Io sono quello

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M.: Non c'è il non-sapere, c'è solo il dimenticare. E che male c'è nel dimenticare? È altrettanto semplice dimenticare che ricordare. I.: L'oblio di sé non è una sventura? M.: Non è peggiore del ricordarsi di sé ad ogni momento. Ma c'è uno stato al di là del dimenticare e del non-dimenticare: lo stato naturale. Ricordare, dimenticare, sono condizioni della mente, legate al pensiero e alla parola. Ad esempio, l'idea di essere nati. Mi è stato detto. Non lo ricordo. E mi si dice che morirò. Non me l'aspetto. Tu mi dici che ho dimenticato o che non ho immaginazione. Il fatto è che non posso ricordare quello che non è mai accaduto, né attendermi ciò che è palesemente impossibile. I corpi vanno e vengono nella coscienza e la coscienza ha radici in me. Io sono la vita, e miei sono il corpo e la mente. I.: Dite che alla radice del mondo c'è l'oblio di sé. E che per dimenticare, devo ricordare. Ma che cosa ho dimenticato di ricordare? Che sono, me lo ricordo. M.: Anche l'"io sono" può appartenere all'illusione. I.: E come? Non potete provarmi che non sono. Anche se sono convinto di non essere, sono. M.: La realtà non può essere né provata né smentita. Dentro la mente, non puoi farlo, e oltre la mente, non ti serve. Nel reale, la domanda "che cos'è reale", non si pone. Il manifesto (saguna) e il non-manifesto (nirguna) non sono diversi. I.: Allora tutto è reale. M.: Io sono tutto. Tutto è reale quanto me; e senza di me, niente lo è. I.: Non credo che il mondo sia il risultato di un errore. M.: Puoi affermarlo solo dopo un'attenta indagine, non prima. È ovvio che, se hai discriminazione, e lasci cadere tutto ciò che è irreale, ciò che resta è il reale. I.: Ma resta qualcosa? M.: L'ho già detto: il reale. Però le parole ingannano! I.: Da tempo immemorabile e attraverso innumerevoli nascite, edifico, miglioro e abbellisco il mio mondo. Non è né perfetto, né irreale. È un processo. M.: Ti sbagli. Il mondo non esiste fuori di te. Ad ogni momento, non fa che rifletterti. Tu lo crei, e tu lo distruggi. I.: E lo ricostruisco, migliorato. M.: Per migliorarlo, devi renderlo peggiore. Per vivere, devi morire. Non c'è rinascita se non attraverso la morte. I.: Il vostro può essere un universo perfetto. Il mio è in via di miglioramento. M.: Il tuo universo personale non esiste di per sé. È solo una prospettiva limitata e distorta del reale. Non è l'universo, che deve migliorare, ma il tuo modo di guardarlo. I.: Voi, come lo vedete? M.: È un palcoscenico su cui si recita il dramma del mondo. Quello che conta è la qualità dello spettacolo: non "che cosa" fanno e dicono gli attori, ma "come4 ". I.: Questo paragone con lo spettacolo, il cosiddetto lila, mi piace poco. Piuttosto, paragonerei il mondo a un cantiere, e gli uomini ai costruttori. M.: Lo prendi troppo sul serio. Che cosa non va con l'idea di spettacolo? Hai uno scopo finché non sei completo (purna); prima di allora, completezza e perfezione sono lo scopo. Ma quando sei completo in te stesso, pienamente integrato all'interno e all'esterno, allora godi dell'universo, e non ti esautori. A chi non è integrato puoi apparire eccessivamente attivo, ma è un suo abbaglio. Gli atleti sembra che facciano sforzi immensi, eppure la loro unica motivazione è fare e disfare il gioco. I.: Volete dire che anche Dio gioca, e agisce senza scopo? M.: Dio non è solo il vero e il bene, è anche il bello (satyam-shivam-sundaram). Crea la bellezza: per pura gioia. I.: Dunque ha lo scopo della bellezza! M.: Che cos'è bello? Tutto ciò che sia percepito in beatitudine è bello5. La beatitudine è l'essenza della bellezza. I.: Parlate del Sat-Chit-Ananda. Provo a esaminare i tre termini uno per uno. L'Essere è ovvio; infatti: io sono. Anche la coscienza è tacita: so di essere. Ma la beatitudine è tutt'altro che ovvia: dov'è svanita la mia felicità? M.: Sii consapevole di ciò che sei, e sarai coscientemente felice6. Se non lo sei, è perché volgi la mente su ciò che non sei7. I.: Nel mondo ci sono due vie: la via dello sforzo (yoga marga) e quella del godimento (bhoga marga). Tutte due portano alla liberazione. M.: Perché le chiami "vie", e come può il godimento portare alla perfezione? I.: Sia lo yogi che il bhogi trovano la realtà, l'uno attraverso la perfetta rinuncia, l'altro attraverso il perfetto godimento. M.: E com'è possibile? Non sono metodi contraddittori? I.: Gli estremi si toccano. Essere un bhogi perfetto è altrettanto arduo che essere uno yogi perfetto. Non mi sento di azzardare giudizi. Ma direi che sia lo yogi sia il bhogi tendono a realizzare la felicità. Lo yogi la concepisce costante, mentre il bhogi è pago dell'intermittenza; eppure a volte si sforza più dello yogi. M.: A che ti vale una felicità per la quale devi lottare? La vera felicità è spontanea e senza sforzo. I.: Ogni essere aspira alla felicità. Solo i mezzi cambiano. C'è chi la cerca dentro, e si chiama yogi; e chi la cerca fuori, ed è biasimato per essere un bhogi. Tuttavia hanno bisogno l'uno dell'altro. 8 M.: Il piacere e il dolore si alternano. La felicità è incrollabile. Quello che puoi cercare e trovare, non è il reale . Trova ciò che non hai mai perduto, l'inalienabile. ______________________________________________________ 26. 5 Settembre 1970


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