OFF-STAGE Magazine Febbraio 2017

FEBBRAIO 2017 |NUMERO 4

OFF-STAGE TEATRO+SPETTACOLO+ARTE

magazine

TEATRO

AVVICINARE I GIOVANI ALL'OPERA Silvia Priori racconta il suo progetto Teatro e Opera, ponte per avvicinare all'Opera i più giovani

LE VOCI DI DENTRO L'incomunicabilità secondo Eduardo de Filippo, in scena per l'annuale raccolta fondi benefica a favore delle famiglie bisognose di Varese

L'INTERVISTA

TINDARO GRANATA Intervista speciale al vincitore del Premio Ubu 2016 come miglior nuovo progetto drammaturgico con lo spettacolo "Geppetto e Geppetto"

IL SUGGERITORE

LA LA LAND: La dura realtà dei sogni

HAIKU DEL MESE

Aspetto ancora?

Ritorno sui miei passi?

Sciami di stelle. da "FARFALLA BIANCA" di Luigi Vasco Cova IL SUGGERITORE

La dura realtà dei sogni Tutto il film è un alternarsi di momenti onirici e bruschi risvegli, dove un canto è interrotto dalla suoneria di un cellulare (stridente presenza che ci riporta coi piedi per terra) o dove un bacio romantico al cinema è brutalmente soffocato dall’intopparsi della pellicola…

Ecco che poi la storia sembra dividersi in due, scindersi e separarsi, allontanando i due protagonisti. Perché la vera “fregatura” coi sogni è che, una volta che hanno la possibilità di realizzarsi, non sono più una fantasia, ma piombano sulla terra con tutto il loro essere reali.

L’idealizzazione iniziale, quindi, la comune condivisione dell’attesa dei due protagonisti, svanisce come d’incanto appena si presenta l’occasione di realizzare sé stessi. E’ più forte l’amore o il sogno?

Se da un “grande potere derivano grandi responsabilità”, anche da grandi sogni derivano grandi rinunce. E’ questo un po’ il messaggio che trasmette LA LA LAND, film diretto da Damian Chazelle, evento di questo 2017 e in corsa agli Oscar con ben 14 nomination, tra cui miglior film. LA LA LAND è un Musical un po’ singolare, che fa sorridere a tratti ma che non ci lascia del tutto spensierati, alternando atmosfere sognanti a quadri malinconici ed amari… In una Los Angeles a metà tra i giorni nostri e l’atmosfera vintage dei musical degli anni 50’, omaggio nostalgico ad un cinema di altri tempi, si incrociano le vite di Mia e Sebastian: lei aspirante attrice, lui musicista jazz. Lei sogna Hollywood, lui vorrebbe aprire un locale tutto suo. Sogni che non hanno tempo, e nei quali molti giovani artisti di oggi possono identificarsi. Tra provini andati male e fallimenti, i due ragazzi si innamorano, condividendo CONTINUA>> speranze e timori e sentendosi parte dello stesso destino.

IL SUGGERITORE Per Sebastian e Mia sono forti entrambi ma scelgono di non fermarsi, di proseguire, rinunciando al presente, all’altro. La dura realtà, quindi, è la scelta, la consapevolezza che per la maggior parte delle volte si è da soli con il proprio sogno e sulla giostra del successo non sempre c’è posto per due. O meglio: c’è posto per un’altra persona che non sia l’amore della vita, che non sia totalizzante, che sia meno ingombrante.

Perché per un attore, soprattutto, ma per qualunque altro artista, c’è un amore più forte a cui dedicarsi: l’arte. Il finale del film è essenziale per capire questo senso di rinuncia: uno sguardo tra i due protagonisti, ora realizzati e soddisfatti delle proprie mete raggiunte, che si rivedono dopo alcuni anni dalla propria separazione. In pochi secondi percepiamo tutto il rammarico, la malinconia, il sacrificio dell’aver cercato di dimenticare un amore mai finito. Forse il pentimento. Eppure lei esce dal locale e continua la sua vita, lui continua a suonare il suo pianoforte. Nessuno cerca di fermare l’altro. Altra riflessione, più concreta ma evidente in questa storia, riguarda la competizione tra uomo e donna e le conseguenti ricadute sulla sfera affettiva. Non appena uno dei due protagonisti comincia ad emergere, ad avere la possibilità di realizzarsi, il prezioso equilibrio della coppia comincia ad incrinarsi. Mia è come se si sentisse tradita da Sebastian, superata in qualche modo nelle sue ambizioni e nel suo sentirsi la parte forte della coppia. Il “non sentirsi più sulla stessa barca” è il primo sentimento che li allontana. Durante il film, infatti, avviene un’inversione di ruolo: se prima era Sebastian quello che sembrava più “debole”, ora è Mia a rivelarsi più fragile e insicura, tanto che metterà in dubbio le sue aspirazioni e sarà sull’orlo di abbandonare la strada della recitazione.

Sebastian, orgoglioso e terrorizzato dall’idea di sentirsi da meno, di vedere calpestato il primato maschile nel proprio lavoro o addirittura di vedersi superato nel successo, rinuncia a Mia pur di non sfigurare ai suoi occhi, pur di dimostrarle l’uomo che è. Lei segue il suo sogno, per scelta, convinzione o forse per conseguenza di chi c’è dall’altra parte e che si aspetta questo da lei. Cosa ci resta quindi di questo LA LA LAND? Resta la voglia di sognare, di poter uscire da una fila di auto in coda e mettersi a ballare e cantare, sorridendo alle opportunità della vita e, perché no, di innamorarsi... Ma resta anche una strada che ad un certo punto si dirama in due parti e ci impone una scelta: continuare a sognare o renderlo reale. Un po’ viene da chiedersi perché la scelta del dell’atmosfera anni 50’’…Non bastavano i giorni nostri? Va bene, è un omaggio ai bei tempi del Cinemascope, un richiamo ai musical vintage, una scelta estetica…

Eppure la sensazione è quella che il regista abbia voluto evadere dall’attualità, un nostalgico guardarsi indietro (non solo cinematografico ma anche esistenziale), come ammettere amaramente che non c’è periodo più duro di quello di oggi per sognare. Era più bello ieri. Ma si continua a farlo, sempre, soprattutto uscendo dal cinema dopo aver visto un film.

Roberta Colombo

L'INTERVISTA

Tindaro Granata in scena a Varese Domenica 19 Marzo 2017 alle ore 16.30 presso il Teatro “Mario Apollonio” Openjobmetis diVarese sarà in scena lo spettacolo “Geppetto e Geppetto”, una produzione Compagnia Proxima Res di Milano, Teatro Stabile di Genova e Festival delle Colline Torinesi, con testo e regia di Tindaro Granata, tra le principali rivelazioni del teatro italiano contemporaneo nonché Premio Ubu “Miglior novità drammaturgica” proprio per questo lavoro teatrale. L’evento rientra nel calendario della 12^ edizione della rassegna teatrale “Pomeriggi Teatrali”, Stagione 2016/17, promossa dal Circolo Endas di Varese con la Direzione Artistica di Paolo Franzato. (Foto di copertina: Attilio Marasco)

Tindaro Granata, un valido e brillante rappresentante del nuovo teatro italiano. Quali sono le tappe importanti della tua formazione e del tuo percorso artistico?

Non ho una formazione prettamente accademica. Mi sono diplomato Geometra in Sicilia e subito dopo mi sono imbarcato su una nave e ho fatto il marinaio. Appena sbarcato mi sono trasferito a Roma e per i primi due anni ho fatto il commesso in un negozio. La sera frequentavo dei corsi di recitazione e il giorno lavoravo. Negli anni ho fatto il cameriere e vari corsi, ma mai una scuola. Un giorno per caso riuscii a sostenere un provino con Massimo Ranieri e fui scelto. Da commesso/cameriere diventai attore. Avevo 23 anni.

TChi sono i tuoi riferimenti e i tuoi modelli teatrali?

Senza dubbio i miei riferimenti sono stati e sono alcuni grandi maestri del cinema italiano con i qual sono cresciuto. In Sicilia mentre ero a scuola mi nutrivo di VHS di tutto il neorealismo e della commedia all’italiana. Germi, Visconti, Scola, Monicelli, Rosselini, De Sica. Tra i grandi attori: Gian Maria Volontè, Anna Magnani, Marcello Mastroianni, Monica Vitti, Nino Manfredi, Vittorio Gasmann, Sofia Loren.

TA quali tecniche e a quali stili ti ispiri per il tuo ruolo registico e per quello attorale?

Non ho nessuna tecnica precisa, mi sento di dire che un attore che sale sul palco deve sapere quanto ha sofferto, qual è il suo percorso e di portare questo in scena.

Non ci sono attori bravi che non abbiano mai sofferto.

Sicuramente una persona che ha vissuto relazioni, gioie e dolori intensi e pienamente vissuti potrà restituirli sul palco e creare un collegamento con il pubblico. Spesso vedo attori e registi mettere in scena qualcosa che non appartiene a loro e si vede che non solo non l’hanno vissuto, ma anche che non attingono a qualcosa di vero. Ai giovani che mi chiedono come si fa a imparare a recitare io dico: guardate le persone vere, parlate la lingua italiana, conoscetela! Ha un potere immenso, non cercate di imitare un mondo che non ci appartiene come quello americano o inglese.

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Parliamo di Geppetto e Geppetto. Quali sono state le motivazioni che ti hanno spinto a scrivere quest’opera?

Sono un quarantenne che probabilmente non diventerà mai padre, sono sicuramente figlio e la condizione di figlio e di quarantenne mi obbligano a chiedermi che figlio sono stato fino ad oggi. Che padre sarei? Cosa significa essere figli ed essere padri oggi? Ecco, a queste domande non ho saputo dare una risposta ma ci ho scritto un testo teatrale.

Raccontaci la genesi della costruzione e dell’allestimento di questo spettacolo.

Questo testo è stato scritto dopo aver incontrato, discusso e ragionato, nei bar vicino casa e alla stazione Centrale di Milano, insieme a persone alle quali ho rubato pensieri, dubbi, certezze, paure, stereotipi, dolcezze, comprensioni, rabbia, tolleranza, disinformazione, odio e amore, tante frasi e tante parole. Persone sul tram, per strada, al parco giochi, sul FrecciaRossa e infine parlando dalle 23.30 alle 03.05 con la signora Concetta Procopio, sul bus di ritorno da Castrovillari, il 2 giugno. Ho presentato la prima parte delle prove al direttore del Teatro Stabile di Genova e al Festival delle Colline Torinesi e subito dopo sono diventati i nostri co-produttori con la Proxima Res. Come hai vissuto il tuo triplo ruolo di autore, regista e uno dei protagonisti nella costruzione e nel divenire di questo lavoro teatrale?

Devo dire che tutti e tre sono stati ruoli che si sono fusi tra loro. Mentre scrivevo mi immaginavo come avrei recitato il mio ruolo e anche alcuni ruoli di attori che avevo già scelto, per esempio sapevo che il mio “compagno” in scena sarebbe stato Paolo Li Volsi e quando scrivevo il suo ruolo mi immaginavo come lo avrei potuto dirigere. E’ stato bello anche lavorare con gli altri attori perché più di una volta ho “aggiustato” il testo su di loro mentre li dirigevo… è stato un tutt’uno con loro e con il triplo ruolo che ho ricoperto.

Foto di Patrizia Lanna

Presentaci i tuoi compagni di viaggio, gli altri interpreti del cast.

Alessia Bellotto è Franca, un’amica dei due Geppetti, prima contraria all’arrivo del loro figlio in futuro sarà affettuosa e materna. Nella vita reale è una fantastica e folle attrice piena di gioia di vita. Angelo Di Genio è Matteo, il figlio dei due Geppetti. Il vero protagonista della storia, poiché rappresenta il frutto dell’amore dei Geppetti.

Angelo è un attore passionale e animalesco, talento puro.

Carlo Guasconi è Walter un amico di Matteo. Giovane attore pieno di vita, di forza e voglia di fare. Ha donato una bella anima inquieta e forte al personaggio di Walter. Paolo Li Volsi è Toni, uno dei Geppetti.

E’ un grande attore capace di improvvisare e capace di dare fiducia ai propri compagni di scena che ho conosciuto diversi anni fa e da allora ho costruito un rapporto di lavoro fraterno. Toni è stato scritto per lui e su di lui. Lucia Rea fa due ruoli: è la “Maestra” nella prima parte e Lucia nella seconda. Giovanissima neo diplomata tra talento e bellezza ha portato nel gruppo tutto l’entusiasmo di chi inizia.

Roberta Rosignoli è la “Madre”.

Contro i consigli di alcuni amici, perché credevano che fosse troppo giovane per un ruolo del genere (deve interpretare una donna di almeno 40 anni più della sua età), l’ho voluta a tutti i costi e sono stato ripagato da un’interpretazione genuina e fortemente empatica col pubblico.

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Quali sono i messaggi di famiglia e genitorialità che desideri siano trasmessi attraverso il tuo spettacolo?

Sarò breve utilizzando una frase chiave dello spettacolo: “se ci sarebbe amore tutti i problemi non ci sarebbero”… (ndr l’errore è voluto!)

Dal debutto alle numerose repliche in Italia e non solo, quali sono state le reazione degli spettatori e della critica?

La critica è stata molto attenta allo spettacolo e al tema. Con gli spettatori abbiamo instaurato un rapporto molto intimo e di fiducia.

Loro credono ai personaggi dello spettacolo perché noi cerchiamo di presentarglieli con meno artifici possibili, dunque c’è una grande empatia che ci unisce e ci rende tutti partecipi di questo grande rito che è il teatro.

Come definiresti la situazione italiana a riguardo dal punto di vista culturale, sociale, antropologico? Quali sono secondo te gli ostacoli? Quali le necessità e le prospettive?

L’Italia è una grande donna bellissima e affascinante che sa di avere un tumore. Nonostante i segni della malattia è sempre bella e affascinante. Tutti sanno che sta male, ma nessuno sa se guarirà a breve o rimarrà malata per sempre. Tutti si aspettano che guarisca perché sarebbe un peccato far morire cotanta bellezza. Il suo ostacolo maggiore sono tutti quelli che le fanno i complimenti per cose che lei non è. Molti la trattano come se fosse una francese, come se fosse spagnola, come se fosse americana o inglese. E’ italiana! E’ necessario che noi la amassimo e la rispettassimo, davvero, anche e soprattutto nel nostro piccolo.

Cosa ti aspetti dagli spettatori varesini? Pensi possa assumere una valenza particolare il tuo spettacolo in questo specifico tessuto sociopolitico e culturale?

Sono stato a Varese l’anno scorso con il mio Antropolaroid e allora ho ricevuto tanto affetto e tanta stima dagli spettatori varesini.

Come reagiranno a Geppetto e Geppetto? Beh mi auguro di ricevere lo stesso affetto e io di donare a loro la stessa voglia di essere insieme per raccontarci una storia che ci porti in mondi che sono della nostra anima, belli, delicati e pieni di sensazioni emozionanti. Mi auguro di incontrare e di vedere a teatro i rappresentanti politici della città.

Hai da poco ricevuto con Geppetto e Geppetto il prestigioso Premio Ubu per la drammaturgia. Quali sono i tuoi prossimi desideri?

Dopo aver ricevuto questo ambito premio desidererei essere sempre libero di scrivere e fare ciò che amo. Vorrei essere sempre libero di sbagliare e ricominciare con la stessa gioia ed entusiasmo di adesso.

Paolo Franzato

Foto di Andrea Macchia OFF- STAGE MAGAZINE | 3

TEATRO

Teatro e Opera Silvia Priori racconta il suo progetto Teatro e Opera, ponte per avvicinare all'Opera i più giovani

Ho sempre amato il teatro e l' opera! Forse perché da piccola mi piaceva ascoltare mio nonno canticchiare le arie più famose del Rigoletto, di Madame Butterfly, di Traviata piuttosto che l' Aida.... lui faceva la comparsa in diverse opere liriche e mi raccontava tutto: i vari personaggi che si alternavano sulla scena, le scenografie imponenti e i costumi vistosi, ma soprattutto mi raccontava le storie delle diverse opere e io rimanevo incanta ad ascoltarlo. Le storie, ecco, quelle mi sono rimaste nella mente; sono sempre rimasta colpita dall' umanità dei personaggi, dai loro drammi interiori, il dolore, la gioia, la speranza disillusa, i finali strazianti e commoventi. Era quella carica di umanità e di poesia che mi spingeva ad andare a teatro. E in quel luogo magico succedeva sempre qualcosa: si piangeva e si rideva insieme e tutti condividevamo le stesse emozioni nello stesso momento. Le mie risa e le mie lacrime si rispecchiavano in quelle degli attori sul palco e si confondevano con quelle di centinaia di altri spettatori seduti accanto a me. Non ci conoscevamo ma eravamo profondamente uniti dalle sensazioni. E in quella dimensione eravamo tutti uguali. Era fantastico!

E così all' età di 16 anni ho iniziato a fare teatro in gruppo universitario, poi tanti incontri, seminari finchè decisi di iscrivermi all' Accademia d' Arte Drammatica del Piccolo Teatro di Milano.

Era il 1987 e ricordo che nel cortile di Corso Magenta N° 63 a Milano eravamo in più di 300 ragazzi e ragazzi, per lo più ventenni, tutti riuniti per affrontare le tre selezioni indispensabili per poter accedere alla grande scuola di Teatro.

Eravamo tutti molto emozionati, non ci si conosceva, tanti volti di paesi lontani, americani, israeliani, europei, brasiliani, colombiani... tutti lì con una sola speranza: essere ammessi! Quando è arrivata la telefonata nessuno ci credeva a casa mia. I miei genitori, che avrebbero voluto io lavorassi in banca o in qualche posto “sicuro” erano disperati! E io alle stelle! Non mi importava di alzarmi alle 5 del mattino per prendere il treno che da Brescia mi avrebbe portato a Milano; non sentivo la fatica, neppure dopo 10 ore di scuola ma una disperata sete di conoscenza. Il mio amore per il teatro superava tutto e tutti! Nel mio corso eravamo in quattordici e dopo tre anni di scuola siamo rimasti in cinque! In quei tre anni abbiamo avuto la fortuna di avere come insegnanti dei grandi artisti come Massimo Castri, Tierry Salmon, Tadeuz Kantor, Luca Ronconi, Caporossi e Remondi, Marcello Bartoli, Giampiero Solari, Ruggero Cara, Gabriele Vacis, Moni Ovadia.... e tutti ci hanno lasciato la loro impronta, la loro visione straordinaria del teatro. Alla fine del triennio ci sentivamo degli eroi!

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TEATRO

La Repubblica, per il saggio di diploma, titolava “Saranno famosi!” Poi la scuola terminò e tutti noi siamo caduti in una profonda depressione. La mamma scuola ci aveva tagliato il cordone ombelicale. Era come essere usciti improvvisamente da un caldo guscio, per poi ritrovarsi di colpo in una grigia strada, fredda, umida … abbandonati... senza intravedere un orizzonte. Iniziò così la fase dei provini e delle lunghe attese nei corridoi dei teatri stabili italiani. Poi arrivò la mia prima scrittura! Ho lavorato per qualche anno con il Centro Teatrale Bresciano ed ho avuto la fortuna di calcare i palchi dei maggiori teatri italiani diretta dal regista Sandro Sequi. Tanti viaggi, uno anche a Mosca, tanti teatri, tanti camerini, tanti hotel, a volte pensioni di fortuna e soprattutto tanti panini! Ma capivo che la strada dei provini, delle scritture stagionali non era la mia strada.

Provavo un senso di grande precarietà, a volte grandi delusioni alternate a momenti di euforia. Si girava sei mesi in torunée con lo stesso spettacolo e alla fine sentivo di aver perso il gusto della ricerca, della scoperta e quella necessità di cui tanto la scuola ci parlava... e alla fine quel teatro era diventato per me un lavoro come un altro. Questo non lo volevo! Così nel 1989 decisi di creare il mio spazio di ricerca che chiamai Teatro Blu, Blu come la notte che popola i sogni, blu perché è il colore dell' introspezione, blu perché in quella notte il mio sguardo si era posato su una luce blu che illuminava la Chiesa di S. Faustino a Brescia. Volevo una sorta di cortile dei giochi in cui studiare, analizzare, elaborare, ricercare, creare in piena libertà senza perdere la freschezza e la necessità del fare. In questi 28 anni Teatro Blu è diventato un Centro di Sperimentazione teatrale che ha sviluppato un suo linguaggio e una una sua poetica originale attraverso il continuo confronto con artisti di alto profilo e di diversa provenienza. Abbiamo prodotto una trentina di spettacoli, ci siamo dedicati alla formazione e abbiamo creato grandi eventi artistici internazionali fra cui la Piccola Spoleto a Cadegliano, Varese Festival dei Mondi e Terra e Laghi giunto quest' anno all' XI edizione e che abbraccia la Macroregione Alpina con 7 Nazioni europee coinvolgendo più di 300 artisti da 4 Continenti. E tra i vari progetti di cui ci siamo occupati è nato anche Teatro Opera.

Ho immaginato un percorso artistico che potesse fungere da ponte fra teatro e opera lirica, un ponte attraverso cui narrare le storie, ricreando i personaggi e le loro vicende. Un ponte che potesse avvicinare i giovani alla ricchezza e alla bellezza dell’ opera lirica. Un modo per tradurre il canto, non sempre comprensibile, in una narrazione semplice e contenuta ma carica delle emozioni sottese dai personaggi della trama.

Una narrazione che incontra le arti miscelando teatro, canto, musica, arti marziali e circensi per avvicinarsi un poco all’ opera lirica e dare un piccolo assaggio della sua straordinaria complessità per facilitarne la comprensione e promuovere l’interesse per le diverse arti, per attrarre e formare un pubblico quanto più vasto e internazionale.

Sul palco tutto si mescola, le arti interagiscono armoniosamente, tutto fluttua per creare emozione, magia e sorpresa. Il progetto ha avuto inizio nel 2011 al Festival dei due Mondi di Spoleto con la première dello spettacolo “UNA VITA PER DUE MONDI”- Prod. Teatro Blu – Narrazione in opera multimediale in collaborazione con l’ Ensemble da Camera del Conservatorio “G. Verdi” di Milano, presentato come evento di gala al Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti a Spoleto il 6 luglio 2011 in occasione dei festeggiamenti del centenario della nascita del M° Menotti fondatore del Festival stesso.

La narrazione intorno alla vita del Maestro era accompagnata dalle più belle arie tratte da “La Medium” di Menotti. Dopo Una vita per due mondi è nata una trilogia composta da tre spetatcoli di Teatro Opera: Butterfly, Carmen e Traviata che debutterà a giugno a Varese. Il lavoro con il teatro è infinito ed infinita è la passione che ci muove! Tutto è dentro di noi che attende solo di essere scoperto!

Silvia Priori

Stiamo studiando un modo innovativo per avvicinare all’ opera chi all’ opera non va, un modo per portare a teatro gli appassionati della lirica. Un progetto che si tuffa nell’ Arte, giocando con il teatro, la danza, l’ acrobatica, il circo, il canto lirico e la musica.

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TEATRO

Raccontare la malattia attraverso la danza e il teatro Ines Rita Doemichini ci parla di SINGOLARE FEMMINILE, lo spettacolo che racconta attraverso la danza il vissuto di donne colpite da tumore al seno

Il 10 marzo al Teatro Santuccio va in scena “Singolare Femminile” una storia di vita vera. Donne colpite da tumore al seno che attraverso la danza raccontano il vissuto con la malattia. Il gruppo denominato “C’est la vie qui danse” è nato da un progetto riabilitativo di danzaterapia presso U.O. dell’Oncologia Medica dell’Ospedale di Circolo di Varese. Attualmente “C’est la vie qui danse” è sostenuto dalla Coopuf Iniziative Culturali di Varese.

Prendersi cura di sé dopo una diagnosi di tumore vuol dire a volte entrare in un luogo sconosciuto fino a quel momento. Il cancro come un uragano scuote la parte più profonda di sé, al confine tra la vita e la morte. Paura, senso di impotenza e di solitudine invadono le giornate con un dolore che spesso non si riesce a raccontare, che non è palpabile. Le parole a volte non bastano, ma la malattia ha qualcosa da dire a se stessi e agli altri. Attraverso la realizzazione di questo spettacolo , le protagoniste hanno affrontato e trasformato questo dolore con le parole del corpo.

Hanno condiviso l’ascolto in uno spazio-tempo dove non c’è solo corpo o solo mente, ma un continuo dialogo tra queste due dimensioni che apre possibilità, risorse, intuizioni, sentimenti e capacità a volte sconosciute, per costruire un rapporto attivo con la propria storia di malattia. Si è creato un forte senso di appartenenza affettiva, di condivisione e il desiderio di ricerca verso quella dimensione artistica e creativa capace di verità.

Il percorso di danzaterapia è stato significativo per entrare nello “spazio del sentire corporeo” dove emozioni vecchie e nuove, belle e brutte circolano, prendono forma, prendono senso, si esprimono e si rivelano attraverso il gesto simbolico della danza. L’importanza di esprimere, di ricevere e di riconoscere le emozioni per un paziente oncologico è fondamentale per riabitare il corpo e per risentirsi di nuovo in stretto rapporto con la pulsione vitale perciò con il piacere dell’essere e di esistere.

“Singolare Femminile” si costruisce nel dispiegarsi di un processo creativo che coglie il significato simbolico dei gesti, del linguaggio corporeo e della danza. Parla di fatica, dolore acuto, voglia di scappare e di negare la malattia, ma anche di un ritrovato senso, che come un seme si schiude per divenire risorsa vitale. E’ la donna “ferita”, ma non solo…è la donna ombra, è quell’unicità che si nutre di intuizione e istinto, è il bagaglio pesante dei luoghi comuni, degli stereotipi vecchi e nuovi, ma soprattutto è quello che le donne sentono e scoprono nel difficile cammino verso la scoperta del proprio Sé. Oltre alla danza lo spettacolo si avvale dell’apporto prezioso di due attrici e una voce narrante, che interpretano i racconti e le testimonianze delle donne.

Le danzatrici: Daniela Belluzzo, Catia Corti, Monica Gianni, Euridice Padovani, Emanuela Talamona, Barbara Togni, Patrizia Vanini, Siviana Zanella Le attrici: Anna Maria Rizzato, Antonella Tranquilli - Voce narrante: Simonetta Boria Testi: Daniela Belluzzo, Ines Rita Domenichini Direzione artistica e coreografie: Ines Rita Domenichini Ines Rita Domenichini

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SPETTACOLI

Troppe voci, nessuno che ascolta L’incomunicabilità secondo di De Filippo va in scena a Varese il 21 marzo con "Le voci di dentro". Lo spettacolo è benefico e si terrà al Teatro Openjobmetis

Quando mi hanno chiesto: da napoletano, qual’è la commedia di Eduardo de Filippo che vorresti mettere in scena? Quale per te rispecchia di più questo periodo storico? Non ho avuto dubbi : Le voci di dentro .

Dopo aver sperimentato teatralmente alcune opere di Eduardo da “Non ti Pago” a “Questi Fantasmi” a “Ditegli sempre di si”, da “Gennariniello” a “I morti fanno sempre paura” a “Pericolosamente “, l’opera che più mi incuriosiva era la partitura di un testo di cui lo stesso Eduardo scriveva: “avrà molta vitalità nell’avvenire “.

Ed in effetti mi sembra l’opera che più di ogni altra rispecchia questo nostro periodo storico, dove paradossalmente, in una società super connessa e super tecnologica, l’ incomunicabilità diventa un fattore comune un po’ per tutti e la solitudine si annida nelle nostre anime. “E’ inutile parlare quando nessuno più ti sente” dice Zi Nicola nella piéce, e la comunicazione rimane in superfice ferma ai titoli di testo. Ed è proprio il personaggio di Zi Nicola quello che mi affascina di più e che, nel secondo atto, è presente in scena costantemente anche se non si vede, anche se non si sente, salvo che con degli sputi e dei fuochi d’artificio.

Lo stesso Eduardo dice di Zi Nicola “ l’ho fatto parlare con i fuochi artificiali perchè la saggezza è muta” e a un certo punto lo fa morire, perchè non vuole parlare più.

Questa tensione drammatica diventa puro pessimismo in Alberto Saporito, il protagonista della pièce.

Alberto Saporito è insieme a suo fratello Carlo un “apparecchiatore” di feste popolari ed accusa i suoi vicini di casa, la famiglia Cimmaruta, di essere i responsabili della morte del suo caro amico Aniello Amitrano. Con l’aiuto del fratello Carlo, Alberto riesce ad incastrare i Cimmaruta e a farli arrestare, annunciando di avere prove schiaccianti che convalidano le sue accuse. Ben presto però Saporito capisce di avere solo sognato il fantomatico omicidio, portando discredito senza apparente motivo sul buon nome di un’onesta famiglia. Ritirata la denuncia, Alberto viene sospettato dal procuratore della Repubblica di aver ritirato la denuncia solo per paura di ritorsioni, mentre i Cimmaruta si dimostrano stranamente gentili con il loro vicino e si accusano l’un l’altro, non prendendo nemmeno in considerazione l’ipotesi che il delitto denunciato non sia avvenuto.

Alberto non riesce a trovare consolazione nemmeno dai consigli dello zio Nicola, che come dicevo è un uomo amareggiato e disilluso che ha scelto di non parlare più, ritenendolo inutile in quanto l’umanità è diventata irrimediabilmente sorda. L’incomunicabilità, la grettezza d’animo, l’avarizia e la propensione alla prevaricazione hanno generato dei mostri, figure spietate pronte a tutto pur di salvare la propria pelle, perfino disposte a tradire i propri cari.

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SPETTACOLI

In un mondo dove la violenza è percepita come un dato di fatto e in cui la correttezza e il rispetto reciproco sono vezzi ormai fuori moda, forse è il caso di imitare zio Nicola nel suo volontario esilio dalle cose del mondo e dall’espressione verbale, uno strumento ormai considerato superfluo in quanto non c’è nessuno disposto ad ascoltare.

Una delle commedie più belle e amare di Eduardo dove qui è il sogno che produce la realtà e le voci di dentro non sono le voci della coscienza ma quelle che vengono dal “ profondo”, poichè la coscienza conosce il degrado nella stima di sé, la stima tra le persone e la confusione dei linguaggi che si imbrogliano e si confondono e la lingua della realtà e quella del sogno entrano in corto circuito, tutto a danno della comprensione . E ritorna il leitmotiv di Zi Nicola. Il testo poi è come un canovaccio, che da spazio a improvvisazioni sceniche e che consegna agli attori una grande responsabilità esecutiva in quanto non solo le parole dette hanno importanza, ma anche le parole sottintese, gli sguardi, gli ammiccamenti diventano testo. Sembra quasi che Eduardo lasci questo spazio per far emergere ancora di più quello che non si riesce a scrivere ma solo a vivere in scena, e cioè la mostruosità e la crudeltà che si annida nei personaggi dei vicini Cimmaruta e nei due miserabili fratelli Saporito.

Questa commedia, scritta nel 1948, e a detta dello stesso autore è stata “redatta in 7 giorni su necessita”. Nello stesso anno infatti era in programma “ Questi fantasmi “, opera sospesa per un malanno di Titina de Filippo, protagonista della stessa. Eduardo senti quindi la necessità di esprimere in questa pièce quello che considerava, dopo le macerie della Seconda Guerra Mondiale, le macerie morali del dopoguerra, una sorta di incubo ad occhi aperti che fa riflettere sull’innaffidabilità degli uomini e sulla percezione del male come un’ entità stabilmente permeata nei tessuti della società e radicata all’interno del nucleo famigliare, che rimane il leimotive di tutte le opere eduardiane.

I“Un omicidio l’avete messo nell’ordine naturale delle cose. Un assassinio…nel bilancio di famiglia”: così Alberto Saporito rimprovera i suoi vicini cinici e miserabili, vili e sospettosi, innocenti per la scomparsa di Amitrano ma colpevoli di un delitto altrettanto efferato. “La stima, la fiducia reciproca che ci permette di guardarci negli occhi, noi l’abbiamo uccisa. E vi sembra un omicidio da poco?” continua Saporito nello splendido monologo conclusivo che tira le somme e dà il senso alla commedia.

Il mio sincero ringraziamento, per avermi dato questa opportunità di ritornare nel mondo di Eduardo e nella mia amata/odiata Napoli, va ai Lions Varese Sette Laghi che mi ha stimolato e supportato nel lavoro e agli allievi ed agli attori della Scuola Teatrale Anna Bonomi che, nonostante non avessero dimestichezza con la lingua partenopea, hanno saputo esprimere l’essenza e l’intensità della cultura napoletana dimostrando ancora una volta che l’ opera di Eduardo non si configura nel limite di un teatro dialettale ma va oltre i confini, confermando Eduardo come uno dei maggiori autori nazionale ed internazionali del 900.

Il ricavato della serata, che sarà ad ingresso libero e si terrà il 21 marzo alle ore 20.30 al Teatro Openjobmetis di Varese, andrà in beneficenza alle famiglie povere e bisognose della città.

Michele Todisco

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ARTE

Donne e Motori: arte e fascino delle curve A Palazzo Renzo Piano di Milano la mostra, a cura di Fabrizia Buzio Negri, degli artisti Luca Ferrario e Giorgio Benedetti

Donne e motori: le eterne passioni maschili, gli opposti che si attraggono, lo stesso fuoco che accende l’arte. Donne e Motori è il titolo della mostra, a cura di Fabrizia Buzio Negri, che vedrà esposte le opere di due artisti nostrani allo Spazio Arte PWC, all’interno del prestigioso Palazzo Renzo Piano di Milano, sede del Sole 24 Ore e luogo definito dallo stesso architetto un “luogo in ascolto”, culla costante di esposizioni artistiche e convegni. Luca Ferrario e Giorgio Benedetti vivono rispettivamente tra Mendrisio, Varese e Busto Arsizio e presentano opere differenti ma accomunate da una spiccata originalità, sia nella scelta sei soggetti sia nella tecnica esecutiva.

L’artista Luca Ferrario, architetto e progettista d’avanguardia, presenta il suo NUDO FOTOGRAFICO che si distingue per la scelta, semplice ma efficace, di immortalare con l’obiettivo il corpo femminile tra chiaro scuro, penombra, illuminandolo con un'unica luce. La donna è privata del superfluo e dell’eccesso, ed è così valorizzata in ogni sua curva, nella sua natura più profonda e ed elegante. L’occhio dell’artista è una guida che svela dettagli e sensazioni, un po’ per volta, senza togliere quell’alone di mistero che è femminile per definizione.

L’obiettivo gioca con la luce e lo scatto risulta naturalmente erotico: l’artista si ferma al momento giusto, scatta dall’angolazione che gli permette di mettere a fuoco dettagli sinuosi, senza cedere ad un piacere completo ma mantenendo vivo il desiderio della scoperta. Ne risulta un’intrigante sineddoche, efficacemente comunicata attraverso la stampa degli scatti su carta Hahnemühle 100% cotone, con sette pigmenti naturali di carbone puro. Giorgio Benedetti invece, artista premiato con l’“OSCAR PER LE ARTI VISIVE” nel 2011 a MONTECARLO, con la sua MOTORING-ART ci porta su ben altre curve, ma altrettanto attraenti e pericolose: quelle bollenti delle piste da corsa. Celebra così la storia dell’automobilismo attraverso opere fuggenti e d’impatto in pittura acrilica, dall’effetto vivo e vivace e dall’acceso eco futuristico. Vengono così immortalate celebri auto, dal Cavallino rampante della Ferrari, al tridente della Maserati e la livrea delle Red Bull Racing… Le opere spaziano dal bianco e nero a colori accesi e vogliono trasmettere tramite l’effetto mosso quel senso di velocità, adrenalina, suspance… La mostra si terrà dal 9 al 31 marzo presso lo Spazio Espositivo PwC, Palazzo Renzo Piano | Il Sole24Ore, via Monte Rosa 91 – Milano. Il 9 marzo si terrà il Vernissage con cocktail alle 18.30.

Due sguardi differenti e passionali, per chi ama le emozioni forti.

Roberta Colombo

OFF- STAGE MAGAZINE | 9