PambiancoDesign_n4_2021

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intervista

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orenza Baroncelli nel suo percorso professionale ha potuto sperimentare di persona, e in più nazioni, l’impatto della rigenerazione urbana sulla vita delle persone: dal Brasile alla Colombia, dall’Albania all’Italia, la quarantenne romana, architetto e curatrice, attualmente direttore artistico della Triennale di Milano, ha partecipato a progetti ed esperienze amministrative che le hanno consentito di avere una visione ampia del tema. Ci spiega, a partire dalla sua esperienza, cosa è la rigenerazione e come va intesa, sopratutto in relazione con i cittadini, che ne sono protagonisti (o, talvolta, le vittime). Perché si tratta di un processo sempre complesso, che richiede tempo e visione. Ma, se ben impostato, dà risultati straordinari.

Partiamo dai fondamentali: cosa è la rigenerazione urbana? Compiere un’azione di rigenerazione significa occuparsi del tessuto edilizio già esistente e capire come adattarlo alle mutevoli trasformazioni di una società e di un contesto storico politico. Non si tratta solamente di risolvere problemi ereditati dal passato, ma di trasformare il territorio per costruire il futuro delle città. Quindi la rigenerazione non è mai uguale a se stessa, perché è strettamente connessa al luogo, al momento storico, alle condizioni politiche e amministrative. È da fare sempre con la collaborazione della cittadinanza, il che non significa solamente far partecipare le persone interessate al progetto. La partecipazione ha potenzialità molto più ampie: è uno strumento per rendere consapevoli le persone della complessità delle azioni, passaggio fondamentale per favorire la rigenerazione. Saranno poi la politica e l’architettura a prendere le decisioni specifiche. L’idea di partecipazione a cui spesso la politica fa riferimento è più che altro una scusa per non prendere delle decisioni. La sua prima prova di rigenerazione sul campo è stata dieci anni fa in un’area tra le più difficili al mondo, la Colombia: ci vuole raccontare come è andata? Mi avvicinai a quei territori a partire dalla mia tesi di laurea. Nasco come progettista urbanistica, mi sono laureata a Roma 3 con una tesi sul rapporto tra il conflitto armato e la crescita della città a Bogotà, in Colombia, con relatore Stefano Boeri. Dopo aver lavorato un anno in Brasile con la Segreteria de Habitaçao di Sao Paulo (edilizia pubblica) sulle politiche di trasformazione degli insediamenti informali nel mondo, ho trascorso due anni e mezzo in Colombia co-dirigendo lo studio di architettura di Giancarlo Mazzanti, una personalità estremamente interessante e uno dei protagonisti del programma avviato da Sergio Fajardo. Il matematico che divenne sindaco di Medellin nel 2003, aveva avviato le politiche di rigenerazione delle zone più complicate, riuscendo a reagire a una città data come insanabile, preda allora dei narcotrafficanti e dei gruppi paramilitari come le Farc. Il programma poi si è allargato anche a Bogotà. In cosa consistevano queste politiche? Fajardo decise di partire con la rinascita di Medellin attraverso la bellezza, secondo il principio che ricchi e poveri hanno diritto allo stesso livello di bellezza. Avviò la costruzione di un edificio pubblico in ogni quartiere disastrato di Medellin, come strumento per combattere la malavita organizzata e la delinquenza. Architetti locali e internazionali vennero chiamati a costruire edifici pubblici. Questa operazione ha avuto sulla città un effetto importante, con la legalità rappresentata da questi edifici che tornava all’interno dei quartieri in mano alla malavita. Il risultato è che a partire da questi interventi, gli abitanti delle case intorno riverniciavano le pareti, come per un istinto spontaneo che li portava ad ambire a quel livel-

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