un’eco nazionale. Pensiamo, ad esempio, alla mostra “Balkani” che si è tenuta al Museo Archeologico di Adria tra la fine del 2007 e l’inizio del 2008; un evento di grande successo, che ha permesso a migliaia di visitatori di ammirare gli splendidi tesori archeologici conservati al Museo Nazionale di Belgrado. Grande risonanza ed ottimi risultati anche per la serie di mostre (tutte organizzate grazie al forte impegno della Fondazione Cariparo) allestite negli spazi del rinnovato palazzo 14
Roverella, a Rovigo, a cominciare da “Le meraviglie della pittura tra Venezia e Ferrara”, da Gennaio a Giugno del 2006; iniziative poi proseguite con la grande mostra che ha portato alla riscoperta di Mario Cavaglieri (Febbraio – Luglio 2007), con la rassegna su “La belle epoque” (Febbraio - Luglio 2008), con “Deco. Arte in Italia 19191939” (Gennaio - Giugno 2009) che ha portato a Rovigo circa 40.000 visitatori; per finire con la mostra in corso su “Bortoloni, Piazzetta,
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Mattia Bortoloni Antonio accompagna all’imbarco Cleopatra (particolare) 15
ATTUALITA’
Tiepolo: il ‘700 veneto” terminata il 13 giugno. Insomma, una serie di iniziative di rilevante spessore culturale, che hanno ottenuto tutte un grande successo e che forse hanno contribuito in maniera sensibile a dare un’immagine diversa di questa provincia. Accanto a questi eventi, comunque, c’è tutta una serie di iniziative a carattere culturale sparse nel territorio che fanno pensare che qualcosa si sta muovendo e, per questo, fanno ben sperare. Di questo parliamo con l’assessore provinciale alla cultura, Laura Negri, che per la seconda legislatura (quindi ormai da sette anni) svolge questo incarico. “Sono convinta sia corretto parlare di risveglio culturale della nostra provincia – dice Laura Negri – il
successo degli eventi organizzati a Palazzo Roverella lo possono ben testimoniare. Certo, ci sono ancora molte cose da fare, c’è da lavorare molto soprattutto sull’aspetto della comunicazione, ma sono convinta che abbiamo imboccato la strada giusta. La collaborazione tra la Fondazione Cariparo e diversi enti, tra l’altro, si sta dimostrando strategica. Per il futuro credo sarà necessario continuare su questa strada. Del resto ci sono già altre due mostre in programmazione, anche in questo caso di grande richiamo: l’Ottocento sarà l’argomento della mostra del 2011, mentre per il 2012 la mostra avrà come oggetto il Futurismo. Non posso però fare a meno di notare che il territorio in questi ultimi anni
ha fatto un grosso sforzo che sta portando ad ottimi risultati; uno sforzo che hanno fatto le istituzioni, ma soprattutto la Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, che ha puntato molto su questo tipo di iniziativa e che ha anche sostenuto una rete di comunicazione molto efficace, investendo molto per raggiungere questo obiettivi”. L’esito di queste iniziative, tra l’altro, si è fatto sentire anche in altri ambiti: “Mi pare evidente – continua Negri – che i passi avanti fatti in ambito culturale abbiano anche trascinato risultati positivi nel settore turistico: questo lo noto anche nell’attesa da parte degli operatori che se all’inizio potevano dimostrare una certa diffidenza, adesso riconoscono
Mattia Bortoloni Giunone chiede ad Eolo di liberare i venti (particolare)
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Mattia Bortoloni Il giovane matematico
chiaramente queste mostre come un’importante opportunità. Ci sono molte attività (ristoranti, bar, locali eccetera) che sono in attesa della programmazione delle mostre future. Insomma, si intuisce anche un territorio che comincia a capire l’importanza di questi eventi, mentre prima non veniva raccolto in pieno il significato di queste attività”. L’effetto secondario del successo di
queste iniziative, secondo l’assessore, è altrettanto importante di quello immediatamente economico: “Questi eventi – dice - hanno fatto in modo che si conoscesse il Polesine anche come una realtà inserita a pieno titolo nel Veneto, con però alcune peculiarità che forse sono anche dei punti di forza di questa terra; cioè il fatto di non essere fortemente cementificato e antropizzato, e poi 17
il nostro paesaggio unico: i fiumi, la magia del Delta. Oltre a questo, però, vorrei soffermarmi anche su un altro aspetto – dice Laura Negri – e cioè che secondo me il territorio negli ultimi anni ha cominciato a lavorare con una maggior coscienza di rete. Mi spiego: la nostra provincia è caratterizzata dalla presenza di cinquanta comuni che sono per lo più al di sotto dei 3000 abitanti. Sono poche le realtà strutturate di una certa dimensione: Rovigo, Adria, Lendinara, Badia, Porto Viro e Porto Tolle; per il resto sono tutti comuni molto piccoli. In quest’ultimo periodo si è maturata una mentalità più tesa all’aggregazione. Si è capito, cioè, che se non si mettono insieme le risorse ed anche le attività non è possibile andare lontano. Quindi nel tempo si sono sviluppate veramente tante reti culturali che stanno facendo crescere questo territorio. Mi piace ricordare, ad esempio, il sistema bibliotecario provinciale che è arrivato a 56 biblioteche aderenti, e che è diventato un polo bibliotecario inserito nel sistema bibliotecario nazionale, con quasi tutti i Comuni che accedono attraverso internet ad un catalogo unico, che fanno attività di interprestito bibliotecario (credo che quest’anno arriveremo a 10.000 volumi che sono stati oggetto di interprestito tra le biblioteche); quindi si è maturata anche quella capacità di relazione e di interrelazione che forse un tempo non c’era. Così come mi piace parlare del sistema museale della Provincia: anche questo ha una struttura che cerca di mettere insieme le diverse realtà (che sono molto eterogenee tra di loro) cercando di fare delle iniziative di promozione comune, puntando molto sulla qualità dell’offerta culturale e anche sulle capacità di proporre dei progetti di carattere didattico, sia per il pubblico dei ragazzi che per il pubblico adulto. Su questo si è lavorato molto anche in termini formativi, con azioni rivolte in
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Mario Cavaglieri La venere di Peyloubere,1926 18
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particolare agli insegnanti”. Complessivamente, quindi, il giudizio che Laura Negri dà di questa ultima stagione della cultura polesana è positiva: “Mi sembra stia nei fatti. Tra l’altro mi pare che anche l’idea dell’identità del territorio cominci a radicarsi di più; malgrado questa sia una terra che difficilmente riesce a percepirsi come unitaria (soprattutto perché storicamente è stata divisa tra veneziani, ferraresi, stato pontificio) mi pare che cominci a filtrare l’idea che un’identità forte è praticabile, e che comunque alcune differenze possono costituire una ricchezza. Certo, ci sono ancora delle difficoltà: come già accennavo il nostro grande difetto è proprio forse nella comunicazione: non riusciamo ad avere ancora le risorse (economiche ma non solo) per poterci promuovere di più, per poter far capire di più all’esterno che questa è una provincia che produce molto, e che ha anche molto da dare”. Tra le attività che stanno
caratterizzando il territorio in quest’ultimo periodo ce ne sono altre su cui Laura Negri vuol portare l’attenzione: “Si muovono molte iniziative legate al mondo del libro ed alla sua diffusione – dice l’assessore – oltre a quanto sta facendo l’associazione “Cuore di carta” (l’organizzazione della “Fiera delle parole” al Censer a Rovigo e le svariate occasioni di incontro con diversi autori durante tutto l’anno) è di pertinenza della Provincia l’organizzazione, insieme con l’associazione “Aida”, di tutta una serie di attività di promozione alla lettura, partendo dalla prima infanzia; quest’anno abbiamo fatto attività di formazione con gli insegnanti e con i nonni (per insegnare loro a leggere le fiabe ai nipoti), e poi, con l’iniziativa “Libri Infiniti”, abbiamo realizzato 54 incontri con autori di libri per ragazzi. Praticamente abbiamo coinvolto la totalità del territorio, non solo con presentazioni ed incontri, ma
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anche con vere e proprie attività di laboratorio gestite dagli autori stessi. Un’esperienza davvero di grande successo. L’attività rivolta agli adulti si concretizza invece con incontri con gli autori, spesso seguendo un tema: quello di quest’anno era legato al mondo della scienza: ci sono stati incontri con personaggi di grande rilievo, da Edoardo Boncinelli a Giulio Giorello a Mario Tozzi: hanno ottenuto un successo enorme, riempiendo all’inverosimile la sala: un risultato che dimostra che la richiesta c’è e che queste iniziative vanno fatte”. Non bisogna inoltre dimenticare altre iniziative realizzate in proprio dai comuni o da altre realtà associative, che sono via via cresciute negli ultimi anni: basti pensare alla Fiera del libro di Porto Viro, o alla Mostra del libro per ragazzi che da diversi anni si tiene a Castelmassa; o ancora alla festa dei lettori che si terrà ad Adria (e di cui parliamo in un’altra sezione della nostra rivista): iniziative che
ATTUALITA’
ormai hanno assunto un rilievo ben più ampio di quello provinciale e che riscuotono sempre un grande successo di pubblico. In chiusura, Laura Negri ci dà qualche notizia sulle iniziative in cantiere: “La carenza di risorse ci fa stare con i piedi per terra – dice l’assessore - d’altra parte in questo momento ci sono altre priorità, come ad esempio l’emergenza sociale indotta dalla crisi economica. Comunque alcune cose le stiamo già preparando. Penso ad esempio alla “notte bianca delle biblioteche” che stiamo organizzando per questa estate (ndr: le date sono ancora da stabilire al momento in cui scriviamo il pezzo). Sarà la prima edizione di un evento che vorremmo prendesse piede in provincia e che comprenderà maratone di lettura, animazioni per i bambini, presentazioni di autori: insomma, tutta una serie di iniziative che coinvolgeranno tutto il territorio provinciale. Per il prossimo anno stiamo programmando invece le iniziative per il 150° anniversario dell’unità d’Italia. Stiamo lavorando con altre realtà istituzionali quali la Prefettura, l’Archivio di Stato eccetera: posso anticipare la preparazione di una mostra itinerante sul periodo che va dal 1866 fino alla prima guerra mondiale: la mostra presenterà tutti quegli interventi infrastrutturali che hanno coinvolto in quel periodo il nostro territorio (bonifica, ferrovia eccetera) i quali dimostrano che all’epoca il Polesine ha messo in campo una serie di iniziative che hanno sviluppato in maniera particolare questo territorio: risulta evidente, dalle ricerche che si stanno svolgendo, che quello è stato, per la nostra provincia, un periodo veramente molto vivace. La mostra avrà una forma semplice (anche se basata su fonti storiche ed archivistiche) ed un carattere fortemente didattico. Un’altra iniziativa a cui tengo molto (e che è proprio agli inizi del
proprio percorso) è quella sui teatri. Abbiamo appena approvato una bozza di protocollo di intesa per la costituzione della rete dei teatri in Polesine; cominceremo l’attività di promozione ed il primo obiettivo sarà quello di coordinare l’offerta teatrale provinciale, in modo tale che non ci siano dei doppioni che sono controproducenti. Cominciamo così, con molta umiltà, perché credo che prima di tutto ci sia la necessità di
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capire il valore dello stare insieme: la prima cosa da superare è un po’ la diffidenza nel mettersi a lavorare insieme, la paura che individualmente qualcosa si perda; il messaggio che vogliamo dare invece è che lavorare insieme conviene a tutti, soprattutto alla qualità di ciò che potremo offrire al pubblico polesano”. Molte altre iniziative sono in cantiere, ma di ognuna di esse parleremo nei prossimi numeri della nostra rivista.
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Luogo o non-luogo? Questo è il problema Danilo Trombin
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e mi trovassi a sfogliare, petalo dopo petalo, l’ipotetica margherita dello spazio e del tempo di questo nostro Polesine, rimarrei senza dubbio con il petalo del non-luogo tra le dita. M’ama o non m’ama? Luogo o non luogo? Non-luogo… ecco tutto. Il Polesine è certamente l’archetipo dei non-luoghi; una buca, isolata a nord e a sud dai due principali fiumi italiani, perennemente ammantato di nebbie pestilenziali, soggiacente di metri al livello del mare. Un territorio dai confini incerti, che la natura nei millenni non ha mai voluto rendere stabili, e che ha fatto scorrazzare ora a nord, ora a sud, piuttosto che a ovest o a est, per assecondare i propri capricci. Il Polesine è solo una strisciolina di terra che lungo la Romea si supera in una manciata di minuti. Il Delta del Po? È in provincia di Ferrara, risponderà chiunque. “Rovigo non esiste”, o almeno questo afferma una pagina su Facebook, della quale sono fan… e Scano Boa, ovvero l’estremo territorio orientale della nostra provincia, è “l’isola che non c’è”, come giustamente attestò un mio ben più illustre predecessore… e la saggezza popolare ricorda questo luogo così: “Tra l’Adige e il Po giace sepolta Rovigo incolta”. Incolta in tutti i sensi, aggiungo io… Il Polesine è un posto dove da sempre è difficile vivere, è l’area depressa, la patria della malaria una volta, del cancro oggi. Il Polesine è famoso per le alluvioni, per essere sempre stato terra di emigrazione, un posto dal quale fuggire, perché nascerci è una disgrazia. Il Polesine è terra di contrabbandieri, è merce di scambio tra la Serenissima e gli Estensi, nato dalla disgraziata morte di Fetonte. Il Polesine è la terra che sta finendo di dilapidare malamente l’unica ricchezza che ha avuto a disposizione, che risiedeva nel patrimonio naturale, cosa che era stata capita solo quando abitavamo sulle palafitte… Ma oggi, il “volano dello sviluppo” è rappresentato dal Delta del Po e dal suo evanescente Parco, come amano da tempo 23
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“Una terra di mezzo che non potrà fare a meno di rapirvi il pensiero”
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è proprio qui che si fende irrimediabilmente per la prima volta l’alveo principale del Po, il luogo dove tutto ciò che probabilmente ancora resta del Polesine, ha inizio. È necessario posteggiare l’automobile nello spazio predisposto appena sotto l’argine maestro, e poi proseguire a piedi lungo lo sterrato che conduce presso le acque del Grande Fiume. Si incontreranno, da prima, i ruderi di cui parlavo. Qui è bene rimanere in silenzio e non osservare le case, poiché, nascosti dietro le finestre, stanno i fantasmi di coloro che hanno abitato il luogo, mentre i poveri oggetti rimasti sono sparsi ovunque. Qui l’aria è sempre densa e pesante d’umidità, tanto da rendersi palpabile e irreale. Ci sono alberi aggrappati con forza al sentiero sopraelevato, pur di non farsi sradicare, da fiume o uomo che sia… E qualcuno prova a coltivare i terreni circostanti, coi risultati che giudicherete da soli. Ma andate avanti e vi circonderà un ambiente che non è più naturale, e non è ancora umanizzato. Una terra di mezzo che non potrà fare a meno di rapirvi il pensiero, che andrà a perdersi inevitabilmente tra quello che ci appartiene e quello che ci apparteneva. Arriverete a farvi lambire dalle acque dove molte volte io ho fatto il bagno, come una specie di battesimo primordiale lontano da qualsiasi luogo comune. Ora voglio dire a quanti si sentiranno inevitabilmente offesi dalle mie parole, che queste scaturiscono solo da un atto d’amore per la mia terra, e io non l’abbandonerò mai, perché la mia dimensione, come la vostra, è quella del nonluogo.
immemore affermare i nostri politici, il futuro è saldamente aggrappato al portafoglio dei milioni di turisti che prima o poi si riverseranno qui, anche se non si capisce cosa verranno ad ammirare, perché e come dovrebbero farlo. E soprattutto non si capisce chi sarà così incosciente da recarsi in villeggiatura presso un luogo dove si è in procinto di realizzare una centrale nucleare, o, nella migliore ipotesi, una centrale a carbone… come se la nostra gente non avesse già pagato abbastanza. Vituperato, stuprato, malmenato, offeso: il Polesine è solo uno dei mille buchi del culo di un’Italia con troppe bocche da sfamare, uno dei tanti posti destinati a soffocare nella merda di chi ha i soldi. Ecco perché nessuno ama ricordare che racchiuso nel tratto terminale dei due principali fiumi d’Italia c’è una piccola terra, anch’essa in fase terminale, chiamata Polesine. E allora, se passo in rassegna mentalmente uno dei mille luoghi del Polesine capaci di lacerare l’anima, mi viene in mente la Golena di Santa Maria in Punta. In primo luogo perché lì vi è un villaggio-fantasma, con ruderi fatiscenti abbandonati a causa del pericolo rappresentato dalle piene del Fiume, e questo ben si sposa con l’animo con il quale ho affrontato questa missiva; in seconda battuta, questo luogo rappresenta un ottimo contraltare allo “Scano Boa” del grande Cibotto, in quanto terra prima conquistata e poi dovuta abbandonare, mentre Scano Boa era l’ultima frontiera, quella più orientale, quella più protesa dentro il Mare Adriatico, il luogo dove forse tutto finisce; infine 27
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Il Po di Maistra
prezioso gioiello di biodiversità Nasce nel ‘600, diventando presto la principale arteria idrica del territorio deltizio. Oggi è un’oasi felice che ospita centinaia di specie vegetali ed animali Emiliano Verza
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a rigogliosa volta verde del bosco mi scherma dal sole già caldo di fine aprile. Poca luce filtra tra le fronde, frazionandosi in coriandoli luminosi. Il suolo è umido e composto da uno strato imponderabile di rami e foglie, morbidi corpi di piante che per generazioni hanno dato nutrimento alla selva che mi circonda. Attorno a me geometrie vegetali, che in tridimensione creano una giungla, quasi impenetrabile, e che ti lacera e punge ad ogni passo. Passi incerti. Chinandosi sotto volte di rami e schivando liane di rovi si avanza lentamente. Sopra di me architetture arboree che combattendo per la luce svettano come cattedrali dalla boscaglia sottostante. Un paradiso bruno-giallo-verde smeraldo, selvaggio e delicato, abitato da migliaia di creature furtive o vocianti. 28
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del Fiume è una vera e propria arca di Noè, che ha conservato habitat importanti, un paesaggio peculiare e rarità faunistiche e botaniche. È uno dei fulcri della biodiversità non solo del nostro Delta, ma di tutta la costa alto-adriatica. Nasce nel ‘600, diventando presto la principale arteria idrica del territorio deltizio. Lo spostamento verso sud della massa d’acqua portata dal Po, lo fa diventare rapidamente un ramo di secondaria importanza, unitamente ai tentativi prima veneziani e poi austriaci di soffocarlo. Ben presto s’impaluda, e le sue lente acque iniziano a divagare formando ampie golene e grandi banchi di sedimento alla foce. Anche il recente sfruttamento a risaia e valle di alcuni suoi tratti è stato abbandonato, in particolare a seguito del fenomeno della subsidenza. Quest’oasi felice ospita attualmente centinaia di specie vegetali ed animali. Troviamo qui, difatti, alcuni esemplari degli ormai rari Frassino ed Ontano nero, due essenze arboree che un tempo formavano enormi boschi paludosi estesi su gran parte della superficie della Pianura Padana. A farla da padroni sono però i salici: dal comune Salice bianco al meno frequente Salix fragilis, per arrivare a tutta una serie di preziosi salici arbustivi, che vivono
Resto fermo, ospite di questa grande comunità animale che mi attornia, nella speranza di non essere sentito. Assisto all’intimità della vita di famigliole di piccoli volatili, che svolazzando e saltando di ramino in ramo si affrettano per riprodursi. Cinciarelle ed usignoli, cuculi e picchi, capinere e rigogoli, ognuno ad un piano diverso della volta arborea, ognuno ad inseguire le sue prede o a scappare dai predatori. Sopra il bosco, come velivoli, passano le sagome di altre creature, che ignorano me ed il mio mondo ombroso: grandi aironi, saettanti colombacci, un pellegrino trova un ramo secco per sostare. Il bosco di salici è un paesaggio sonoro mutevole. Canti territoriali, gridi, richiami tutt’intorno, piccole rane che gracidano in alto su rami. L’esplosione del canto di un Usignolo a pochi metri da me mi fa capire che sono circondato, che molte più creature di quante non ne percepissi sono intorno ad osservarmi. La sensazione è quella di trovarsi in qualche angolo di una remota giungla tropicale. È il Po di Maistra, il ramo più selvaggio ed intricato del Delta. Vaste fasce di saliceti orlano i rami del Po, che rigogliosi crescono su isole e golene. Quelli del Po di Maistra hanno qualcosa in più. Grazie al buono stato di conservazione di cui gode, questo tratto 29
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a pel d’acqua, assediati dall’esotico Falso indaco. Sono i salici caprea, triandra e cinerea, alcuni dei quali decisamente rari, piante predilette dagli aironi per la costruzione dei loro nidi. Proprio nel cuore di questo ramo del Po, difatti, si trova la più importante garzaia del Delta, ovvero una colonia ove tutte le specie di aironi ed affini si riuniscono a partire da febbraio per nidificare. Centinaia le coppie che soprattutto in aprile e maggio affollano questa grande città di volatili: dal comune Airone cenerino al rarissimo Airone bianco maggiore, che solo qui nidifica in Veneto; dall’ubiquitaria Garzetta, alla raffinata Sgarza ciuffetto, e così via… Di grande valore conservazionistico, poi, è la presenza in questa colonia di tre specie che solo da pochissimi anni si riproducono in Polesine: il Marangone minore, la stravagante Spatola, e proprio a partire da quest’anno il Mignattaio, superbo ibis dai colori iridescenti. Le file di salici ed anche di pioppi neri, in particolare i più vetusti, sono utilizzate in autunno da migliaia di uccelli acquatici come posatoi per trascorrere la notte. All’imbrunire infinite file di cormorani “atterranno” sui rami, attesi da nugoli chiassosi di candidi ardeidi. Gli specchi d’acqua delle golene sono imbruniti da folte schiere d’anatre d’ogni sorta, tra cui le rare morette tabaccate e pesciaiole. In inverno il Po di Maistra offre rifugio ad oltre diecimila volatili. Ma questi boschi e queste golene sono anche punto di sosta per molti migratori o per animali di semplice passaggio. Rapaci, quali l’Aquila di mare o l’imponente Falco pescatore, si possono scorgere di tanto in tanto sulla sommità degli alberi morti. Anche a pel d’acqua
questo luogo è sorprendente. Tra le ninfee bianche, rarissime in tutto il Delta, nuotano le natrici tassellate, serpi adattate alla vita acquatica. Lungo le sponde, negli angoli più umidi, è stata recentemente scoperta una delle più importanti popolazioni costiere di “rane rosse”, una categoria di anfibi retaggio proprio di quelle antiche selve rivierasche del Po. Si tratta della Rana di Lataste e dalla Rana agile, dello stesso colore delle foglie secche del sottobosco. Persino per gli insetti questo ramo del Po è particolare. Lungo le sue rive troviamo la Licena delle paludi, estinta da molte zone d’Europa; nel folto dei saliceti si nascondono l’Apatura minore, iridescente gioiello alato, e la Vanessa antiopa, qui con forse la sua unica popolazione di tutto il territorio provinciale. A riconferma dell’importanza ambientale di questo sito, va ricordato che proprio il Po il Maistra è stato l’ultimo luogo della provincia ad ospitare la rara Lontra, prima che questa si estinguesse definitivamente da tutto il nord Italia. Una specie, la Lontra, in grado di calamitare l’attenzione di molta gente, naturalisti e turisti in primis, e che un apposito progetto di reintroduzione potrebbe far tornare nel nostro Delta, assieme ad altre specie perdute, quali la Cicogna nera o il Nibbio. Per loro natura le zone umide hanno sempre attratto l’uomo, e con lui lo sfruttamento del territorio. Ambienti come questo, seppur dinamici e per loro essenza mutevoli, necessitano di attentissime misure di conservazione, atte a consentirne uno sfruttamento umano sostenibile nel tempo. Attività come la pesca, in particolare al siluro e ai ciprinidi, o la visitazione turistica, specie con barche, vanno sapientemente
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Il bosco di salici è un paesaggio sonoro mutevole.
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governante: forme di microeconomia ecosostenibile, in grado di giustificare il mantenimento di questi luoghi, ma estremamente dannose alla fauna se non ben indirizzate per quanto riguarda tempi e luoghi. Un esempio calza a pennello: sia nel 2009 che quest’anno qualche fotografo senza scrupoli ha purtroppo realizzato dei capanni per la raccolta d immagini, senz’altro sensazionali…, ma costruendoli proprio nel cuore della colonia di aironi! Come risultato evidente, si è notata la diminuzione delle coppie presenti, e lo spostamento di una parte di queste, evidentemente spaventate da questa insolita presenza umana. Altre attività tradizionali, come la raccolta di piante ed erbe, possono essere consentite, purché non vadano ad alterare la struttura della vegetazione. Si ricordi, ad esempio, l’importanza che per il suolo e per molte specie ha il legname morto, supporto per miriadi di batteri, insetti, muschi ed altra fauna minore (base della catena alimentare), nonché fornitore di humus per la crescita di tutta la flora. Grande impatto, infine, possono avere le opere di regimentazione idraulica, atte ad eliminare potenziali problemi di tenuta strutturale del Po. Tali opere tendono a favorire lo scorrimento veloce delle acque, mediante taglio della vegetazione delle sponde, risagomatura del corso dei fiumi ed escavo dei fondali. Se da un lato tali misure si rendono necessarie per la sicurezza delle comunità e delle infrastrutture del Bassopolesine, dall’altro possono avere un effetto assolutamente dirompente sul paesaggio e sugli habitat presenti. Interi ambienti, con il loro corredo di piante ed animali, possono così scomparire dalla nostra provincia. Il Po di Maistra, proprio grazie al suo “impaludamento” ha mantenuto questa straordinaria dotazione naturale, che lo fa essere un ambiente a priorità di conservazione anche agli occhi della Comunità Europea, secondo le
direttive vigenti. Si rende pertanto necessario trovare, almeno per questo sito, un equilibrio tra esigenze di sicurezza idraulica e necessità di salvare uno degli angoli più selvaggi del nostro Delta. A servizio di tali intendimenti può venire la tecnologia, ad esempio con la disciplina dell’ingegneria naturalistica, in grado di progettare opere a bassissimo impatto ambientale. Nell’anno internazionale della Biodiversità, proclamato dalle Nazioni Unite l’11 gennaio 2010 a Berlino, la conservazione di questi straordinari boschi ripariali del Po rappresenta un punto essenziale per mantenere in vita la natura e l’essenza stessa del nostro Delta.
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Verso la foce Un vecchio libro di Gianni Celati racconta aspetti importanti del nostro territorio. E stimola stuzzicanti riflessioni. Antonio Lodo
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i sono due libri che bisogna leggere, sul Delta: Una tenda in riva al Po, di Luigi Salvini, del 1957, e Verso la foce di Gianni Celati, del 1989. Il primo è stato ripubblicato per iniziativa del Comune di Adria nel 2007, dalla editrice Giunti di Firenze. Sul secondo vorrei tornare ora, dopo averne citato qualche passaggio alla fine di una mia lontana e veloce rassegna sul “Delta nella letteratura” pubblicata sul mensile “Veneto ieri oggi domani” nel marzo 1990. Verso la foce ha più di vent’anni dunque, ma a mio parere non ha ancora finito -come Italo Calvino diceva più o meno dei classici- di dirci tutto quello che aveva da dire. E’ un libretto di 140 pagine, una sorta di racconto d’osservazione costruito sui quattro diari di appunti nati da altrettanti viaggi compiuti dall’autore fra 1983 e 1986 dal cuore della pianura padana fino all’estremo 33
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Rievocazione storica de “La Pensa� Direzione artistica: Paolo di Paolo Organizzazione: Presidio del Libro di Adria
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del nostro Delta, sugli argini del Po e nei piccoli centri e nei paesi, lungo le strade e attraverso campi e distese di terra, su rive di canali e valli e lagune. Viaggi compiuti in treno, in corriera, e spesso a piedi, con qualche oggetto necessario nello zaino, cartine militari e bussola, e un libro di Delfini per compagnia. Un viaggiare che ha una natura tutta sua come l’andatura e i ritmi che l’autore si è dato: sui luoghi, prima; e poi sulla pagina, nel racconto. Giustamente Claudio Magris (L’infinito viaggiare) ha osservato che “ognuno attraversa un luogo con un suo ritmo” spiegando che “il paesaggio è anche un’andatura, come uno stile della scrittura... una città -una pagina- si percorre in mille modi”. Celati si è costruito un linguaggio particolare, specifico per questo libro. L’ha spiegato anche successivamente, ma la sua scelta è chiara fin dalla lettura delle prime frasi. Niente descrizioni letterarie, né estetiche né sociologiche; non servono, non “catturano” la realtà, la realtà così com’è. Facendo tesoro dell’esperienza condotta in quegli anni con un gruppo di fotografi capitanati dallo straordinario Luigi Ghirri, di rappresentare il paesaggio post-industriale di fine secolo, Celati sceglie di usare il linguaggio per rendere il suo incontro con le cose che sono là, fuori di
pietra, lichene, foglia”: così Celati. Viene in mente un’assonanza con la chiusa delle Lezioni americane di Calvino: “magari fosse possibile un’opera concepita al di fuori del self, che ci permettesse d’uscire dalla prospettiva limitata d’un io individuale… per far parlare ciò che non ha parole, l’uccello che si posa sulla grondaia, l’albero in primavera…la pietra, il cemento, la plastica”. Non a caso Alfredo Giuliani aveva definito Verso la foce come “un libro d’amore”… Negli stessi anni, come singolari ma illuminanti coincidenze, Guido Ceronetti (Un viaggio in Italia, 1983) riserva pagine nere, di tono quasi apocalittico al Po, “sventurata fogna abitata”, dedicando al nostro Delta riflessioni implacabili sul disorientamento delle coscienze, quello che in fondo ancor oggi condanna a scelte laceranti, stravolgenti, provocato dalla schizofrenia fra la “consacrazione iconica del Delta come santuario naturale” e l’inesorabilità della installazione micidiale della centrale dell’Enel. Tutto il libro di Celati è denso di pensieri, osservazioni, riflessioni sullo spazio, sui luoghi, sugli incontri con persone, sul tempo. Valga per tutti questo passaggio: “le case… aprono lo spazio… e formano davvero un luogo. Niente d’astratto e di progettato, laggiù si vede che il tempo è diventato forma dello spazio, un aspetto
Celati sceglie di usare il linguaggio per rendere il suo incontro con le cose che sono là, fuori di noi, così come sono; di usare le parole per dare conto dell’adesione dello sguardo a quelle cose. noi, così come sono; di usare le parole per dare conto dell’adesione dello sguardo a quelle cose, senza la pretesa di offrire descrizioni, buone o accurate o penetranti: perché “se hai la sensazione di capire tutto, passa la voglia di osservare”, innanzi tutto; e poi perché, come insegnavano le fotografie di Ghirri e degli altri, occorre liberarsi dalle vedute e dalle rappresentazioni codificate, predeterminate. Proprio così si scopre che nei posti dove non c’è niente da vedere, in realtà c’è più da vedere, come capita nei posti apparentemente banali, o desolati. Lasciando che sia lo sguardo a lasciarsi catturare dalle cose (“noi siamo guidati da ciò che ci chiama”), le parole vengono trascinate al di fuori degli schemi consueti o prescritti, vengono portate dalle cose, quasi andassero per conto loro, scoprendo assurda la presunzione di descrivere. Insomma, dare conto del mondo così com’è, percepirlo e accettarlo, e viverlo, lasciarsene partecipare, per così dire. “Non si è mai estranei a niente di ciò che accade intorno, e quando si è soli ancora meno. Il corpo è un organo per affondare nell’esterno, come
è cresciuto a poco a poco sull’altro, come le rughe della nostra pelle”. Ma sono le pagine finali, dedicate al nostro Delta, quelle in cui vengono a confluire tanti pensieri, e significati, a sedimentare grandi temi e riflessioni, sul mondo, sulla morte stessa. Sembra che la tendenza di tutto, qui, sia di “aprirsi andando alla deriva verso il mare, raggiungere una foce dove tutte le apparizioni si eclissano ridiventando detriti”. Qui si coglie il senso vero dell’”osservazione”, a cui si è disposti quando c’è “la voglia di mostrare ad altri quello che si vede”, perché “c’è sempre il vuoto centrale dell’anima da arginare, per quello si seguono immagini viste o sognate, per raccontarle ad altri e respirare un po’ meglio”. E’ così che nella distesa senza limiti dove tutto si mescola, compare “il buco dove tutto scompare”: è qui dove sono, scrive Celati, “ingorgato dal sentimento di tutti quelli che se ne sono andati prima di me”. Questo viaggio, nel suo limite estremo, rivela il suo significato: le parole non possono gettare ponti, possono 35
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essere richiami, “chiamano qualcosa perché resti con noi”. Chiamino le cose, che “vengano a noi coi loro racconti”, invece di estraniarsi da noi e disperdersi nel cosmo “lasciandoci incapaci di riconoscere una traccia per orientarci”. La sorte che il Delta ci suggerisce è nettamente, lucidamente, serenamente evocata da un’attesa senza epifanie: “Noi aspettiamo ma niente ci aspetta, né un’astronave né un destino”. Ci si mostra, e ci tocca, il mondo delle cose come sono; con uno spunto da Dino Campana, Celati sul 36
limite estremo del Delta, “finis terrae” affacciato e confuso nel mare disteso “là davanti”, osserva: “Ogni fenomeno è in sé sereno. Chiama le cose perché restino con te fino all’ultimo”. L’ho sempre considerato non solo un messaggio essenziale per ciascuno, come persone, ma anche un necessario, vitale requisito per l’intelligenza politica dei problemi, e ovviamente di quelli del territorio in cui ci è capitato, a noi Polesani orientali, di vivere. Chissà.
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intervista a Paolo di Paolo
Viaggiare tra pagine ed emozioni
Cristiana Cobianco
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fine giugno Adria ospiterà “Alé! Adria legge”, una festa della lettura che sarà l’occasione per incontrare figure importanti del panorama culturale italiano. Il direttore artistico della festa è Paolo di Paolo, autore romano che ha al suo attivo non solo diverse collaborazioni con importanti editori italiani, ma anche una serie di libri che hanno ottenuto un vasto successo di pubblico e di critica. A Paolo di Paolo abbiamo rivolto alcune domande sul suo rapporto con i libri e con la letteratura, oltre che alcune notizie su “Alé! Adria legge”. Paolo, raccontaci la tua passione per i libri e quale significato ha per te la lettura. La passione per i libri si è accesa presto, ma non saprei dire come e perché. Forse tutto è cominciato dai fumetti, o forse dalle affascinanti illustrazioni di una serie di classici del teatro. Potrei dire che non so vivere senza libri, ma sarebbe prevedibile. Dirò piuttosto che li considero vita aggiunta alla 38
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vita, ed è tutto. Posso aggiungere che sono sicuro di non stancarmi dei libri finché sarò vivo. Non mi stancherò di farmi spiegare le cose che un po’ già so, ma mai fino in fondo. Non mi stancherò di pensare che sarebbe stato meglio non sapere, pur volendo sapere. La saggezza serena a cui aspiriamo, esiste davvero? Forse è solo dei libri, quando il tempo ce li allontana, perché oltre agli anni hanno attraversato le epoche. C’è il calore dell’esperienza e la ragione disincantata che la raffredda; c’è il segno del tempo minimo di una singola esistenza e di quello vasto e cieco della storia. Non è una novità che rispetto al resto dell’Europa il numero dei lettori in Italia è molto basso. Tu ti stai occupando negli ultimi anni di eventi di promozione della lettura: quali sono, secondo te, i punti di forza e di debolezza dei festival letterari? Che centinaia o migliaia di persone si trovino in una piazza o in un teatro ad ascoltare uno scrittore, è già di per sé un fatto positivo. Qualcuno fa dei distinguo, ma servono davvero? C’è chi teme che molti dei presenti a un festival non siano in realtà veri lettori. C’è chi teme che quella dei festival diventi una moda tutta legata all’idea di “evento”. Può darsi che sia vero. Ma ho l’impressione che tutto vada misurato sul singolo incontro, sull’empatia che si crea tra chi parla e chi ascolta, sui temi, direi insomma sulla “temperatura emotiva”. Se il partecipante al festival torna a casa con qualcosa in più (anche senza aver comprato niente), non è tempo sprecato. Nei tuoi libri “i luoghi” hanno una grande rilevanza: può la letteratura promuovere, anche turisticamente, un luogo, così come a volte fa il cinema? Molti luoghi, forse tutti, possono essere carichi di letteratura, non foss’altro perché ospitano gente che scrive (famosa o no che sia). Oppure perché hanno ispirato e “ospitato” vicende romanzesche. Pensate al famoso balcone di Verona o al colle di Recanati o che so, a «quel ramo del lago di Como». Si tratta perlopiù di segni, di tracce invisibili. Vanno portate alla luce, custodite. Ma la domanda forse riguarda esempi come quelli di Torino e Mantova, dove grandi kermesse letterarie calamitano visitatori da tutta Italia. Sono esempi virtuosi cui “Adria Legge” vuole ispirarsi, con passione ed entusiasmo. Adria ti ha ospitato l’estate scorsa durante uno degli appuntamenti di Centominuti. A seguito di quella fortunata esperienza, il Presidio del Libro di Adria ti ha voluto come direttore artistico della prima edizione di 40
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“Alé! Adria legge”. Che impressione ti hanno fatto i nostri luoghi? Come per ogni luogo sconosciuto, il primo contatto è fatto di curiosità e sorpresa. Sono rimasto colpito dall’avventura di uno sguardo “orizzontale” (il filo dell’orizzonte è sempre in vista), dalle storie lontane che il fiume trascina, dall’eleganza della cittadina, dalla sua geometria fatta anche di piccoli spazi accoglienti e ideali per leggere ad alta voce (come faremo nel corso di “Alè!”). C’è l’intenzione di costruire una mappa emotiva di Adria e dintorni, fatta delle testimonianze scritte e non solo di chi ha vissuto e amato questi luoghi. Quale sarà il filo rosso che legherà gli autori ospiti di “Alè! Adria legge” e quale messaggio vorresti che l’evento riuscisse a trasmettere? I fili saranno molti. Centrale sarà l’aspetto della conversazione con gli scrittori (alternativa alla classica e un po’ logora “presentazione di libro”). Una parola attorno a cui ruoterà un’intera sezione è “Esperienza”: perché i libri offrono esperienze e sono fatti di esperienza. Un’altra sezione di incontri è “Dal Delta”, e in questo caso naturalmente sarà protagonista il territorio.
Scheda Paolo Di Paolo è nato a Roma nel 1983. Ha pubblicato opere di narrativa, libri-intervista e saggi critici. Ha raccolto in Ogni viaggio è un romanzo (2007, Laterza) 19 conversazioni su letteratura e viaggio con gli scrittori italiani. Ha curato un’antologia degli scritti di Indro Montanelli, La mia eredità sono io (2008, Rizzoli). Ha lavorato anche per il teatro (Il respiro leggero dell’Abruzzo, con Franca Valeri, 2001) e per la televisione (Gargantua, Raitre). Collabora con le pagine culturali dell’Unità, del Riformista e con Nuovi Argomenti. Con Perrone è uscito nel 2008 il romanzo “Raccontami la notte in cui sono nato”.
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intervista a Silvia Frigato
La sorprendente via della musica
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cchi dolci e miti, sguardo sincero. Questa è Silvia Frigato, giovane cantante di grande talento che sta attirando le attenzioni del mondo culturale per le sue notevoli doti. Inizia con lo studio del pianoforte e si diploma in canto al Conservatorio di Adria. Approfondisce successivamente lo studio del repertorio sei-settecentesco con Roberto Balconi, Roberta Invernizzi e Sara Mingardo e ora si sta perfezionando con il celebre soprano Raina Kabai-
Milena Dolcetto 42
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vanska. Nel 2007 vince il IV Concorso Internazionale di Canto Barocco “Francesco Provenzale” indetto dal Centro di Musica Antica Pietà de’ Turchini di Napoli. Per l’etichetta Tactus ha recentemente inciso il CD Madrigali per Laura Peperara. E ora Silvia svolge intensa attività concertistica in Italia e all’estero (Svizzera, Austria, Germania, Polonia, Lituania, Belgio, Olanda, Francia, Spagna, Portogallo, Brasile, Stati Uniti) collaborando con importanti musicisti (Philippe Herreweghe, Ottavio Dantone, Lorenzo Ghielmi, Claudio Cavina, Gianluca Capuano, Michael Radulescu) e con prestigiosi gruppi dediti all’esecuzione di musica antica (Collegium Vocale Gent, Accademia Bizantina, La Divina Armonia, La Venexiana, Il Canto di Orfeo). La raggiungiamo tra un impegno e l’altro.
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Una grande voce che sta attirando le attenzioni del mondo culturale...
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Silvia i tuoi studi iniziano presto: raccontaci l’inizio con il pianoforte. Ho cominciato a studiare musica a 8 anni, quando decisi di prendere lezioni private di pianoforte da Antonella Pavan, allora direttrice del coro Biribò nel quale cantavo. Successivamente decisi di iscrivermi al conservatorio per continuare a studiare pianoforte anche se già avevo capito che la mia vera vocazione era il canto, al quale mi dedicai completamente a 16 anni. Tuttavia gli anni passati alla tastiera mi hanno consentito di fondare la mia attività di cantante su salde basi musicali; basi rivelatesi fondamentali per l’acquisizione di abilità preziose: rapidità nella lettura del testo musicale e autonomia nello studio. Quando hai deciso che era il canto la forma espressiva che meglio ti rappresentava? Mah, in verità ho sempre cantato, fin da piccolissima. Le suore mi facevano cantare all’asilo, spesso partecipavo a concorsi canori per bambini; cantare mi divertiva e mi riusciva naturale. Poi, grazie anche alla 43
Adria C.so V. Emanuele, 100 Tel. 0426.22233
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sensibilità dei miei genitori, compresi che una seria formazione musicale sarebbe stata indispensabile per far fruttare le mie potenzialità. Stai affrontando un repertorio di fascino particolare. Lo studio del repertorio sei - settecentesco apre la mente a nuovi orizzonti e la prassi esecutiva si arricchisce. Quello nella musica antica è un percorso davvero affascinante, contraddistinto da una straordinaria ricchezza di stili e linguaggi, da pressoché infinite possibilità espressive. E la varietà, la necessità della ricerca, dell’approfondimento, il gusto dello sperimentare alimentano la mia curiosità e mi fanno amare profondamente questa musica bellissima e sempre nuova. Il mondo dell’Arte offre grandi soddisfazioni ma per arrivarci ci vogliono tanti sacrifici. Enrico Dindo, violoncellista straordinario, ha detto ai ragazzi nell’incontro al Sociale di qualche mese fa “ricordatevi che i successi guadagnati con la fatica e con l’impegno sono quelli che libereranno in ognuno di noi forti emozioni”. Cosa ne pensi e che messaggio ti senti di dare ai giovani colleghi? Sì, credo che in generale non possa darsi vera soddisfazione senza sacrificio. Certo è che sacrifici e fatiche, per quanto intensi, vengono largamente compensati dal godimento e dall’accrescimento spirituali che l’Arte procura. I tuoi impegni futuri? Stabat Mater di Pergolesi con Sara Mingardo e l’Accademia degli Astrusi il 21 maggio a Bologna; Stabat Mater di Brunetti diretto da Alessandro Ciccolini a Pesaro il 3 giugno; il 19 giugno Cantata BWV 1083 di Bach con Kuijken al teatro Olimpico di Vicenza; poi sarò Eurillo nell’Artemisia di Cavalli con La Venexiana diretta da Claudio Cavina ad Hannover e a Montpellier; a fine agosto canterò a Bressanone con Sara Mingardo e sempre con lei registrerò un disco con musiche di Benedetto Marcello. Sogno nel cassetto? Più che un sogno coltivo una speranza: poter proseguire con entusiasmo, vigore e dedizione sulla meravigliosa e sorprendente via della musica!
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Il ritorno di “Tra Ville e Giardini” E’ in partenza la nuova stagione della rassegna che vivacizzerà l’estate polesana. Anche quest’anno si esibiranno grandi nomi della musica e dello spettacolo. Milena Dolcetto
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i sono luoghi che hanno il profumo dell’arte, della storia e della magia.Siti importanti e molto conosciuti, altri meno noti e forse defilati, posti dove le sere polesane si sono in questi ultimi anni animate di emozioni forti. Il pubblico segue e ama per questo “Tra Ville e Giardini” – itinerario di danza e musica nelle ville e corti del Polesine – che, fresco dei suoi primi 10 anni di vita, propone per l’estate il nuovo calendario.
Organizzata dall’Assessorato alla Cultura della Provincia di Rovigo, curata da Ente Rovigo Festival, sostenuta dalla Regione del Veneto e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, questa rassegna è annoverata tra le più interessanti proposte culturali italiane, per l’ideazione primigenia della compenetrazione tra “teatro ospitante” e artista, per la contaminazione tra i generi, per l’apertura verso orizzonti artistici lungimiranti e per l’ottima qualità 47
delle partecipazioni. A Claudio Ronda, direttore artistico di “Tra Ville e Giardini”, chiediamo alcune notizie sull’evento. “Avere più di 15.000 persone che seguono la rassegna ogni estate, significa che abbiamo creato un tessuto di relazioni importante e di grande significato. La nostra idea di offrire al pubblico la possibilità di diventare itinerante e di poter ogni sera scegliere uno spettacolo diverso, di uscire e ascoltare
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stile di proporre Arte, per la sua capacità di intuire le nuove tendenze ma raccogliendone sempre le stratificazioni passate. Questa rassegna è un lavoro di squadra.
Eugenio Finardi
nella cornice di un’antica dimora, una piazza o una chiesa, attori, musicisti o cantanti di grande prestigio, si è rivelata la scelta giusta per un connubio artistico che non rimane fine a sé stesso ma che serve anche a crescere, a vivere e scoprire il nostro territorio”.
E’ una immensa soddisfazione. Lo staff dell’assessorato alla cultura della Provincia di Rovigo, persone competenti e di grande intelligenza, è di sicuro uno dei punti di forza di questa macchina organizzativa che ci fa lavorare per 5, 6 mesi all’anno tra concertazioni, programmazione effettiva e attuazione della rassegna. Poi i diciotto Comuni con tutti i collaboratori che abbiamo imparato a conoscere negli anni e con i quali ormai si sono consolidati dei rapporti che trascendono la sola professionalità. La presenza puntuale degli sponsor che vivono in pri-
Tutto amplificato dalle scelte degli artisti ospitati. Certo, abbiamo cercato per i nostri cartelloni ospiti di rilievo per garantire una qualità che è anche questa espressione di un valore estetico che questa terra ci insegna. Musica classica, teatro, danza, sperimentazione, i grandi monologhi, la proposta in anteprima di future star della musica leggera e pop, l’ospitalità di alcuni straordinari nomi del jazz: Tra Ville e Giardini si è accreditata per il suo
Renato Borghetti
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ma persona le scelte e le “scalette” estive, sempre partecipi con grande sensibilità e dobbiamo dire consenso. E l’Ente Rovigo Festival con i miei collaboratori che certamente di que-
Gian Antonio Stella
sto itinerario sono gli indispensabili e infaticabili “tecnici”. Gli artisti ospiti amano “Tra Ville e Giardini”. E’ un altro piacevole risultato. Abbiamo avuto negli anni passati straordinari interpreti internazionali di musica classica, di genere folclorico, di jazz, di teatro e tutti hanno profondamente apprezzato la nostra “idea” di rassegna; alcuni di loro, soprattutto gli emergenti, si stupivano della bellezza di poter esibirsi all’interno di una villa palladiana, ad esempio.
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Certo cantare con alle spalle Villa Badoer è emozione grandissima anche per chi si esibisce, recitare sotto le fronde secolari nel fascino remoto di Villa Nani Mocenigo non può che amplificare segni e significati. Tutto viene sostenuto all’ennesima potenza e il pubblico percepisce la gioia degli artisti, la serenità con la quale si mettono in relazione con lui. Il prossimo e attesissimo cartellone...
internazionale e con prime assolute di cui andiamo indubbiamente fieri. Partiremo il 17 giugno nello scenario di Villa Morosini a Polesella con un cantautore italiano dalla voce e dallo stile particolare e personale, Eugenio Finardi. Gli appuntamenti si susseguiranno poi con il formidabile quartetto jazz degli Yellowjackets, non mancheranno gli appuntamenti con la musica
L’undicesima edizione di “Tra Ville e Giardini” è in questo momento ancora in fase di perfezionamento, mancano solo alcune conferme ma il cartellone è praticamente definito. Anche quest’anno con i suoi rinnovati 18 appuntamenti, si è cercato di proporre un positivo connubio tra tradizione e attualità, con ospiti di livello
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classica e world, con l’ironia del teatro musicale degli Oblivion, col teatro d’autore che quest’anno vedrà la presenza di Gian Antonio Stella e Gualtiero Bertelli, per continuare col virtuosismo del fisarmonicista brasiliano Renato Borghetti e per finire con la danza folk dei travolgenti artisti del Balletto Nazionale della Georgia, sino all’atteso appuntamento finale in Villa BaNina Zilli doer il 17 agosto con un’emergente della musica pop italiana, Nina Zilli.
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Gianni Cagnoni: artista eclettico Elena Stoppa
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Africa Gianni Cagnoni, acrilico su tela, 100x100 cm, 2006
Soli Gianni Cagnoni, mista su tela, 100x100 cm, 2009
Confini Gianni Cagnoni, mista su tela, 80x80 cm, 2008
ianni Cagnoni vive e lavora fra Rovigo e New York. Comincia giovanissimo a dipingere e fino agli anni ’80 realizza numerosi lavori a tema figurativo. Dopo una pausa dovuta ai crescenti impegni professionali e universitari, riprende a dipingere libero da pregiudizi e da influenze accademiche realizzando diverse serie di opere sul paesaggio, denominate Africa, Isole, Rifiuti e Mutazioni, che mettono volutamente in crisi i parametri estetici ordinari, propongono pseudo paesaggi che ondeggiano tra sogni astrali e ghiacciai preistorici, tra suggestioni lunari e nostalgie africane. A queste opere pittoriche dedicate al paesaggio, alterna lavori che indagano il corpo umano. Si tratta della serie Sopra la nuda terra: le immagini proposte appaiono in una staticità forse solo apparente. I corpi “mummificati”, stesi in uno strato più culturale che geologico si collocano in una dimensione particolare, quasi una sospensione, che esalta il rapporto osmotico corpo - terra recuperando una reale condizione umana al di fuori delle convenzioni e delle convinzioni. La corporeità di queste figure resta però solo evocata: ciò che è realmente protagonista è la presente lacerazione di questi corpi; ferite fisiche che rimandano a quelle più intime della memoria. Dopo questa serie di opere dedicate all’uomo, Gianni Cagnoni realizza la serie di opere denominate Confini, opere che, insieme ad alcune del ciclo Sopra la nuda terra, sono state esposte in una personale presso la pinacoteca dell’Accademia dei Concordi di Rovigo nell’ottobre del 2008. Si tratta di lavori che hanno come centro tematico ancora il paesaggio: ma più che di paesaggio, si tratta di luogo, o, più precisamente, di luoghi. È un confronto fra se stesso e l’altro da sé: in questi dipinti c’è la rappresentazione del costante rapporto dialettico tra l’io ed il 54
diverso, al quale spesso si rifugge per incapacità di esporsi ponendo dei paletti, degli steccati, siano essi mentali che reali. Un’altra serie di opere che hanno come soggetto un muro sono quelle appartenenti al ciclo Oltre il muro, ma questa volta non è un muro che si è creato per difesa, ma un muro oltre il quale c’è la prospettiva di un cambiamento, che bisogna scavalcare per realizzarsi. Nel 2009, Gianni Cagnoni espone le sue opere presso la Sala Cordella del Comune di Adria e le sale di Palazzo Bellini di Comacchio (Ferrara). È in queste due mostre che espone una nuova serie dedicata ai volti: si tratta di Soli. «I soli sono volti con grandi occhi lucidi che guardano un altrove eterno, a volte, ciechi, guardano dentro sé stessi l’essenza dell’essere, come una pianta, immobili, come rocce. Sono uomini disseccati, smagriti dal dolore antico del cuore del mondo. - scrive Laura Ruffoni in una sua critica. - I loro visi sono incrostati dalla polvere africana, dalle terre colorate e dai rivoli disseccati delle lacrime. Sono antichi, sono terreni e sono persi nel mondo urbano, nella modernità che allontana dalle radici e trasforma in esuli». I centri tematici attorno a cui ruotano le opere pittoriche di Cagnoni sono principalmente due: il corpo ed il paesaggio. La sua ricerca pittorica è intima e viscerale, legata ad una sottile implicazione della pittura informale. La capacità espressiva dei suoi lavori è resa dall’intensità del gesto pittorico, dalla matericità del segno e dall’uso di colori intensi e stesi con forza. Ma il lavoro artistico di Gianni Cagnoni non è esclusivamente pittorico: di recente si avvicina, infatti, alla fotografia. A New York e Londra, nelle tre estati dal 2006 al 2008, realizza una serie di scatti fotografici che ritraggono “la bellezza nascosta degli oggetti di scarso valore e di uso comune” colta
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Sopra la nuda terra Gianni Cagnoni, misto su tela, 150x50 cm, 2007
installazione dedicata alle stragi di giovani del sabato sera, o Profumi e Balocchi, dedicata al tema dell’eccessiva frenesia consumistica che colpisce ognuno di noi, specialmente durante le festività. Il luogo prescelto dall’artista per la realizzazione di queste installazioni è il giardino antistante il suo studio in Via Celio, a Rovigo, a due passi dalla galleria Il Melone Arte Contemporanea. La reazione dei passanti è sempre di meraviglia. Ed è proprio questo ciò che anima l’artista rodigino: Cagnoni vuole colpire, sperando di suscitare la reazione di ognuno di noi, magari anche di quelli più ostici o di chi vive nel limbo del quieto vivere o dell’apatia celebrale.
nel dettaglio della loro vulnerabilità. Sono le screpolature, i graffi, le lacerazioni, la sporcizia di bidoni e sacchi delle immondizie, le colonne della metropolitana, piatti sporchi, vetri, muri e porte, che diventano colori e forme astratte ridando dignità all’oggetto abbandonato. È la bellezza nascosta delle nostre città che viene esaltata. Le fotografie sono stampate su plexiglass e, con una tecnica messa a punto dallo stesso artista, su pellicola trasparente domopak, su sacchi di juta e su cartone di recupero. Oltre a ciò, Gianni Cagnoni è attivo anche nella realizzazione di performances ed installazioni, che hanno il fine di stupire e far riflettere su temi che riguardano il sociale, come, ad esempio, Nessuna risposta. Avanti il prossimo.,
Profumi e Balocchi Gianni Cagnoni, 2009
Small Details Gianni Cagnoni, Times Square, Manhattan, N.Y.C., 2007 55
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Il Melone La galleria d’arte contemporanea che fa cultura
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a galleria Il Melone Arte Contemporanea è uno spazio espositivo ideato da Gianni Cagnoni e Donatella De Marchi. Situata nel centro storico della città di Rovigo, all’incrocio fra via Oberdan e via Celio, è stata inaugurata il 27 maggio 2006 e, negli anni, si è ingrandita: attualmente si sviluppa in sei locali, due dei quali indipendenti con una superficie complessiva di circa quattrocento metri quadrati. È uno spazio dotato di ampie vetrine luminose ed alte pareti che permettono di realizzare qualsiasi tipo di allestimento, offrendo agli artisti le più diverse possibilità espositive ed espressive. Oltre a questi spazi, la galleria Il Melone allestisce mostre presso Tempi Moderni (Area M. Tosi) e lo storico Hotel Plaza di Padova (C.so Milano, 40). L’idea di aprire una galleria d’arte contemporanea in Polesine, ed in particolare a Rovigo, è nata principalmente da due esigenze dei curatori: la prima dettata dalla voglia di aprire uno spazio dove, quando uno vi entra, si senta a suo agio e possa godere dell’energia che viene liberata dalle opere stesse, dai colori, dai segni e dalle forme. Un posto dove si possa discutere e condividere liberamente le proprie idee sul mondo dell’arte con chi lo accoglie. Il punto di forza della galleria è, infatti, la cultura e la conoscenza artistica dei curatori, sempre disposti ad un dialogo ed ad uno scambio di visioni sull’aspetto artistico, e non solo, della società contemporanea. L’altra esigenza nasce dal rendersi conto che nel territorio vi era la mancanza di uno spazio simile, in particolar modo dedicato ai giovani artisti emergenti. I luoghi che accolgono arte sono infatti molto costosi e a volte i giovani non riescono a farsi conoscere ed ad avere la possibilità di esporre i propri lavori. La galleria si propone, infatti, di diffondere principalmente le opere di giovani artisti, non ancora noti nel panorama internazionale, ma professionalmente impegnati e con esperienze espositive interessanti, curando con dovizia di particolari l’allestimento delle opere stesse, sia che si tratti di dipinti, fotografie, sculture, video arte ed altro. Gli artisti che espongono, od hanno esposto presso Il Melone, sono scelti accuratamente dai curatori. Non importa quale linguaggio artistico usino: le opere devono essere comunicative ed in grado di emozionare anche lo spettatore più freddo che si avvicina con pregiudizio al mondo dell’arte contemporanea. In mostra permanente in galleria si possono trovare i dipinti degli artisti polesani Nicola Cavallaro e Mario Lazzarini, del padovano Simone Del Pizzol, della marchigiana Viviana Pascucci, del romano Alessandro Vignali e del romagnolo Luca Zarattini. Non sono esposte opere pittoriche solamente di artisti italiani, ma anche di altri internazionali: è il caso dello spagnolo d’adozione Stephan Guillais, dell’olandese Dienke Groenhout, del messicano Mauricio Morillas, della sud-coreana Naomi Park e del newyorchese Ernest 57
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Rosenberg. Come già accennato, in galleria trovano il loro spazio anche sculture, siano esse realizzate in ferro o bronzo, come quelle degli scultori Mario Converio, Angelo Maineri e Douglas Holtquist (newyorchese), in terracotta, dell’artista Luciano Siviero, ed in legno, scolpite da Antonio Villa. Oltre a questa “scuderia”, la galleria Il Melone organizza mostre anche di artisti “itineranti”, che vengono scelti sempre con la massima attenzione, per proporre ai suoi visitatori opere sempre innovative, dalla forte carica espressiva, che riescono a dare un’ampia rappresentazione del panorama artistico nazionale ed internazionale che ci circonda. Non è un’impresa facile questa, anche perché mai come ai giorni nostri c’è un melting pot di correnti artistiche, linguaggi sempre diversi con cui gli artisti vogliono interpretare il mondo in cui viviamo.
Il Melone, Arte Contemporanea
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“Hi, I’m Pablo Chiereghin, I come from Adria” Pierre Andrieux
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Barack Obama, Il Papa, Silvio Berlusconi e un giovane boy scout sono su un aereo che sta precipitando. Tutti cercano i paracadute ma ne trovano solo tre. Obama ne prende uno e dice: “Io sono l’uomo più potente della terra, il primo presidente nero e il futuro del mondo dipende da me” e si lancia. Subito dopo Berlusconi afferra un paracadute e dice “io sono l’uomo più intelligente d’Italia, quello più affascinante e quello più ricco” e si lancia. Allora il Papa dice al giovane boy scout “io sono vecchio ormai e voglio che tu prenda l’ultimo paracadute, la mia pietà cristiana me lo impone”. Il giovane boy scout dice “non si preoccupi l’uomo più intelligente d’Italia ha preso il mio zaino”. Questa barzelletta mi è stata raccontata da Pablo Chiereghin, un tipo dal sorriso facile. Per parlare del suo lavoro credo che sia necessario parlare di lui, una persona molto attenta ai piccoli dettagli della vita, che ama essere con gli altri, passare il tempo a raccontare storie, una persona ricettiva a quello che fai e a quello che sei.
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otremmo dire senza problemi che Pablo è un intrattenitore, ma peccheremmo di trascuratezza a voler ridurre la sua relazione con l’esistenza solo a questo. Attraverso gesti, piccoli racconti, azioni performative trasmesse attraverso il mezzo fotografico Pablo crea una poesia tenue, leggera e sensibile. Nella sua serie fotografica “Picture of a Lie” foto di una bugia, l’artista lavora sulla distanza necessaria a catturare esperienze emozionali, guidando il modello attraverso una procedura
psicoanalitica spicciola, senza mai superare il limite del voyeurismo. Io credo si possa chiamare questo rispetto. All’inverso nella sua serie “Birthday Suit” la questione del voyeurismo entra nelle mani del modello in quanto è Pablo stesso nelle vesti del fotografo ad essere messo a nudo, letteralmente. Il modello specchia la sua reazione nella nudità del fotografo decidendo solo dove posare lo sguardo. Mettere in vendita il titolo della sua mostra, esporre il proprio legale testamento come atto ultimo di autoaffermazione , questi sono altri progetti creati per la sua ultima mostra viennese “Hi I’m Pablo Chiereghin I come from Adria”. Noi sappiamo che Pablo arriva da Adria, lo racconta ogni volta che qualcuno gli chiede da dove venga. (“All the time that I told the story of my place”) è successo lo
Exhibition title (2010, testo su carta, 29.7 x 21 cm) 61
stesso a me la prima volta che l’ho visto. Durante la stessa serata gli ho chiesto che cosa pensasse di Berlusconi e dopo avermi raccontato questa barzelletta mi ha mostrato il suo lavoro concepito dopo le ultime elezioni politiche “Il Tema è la Politica. Metamorfosi sensibili dopo il 14 Aprile 2008” una proiezione emozionale della politica negli spazi intimi della vita quotidiana. Un’altra volta, subito dopo una festa ben annaffiata nel mio appartamento gli ho chiesto se, da buon italiano poteva cucinare dei fusilli al pesto, ed è li che mi ha raccontato della sua performance installazione in cui ha generato una rituale digestione collettiva nel pubblico servendo un minestrone di fagioli, vino e pane azzimo. “Prendete e mangiatene tutti” ed è quello che abbiamo fatto. Ah, dimenticavo, Pablo Chiereghin è il giovane boy scout.
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All the times that I told the story of my name, (2010, testo su carta, riproduzione fotografica, 160x340cm)
All the times that I told the story of my place, (2010 testo su carta, riproduzione di cartolina, 160x340 cm) 62
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dalla serie, Birthday Suit (2008 lambda print su alluminio, 50 x 60 cm) Birthday suit e’ un azione fotografica che esplora i confini dell’agire sociale. I partecipanti, sono stati pagati per essere fotografati dall’artista nudo da una vetrina di una galleria di Londra. In questo ribaltamento del rapporto con il modello e della relazione voyeristica che con lui stabilisce, l’artista agisce sulla fotografia stessa, provocando una reazione e un riflesso di sè nell’immagine che ritrae.
Info Biografiche Pablo Chiereghin lavora come creativo a Bologna Madrid e Trieste, studia fotografia al Central Saint Martins a Londra, dal 2008 vive e lavora a Vienna. Pierre Andrieux, artista francese, lavora con performance e installazioni, vive e lavora tra Bordeaux e Los Angeles.
Picture of a Lie, (2008 lambda print su alluminio) 50 x 60 cm 63
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La Mostra “Hi, I’m Pablo Chiereghin, I come from Adria” questo atto linguistico è titolo e impostazione teorica della mostra personale di Pablo Chiereghin a Vienna. L’artista apre i suoi cassetti e presenta volontariamente le sue esperienze di vita. Un tentativo di negoziare confidenza e intimità, proiettando sullo spettatore una condivisione usuale nel discorso faccia a faccia. Questa dialettica, solitamente estranea allo spazio espositivo, rivela elementi autobiografici, speciali solo nel loro essere normali, presentando prospettive e rievocando ricordi che possono essere trovati nella vita di tutti. Lo spazio diventa così, nel corso della mostra, partecipazione, una proiezione di sé più che un autoritratto. I lavori vengono connessi processualmente a titoli che guidano il pubblico attraverso associazioni e meccanismi aprendo finestre sul mondo dell’autore svelandone esperienze e sensibilità. Questa interferita intimità viene amplificata da oggetti raccolti, azioni del quotidiano, piccoli dettagli che sotto la loro superficie rivelano le esperienze comuni e ideali dell’artista. La mostra “Hi, I’m Pablo Chiereghin, I come from Adria” si e’ tenuta dal 2 febbraio al 13 marzo alla galleria Das Weisse Haus a Vienna. Maggiori dettagli su www.pablochiereghin.com
Instruction (2009, mixed media, 160x40x40cm) 64
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Gigi Fossati Poeta del Polesine e non solo Anna De Pascalis 66
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ll’Accademia dei Concordi, magno archivio comunale di scienza e di arte, un giovine cronista locale [...] scoprirà un giorno – forse fra cent’anni – i tomi di Gigi Fossati. Vorrà, quel cronista, tirar giù un pezzo alla brava – una colonnina di corsivo – che parli d’una vecchia figura caratteristica, poeta e buontempone, buongustaio e umorista. Cercherà, scartabellerà; e troverà questa mia prefazione, questa mia biografia che lo illuminerà, e lo esalterà.” Così scriveva, nel 1931, Gastone Martini, nella prefazione al volume secondo de Il tempo perso, immaginando, senza difficoltà, quello che sarebbe accaduto a chi, negli anni a venire, si fosse avvicinato alla produzione di Luigi Fossati, forse per caso, magari proprio per dover scrivere qualcosa su di lui. Luigi “Gigi” Fossati è un autore di Rovigo e del Polesine, uno di quegli autori da rivalutare, che ha vissuto la poesia più che scrivere la grande poesia, un reporter romantico di un tempo perduto, di una cittadina che non esiste più ma che i suoi scritti sanno fare amare. Non era polesano di nascita ma le vicende della prima guerra mondiale lo avevano condotto a Rovigo e qui aveva piantato nuove radici, così salde da divenirne uno storico, un archivio vivente dei segreti delle vie, cose e persone. Classe 1900, adottò come sua questa città sin
LOUNGE BAR
C.so del Popolo,173 Rovigo 0425-460376
PERSONAGGI
piccoli temi di provincia animati da uno spirito vitale e propositivo. L’esperimento durò solo due anni: teatro di roventi polemiche e senza soldi per sopravvivere, la rivista chiuse. Rappresentò tuttavia un momento importante che connotò la cultura polesana che non trovò, in seguito, momenti di altrettanta unione tra persone per poter continuare ad esprimere quello che poteva essere un modo di concepire la vita, vivere i rapporti umani e fare poesia. L’esperienza aprì la carriera giornalistica a Fossati e ad altri “illusi”: di lì a poco iniziò la sua attività come cronista alla Voce del Mattino, per continuare in seguito per altre testate per oltre cinquant’anni. Di giorno impiegato comunale; di notte a battere forte i tasti della macchina da scrivere. La vita se la dovette guadagnare, e ci riuscì, usando armi affilate quando scriveva, mantenendo però sempre il rispetto per sé e per gli altri. I registri che lo vedono impegnato sono quelli dell’ironia: fine, graffiante, spesso lapidaria, come nelle Minime con qualche massima:
dai tempi in cui l’oggi centrale Viale della Pace era il limite che la separava dalla campagna, dove San Bortolo sembrava in capo al mondo, dove attraversare l’Adigetto era come andare in un altro pianeta. La sentiva talmente sua che per anni sparse, nelle occasioni d’obbligo, come Natale e Pasqua, un seme di auguri in rima che estendeva a tutti gli amici, soprattutto quelli lontani, quasi un abbraccio per riunire insieme quelli che “Rovigheto” avevano dovuto lasciarla, un richiamo per ricordare loro che “Rovigheto” c’era, c’era ancora. Animatore di una compagnia che visse una stagione culturale irripetibile, il Sofista (così si firmava, con l’anagramma del cognome) fu uno degli ultimi testimoni della cosiddetta “scapigliatura rodigina”. Se del polesano, per retaggio storico, viene da pensare ad un addormentato nel suo torpore provinciale, risulta quasi incredibile immaginare che, negli anni venti-trenta del secolo passato, ci potesse essere un Caffè a fianco della piazza centrale, aperto giorno e notte come già il Pedrocchi a Padova, dove gli artisti si ritrovavano a tirar tardi, e dove, tra un cognac e un sigaro toscano, ci si dilettava ad argomentare di letteratura, arte, poesia. Al “Lodi” si ritrovavano, tra gli altri, il già citato Martini, Eugenio Ferdinando Palmieri, Livio Rizzi, Pino Bellinetti. Fossati entrò a far parte del gruppo e si ritrovò con loro a dar vita all’Abbazia degli Illusi, rivista letteraria il cui intento era quello di trovare un’identità culturale che li staccasse dalle direttive nazionali per riappropriarsi “di un’arte sana e limitata, profumata di madia e di pane, di tinello e di cucina”,
Se vuoi star fra i pochi in testa corri sulla strada onesta ché in tal corsa raramente ti sorpassa un concorrente. Spesso il partito è un falso paravento di un losco ufficio di collocamento. Che nessuno sappia mai che sei furbo e che lo sai. 68
A L O C I ICO N
M A N O B a i r e h Tabacc
e-mail: bonaz72@libero.it Nicola 347 7754282
PERSONAGGI
Dotato di una facilità compositiva eccezionale, le sue poesie sono giochi di parole, sono fulminee, frizzanti. Il messaggio è sempre chiaro e immediato, non impegna il lettore a grossi approfondimenti: A sto mondo tanta gente la se crede gran sapiente. Che la leza o che la scriva no la sa se la xe viva ma la parla la straparla con un’aria de sapiensa straordinaria e la crede quei che scolta tuta gente de una volta tuta gente che la sia del paese che vien dopo
personaggio che andava a vendere, a mettere “in liquidassion” i suoi scampoli, le sue piccole cose di merceria con un carretto. Ci sono cose lievi di sapore però anche terragno perché era un uomo attaccato alla terra e perché, in fondo, Rovigo era pur sempre una “città di campagna”. Polesine, meglio conosciuta come Tera e aqua, musicata e interpretata dai più grandi rappresentanti della canzone popolare italiana, è forse l’esempio più efficace di come, con poche parole, si possa descrivere una terra difficile e l’attaccamento di un popolo che, nella fatica di vivere, mantiene comunque la sua dignità:
dove che l’Avemaria i la sona con el copo. I dirà: «Ma ti chi sito? Te te credi un padreterno? Bravo, alora dame un terno e po dopo tira drito» No signori, tiro storto parché so che mi go torto e go torto specialmente de parlar de su e de zo parché propio no so gnente. Ma sto gnente mi lo so.
[...] Tera e aqua! Tera nuda, gnente piante, gnente ombrìa. Sta fadiga mai finia: la comanda che se suda; che se suda. Tera e aqua! A mezogiorno quel paneto che se magna no gh’è aqua che lo bagna e ghé aqua tuto intorno.
Lui stesso era il primo critico di quello che scriveva, c’era del compiacimento anche nel sottovalutarsi. Nella raccolta El scanciorlin de tatarete in rima già il titolo dà dimensione di quello che avrebbe scritto: uno “scanciorlin”, un
“Il Pozzo Magico” Libreria per bambini e Ludoteca
In questa libreria potrete trovare tutto ciò che può aiutare i vostri bombini ad avvicinarsi al mondo della lettura. Verranno organizzati laboratori, letture animate e ad alta voce. Sono attivi i servizi di baby-sitting, ludoteca e doposcuola. D’estate tutti i giorni dal lunedì al venerdì animazione estiva. A Rovigo in Circonvallazione Ovest 23 - www.ilpozzomagico.it - info@ilpozzomagico.it - Tel. 339 8794525 70
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Cronista in versi è il termine che meglio si addice per definire la sua produzione. Anche nei due volumi di storie e aneddoti polesani, Una regina a Rovigo e La moglie del prefetto, lo stile è quello di chi coglie l’attimo fuggente, lo modella e lo presenta al lettore in maniera accattivante e immediata. In questi fatti, volti, figure, strade raccontati, ingoiati dal tempo che non perdona, Fossati rappresenta un mondo che stava cambiando, un modo di vivere che non era angosciato dalla fretta, tutto scorreva in modo più blando, il sapore della vita in comune veniva sentito in una maniera più umana. Se la filosofia slow, della lentezza, oggi tanto ricercata “contro il logorio della vita moderna”, significa fermarsi per osservare quello che nella frenesia, spesso, si trascura, allora Gigi Fossati, nel suo essere uno slow man, era decisamente all’avanguardia. L’amico “Carli” Ranzato lo disegnò un giorno a cavallo della sua bicicletta con un aquilone: indicava il poeta, l’uomo con la testa per aria, che non riesce a vivere se non su un piano di idealità. Divenne un segno che lo accompagnò negli anni. La vecchia bicicletta, con la quale attraversava le piazze della sua Rovigo, era un modo di vivere la città dolcemente, di poter soddisfare la propria curiosità intellettuale. Guardandosi intorno poteva assaporare ancora quei valori fatti non di grandi cose ma di rapporti, di uomini. E per parlare agli uomini degli uomini non trovò mezzo migliore di quello che gli era più congeniale e gli scaturiva dal cuore: la poesia.
Immagini - A parte le copertine dei libri, la caricatura di Fossati è tratta dal volume 1 de “Il tempo perso” e, come indicato nell’indice, l’autore è il pittore Angelo Brombo. - Lo schizzo di Fossati in bicicletta con l’aquilone è tratto da “El scanciorlin de tatarete in rima” e so – come ho indicato nell’articolo – essere opera dell’amico “Carli” Ranzato. Bibliografia Il tempo perso – Tomo primo – Versi – 1930 Il tempo perso – Tomo secondo – Versi – 1931 Polesine – Versi – 1952 Minime con qualche massima – Epigrammi – 1973 El Scanciorlin de tatarete in rima – Versi – 1977 Una Regina a Rovigo – Aneddoti rodigini – 1978 La Moglie del Prefetto – Aneddoti rodigini - 1980
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PERSONAGGI
Luigi Masetti L’anarchico delle due ruote Luigi Masetti era nato a Trecenta nel 1864. Intraprese viaggi memorabili in bicicletta, spesso raccontati con gusto avventuroso sulle pagine del Corriere della Sera. Oggi è completamente dimenticato. Cristina Finotto
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uigi Masetti nacque a Trecenta (Ro) il 28 dicembre nel 1864. Subito dopo le rivolte contadine, completato un ciclo di studi a Lendinara, dove si recava a piedi o sul dorso d’un asino, emigrò nel 1884 a Milano. Qui vive in una soffitta con le sorelle, scopre il bicicletto nel 1891, anno in cui, lavorando e studiando, si iscrive all‘Università di Pavia, facoltà di giurisprudenza, non riuscendo però mai a laurearsi. Acquista poi con molti sacrifici la sua prima bicicletta e inizia ad esplorare il mondo di fine Ottocento dalla sella della bici. Partecipa alla prima Milano-Torino, a diversi criterium su pista al Trotter milanese, divenendo un beniamino di Eugenio Torelli Violler, fondatore e direttore del Corriere della Sera. Nel 1892 compie un giro cicloturistico d‘Europa: Milano-Parigi-Berlino-Vienna-Milano. Nel 1893 con il suo bicicletto chiamato Eolo intraprese la sua seconda grande impresa: Milano-Londra72
STORIE
New York-Chicago-Milano (il viaggissimo, come venne allora definito). Luigi Masetti era un poeta del viaggio, un eroe del fango e della polvere, un ciclista che riuniva le folle ad ogni suo passaggio. L’anarchico delle due ruote, così il fondatore del Corriere della Sera definì il primo cicloviaggiatore del quale si abbia memoria. Il resoconto del suo viaggio venne pubblicato a puntate sulle pagine del Corriere della Sera e un suo lungo ritratto apparve sulla rivista del Touring Club Italiano. È l‘inizio della carriera del biciclettista più famoso e amato d‘Italia, dei resoconti e dei ritratti che appaiono su diversi periodici e che ne fanno il poeta del bicicletto in un‘epoca in cui strade e cieli e mari cominciano a popolarsi di mostri meccanici. Nel 1897, sulle orme di Napoleone, partì per un viaggio dalle Alpi alla piramide di Cheope in Egitto e rientrò a Milano dopo una visita in Medio Oriente. Non stanco, accumulò altri 5.000 chilometri sul sellino in un viaggio attraverso l’Italia, la Grecia, i Balcani e l’Austria prima di salire sul Monte Bianco e da lì attraversare la Foresta Nera in un’altra “gita” attraverso Francia e Germania. Il primo maggio del 1900 partì da Milano per un viaggio di 18000 km. che lo portò a Ceuta, in Marocco, dove arrivò il 18 maggio, attraverso tutta l’Europa, giunse poi a Capo Nord, in Norvegia, il 14 agosto. Da lì, attraversando tutta la Russia continentale, giunse in Turchia a Costantinopoli. Durante queste scorribande incontrerà diversi personaggi e ne riferirà con passione, la stessa che profonde per centinaia d’altre persone. Incontra e conosce il presidente degli Stati Uniti, Grover Cleveland; conversa amabilmente con Tolstoj. I suoi percorsi sembrano studiati per incontrare culture e tradizioni e stabilire un equilibrio tra corpo/spirito e mezzo meccanico. Di lui scompaiono, improvvisamente, testimonianze e documentazioni nei primi anni del Novecento. Al paese natale non esiste una sola traccia della sua nascita, né una lapide. Non gli hanno dedicato un vicolo, né è resistita la memoria delle sue imprese che richiamavano centinaia di persone ad ogni sua partenza, passaggio e arrivo. Masetti, oggi, risalta per il desiderio d‘appartenere a un mondo che tende a scomparire e per una tenacia che lascia intuire profondi valori. Vi appare la sportività, la testardaggine, la cultura, l‘amore per la natura, il mondo e le persone che lo circondano, persino un certo impegno politico che lo lega all‘opera del recanatese Nicola Badaloni, all‘epoca medico condotto a Trecenta. Non solo: Masetti è un poeta, un anarchico del bicicletto, un piacevole narratore. Una sorpresa per chi ebbe la fortuna di incontrarlo e ascoltare i suoni e ritmi prodotti dalla sua inseparabile ocarina. Egli incanta e trasmette sensazioni particolari ancora oggi, proponendo la sua figura e le sue imprese ai giovani e a chi ama mirare il mondo percorrendolo slowly, pedalata dopo pedalata. A ben vedere, in questo suo ciclovagare si percepisce
l’errante di fine Ottocento e primo Novecento che tante testimonianze ha lasciato nell’ambito letterario e artistico. Milano e la Lombardia divennero per Luigi Masetti luogo d‘adozione e di vita. Dal capoluogo milanese si irradiò tutta la sua attività sportiva e la sua avventura umana. Un emigrante polesano, antesignano delle migliaia di conterranei che, dopo l’alluvione del 1951, si rifugiarono nella regione lombarda mettendoci profonde radici. Un messaggero dell’italianità lungo le strade delle Nazioni e Continenti che percorreva. «Se fosse francese sarebbe portato sugli scudi - se fosse americano si sarebbe fatto una sostanza, ma è italiano, non è quindi da stupirsi, se fuor che da pochi il suo viaggio ardito è calcolato un nonnulla», si leggeva, nel 1893, su Il Ciclo non appena il Masetti ritornò dal viaggissimo Milano -Londra - Chicago - Milano. Se fosse stato tedesco, come l’Heinrich Horstmann che il 2 maggio 1895 montò sulla bici per compiere il giro del mondo (portato a termine il 16 agosto 1897), avrebbe fatto soldi a palate.Di lui scompaiono tracce e testimonianze nei primi anni del Novecento. Esistono diverse ipotesi sulla scomparsa di Luigi Masetti e sull’oblio che ne ha sommerso imprese e figura. Non vogliamo credere che il mitico ciclista trecentano, tanto caro alle folle, sia deceduto a Milano nel 1940. Luigi Masetti non può aver chiuso gli occhi ultrasettantenne su un comune letto, circondato dai propri cari: lui e gli altri eroi del bicicletto esalarono l’ultimo respiro accanto al loro mezzo meccanico, lo sguardo spalancato sul mondo che percorsero e amarono, superando le abitudini e l’inerzia quotidiana. Di recente è uscito un libro che narra le avventure di Luigi Masetti dal titolo “L’anarchico delle due ruote” di Luigi Rossi. L’autore è nato a Rovigo (1950) e vive a Bochum. Insegna italiano e arte presso la Gesamtschule F. Steinhoff di Hagen. E’ stato lettore di italiano presso l’Istituto di filologia romanza dell’Università di Bochum. Questo libro inaugura una nuova collana della Casa Editrice Ediciclo di Portogruaro, non a caso intitolata Eroica. Libro davvero imperdibile, se non altro perché insegna una cosa essenziale: che giacciono sprofondate nell’oblio, come favolosi reperti coperti dalla sabbia, storie meravigliose di uomini coraggiosi di cui si è perduta la memoria; sta a noi con curiosità, pazienza e tenacia dissotterrarle e renderle pubbliche. È quanto ha fatto con pietas ed intelligenza Rossi, riscoprendo, grazie a documenti inediti e ricerche personali, la meravigliosa quanto ignota storia di Luigi Masetti da Trecenta, classe 1864. Faccia da intellettuale, con occhialini da anarchico russo, garretti potenti, spirito d’avventura, ecco il Masetti, eroe e pioniere del velocipedismo d’antan. Spirito libero ed originale, amato ed acclamato dalla folla, diviene protagonista di grandi imprese, a cominciare dall’incredibile, siamo nell’anno del Signore 1893, viaggissimo Milano-Londra-Chicago-Londra-Milano, ovviamente in bi74
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cicletta, cavallo meccanico pesante e spesso indomabile sui terreni sconnessi e ripidi. Una storia incredibile, che sembra uscita dalla penna d’un Verne sportivo; eppure vera, descritta passo passo niente meno che nel “Corriere della Sera”. Un’impresa erta di difficoltà, ostacoli, incidenti, ma anche ricca di soddisfazioni, incontri straordinari. Ma l’eroe del fango e della polvere non si ferma qui, e affronta altre imprese, ancora di grande spessore, che vedono protagonista il Masetti, atleta, ma anche esploratore curioso (conosce e parla più lingue) ed attento osservatore del mondo. Un libro scritto con tanta passione, quindi da gustare come un romanzo, che apre lo sguardo su decenni e fenomeni poco noti su cui varrebbe la pena di tornare, magari indagando e approfondendo il mistero della morte del Masetti, comunque finalmente uscito dall’ombra. Grande il Masetti, personaggio che sembra, dicevamo, inventato da uno scrittore. Viene subito in mente, per analogia, il nostro Salgari, alla cui magica ed irrefrenabile penna dobbiamo, come si sa, innumerevoli romanzi, ambientati nei più diversi angoli del mondo. Per chi avrà la fortuna di “incontrare” Masetti, come è successo a me, leggendo il libro di Luigi Rossi, ne rimarrà affascinato, soprattutto dal suo carico di umanità, dalla sua scrittura appassionata nelle lettere che spediva al Corriere della Sera. Un esempio di umiltà e semplicità che, nonostante le sue imprese memorabili, ha sempre fatto intravedere. Un uomo che mi auguro possa venire ricordato come merita soprattutto nel Polesine, dove, come lui, molti altri sono stati dimenticati per troppo tempo. Uomini che hanno vissuto anche faticosamente ma sempre con quel grande desiderio di affrontare e conoscere il “mondo” pedalando, scrivendo, incontrando culture e persone, vivendo spesso in simbiosi con la natura. 75
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WINE & FOOD
Feste di compleanno e laurea, rinfreschi
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STORIE
I cavalieri dell’aria Gli aviatori polesani dimenticati della grande guerra
Leonardo Raito e Alberto Burato
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n lembo di terra serrato tra due fiumi e con estrema linea d’orizzonte il mare. E allora sembra azzardato pensare che il Polesine abbia dato i natali a tanti aviatori che si sono distinti nella grande guerra 1915-18, ma forse occorrerebbe uno sguardo più ampio: il pensiero che una terra difficile come la nostra abbia prodotto quei caratteri forgiati in quell’acciaio che metaforicamente può rappresentare la forgia dei nuovi destrieri dell’aria, con cui hanno segnato epiche imprese, che cercheremo in breve di tracciare. 77
STORIE
LIONELLO CAFFARATTI
ti dei magazzini di munizioni cagionandone l’esplosione e distruggendo i depositi di carbone che provocarono l’incendio del pontile. E’ in questa occasione che gli viene concessa la Medaglia d’Argento al Valor Militare. La motivazione della decorazione recita: “Prese parte con altri Ufficiali ad una ardita incursione su territorio nemico. Lasciati gli idrovolanti e scesi a terra, i quattro Ufficiali raggiungevano risolutamente la stazione locale, la incendiavano, appiccando altresì il fuoco ai casotti magazzini di munizioni cagionandone l’esplosione, ed i depositi del carbone adiacenti e distruggevano il pontile d’accesso mentre la forza nemica di presidio erasi data alla fuga. Compiuta l’audace operazione, raggiungevano incolumi coi velivoli la loro base”. Basso Adriatico, 1° aprile 1916. Il 15 aprile 1916 la 13^ Squadriglia diviene 34^ Squadriglia MF (Maurice Farman, dal nome dell’aereo) con sede a Krionero (Valona, Albania) dove è schierata al comando del capitano DE RADA. Nel maggio 1916 fu attaccato da un caccia nemico mentre ritornava da un’azione di bombardamento su Durazzo (Albania): in quest’occasione fu ferito ad una gamba. A bordo degli idrovolanti MF Caffaratti compie anche un’incursione su Durazzo e questa impresa è suffragata dal “Comunicato Stefani del 29/9/1916”. Purtroppo, la morte attendeva inesorabilmente Caffaratti; in un volo di collaudo insieme al compagno di pari grado Mario PRIMICERIO precipitava in mare l’8 ottobre 1916 a pochi passi dagli hangar di Brindisi. I due sfortunati piloti saranno raccolti dalla Regia Nave Giovanni Bausan (una vecchia torpediniera varata il 12 luglio 1883 di 3330 tsl, dal 1° luglio 1916 nave appoggio sommergibili a Brindisi); a bordo spirava per la gravi ferite riportate alla testa ed al torace. In data 19 ottobre 1916, a Lionello Caffaratti sarà concessa una seconda Medaglia d’Argento al Valor Militare della quale nessuno fa menzione, proprio per l’azione del 29 settembre 1916 su Durazzo. Durante la Grande Guerra ricevette anche due Croci al Valor Militare.ew L’11 ottobre 1916, come riporta un estratto del “Corriere del Polesine”, il suo professore di greco al Liceo Classico di Rovigo, Prof. Cav. Cesare CIMEGOTTO, gli dedicherà un commovente epitaffio nel quale citerà altri suoi allievi del Liceo caduti da eroi. La salma di Caffaratti rientrerà a Rovigo con tutti gli onori nel 1923. Purtroppo la tomba dell’Eroe dell’Aria versa oggi in pietose condizioni: a stento il bianco sbiadito e corroso della lapide permette di decifrare le parole sottostanti la foto.
Nato a Rovigo il 23 marzo 1892, è uno dei primi Aviatori della Grande Guerra che subito si pone all’attenzione della nostra neonata Arma Aeronautica. Si diploma al Liceo Classico di Rovigo nel luglio 1910 ed entra il 20 novembre dello stesso anno nella Regia Accademia Navale di Livorno uscendone con il grado di Guardiamarina nel 1913. Promosso Sottotenente di Vascello nel 1915, deve però chiedere al padre il consenso per poter entrare nell’Aviazione, permesso subito accordato. Già, dunque, pilota nel 1915, nel febbraio 1916 compie il primo volo addestrativo nel cielo di Brindisi contornato da peripezie e cimento: riesce a riportare il suo aereo a terra integro e tanta fu la sua abilità che da quel momento fu soprannominato “giovane diavolo”. Il suo Reparto di appartenenza è da sempre la 13^ Squadriglia che, allo scoppio della Guerra, risulta equipaggiata con i Blériot ed inquadrata nel I° Gruppo seppur subito a disposizione del III° Gruppo presso Torresella (vicino a Pordenone): Comandante ne era il Capitano Vincenzo LOMBARD. Il battesimo del fuoco della 13^ Squadriglia avviene il 26 maggio 1915 con lo sgancio di bombe su Gorizia; diviene operativa il 29 maggio 1915 con il trasferimento a Pozzuolo del Friuli in vista della 1^ Battaglia dell’Isonzo (23 giugno – 7 luglio 1915). L’ordine di scioglimento della Squadriglia è datato 25 giugno 1915, anche se il Reparto verrà sciolto il 1° agosto successivo dopo aver compiuto ben 38 missioni di guerra e due bombardamenti. La 13^ Squadriglia viene ricostituita in data 2 marzo 1916 a Taranto come 13^ Squadriglia da Ricognizione e Combattimento per l’Albania: il nuovo comandante è il Capitano Pilota Leopoldo DE RADA. E’ il 3 marzo 1916 quando la Squadriglia si imbarca per Valona in Albania installandosi al Campo di Saline. Viene assegnata al XVI° Corpo d’Armata in tale Territorio d’Oltre Mare, spostandosi poi su un nuovo campo più praticabile iniziando i voli di guerra il 17 marzo successivo. Il Sottotenente di Vascello Lionello Caffaratti viene proprio assegnato a questa Squadriglia partecipando il 1° aprile 1916 all’aerosbarco di Punta Samana effettuato con due Macchi Lohner uno dei quali pilotati proprio dall’Eroe Polesano; l’azione porta alla distruzione di installazioni nemiche e depositi di carbone. Alla missione partecipano il Tenente di Vascello Giovanni ROBERTI di Castelvetro, i Capitani DE RADA e PESCI nonché due motoristi. A proposito di quest’azione, Caffaratti sarà citato da Lino Piazza nella sua “Storia Aeronautica d’Italia” del 1934; l’azione è definita “arditissima, temeraria quasi”. Infatti, in quest’occasione partì da Brindisi e lasciati gli idrovolanti antistanti la darsena nemica scese a terra; con altri tre Ufficiali raggiunse la stazione locale marittima Austro-Ungarica ed appiccò il fuoco ai deposi78
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STORIE
SEBASTIANO “Nino” BEDENDO
1° settembre 1916 su aerei Farman, mentre il 7 ottobre viene assegnato alla 48^ Squadriglia di stanza presso San Pietro al Campo (Belluno), la sola assegnata alla IV^ Armata. Tale Squadriglia, equipaggiata con ricognitori monomotori Caudron G. 3 e bimotori G. 4, era comandata dal Capitano Felice PORRO che durante la Seconda Guerra Mondiale fu Comandante delle Forze Aeree in Africa Settentrionale. In questa Squadriglia militò anche Natale PALLI, asso dell’Aviazione da Ricognizione e che fu pilota di Gabriele D’Annunzio durante il volo su Vienna il 9 agosto 1918, ed Aldo FINZIche nel 1923 divenne Vice Commissario per l’Aviazione: la sua vita troverà fine gloriosa come martire alle Fosse Ardeatine nel 1944. Il 30 novembre 1916 Bedendo viene nominato Tenente e nel dicembre 1916 è assegnato alla 42^ Squadriglia impiegata nell’osservazione per l’Artiglieria e basata a Gonars, zona del fronte meridionale dell’Isonzo. Nel 1917 a febbraio compie due missioni in una delle quali il suo aereo è colpito dal fuoco nemico e gli shrapnel ne danneggiano le ali e la fusoliera. Solo il 22 giugno 1917 svolge un’altra missione di volo, una ricognizione fotografica su Gradiscutta, seguita da un lancio di ma-
Sebastiano “Nino” Bedendo nasce a Rovigo il 18 luglio 1895 da Mariano Bedendo e da Beivey Pierina Schiappadini. Viene chiamato alle armi presso l’8° Reggimento da Artiglieria da Campagna il 1° giugno 1915 in Verona, qui giungendo il 13 giugno. Presterà giuramento di fedeltà alla Patria il 20 luglio 1915 a San Nicolò di Lido. Sottotenente di Milizia Territoriale nell’Arma dell’Artiglieria con nomina il 4 luglio, viene trasferito al 5° Reggimento Artiglieria da Fortezza e Costa, Reparto nel quale giunge il 19 luglio 1915. Da sempre affascinato dal volo aereo, l’8 settembre 1915 lo troviamo presso la 7^ Sezione Aerostatica da Fortezza in qualità di Osservatore sul fronte a mare della Piazza Marittima di Venezia: ma ciò non gli basta ed il 6 aprile 1916 viene comandato nell’incarico presso il Battaglione Scuole Aviatori dove qui il 20 aprile ebbe la sua prima lezione di volo. Consegue il brevetto di volo in data 1° luglio 1916 quale pilota di Caudron con molta probabilità al Campo di Mirafiori di Torino. Qui il 26 agosto si addestrerà sul bimotore da ricognizione Caudron G. 4. A Busto Arsizio riceve il brevetto di 2° grado come pilota militare in data 80
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Comandante Supremo Austriaco, Feldmaresciallo Franz Conrad von Hoentzerdof. Bedendo con la 71^ verrà a duello aereo con le FliegerKompanie della Luftfahrtruppe basate in Trentino. Il 12 gennaio 1918 Bedendo svolge la sua prima azione di guerra con una missione di scorta ai Caproni che si concluse per lui con un atterraggio forzato presso Bassano del Grappa per il motore in panne. Il primo combattimento aereo Bedendo lo sostiene il 29 gennaio 1918 sulla Val Gamarara e la Val di Brenta, scontrandosi con 2 aerei nemici contro i quali spara diverse raffiche. Vola in una seconda missione di scorta il giorno dopo ed il 31 gennaio terminando questo volo con un atterraggio forzato sul campo di Villaverla. Nella quinta missione assegnatagli il 19 marzo, mentre è di scorta ad uno Spad dotato di macchina fotografica ed uno SVA, ai comandi del suo Spad 7 Bedendo ha un breve duello alle ore 11,10 con un caccia nemico Albatros D III che vede allontanarsi in picchiata verso le proprie linee: aereo probabilmente abbattuto ma che l’Eroe Polesano non rivendicò mai. In verità Bedendo era andato a disturbare un’ispezione che l’Imperatore d’Austria Carlo stava effettuando proprio sull’Aeroporto di Pergine Val Sugana alla Flik 55/J e ad altri Reparti ed il velivolo
nifestini il 10 luglio e da tre missioni di bombardamento il 19, 21 e 23 agosto 1917, durante l’Undicesima Battaglia dell’Isonzo, nota alla storia come Battaglia della Bainsizza (per gli Storici Sloveni chiamata “Bate Banisca Planota”). Nell’autunno del 1917 consegue il brevetto di pilota sul Nieuport alla Scuola di Volo della Malpensa, mentre il 1° novembre 1917 viene assegnato alla 70^ Squadriglia Nieuport ed il 17 dello stesso mese trasferito, invece, alla 72^ Squadriglia con sede a Castenedolo per la protezione di Brescia. Ma la sua prima missione di caccia effettuata avviene con un volo di scorta ad un ricognitore SP il 27 novembre 1917, missione della durata di 2 ore e 22 minuti: Caporetto era ormai alle spalle ed il fronte ormai arretrato fino al Grappa ed al Piave. Le sue missioni di guerra sono scarse in questo periodo, anche per il cattivo tempo sul fronte settentrionale: due voli di scorta a dei SAML il 26 e 27 dicembre, a bordo del suo Hanriot, chiudono il totale dei suoi voli nel 1917. Il 1918 si apre con Bedendo che il 4 gennaio passa alla Sezione Hanriot dell’82^ Squadriglia assegnata a sua volta alla 71^ Squadriglia con sede a Sovizzo presso Vicenza: Squadriglia duramente impegnata sull’Altipiano di Asiago, area in cui operava il 81
STORIE
con cui si era imbattuto stava proteggendo il campo austriaco da intrusi. Dal marzo al giugno 1918 Bedendo compie un totale di 38 missioni di guerra, quasi tutte di scorta ai SAML ed ai Caproni; il 7 giugno durante un volo su allarme accanto ad un Sopwith “Camel” inglese incontra due aerei nemici costringendone uno alla fuga verso Folgaria. Nella prima settimana di luglio Bedendo effettuerà sette voli di crociera tornando poi a volare il 24 luglio dopo una settimana di licenza. Luglio 1918 è il mese in cui Sebastiano Bedendo vede finalmente coronare il suo sogno: abbattere aerei nemici.
ca e nel 1934 viene assegnato all’Ufficio Sorveglianza Tecnica presso l’Aeronautica d’Italia della FIAT a Torino Mirafiori. Fu primatista di diversi concorsi aerei di velocità. La morte lo coglie il 24 agosto 1935 durante un collaudo aereo del Nuvoli N-5 Cab, quadriposto con cabina chiusa ed ali ripiegabili, che precipitò a Spinosa di Ottiglio (Alessandria) in Piemonte. Alla moglie Silvia Maria Marani saranno corrisposte 7.250 £. del tempo quale indennizzo privilegiato aeronautico per la morte dell’Eroe Sebastiano Bedendo la cui salma riposa nei pressi dell’Ossario Militare di Rovigo in una sarcofago che meriterebbe di essere restaurato per meglio onorarne le spoglie.
Qui di seguito il suo palmarès: • tarda mattinata del 29 luglio 1918 fra Monte Spitz e Tonezza del Cimone scorge due caccia nemici che stanno attaccando un Pomicio PE della 136^ Squadriglia. Abbatte un Albatros D III nemico che cade in fiamme in Val Terragnolo; • 30 luglio, mentre è in volo di crociera sull’Altipiano di Asiago e sulla Val Lagarina s imbatte in 4 caccia nemici: da circa 100 metri spara una doppia raffica che abbatte un aereo che precipita sul Monte Cadria. Sfugge agli altri tre caccia gettandosi a vite; • 31 luglio: vola di scorta su Rovereto ad un Pomicio e scorge un caccia nemico sparandogli 70 colpi da una distanza di 200 metri prima che l’arma si inceppasse. Dopo una seconda raffica e con l’aiuto del capo formazione Capitano Breglia ha la meglio ed il caccia cade in verticale a nord di Calliano; • 6 agosto: Bedendo, di pattuglia con il sergente Giampietro Vecco, scorge due aerei nemici, un caccia ed un biposto nel cielo di Tonezza. I due piloti ingaggiano combattimento con il biposto che si allontanava in rapida picchiata verso Lastebasse mentre il caccia cadeva verticalmente emettendo una lunga scia di fumo giallastro. • 10 agosto: affronta nuovamente il nemico.Vola di scorta ad un Savoia Pomicio SP. 3 nella zona fra Pasubio e Val Terragnolo incontrando 5 caccia nemici. Affronta l’avversario e ne abbatte uno e torna alla base con fori nell’ala superiore e nei montanti. L’aereo abbattuto apparteneva alla Flik 3/J.
ALESSANDRO BORGATO Nasce a Verona il 24 maggio 1896 da Lorenzo Borgato e da Elena Cattarinetti ed a 18 anni, l’11 dicembre 1914, a guerra già scoppiata sul Fronte Occidentale, è volontario nel Battaglione Specialisti del Genio. Il 16 gennaio 1915 è assegnato al Battaglione Dirigibilisti dove il 29 luglio 1915 viene promosso Caporale nel Battaglione Scuole Aviatori. Il 1° agosto 1915 riceve il brevetto di pilota d’aereo su apparecchio Farman ed assegnato alla 12^ Squadriglia inquadrata nella 1^ Armata che opera sull’Altipiano di Asiago: su questo fronte Alessandro Borgato concorre a neutralizzare i più veloci aerei nemici. Comandante di Squadriglia è il Capitano Ferdinando DE MASELLIS. Il 20 settembre 1915 un aereo di questa Unità effettua un volo su Trento ed il pilota Ermanno BELTRAMO ha un passeggero speciale, Gabriele D’ANNUNZIO che lancia messaggi sulla città irredenta: Borgato farà proprio quel giorno conoscenza con il Vate. Il 14 novembre 1915 si salva pur perdendo l’aereo per un guasto al motore del suo Farman 548: insieme a lui c’era l’osservatore STEFANI; il giorno dopo, 15 novembre, consegue il brevetto di pilota militare. Il 1° gennaio 1916 la Squadriglia è di base a Villaverla. Brucia la tappe della carriera militare diventando Sergente il 31 gennaio 1916, passando poi in assegnazione, per breve tempo, alla 24^ Squadriglia presso il Campo di Pordenone ed infine destinato al Campo per la scuola dei Mitraglieri a Mirafiori il 31 agosto 1916. E’ poi assegnato alla 39^ Squadriglia che diventerà operativa su S.P. 2 al Campo di Arcade nel gennaio 1917 in Provincia di Treviso: infatti, alla data dell’11 aprile 1917 iniziano i voli di guerra della 39^ Squadriglia che annovera i migliori piloti fra i quali il Comandante Luigi RIZZO ed il Tenente Vincenzo MAGLIOCCO che diventerà Generale e morirà in Etiopia nel 1936. nel massacro di Lekempti. Agli inizi di maggio 1917 la Squadriglia è equipaggiata anche con S.P. 3 con Comandante Luigi RIZZO e fra i numerosi piloti scelti vi è anche Borgato. Il 5 maggio
Anche il 22 agosto Bedendo sostiene un altro combattimento, di nuovo nel corso di una scorta ad un ricognitore Pomilio. Incontra due caccia nemici ingaggiando un duello con loro sparando 150 colpi e vedendone uno cadere verso Noviglio mentre emette una lunga scia di fumo; ma questa vittoria non gli verrà accreditata. La sua ultima missione di guerra avviene il 2 novembre 1918 ad armistizio imminente. Bedendo si guadagnò una medaglia d’argento e una di bronzo al valor militare. Nel 1930 è promosso al grado di Maggiore dell’Aeronauti82
STORIE
la 39^ passa dal I° al V° Gruppo, assegnata alla 3^ Armata per il servizio di artiglieria di Corpo d’Armata e prende parte all’azione su Castagnevizza durante la 10^ Battaglia dell’Isonzo che vede le Truppe Italiane tentare di sfondare nel Settore compreso fra il San Gabriele – Santa Caterina fino al Vodice e nel settore delle gobbe del Fajti. Borgato parteciperà anche a voli sull’Altopiano della Bainsizza durante le fasi dell’11^ Battaglia dell’Isonzo (18 agosto – 12 settembre 1917): nelle fasi di questa offensiva vengono abbattuti dall’asso Brumowski sopra Goriansko il Tenente Pilota Teodoro LACAVA ed il Tenente Osservatore Cesare POCCIANTI. Nel frattempo Alessandro Borgato riceve la Medaglia di Bronzo al Valor Militare. Tale riconoscimento gli venne assegnato perché aveva inseguito un apparecchio nemico che, seppur più veloce, non gli aveva impedito di affrontarlo: nello scontro con l’avversario il suo aereo ebbe la peggio, oscillò pericolosamente con il motore spento ed i comandi gravemente danneggiati, atterrando a stento a Rosà (Vicenza). Il 3 maggio 1917 è trasferito al Campo Scuola della Malpensa per istruzione sui Nieuport; il 3 luglio successivo passa alla 77^ Squadriglia che è di base ad Aiello e poi alla 78^ Squadriglia caccia il 21 settembre 1917: questa gloriosa Squadriglia era stata impegnata sull’Altipiano di Asiago durante l’epopea della Battaglia dell’Ortigara (10 – 29 giugno 1917) operando su Monte Zebio, Val d’Assa, Borgo Val Sugana, Marcesina, Forte Luserna. Al 1° gennaio 1918 l’Unità ha al comando il Capitano ZOBOLI e fra i piloti anche il sergente Alessandro Borgato ed il sergente Gino ALLEGRI. Quest’ultimo, il cui vero nome è Gerolamo Allegri, lascerà il reparto per poi partecipare con D’Annunzio al volo su Vienna (9 agosto 1918). 13 aprile 1918: la Battaglia d’Arresto sul Piave e sul Grappa è cosa fatta; ma è anche tempo di rispolverare la vecchia punizione che si abbatte come un macigno su Borgato che si vede esonerato dalla carica di pilota d’aeroplano ed assegnato alla 45^ Compagnia Zappatori impiegata al servizio del 1° Reggimento Genio. A fine guerra, però, Alessandro Borgato risulta aver abbattuto un aereo nemico ed entra nel novero dei piloti accreditati di una vittoria aerea ottenuta fra il 10 luglio ed il 31 ottobre 1917 e dal 1° gennaio al 30 aprile 1918: lo stato di servizio, purtroppo, non è così preciso in tal senso. Quasi 10 anni dopo Borgato viene richiamato in aeronautica e precisamente presso la Scuola Aerea di Sesto San Giovanni il 28 marzo 1927, mentre il 28 aprile 1927 sarà assegnato al 15° Gruppo Aerei da Ricognizione. Lo troviamo SottoTenente di Complemento nel 27° Fanteria PAVIA il 19 aprile 1934 e poi iscritto definitivamente nell’Arma Aeronautica in data 6 settembre 1934. Nominato Tenente il 7 ottobre 1937, viene richiamato per mobilitazione il 24 agosto 1939 al Centro di Mobilitazione Graduale di Padova e desti-
nato a Bologna. Il 22 maggio 1940 è definitivamente richiamato alle armi e giunge al Deposito Aeronautica di Verona. Farà la Seconda Guerra Mondiale come Capitano terminando la propria carriera in data 25 ottobre 1942. Muore sotto bombardamento aereo alleato il 23 febbraio 1945 a Rovigo.
Mario Doria Mario Doria nasce ad Ariano Polesine il 23 febbraio 1892, figlio di Alessandro e di Ginevra Marangoni. Ha 23 anni quando sopraggiunge la conflagrazione europea e lavora presso la Fabbrica d’Armi Tampini di Brescia. Doria pertanto, potrebbe usufruire dell’esonero concesso agli operai dalle regole della mobilitazione generale, ma il suo spirito guerriero lo spinge a rifiutare l’esonero e ad arruolarsi volontario. Il 18 maggio 1915 viene richiamato alle armi per la mobilitazione generale. Giunge a Monza, alla 1° compagnia automobilisti il 20 maggio e viene destinato alle armi per la mobilitazione dichiarata con Regio Decreto del 22 maggio. Passa nella 2° compagnia automobilisti di Monza giungendo in territorio dichiarato stato di guerra il 1 giugno facente parte del drappello auto-moticiclisti della Divisione Speciale Moncalieri comandata dal Generale Tassoni. Presta servizio dal 20 gennaio 1916 nel 1° Reggimento Genio in osservanza alla circolare 1109 dello Stato Supremo e ivi resta fino 2 giugno 1916 quando viene trasferito al Battaglione Aviatori in qualità di allievo pilota. Verrà nominato pilota con determinazione n. 21653 (brevetto superiore n. 113) il 14 dicembre 1916. In data 15 dicembre 1916, Doria passa in forze alla I sezione della 113° Squadriglia aggregato alla III Squadriglia di stanza a Campoformido. La 113° squadriglia comandata dal capitano pilota Mario Van Axel Castelli è composta di due sezioni equipaggiate di SAml S. 1 di costruzione Fratelli Frattini, denominati “Condor”. In questa sezione Doria prese parte, insieme all’osservatore tenente Bertolotti di Bologna a tutte le azioni di guerra della Squadriglia fino all’offensiva del Marzo Aprile 1917. Fu poi trasferito con tutta la squadriglia al campo di Gavazzo Carnico, prendendo parte a tutte le azioni dal Timavo all’alto Isonzo. Nell’agosto dello stesso anno, dopo essere stato promosso sergente, veniva di rinforzo inviato alla 114° Squadriglia che doveva prendere parte all’offensiva dell’Hermada e, nel corso del 1 settembre 1917 rimaneva ferito in combattimento al pari dell’osservatore tenente Gionni, effettivo alla 114. venne ricoverato all’ospedaletto da campo n. 127 dal quale fuggiva il 4 settembre per raggiungere la Squadriglia scarsa di piloti. Lo stesso giorno ingaggiava battaglia a tre apparecchi nemici nel cielo di Ternova, riusciva ad abbatterne uno ma poi veniva ferito alla testa da una pallottola che 84
STORIE REM
gli aveva attraversato il casco, insieme all’osservatore, il tenente dei mitraglieri Mangano, che veniva dato per morto (in realtà morirà in un incidente di volo a Mirafiori nel 1920). L’aereo di Doria e Mangano viene colpito al motore e al radiatore ed è costretto ad atterrare al campo di Medeol. Si guadagnò diverse proposte a medaglia.
Grappa al comando del cap. Paroli. Venne proposto per una nuova decorazione in virtù dell’abbattimento di un velivolo avversario, avvenuto a Nord del Monte Grappa. Il 27 marzo, per ordine del corpo d’Armata, la squadriglia traslocava al campo di Cedole, per riorganizzarsi. Nei primi di maggio, unito ad altri 4 apparecchi della 113 comandata dal tenente Monzardo, veniva inviato di rinforzo alla 39 sq. Al campo di cascina Malcontento, comandata dal capitano Pinna che lo proponeva per una medaglia d’argento al valore militare per azioni durante l’offensiva del maggio-giugno. Nel successivo luglio la 113 si trasferiva al Campo di Cividato Camuno in val camonica per supportare l’offensiva del Tonale, prendendo parte a tutte le azioni e a diversi combattimenti aerei. Verso la metà del settembre, su proposta del comandante la squadriglia, Doria veniva avvicendato perché esaurito dalla lunga attività di volo e inviato alla direzione tecnica di Milano.
«Il sergente Doria Mario di Alessandro della classe 1892, pilota aviatore ha avuto una medaglia d’argento con la seguente bella motivazione: ardito pilota il I settembre 1917, scortando un altro apparecchio attaccava decisamente un velivolo nemico. Rimasto ferito l’osservatore ed egli stesso leggermente colpito, desisteva dal combattimento solo dopo aver assolto il proprio mandato. Il 4 settembre successivo obbligava un altro veicolo ad atterrare, e benché ferito alla testa ed il sangue gli colasse sugli occhi, riportava il suo apparecchio nelle nostre linee. Cielo di Voisca e di Ternova il 1 e 4 settembre 1917». Pare che i compagni di Doria alla 39° Squadriglia della 3° Armata comandata dal colonnello Pinna, ovveri i tenenti Monzario e Lordi e i sergenti Ceredi e Cantù avessero ricevuto decorazioni spettanti per il numero delle ricognizioni effettuate. Ma ancora nel 1929 Doria non aveva avuto gli stessi riconoscimenti. È lo stesso colonnello Pinna, però, a certificare l’ardimento del pilota polesano:
Modesto Moratto Modesto Moratto nacque a Porto Tolle il 9 dicembre 1893, figlio di Domenico e di Cherubina Rossi. Venne arruolato di leva nel compartimento marittimo di Chioggia per la ferma di tre anni nel 1913, fu classificato prima marinaio e poi allievo fuochista per divenire fuochista nell’aprile del 1915 e fuochista scelto nel 1916. diventa poi allievo pilota con determinazione del comando generale dell’aeronautica il 6 luglio 1918. Le sue qualità di pilota, che non fecero in tempo a essere testate nel corso della Grande Guerra, verranno evidenziate nel corso della seconda guerra mondiale quando partecipò alla guerra nel fronte dei Balcani dal 18.11.1942 fino all’08.09.1943 e si guadagnò una croce al merito di Guerra.
«Proposi l’allora sergente Doria Mario per una ricompensa al valore militare, non per una singola azione, ma per il complesso dei voli fatti in quel fortunoso periodo – la proposta come sempre fu inoltrata al Comando Superiore che era allora il Comando Aeronautica 3° Armata, tramite il 5° Gruppo Aeroplani». La medaglia effettivamente arrivò. Dopo la convalescenza e la licenza premio, il sergente Doria rientrò alla 113 squadriglia a Gavazzo Carnico, prese parte a tutte le azioni sino alla ritirata italiana, durante la quale, pur se già accerchiato dal nemico, riusciva a fuggire portando in salvo al campo di Aviano l’apparecchio e il capo del motorista sergente Varagnolo. Venne, per questa meritoria azione, proposto per una nuova medaglia al valore militare dal comandante di squadriglia capitano Paroli, che però, nel 1929 non aveva ancora ottenuto. Alcuni giorni più tardi, veniva trasferito con i resti della 113 squadriglia al campo di Bassano Veneto. Da qui, in unione con gli apparecchi della 115 comandata dal capitano Sella, prendeva parte a tutte le azioni difensive insieme ai piloti sergenti Cerutti, Marziale, Reali e Imolesi. Passò poi alle dirette dipendenze del Comandante di Gruppo Maggiore Zanuso, al campo di Casoni sotto il Monte
Alessandro Coronaro Alessandro Coronaro, fiorentino di nascita ma rodigino d’adozione, nacque nel capoluogo toscano il 19 marzo del 1895 figlio di Riccardo e di Alessandra Gacomini. Chiamato alle armi nel dicembre del 1915 nel 2° reggimento zappatori di Bologna, fu poi trasferito nel marzo del 1916 in un battaglione aerostieri, dove si distinse in opera di osservazione e rilievo fotografico dall’alto.
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ABBONATI A Cos’è REM REM nasce perché siamo convinti ci sia uno spazio da occupare nella nostra provincia: è comune, infatti, l’idea che il Polesine sia una terra non molto vivace dal punto di vista culturale. Noi non lo crediamo e vorremmo che le nostre pagine potessero raccontare una realtà diversa rispetto a questa idea diffusa. REM vorrebbe mettere insieme tutte le energie culturali di questa terra e fare loro da volano, contribuendo a diffondere un’immagine diversa dello spessore culturale della provincia di Rovigo. La rivista è divisa in sezioni, ciascuna delle quali affronta uno dei vari aspetti della vita culturale della nostra provincia. Abbiamo definito le sezioni con nomi semplici, che rinviano con chiarezza ai contenuti che si vogliono trattare: Attualità, Luoghi, Parole, Suoni, Palcoscenico, Colori, Immagini, Personaggi, Storie, Passato Remoto, Sapori e Saperi, Istituzioni. La sezione finale è dedicata alla descrizione sintetica di tesi di laurea dedicate al territorio che la redazione riterrà particolarmente interessanti e potenzialmente utili.
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PASSATO REMOTO
Le indagini geomorfologiche e i riscontri offerti dalle foto aeree hanno permesso di ricostruire fasi salienti della storia del Po a partire dagli ultimi quattromila anni.
Il Polesine al tempo di Ulisse Genti e ambienti nell’età del Bronzo Raffaele Peretto
I
mmaginiamo di andare a ritroso nel tempo, di portarci indietro di oltre tremila anni, all’ incirca ai tempi della guerra di Troia e dei mitici eroi Achille e Ulisse descritti da Omero. Immaginiamo di poter sorvolare a bassa quota le ultime terre della pianura del Po, percorrendo il tratto finale del grande fiume. Il panorama che si presenterebbe ai nostri occhi da un virtuale deltaplano sarebbe ben diverso da quello attuale. Ci apparirebbe, infatti, un articolato paesaggio di boschi a querce, olmi, frassini, sfumanti in ampie radure; di aree palustri a canneto e stagni, ravvivati d’estate dal bianco delle ninfee e dal giallo dei limnantemi; di fasce serpeggianti di salici e ontani lungo gli argini dei corsi d’ acqua. Prati adibiti a pascolo, ridotti appezzamenti coltivati a cereali, sparsi villaggi mostrerebbero la presenza dell’ uomo. Questa verosimile immagine è suffragata dai risultati di studi interdisciplinari di carattere naturalistico, quali la geomorfologia, l’archeobotanica, la palinologia (esame dei pollini), l’ archeozoologia, che ormai arricchiscono sempre più la ricerca archeologica. Oggi il Polesine è terra sostanzialmente stretta tra Adige e Po. Sono confini imbrigliati da possenti argini artificiali che portano l’acqua a scorrere a quote più alte della campagna circostante, dove regolari reticoli di scoline mostrano i disegni delle più recenti bonifiche rivolte allo sfruttamento capillare del suolo agricolo, mantenendolo asciutto anche in quelle aree che morfologicamente sarebbero interessate da paludi. L’odierna immagine del territorio è il risultato di una lunga e complessa evoluzione idrografica, stabilizzatasi in epoca medievale e in seguito controllata e irrigidita dall’uomo, limitando alluvioni e rotte che in antico determinarono talvolta anche variazioni del corso. Le indagini geomorfologiche e i riscontri offerti dalle foto aeree hanno permesso di ricostruire fasi salienti della storia del Po a partire dagli ultimi quattromila anni, quando il grande fiume dall’ area mantovana distribuiva la copiose acque attraverso diramazioni, aprendo un apparato deltizio ben più complesso di quello attuale, esteso da Chioggia fino a Ravenna. Le sue periodiche 88
REM
Ricostruzione di una capanna dell’età del bronzo nell’antica Frattesina - Rovigo, Museo dei Grandi Fiumi (foto Alberto Bonatti) 89
PASSATO REMOTO
Veduta aerea di un’area insediativa di Frattesina (foto Raffaele Peretto)
variazioni idrografiche, con alterni periodi di attività e senescenza dei rami fluviali, unitamente alle vicende dell’ Adige e del Tartaro, hanno concorso a modificare la fisionomia dei paesaggi, cancellando o coprendo, con episodi di alluvionamento, precedenti tracce lasciate da eventi naturali e dall’ opera dell’ uomo. Per questi motivi, in Polesine si dispone, al momento, di testimonianze a partire dall’ età del Bronzo; altre più antiche risultano difficilmente identificabili, in quanto conservate in livelli stratigrafici profondi, non intaccati da interventi agricoli e da sterri. Nell’esaminare le fasi dell’ età del Bronzo, è il territorio di Castelnovo Bariano a conservare il primo villaggio accertato in area polesana. Si tratta dell’ insediamento palafitticolo di Canàr, databile all’ antica età
del Bronzo (circa tra 1940 e 1850 a.C.). Gli scavi hanno portato alla luce l’ impianto di centinaia di pali a sostegno di piattaforme lignee su cui poggiavano le capanne. L’ area, sotto l’ aspetto paleoambientale, si inquadra tra diramazioni scomparse del Tartaro e dell’ Adige, che delineavano la propaggine meridionale delle Valli Grandi Veronesi, dove al tempo si impostò tutta una serie di abitati collocati prevalentemente lungo fiumi e aree palustri. A questo ambito appartengono anche gli altri siti archeologici delle località di Marola (Bronzo medio-recente) e di Canova (Bronzo recente). L’ età del Bronzo media e recente negli ultimi anni è affiorata anche più ad oriente, come documentano il sito di Precona presso Castelguglielmo, per il quale si dispone solo di 90
materiale raccolto in superficie, ed in particolare quelli indagati nelle località di Zanforlina di Pontecchio e Larda di Gavello. Sono località queste ultime due che attestano le più antiche e orientali presenze insediative finora indagate nella bassa pianura veneto-emiliana che si inquadrano nel pieno contesto paleoambientale delle diramazioni deltizie padane. Per Zanforlina, pur nei limiti delle indagini condotte nel 2002, risulta certa l’ importanza della scoperta che porta ad inquadrare il sito alle prime fasi del Bronzo medio, in un arco di tempo compreso tra XVII e XVI sec. a.C. Particolarmente significativa risulta essere anche l’ area indagata nel territorio di Gavello tra le località Colombina e Larda, dove già le raccolte di superficie mostravano affioramenti sparsi di testimonianze legate all’ età del Bronzo
BANCADRIA
Un “portale ambientale” per il territorio del Delta del Po: una nuova politica del credito Giovanni Vianello Presidente Bancadria
Comunicazione istituzionale
S
piegare con poche parole le ragioni del nostro impegno come banca delle comunità di questo fragile territorio, unico e non riproducibile qual è il territorio del Delta del Po, non è facile; per certi aspetti, potrebbe essere anche rischioso. Ma la voglia, il desiderio di rendere partecipi di cosa attiene alle scelte di Bancadria-Credito Cooperativo del Delta ed alle azioni che ne conseguono è tale da accettare senza esitazioni l’invito dell’Editore. Eviterò volutamente di trattare del ruolo e dell’importanza che le banche di Credito Cooperativo hanno assunto nel tempo e, ugualmente, non andrò a recuperare elementi nella storia ultra centenaria delle due banche che, con la loro fusione avvenuta a dicembre 2008, hanno dato origine a Bancadria. Nell’an-
no 2006, in occasione dei festeggiamenti per il 110° anniversario della fondazione della allora BCC “Santa Maria Assunta”, ci siamo chiesti, criticamente, se fossero ancora valide le ragioni ed i motivi che hanno portato alla formazione delle nostre cooperative, se trovavano ancora credito concetti quali mutualità, sussidiarietà, valore della persona umana. Ebbene, riscontrammo allora, con piacere, che i principi e le ragioni che avevano ispirato e motivato la nascita di quelle che allora si chiamavano Casse Rurali, avevano mantenuto valenza ed attualità. Non solo. Il mutato contesto storico, economico e sociale del nostro territorio aveva portato alla valorizzazione di ulteriori nuovi valori dai quali, oggi, non è più possibile prescindere. Bancadria si è quindi
data una nuova mission ed ha introdotto nei suoi processi operativi e di governo due degli elementi più significativi che qualificano la responsabilità sociale d’impresa: l’etica e l’ambiente e, nel loro pieno rispetto, ha sviluppato prodotti e strumenti a supporto delle piccole e medie imprese, quelle che normalmente si rivolgono alla nostra banca e che costituiscono una parte significativa della sua compagine sociale. Ai valori dell’etica e dell’ambiente abbiamo aggiunto il criterio del “merito”. Bancadria ha completato nel 2009 un progetto originale, del tutto innovativo e nel suo genere unico: il “portale ambientale”, un contenitore di processi e di prodotti finalizzato a qualificare ed a premiare gli investimenti che potremmo definire virtuosi. Questo pro-
getto ha comportato la creazione dello strumento finanziario denominato “Finetic”. Bancadria non intende sostituirsi ai decisori nelle scelte economiche, eppure propone una nuova politica del credito, non più basata solo sui numeri, bensì cercando di salvaguardare i contenuti etici ed ambientali di ogni singolo investimento e, quindi, attuando un controllo sul feedback da ognuno di essi determinato. Investire tanto impegno e tante risorse in tempi di crisi non è facile, ma questo, pensiamo, è quello che deve fare chi crede nel futuro. Qualcuno ebbe a dire che “il futuro non dobbiamo interpretarlo, dobbiamo costruircelo”. Bancadria ha cominciato dall’ambiente, dal territorio e dalla sua difesa e valorizzazione.
PASSATO REMOTO
Ricostruzione di un’officina per la lavorazione della pasta di vetro - Rovigo, Museo dei Grandi Fiumi (foto Alberto Bonatti) 92
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PASSATO REMOTO
Ricostruzione di un rito funerario - Rovigo, Museo dei Grandi Fiumi (foto Alberto Bonatti)
recente (XIII sec.a.C.). Le indagini stratigrafiche, avviate nel 1998, mostrano una distribuzione insediativa piuttosto diffusa in relazione ad un nucleo principale arginato. Con l’ età del Bronzo finale (XII-IX sec.a.C.) vengono generalmente privilegiate le grandi arterie fluviali, in funzione di un nuovo assetto sociale ed economico, interessato anche agli scambi su lunga distanza. In questo ambito rilevanti sono le testimonianze insediative scoperte in Polesine, tra le quali emerge un centro egemone, quello di Frattesina. Lungo un attivo e marcato ramo padano, oggi scomparso, noto come Po di Adria, antichi villaggi sono stati accertati anche a Mariconda di Melara, a Trecenta, a Gognano, a Villamarzana, ad Arquà Polesine, a Campestrin di Grignano, a Saline di
San Martino di Venezze. Il notevole rilievo assunto dal complesso di Frattesina, considerato oggi uno dei maggiori crocevia della protostoria europea, è dovuto alla quantità di significative testimonianze recuperate da ricognizioni di superficie su buona parte dell’ esteso villaggio, alle diverse e prolungate campagne di scavo, agli studi e alla divulgazione scientifica di quanto raccolto attraverso la rivista Padusa del Centro Polesano di Studi Storici, Archeologici ed Etnografici, a cui va il merito della scoperta, avvenuta nel 1967, e delle prime ricerche. Il villaggio di Frattesina, presso Fratta Polesine, era distribuito in prossimità della sponda dell’antico ramo del Po, per una lunghezza di oltre un chilometro entro una superficie di circa venti ettari. La notevole estensione dell’ abitato, la sua potenza 94
stratigrafica, le sue due ricche necropoli a cremazione, scoperte a Fondo Zanotto e Narde, oltre alle numerose attività artigianali e commerciali registrate, confermano un’ alta densità di popolazione e un’ organizzazione sociale ed economica che richiedeva mansioni distinte e ben definite. Se a Frattesina la completa documentazione di lavorazione del bronzo, attestata da matrici, crogioli, lingotti, trova riscontri in attività di altri coevi villaggi, singolari risultano le documentazioni relative alla produzione di manufatti in avorio e in pasta vitrea (vetro opaco). La materia prima per la fusione del metallo giungeva dalle aree minerarie della Toscana, mentre per disporre di avorio si doveva far ricorso a regioni ben più lontane, legate al territorio deltizio padano da rotte mercantili. Le zanne d’ elefante potevano giungere dall’
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Africa Settentrionale, ma forse anche dalla Siria. Dall’ avorio segato e intagliato si ottenevano raffinati pettini, pregiate impugnature di coltelli, pendagli. Un altro aspetto rilevante è dato dalla presenza di attive officine che, al momento, attestano la prima “industria” del vetro in Europa. Sono ben documentati crogioli, scarti di lavorazione, numerosissime perline, molte di raffinata tipologia, con varietà di colori e qualità della pasta, presente anche in abbondanza di “pani” informi. Inoltre è stata avanzata l’ ipotesi che nello stesso villaggio si intagliassero perle d’ ambra da resine fossili provenienti dal Mar del Nord e dal Baltico in considerazione della presenza di una significativa gamma tipologica di perle, vaghi, pendagli. Se Frattesina non mostra, al momento, la certezza di questa attività, eccezionalmente la lavorazione in loco dell’ ambra ci viene dall’ altro vicino villaggio protostorico di Campestrin, presso Grignano Polesine, scoperto qualche anno fa e interessato da preliminari scavi archeologici negli anni 2008 e 2009. La ricca documentazione raccolta e la specializzazione della produzione confermano che buona parte dei materiali usciti dalle officine di Frattesina, fosse destinata all’ esportazione nell’ ambito di una fiorente attività commerciale lungo l’importante arteria fluviale che lambiva il villaggio. L’ antico ramo del Po rappresentava, infatti, la più naturale e facile possibilità di collegamento sia con la fascia costiera, per le rotte mercantili dell’ Adriatico, sia, attraverso l’ Adige, lungo la nota “via dell’ ambra”, comprovando traffici e relazioni con l’ area greca ed egea. Gli scavi, condotti sia nell’ abitato che nelle necropoli, hanno evidenziato due fasi insediative, intervallate da fenomeni alluvionali alla fine del X sec. a.C. In questa fase prende sviluppo il vicino abitato di Villamarzana, quale potenziamento di una rinnovata gestione politica territoriale. Sconvolgimenti idrografici determinano in breve la scomparsa dei villaggi mediopolesani e l’ eredità di Frattesina, qualche secolo dopo, sarà fatta propria da Adria. Scheda Dove rivivere l’età del Bronzo in Polesine Rovigo Museo dei Grandi Fiumi - Sezione Età del Bronzo Fratta Polesine Museo Archeologico Nazionale di Frattesina Castelnovo Bariano loc. San Pietro Polesine Museo Civico Archeologico - Sezione Canàr Melara Sede municipale Collezione archeologica di Mariconda 95
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PASSATO REMOTO
intervista a Giovanna Gambacurta Nuova direttrice del Museo Archeologico nazionale di Adria
Un patrimonio straordinario Monica Scarpari
“Tutte le realtà possono convivere se si intesse nel territorio una rete in cui le attività museali sono concordi” Non è molto tempo che lei ha assunto la direzione di questo museo; come ha trovato la situazione, quali linee intende perseguire, quali, se è il caso, accantonare. E riguardo a nuovi progetti? Ho avuto la fortuna di prendere il posto della dottoressa Bonomi, poco dopo che in questo museo erano stati eseguiti interventi di ampliamento e riallestimento, lavori che sono stati quasi completati; restano alcune cose da portare a termine: l’apparato didascalico illustrativo, l’allestimento della zona d’ingresso e d’accoglienza e l’apparato multimediale. Siamo quindi pronti ad iniziare attività di valorizzazione del museo, soprattutto in virtù di un allestimento particolare che lo renda un museo all’avanguardia. Le lacune che ci sono (e che forse continueranno ad esserci) sono lacune in parte dovute alla rigidità dell’Amministrazione da cui dipendiamo; siamo cioè un ente figlio dell’organismo della Soprinten-
Che genere di rapporti intende coltivare e/o instaurare con le istituzioni territoriali: la Provincia, il Comune, le Scuole, il Parco, ecc. ? Desidero instaurare e coltivare tutti i rapporti possibili. Nel senso che i rapporti di collaborazione tra que-
denza dei Beni Archeologici del Veneto che ha sede a Padova ed ha competenza regionale e che è, a sua volta, un organismo periferico del Ministero; così il Museo non ha una sua autonomia finanziaria, cosa che per lo sviluppo di certe iniziative è limitante.
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ste istituzioni dovrebbero intessersi come una rete a maglie fitte. Per mia fortuna, sono arrivata in una dimensione in cui la Provincia ha già una sua struttura portante significativa, che è il Sistema Museale Provinciale Polesine; il museo di Adria è inserito in questa realtà. Sottolineo che la provincia di Rovigo si è dimostrata precoce e all’avanguardia nel Veneto nell’ impostare la struttura di un sistema museale, una struttura che agisce con grande concretezza ed è improntata ad un collegamento tra le varie realtà e attività dei musei territoriali. Sono in buoni rapporti con il Comune e, per quanto riguarda le Scuole, ho cercato un legame con gli insegnanti attraverso i dirigenti scolastici, al fine di incrementare e creare nuovi progetti con i diversi istituti, anche a seconda delle specifiche esigenze. Sto coltivando contatti anche con l’Ente Parco, contatti che secondo me potrebbero essere imple-
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fare: capire quali sono i rapporti (anche di carattere gerarchico) tra i musei archeologici di tutto il Polesine. Questo museo dovrebbe diventare una guida per gli altri musei, deve cioè dettare le linee guida per le attività di valorizzazione, oltre a garantire la tutela e la conservazione dei materiali. Tutte le realtà possono convivere se si intesse nel territorio una rete in cui le attività museali sono concordi; ma in questa rete il capolinea devono restare i musei nazionali, quello di Adria insieme a quello di Fratta Polesine; questi infatti sono i musei specificamente preposti a fornire gli indirizzi della valorizzazione e della corretta gestione scientifica. Per quanto concerne il rapporto con i privati, questa per me è una nota un po’ dolente, dato che esiste una mia personale difficoltà, dovuta al poco tempo che (per motivi d’ufficio) io passo in questa sede; anche se sono già stata contattata da persone interessate al deposito di materiale presso questo museo, sono costretta, per motivi di tempo, a dare priorità a cose che corrono un maggior rischio di dispersione o distruzione. Riguardo alla possibilità di collocare all’esterno di questa struttura alcuni reperti archeologici, idea che è in sé assai positiva, questa va sostanziata scientificamente e concretamente. Bisogna vedere come e cosa, capire quali sono i sistemi di sicurezza, le garanzie di conser-
Statuetta di bronzo che raffigura Eracle cacciatore (fine VI-inizi V sec. a.C.)
mentati, in quanto una realtà archeologica non è mai disgiunta dalla realtà dello sviluppo geomorfologico di un ambiente, sono entità così collegate per cui il legame è doveroso, oltre che utile. Ho un legame molto proficuo con l’Azienda sanitaria, cosa che forse risulta inusuale, ma è comunque un legame territoriale. Come museo, abbiamo proposto il supporto sia tecnico-scientifico che l’offerta di materiali, attraverso il personale di un’associazione che si occupa di didattica archeologica che svolgerà attività didattica per la pediatria. Ci stiamo anche accordando perché l’Azienda ospedaliera
scelga la sala del museo come sala preferenziale per i loro convegni, dato che possiamo offrire un accogliente spazio utile in un contesto culturalmente prestigioso. Rimanendo nell’ambito dei rapporti esterni, sono previste collaborazioni con altri musei e collegamenti con collezioni di privati? E riguardo alla possibile esposizione di reperti archeologici in luoghi esterni al museo cosa ne pensa? Il tipo di rapporto con gli altri musei rientra un po’ nella nostra partecipazione al Sistema Museale Provinciale. Nella rete che stiamo istituendo questo è quello che si cerca di 97
vazione; tutte operazioni che si possono mettere in atto, ma non sono affatto di facile realizzazione e soprattutto non sono a costo zero. Inoltre, fattore da non sottovalutare, hanno anche bisogno sistematicamente di spese di mantenimento nel tempo. Cosa ne pensa della promozione di eventi nel giardino del museo, come ad esempio concerti, spettacoli, reading? Non le pare un buon modo per avvicinare la gente a questa struttura? Certo, e si potrebbe fare anche di più; del resto noi abbiamo già qualche iniziativa in programma. Il problema del giardino è un problema primario: è quello della sua manutenzione, che noi facciamo costantemente, ma ad un livello abbastanza minimale, in base alle nostre disponibilità finanziarie. Abbiamo avuto un taglio di fondi assolutamente spaventoso negli ultimi tre anni, il Ministero ha ridotto tutti i finanziamenti destinati alla manutenzione delle strutture, per cui abbiamo dovuto limitare le spese, cercando di istituire delle priorità. Offrire il giardino è una di quelle iniziative che ci trova favorevoli e disponibili, ma dovrebbe essere chi lo richiede a renderci atti all’accoglienza dandoci una mano, ad esempio per gli sfalci d’erba e cose simili. Per Adria la mostra dei Balkani è stata un evento. Crede sia ripetibile
PASSATO REMOTO Vaso configurato a forma di colomba in vetro blu (I sec. d.C.) – (Foto C. Mella).
un’esperienza di questo tipo o pensa che sia stata una specie di colpo di fortuna, un’ “occasione buona al momento giusto”, dato che c’era una sala libera appena rinnovata? L’iniziativa di “Balkani” è stata un colpo di fortuna, ma non si deve focalizzare tutto su iniziative dello stesso genere. Io credo che se non c’è un sostegno, un tessuto di microiniziative frequenti che formino il supporto del rapporto tra il museo e il territorio in cui si vive (oltre che il tessuto del rapporto tra il museo e i visitatori che vengono da fuori), la grande iniziativa che nasce come un fungo nel deserto sboccia e prospera ma, quando finisce, lascia il vuoto. La mostra “Balkani” ha coinciso con quel grande lavoro che è stata la ristrutturazione e l’allestimento del museo: si è trattato di una iniziativa nata in quella prospettiva. Ora è finito l’allestimento del museo, e non ci sono più stati eventi
uno dei più importanti patrimoni italiani. L’obiettivo di una corretta conoscenza e valorizzazione di un patrimonio si raggiunge solo con un lavoro che si pone su piani e livelli diversi; bisogna agire con le scuole, cioè cominciare ad educare i bambini, i ragazzi, per continuare poi con il pubblico adulto, portandolo al museo; inoltre bisogna fare informazione fuori dal museo. Insomma, bisogna muoversi in tante direzioni e soprattutto staccarsi da un’idea, ultimamente sottesa a tante realtà, che è quella di un’azione con ricaduta immediata. In ambito culturale gli esiti migliori e più radicati si ottengono a lunga scadenza.
a quel livello. Prima di farla arrivare, un’iniziativa del genere, bisogna creare il tessuto, i presupposti, costruirle un contesto. E’ stato dimostrato da indagini sull’andamento dei flussi museali che la grande iniziativa che porta grandi flussi è spesso seguita da un picco negativo. Bisogna mettere in atto una serie di piccole iniziative che costituiscano il terreno, atte a far capire che la grande iniziativa è un evento importante, ma che non è l’essenziale. La grande iniziativa ha senso, perciò, se si inserisce in un contesto e fa parte di un progetto culturale chiaro.
Come si può interessare il visitatore alla nostra città, detentrice di tale tesoro storico, escludendo, o non considerando la sola visita al museo? E’ una domanda alla quale si può rispondere in tanti modi. Vuole sapere cosa farei io? La prima cosa che mi viene in mente è che porterei il visitatore in una bella giornata di sole a sedere sull’argine del Canalbianco e poi proverei a raccontargli la storia del Po e dei suoi spostamenti nel tempo, del fatto che attraverso Adria passava un ramo del Po, di questo grande fiume che nell’antichità rappresentava un punto di incontro e di approdo. Proverei a fargli immaginare un panorama in cui non esisteva il delta e a ricostruire un ambiente
Secondo lei, come promuovere e far conoscere il nostro territorio e il patrimonio che contiene, dato che è un buon patrimonio, creando consapevolezza nella gente che lo vive e curiosità nel visitatore? La correggo: questo non è un buon patrimonio, è un patrimonio straordinario, 98
che è poi quello dei poemi omerici. Si potrebbe provare a trasmettere l’emozione dei navigatori antichi, che arrivavano dalla Grecia, attraversando un mare tempestoso e povero di punti di approdo nella parte meridionale, fino a questa grande insenatura, ricca di lagune e acque tranquille, dove trovavano possibilità di fermarsi e risalire lungo la corrente dei fiumi per esercitare i loro commerci. Io ero venuta ad Adria solo qualche volta di passaggio, ma ora che ho cominciato a girare per questi luoghi noto che forse chi ha sempre vissuto qui sottovaluta l’impatto visivo e soprattutto emotivo di questo ambiente; quindi, per me, il modo per spiegare la forza archeologica di questo luogo sta nell’ambiente stesso: portare una persona dove non ci sono tante case, dove si comincia a vedere che cosa poteva significare il fiume, cercando di ricostruire uno scenario. Se ci pensa, furono la conformazione del territorio, il tipo di collegamenti a cui poteva prestarsi, le sue risorse, tutto questo portò la gente a scegliere queste terre per un centro abitato che andasse verso il mare, che formasse un collegamento dinamico con tutto quello che c’era di prezioso e sconosciuto, oltre quel mare; è per il convergere di queste esigenze e di queste idee che ora Adria detiene un patrimonio archeologico di tale valore.
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libreria
In corso di pubblicazione: "Gli Annali Guarnieri" Introduzione, trascrizione e note di Giuseppe Pastega (Le Radici, n.12)
cartoleria
Daniela Zampirollo "Ti tengo d'occhio. Io e il signor Parkinson quattro anni dopo" (I libri di Daniela)
Aldo Rondina "La Croce Verde di Adria 1911-2011: un secolo di fraternitĂ laica" (Le Radici, n.13)
Luca Grandi e Anna Gobbi "Il Delta davvero. Itinerari del gusto nel Delta del Po Veneto" (Le guide)
Nicola Berti "Per conoscere Marino Marin, poeta di Adria e della terra polesana" (Le Radici, n.14)
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editore
SAPORI E SAPERI
Valliera la patria delle patate americane Paolo Rigoni
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nche il detto p o p o l a r e prende atto della bontà delle patate di Valliera, specializzatasi nel tempo in colture orticole che prosperavano in modo invidiabile sui fazzoletti sabbiosi complementari alle valli endolagunari. 1 A dire il vero, le patate avevano faticato a farsi accettare sulla tavola. Basti pensare che alla fine dell’Ottocento erano considerate, ma si trattava delle comuni, un alimento così vile da essere ritenuto adatto solo agli animali, accettato di malavoglia persino da chi chiedeva l’elemosina. Comunque, la patata si affermò come cibo di sussistenza e succedaneo della rapa, coltivata sui paleo-alvei e nelle aree più elevate, perciò di più consolidata emersione. Per venire alla specie dolce, la notissima patata americana, la sua importanza per la dieta quotidiana fu intuita proprio in Polesine: “Nel 1880, quando cominciavano ad appalesarsi i primi sintomi della crisi di mercato dei cereali, crisi particolarmente sentita nelle zone a vocazione cerealicola come le nostre, un illuminato imprenditore, il
conte Antonio Donà dalle Rose nelle sue tenute polesane di S. Martino di Venezze, bagnate dall’Adige, ebbe la brillante idea di iniziare la coltivazione a pieno campo della patata americana. Un modo per affrontare le difficoltà della globalizzazione di quei tempi. In pochi anni, affinata la tecnica produttiva, il dolce frutto dimostrò tutte le sue peculiarità. L’iniziativa ebbe successo, tanto che in breve la coltura dilagò per il Medio Polesine e per le “terre” a cavallo 100
del Fiume a cominciare da Anguillara Veneta e paesi rivieraschi.” 2 Diritti di primogenitura a parte, il favore incontrato fu tale che, nel 1882, la sua coltivazione era già diffusa ampiamente nei distretti di Adria ed Ariano, tale da indurne il commercio, così come riferisce Giacomo Bisinotto, estensore della relazione per l’Inchiesta Agraria: “Le principali piante tuberose che si coltivano sono: la patata dolce detta Americana (convolvolus batata), e il pomo di terra comune a tinta gialla e a tinta violacea. Della prima, della patata dolce, se ne fa abbastanza estesa coltura, ed alcuni vi dedicano sino ad un ettaro e più, e ciò specialmente nei terreni della prima zona.3 Il contadino è amatissimo di tal frutto, e lo mangia allesso senza alcun condimento. Se ne fa un bel consumo locale, ed una quantità, non però rilevante, viene esportata. Da un ettaro si possono ritrar mediamente quintali 50 ed il prezzo di vendita oscilla dalle lire 8 alle 16 per quintale”.4 Ottimo sostitutivo del pane, la patata americana è stata per molti anni
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pranzo e cena, merenda e colazione per i bambini che andavano a scuola: “Per colpa della patata che mi portavo nella saca, confessa Ginetto Ferro, rimasi ignorante! Agli esami la maestra mi interrogò sul libro di lettura. ‘Apri la tal pagina e leggi’, mi disse. Ma la pagina non c’era: ‘Mi manca la pagina, signora maestra!’ E così finii bocciato. La patata che mia mamma mi aveva preparato era finita in mezzo al sillabario ed io fui costretto a strappare le pagine per potermela mangiare. Che dovevo fare? Buttarla via? E così per colpa della patata americana rimasi vilàn inculto”. Gli fa eco l’ormai novantenne Amerigo Bellini: “Un giorno arrivò verso le tre del pomeriggio il padrone in timonèla ed io stavo gustandomi una patata calda che la mamma aveva arrostito sul focolare…, ne avevamo tante che tenevamo in camera sotto il letto o a cavallo della pertica, al sicuro. Il padrone si imbestialì. Voleva licenziare mio papà che era bovaio in corte perché stavo mangiando fuori orario… Ma la patata era mia, non era mica la sua!” Si mangiava, quindi, lessa o arrostita; integrava la farina di frumento nella panificazione; si faceva fritta come le attuali patatine. E ancora: non si è mai del tutto smesso di impiegarla, proprio per essere dolce, nella confezione degli gnocchi detti màneghi, conditi con burro, zucchero e cannella, consumati nelle feste d’autunno; si continua a preparare una pinza, pinza di 1 - Nei dintorni di Adria non è casuale la presenza di una località denominata Orticelli, proprio per la presenza degli orti che, nella disposizione urbanistica della città medievale, si trovavano nelle immediate adiacenze del centro abitato, funzionali alle Piazze delle Erbe. 2 - Corrispondenza di Orazio Cappellari, Rovigo, 2007
patate americane, che nel corso del tempo è andata a colmare il vuoto lasciato dai migliacci, diventando un dolce autonomo. Assai meno noti sono i fiadoni.5 Racconta una anziana “reggicitrice”, la rasdóra Luisa Rossi: “I fiadoni si mangiavano la vigilia di Natale o l’ultimo giorno di Carnevale. Semplici da fare! Sono tortelli con il ripieno di patate americane, mostarda, pane grattugiato, latte, uvetta, una fiala di rhum, una bustina di lievito ed un po’ di fior di farina. Poi magari ci si mette del miele… Una volta che ho lavorato l’impasto, faccio la sfoglia e avvolgo il ripieno conferendo al fiadone la forma rettangolare o triangolare. Poi li friggo. Quando cade il tempo, ne faccio sempre in abbondanza perché ho tanti nipoti di bocca buona. A casa mia li abbiamo sempre fatti e chiamati sempre fiadoni”. Semplici ed elementari nella fattura, ma di un sapore elegante e gentile, assicurano coloro che li hanno gustati, i fiadoni rivelano una storia lunga e tortuosa di adattamento all’ambiente che conferisce loro il crisma della “tipicità” perché, per dirla con Piero Camporesi, possono essere tipici soltanto piatti poveri, connaturati ed incarnati nell’ambiente, perciò combinati e combinabili in mille modi, e consumati in precise scadenze calendariali. Come i fiadoni, appunto. E’ vero che appartengono
3 - I terreni erano censiti secondo tre categorie, in relazione alla produttività del suolo. La prima zona assommava a “29.880 ettari, costituita dalle parti alte e medie dei due distretti, è formata dai comuni di Corbola, Adria, Bottrighe, Fasana, Pettorazza, Papozze, Loreo, e piccola parte dei comuni di Rosolina, Donada, Contarina, e Taglio di Po”, G. Bisinotto, Monografia Agraria
alla storia europea perché li troviamo un po’ ovunque, come torta, come tortelli ripieni di formaggio fresco, di pasta di mandorle, e di sapa e di tutto ciò che il territorio poteva offrire. Sono presenti altresì nella cucina rinascimentale, col nome dotto di ritortelli o ritortoli, notevolmente diversi dai nostri. Cristoforo Messisbugo, cuoco cinquecentesco alla corte estense nel suo “Libro novo”, li presenta in quattro modi: fiadoncelli de morolla, fiadoncelli d’altra sorte, fiatoni grandi d’uova e formaggio, fiadoni grandi di frumento, farro, o riso.6 E dove sta la tipicità polesana, allora? La singolarità dei fiadoni è costituita dal nome, documento evidente di un’origine lontana e popolare, e dalla presenza della patata americana, non documentata altrove. Poi come di solito avviene, quando subentrano nuove forme del gusto, gli arcaici fiadoni si sono sedimentati nella cucina povera, di resistenza, finendo per preservarsi soltanto nella memoria orale. E lì sono rimasti pronti a riapparire nelle date fondanti dell’anno.
dei Distretti di Adria ed Ariano in Polesine, Estr. dagli Atti della Giunta per l’Inchiesta Agraria, Vol. V, fasc. II, Roma, Forzani e C. Tipografi dl Senato, Roma, 1882, p. 16. 4 - IVI, p. 28 5 - Il termine deriva dal tardo latino “flado”, accusativo “fladonem”, favo di miele.
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6 - Cfr. Christofaro di Messisbugo, Libro novo nel qual s’insegna a far d’ogni sorte di vivande secondo le diversità de i tempi così di carne come di pesce, Forni, rist. anast, dell’edizione di Venezia del 1557, Bologna, 1982, ff. 49-50.
anticipazioni Nel prossimo numero della nostra rivista I PAESAGGI E LE ARCHEOLOGIE DEL POLESINE di Laura Mosca Il 25 marzo 2010, a Venezia, si è svolto il convegno “Infrastrutture culturali, paesaggi e archeologie del Polesine” organizzato dall’Unità di Ricerca Architettura e Archeologia Industriale dell’Università IUAV di Venezia. Il convegno ha presentato gli esiti della ricerca “Infrastrutture culturali del Veneto. Percorsi di terra e d’acqua nei paesaggi dell’archeologia”, finanziata dalla Regione del Veneto con fondi FSE e svolta presso l’Iuav dal marzo 2009 al marzo 2010 da Sandro Grispan e Andrea Petrecca (assegnisti), Francesca Zannovello (tutor) in collaborazione con partner esterni e sotto la responsabilità scientifica della prof.ssa Margherita Vanore. Al convegno hanno partecipato, con approfondimenti tematici, gli architetti Laura Mosca di Adria e Leonardo Murmora di Rovigo (componenti della stessa unità di ricerca). La ricerca ha indagato alcune potenzialità di valorizzazione del
Itinerari sorretti da reti dei percorsi antichi, intrecciati a quelli esistenti e in progetto, correlati alla necessità di riqualificazione di diverse archeologie, hanno riportato l’attenzione sul Polesine, un territorio innervato da vie navigabili, che ne hanno fortemente connotato la co-
territorio veneto, mettendo in evidenza come le infrastrutture possano dare accesso e veicolare la conoscenza del patrimonio culturale, se interpretate quali parti di una struttura che, componendo i paesaggi costruisce relazioni tra i suoi luoghi più significativi.
Università Iuav di Venezia
unità di ricerca architettura e archeologia industriale
infrA _ strutture culturAli Paesaggi e archeologie del Polesine
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struzione così come l’uso industriale ed agricolo. Qui le nuove infrastrutture previste (Nogara Mare, Valdastico Sud, Nuova Romea), potrebbero intercettare e riformulare il ruolo di un ampio patrimonio culturale per individuare adeguate strategie finalizzate a dare identità e qualità ai luoghi dell’abitare contemporaneo. Nello specifico, tra le diverse aree di approfondimento rientra anche parte del Comune di Adria e il tracciato dismesso della linea ferroviaria Adria-Ariano. Questo territorio assume infatti un ruolo strategico nei nuovi scenari di trasformazione infrastrutturale, sia rispetto ai programmi riferiti ai corridoi di lungo raggio Adige e Po, sia per gli aspetti ambientali e culturali correlati alle diverse archeologie dei paesaggi produttivi del Polesine. Gli esiti della ricerca sono in corso di pubblicazione, e saranno oggetto di approfondimento nel prossimo numero di questa rivista.
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SAPORI E SAPERI
Màneghi
di patate americane di Valliera Ricetta eseguita dallo chef Maurizio Fantinato presso la cucina didattica “lacucina” di gasparetto 1945 - Rovigo Matteo Peretto fotografie di Ludovico Guglielmo
preparazione: 45 minuti cottura: 5 minuti difficoltà: media
ingredienti per 6 persone: 600 g di patate americane 200 g di farina 100 g di zucchero 50 g di cannella 100 g di burro 100 g di grana padano sale 104
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Lessate le patate americane, passatele nello schiacciapatate e lasciatele raffreddare per facilitare l’operazione di amalgama. Versatele in un recipiente e aggiungete la farina, salate, mescolate con energia e formate dei bastoncelli del diametro di un dito che taglierete alla lunghezza di 4-5 cm. Portate a ebollizione l’acqua salata e immergete un po’ alla volta i màneghi così ottenuti. Non appena salgono in superficie toglieteli con una schiumarola. Confezionate in un pentolino uno sciroppo con poche gocce d’acqua e zucchero mescolando vigorosamente sulla fiamma. Fatevi fondere il burro, aggiungete la cannella e incorporate il tutto con i màneghi. Serviteli con una bella spolverata di grana padano grattugiato, che grazie al gusto leggermente piccante si combina perfettamente con il dolce dello zucchero e delle patate. I màneghi possono tuttavia essere conditi anche semplicemente con burro e salvia. Ricetta tratta dal libro: CUCINA POLESANA Ricette e racconti tra storia e memoria a cura di: MATTEO PERETTO e PAOLO RIGONI edizioni Terra Ferma
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TESI DI LAUREA
Nella sezione TESI DI LAUREA ospitiamo la sintesi di lavori di giovani studiosi che si sono occupati di personaggi e di storie del nostro territorio.
Adolfo Rossi Storia di un Polesano illustre Andrea Duò
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dolfo Rossi nacque a Lendinara (Rovigo) il 30 settembre 1857. Per la verità, nel 1857, Valdentro (la frazione nella quale nacque), era di pertinenza del comune di Fratta Polesine (RO) e solo in seguito all’unità d’Italia, la suddetta frazione fu annessa a Lendinara. Il padre Giuseppe, di estrazione piccolo-borghese, morì mentre Rossi frequentava il liceo, e questo corrispose alla sua interruzione degli studi e al suo impiego presso il locale ufficio postale. Il monotono trascorrere delle giornate, associato alla sua indole irrequieta e curiosa, lo spinsero, il 4 agosto 1879, a tentare la fortuna e a partire per il continente americano (all’insaputa della madre). Tocca il suolo americano il 28 agosto 1879, e per un periodo è costretto a vivere di espedienti. Nel settembre 1879 inizia a lavorare come rappresentante di vini, poi come apprendista presso una fabbrica di occhiali, per poi collaborare in una pensione per italiani. Lavori umili, che solo la sua determinazione gli permetteva di effettuare. Da gennaio a giugno1880 viene assunto presso una pasticceria, ma se ne va sbattendo la porta dopo un rimprovero ritenuto ingiusto. Riesce quindi nel giugno 1880 a trovare impiego come gelatiere presso il Metropolitan Concert Hall. Per passare il mese succes-
sivo in qualità di omnibus (aiuto cameriere) presso l’Hotel Brunswik di New York. Nel settembre 1880 trova impiego presso un conoscente della signora Howard Crosby come contabile, quest’ultima sarà colei che lo introdurrà nello studio profondo della lingua inglese. Il 6 dicembre 1880 assume la direzione del primo giornale di lingua italiana a New York “Il progresso italo-americano”; durante questo periodo cerca di alleviare le sofferenze di molti emigranti italiani che arrivano in America elargendo consigli, idee e denunciando soprusi a danno dei propri connazionali. Nel luglio 1881, allettato da alte promesse di guadagno, si fa ingaggiare come caposquadra e parte per le montagne rocciose del Colorado. Dopo essersi reso conto di essere 109
stato ingannato e che il posto di lavoro sulle montagne rocciose non esisteva, nell’estate 1881 lavora presso un ristorante di un piccolo paese di montagna, in qualità di tuttofare. Dopo questa esperienza inizia però a collaborare per il consolato italiano di Denver (Colorado). Riassunse la direzione del “Progresso italo-americano” alla fine del 1881 tenendola fino al 1884. Nel 1884 decide di tornare in Italia ed inizia a collaborare con diversi giornali, più precisamente con “Il Messaggero” e “La Tribuna” di Roma. Dal 1888 al 1890 vive e lavora a Parigi come giornalista corrispondente. Nel 1889 compie una inchiesta sulle condizioni sociali e sanitarie sulla popolazione del Polesine. Scrisse per conto della “Sera” di Milano e dal 1894 divenne inviato speciale del “Corriere della Sera” nonché redattore-capo dello stesso giornale. Inviato di guerra nel febbraio 1896 è espulso dall’Eritrea dal governatore gen. Oreste Barattieri, in quanto troppo critico verso la direzione delle operazioni militari nell’area. Per le sue capacità giornalistiche divenne vicedirettore dell’ “Adriatico” di Venezia, continuando la sua collaborazione con il “Morning Post” di New York. Molti i suoi articoli apparsi sul “Secolo XIX” di Genova. Memore della sua avventura di
TESI DI LAUREA
emigrante, nel 1901 entra a far parte del Commissariato dell’Emigrazione, e nel gennaio all’aprile 1902 compie, in parte in incognita, una missione in Brasile per lo studio delle condizioni di vita
degli emigranti italiani in quel paese. Vista la situazione dei veneti e degli italiani in Brasile (trattati poco meglio delle bestie) i risultati dei suoi rapporti saranno gli ispiratori del Decreto 22 marzo 110
1902 (Decreto Prinetti) per bloccare l’emigrazione degli italiani verso le coste brasiliane. Nel 1903 condusse un’inchiesta sulle condizioni degli immigrati italiani nel Transwaal (Sud-Africa)
TESI DI LAUREA REM
seguita, l’anno successivo, da una missione per la conoscenza delle condizioni degli emigranti italiani a New York, San Francisco e in vari stati americani. Nel giugno1905 compie la medesima missione a Buenos Aires poi a Rio de Janeiro e nello stesso anno torna a New York per costituire il primo ufficio di collocamento per gli italiani. Per i suoi meriti e le sue competenze maturate sul campo entrò a far parte dell’apparato diplomatico. Il Primo maggio 1906 inizia a far funzionare l’ufficio di collocamento al lavoro a New York e nel 1908 viene nominato console a Denver. Ricoprirà la stessa carica a Montreal (Canada) e a Rosario di Santa Fè (Argentina). Nel 1914 divenne capo della diplomazia italiana ad Asuncion (Paraguay), e nel 1919 assume la carica di Ministro Plenipotenziario (ambasciatore) a Buenos Aires (Argentina). Se si osservano le attività di Rossi sembra quasi impossibile che un uomo nel corso della sua vita abbia fatto tutte queste attività. Stiamo parlando di un uomo che partito dall’ufficio postale di Lendinara trattava con re, principi, ministri, editori, alti funzionari, ma che continuava tranquillamente a parlare e a discutere con operai, contadini e braccianti. Un uomo animato da una curiosità illimitata, capace di entrare nei fronti di guerra e di rischiare più volte la vita per tale motivo. Un uomo che prese le difese di Meucci per difenderlo dalla frode perpetrata da Edison e Bell. Ogni attimo della vita di Rossi sembra essere scandito da una irrequietezza interiore che non lo vede mai sufficientemente appagato di quello che aveva fatto o scritto fino ad allora. Spesso i suoi articoli, pur se già pubblicati, erano corretti o riformulati dal suo stesso autore, come se ancora non
fossero pronti o completi. Egli comunque, per la sua curiosità e la sua volontà di conoscere ed apprendere, paga sicuramente un prezzo estremamente elevato: la solitudine. Rossi era fondamentalmente solo; nei viaggi che compie non vi sono tracce di amici, fratelli o compa111
gni d’avventura. Alcune foto lo ritraggono con la famiglia, ma mai nessun riferimento ad una festa di compleanno in famiglia, ad un momento di serenità con la propria moglie o con i propri figli. Muore a Buenos Aires il 28 luglio 1921.
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OPERE PUBBLICATE Un Italiano in America Milano, Treves 1892. Da Napoli ad Amburgo Roma, Stabilimento tipografico della Tribuna 1893. Nel paese dei dollari Milano, Max Kantorowitcz 1893. Nel regno di Tiburzi Roma, Perino 1893. L’agitazione in Sicilia Milano, Max Kantorowicz 1894. L’Eritrea com’è oggi Roma, Voghera 1894. Il garofano rosso Milano, Aliprandi 1893. Alla guerra greco-turca Milano, Bemporad 1897. Da Costantinopoli a Madrid: Impressioni di un corrispondente Milano, Aliprandi, 1898 (vi è poi una seconda edizione Catania, ed. Giannotta 1899). Un’escursione nel Montenegro Milano, Aliprandi, 1896. Le nostre conquiste in Africa Milano, Max Kantorowicz 1895. Da Asuncion (Paraguay) a Buenos Aires con un idrovolante italiano Roma, Tipografia dell’Unione, 1919. Inglesi e boeri attraverso l’Africa Australe e il Transwaal Milano, Treves 1900. Note e impressioni di un viaggio nel distretto consolare di Rosario Roma 1889.
Adolfo Rossi da giovane.
OPERE INEDITE
OPERE NON DISPONIBILI
Fra gli italo-argentini. Note di viaggio nel distretto consolare di Santa Fè Opera del 1913.
XX Settembre Milano, Treves.
In Eritrea durante la guerra Raccolta di articoli giornalistici (1894). 112
I massacri degli Armeni Milano, Carlo Aliprandi editore.
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SERVIZI OFFERTI
I Servizi comuni organizzati dal Sistema Bibliotecario Provinciale sono: PER GLI UTENTI > Catalogo Collettivo on-line (OPAC) > Cataloghi speciali e tematici > Servizio di prestito interbibliotecario > Servizio di prestito intersistema > Attività di animazione e promozione alla lettura > Progetti culturali speciali
BIBLIOTECHE ADERENTI
Il Sistema Bibliotecario Provinciale è attualmente costituito dalla cooperazione di 55 biblioteche: 42 biblioteche civiche (84% dei Comuni aderenti), 3 biblioteche per ragazzi, 6 biblioteche scolastiche, 4 di altri Enti o Associazioni (tra le quali le biblioteche della Provincia di Rovigo, Ente Centro Sistema, e dell'Accademia dei Concordi, partner tecnico-biblioteconomico nel progetto S.B.P.). CIVICHE
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ALTRE BIBLIOTECHE
Accademia dei Concordi | Centro Francescano di Ascolto Provincia di Rovigo | Seminario Vescovile S Pio X di Rovigo
Comunicazione istituzionale
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Ufficio Cultura e Servizi Bibliotecari Servizio Cultura - Provincia di Rovigo Via Celio n. 10 - 45100 Rovigo tel. 0425.386125 fax 0425.386380
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