Osho Times settembre 2009

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– è mai stato accettato dai bramini come saggio. Non perdere questa opportunità”. “Se sono saggio o meno, lo decido io,” rispose Kabir. “Non dipende dall’essere accettato da qualcun altro. Ho fatto questa richiesta perché per secoli gli indù hanno trattato le donne in una maniera così orribile che ora è il momento di cambiare le cose”. Grazie all’insistenza di Kabir, Meera fu la sola donna – per la prima volta – a entrare in questo concilio di saggi indù. Ne risultò una situazione piuttosto imbarazzante: c’era un musulmano e c’era una donna. L’intera ideologia induista sulla purezza e la superiorità venne distrutta. Kabir continuò a fare il tessitore per tutta la vita. Persino dei re diventarono suoi discepoli che gli dissero: “Ci vergogniamo che tu, anche ora che sei vecchio, continui a tessere e ad andare al mercato a vendere le stoffe. Non ce n’è bisogno, possiamo fornirti noi tutto ciò che vuoi”. Kabir rispose: “Non è questo il problema. Io voglio che l’umanità si ricordi in futuro che un tessitore può essere illuminato e che persino da illuminato continua a tessere. Questo mestiere ordinario di tessitore non lo distrae dall’illuminazione, al contrario, il suo tessere diventa la sua preghiera. Qualunque cosa faccia è la sua preghiera, qualunque cosa faccia è la sua meditazione. In qualunque cosa faccia esprime la sua gratitudine all’esistenza. Non è di peso su questa terra, fa quello che può fare. Non posso essere una scultore, non posso essere un grande pittore, ma posso di sicuro affermare che nessun altro riesce a tessere come faccio io. In ogni attimo del mio lavoro sono pieno di gratitudine, è una preghiera. E la stoffa che faccio non è solo da vendere, è per servire dio, per servire l’esistenza nella miglior maniera possibile”. Il termine indù per dio è Ram. E Kabir era solito chiamare ogni cliente che entrava nel suo negozio con lo stesso 36 OSHO TIMES

nome, Ram. “Ram,” diceva, “ho il tessuto per te. Questa non è una stoffa qualsiasi, abbine cura. Qui ogni fibra sta vibrando con la mia gratitudine, col mio amore, la mia compassione, la mia preghiera. Trattala con rispetto”. E qualche volta succedeva… era tardi, il mercato stava per chiudere e lui ancora aspettava. Gli chiedevano allora: “Ma chi stai aspettando? Il mercato sta per chiudere”. E lui rispondeva: “Sto aspettando Ram che ancora non è arrivato, ho pronta questa stoffa che ho fatto per lui”. Qualcuno gli aveva fatto un’ordinazione, ma quel giorno il cliente forse non aveva il tempo di andare a ritirarla, o magari pensava di andarci al prossimo giorno di mercato. Ma Kabir aspettava. E allora la gente informava il cliente: “Cosa stai facendo? È ormai tardi e Kabir è rimasto da solo al mercato, ti aspetta, dice che non può credere che Ram si sia dimenticato, o abbia cambiato idea dopo aver dato la sua parola. Dice che aspetterà, a costo di star lì per sette giorni – in India c’è un giorno di mercato alla settimana, tutte le settimane – dice che aspetterà per sette giorni: magari il cliente ha dei problemi, magari è malato, ma Kabir non può muoversi dal mercato, perché se Ram arriva e non lo trova sarebbe pura ingratitudine da parte sua”. Meera viveva in maniera del tutto diversa. Meera girava tutto il paese, danzando e così raggiunse Mathura, dove c’è il più grande tempio di Krishna. E il prete del tempio era un fanatico riguardo alle donne. In quel tempio di Krishna non era permesso l’ingresso alle donne, potevano solo pregare all’esterno. Il prete non aveva visto una donna da trent’anni, non usciva mai dal tempio e le donne non potevano entrare. Quando seppe di Meera si preoccupò perché di sicuro lei sarebbe arrivata al più grande tempio di Krishna. Mise due guardie all’ingresso: “Se arriva qui Meera a danzare, tenetela fuori”.

Ma quando Meera arrivò ballando, le guardie si scordarono completamente del loro compito, del motivo per il quale stavano lì. La danza era così meravigliosa e Meera stessa era così splendida, radiosa; senza che nessuno lo notasse entrò danzando nel tempio. Il prete era nel bel mezzo delle sue pratiche religiose. Il piatto che teneva in mano, un piatto d’oro pieno di rose… nel veder Meera che entrava nel tempio ballando, il piatto gli cadde dalle mani. Era davvero arrabbiato e disse a Meera: “È contro le regole di questo tempio, nessuna donna può entrare qui!”. E la risposta di Meera vi sorprenderà, una risposta che si distingue per la sua fragranza particolare, per la sua vitalità in tutta la storia del misticismo. Disse: “Mio dio. Pensavo che solo Krishna qui fosse l’uomo e chiunque altro di fronte a lui fosse una donna, un’innamorata di Krishna. Oggi ho scoperto due uomini: anche tu sei un uomo!”. E la maniera con la quale parlò al prete, lo fece tremare: forse aveva ragione lei. Per il devoto ci sono solo due maniere di considerare dio. Dio può essere visto, nella tradizione Sufi, come una donna – dio è l’amata e il mistico è l’amante – oppure può essere visto alla maniera dei mistici indiani: come un uomo e loro sono donne. Lui è l’amante e loro sono le amate. Meera disse: “Questa situazione deve essere chiarita qui e ora: o dichiari di essere un uomo o devi riconoscere che anche tu sei una donna”. Il povero prete dovette cedere alla caparbietà di Meera e ammettere: “Anch’io sono una donna”. Meera disse: “D’ora in poi questa regola è cambiata. Solo le donne possono entrare in questo tempio. Quelli che si ritengono maschi non posso entrare”. TRATTO DA:

Osho, Om Mani Padme Hum #17


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