Architetti catanzaro 01 2014

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Baldessari, solo per citarne alcuni. Arriviamo così negli anni del secondo dopoguerra e negli anni sessanta che videro l’industria italiana elevarsi in tutta la sua grandezza creativa, sperimentazione, forza propositiva. Architetti, designer, creativi trovarono un fertile connubio con imprenditori illuminati, forti della tradizione artigianale e poi industriale, supportati, nel territorio, da interi comparti industriali specializzati, che non ebbero paura di investire in innovazione e nei sogni della moderna quotidianità di un’Italia finalmente vicina all’Europa, anzi Europa, portando la nostra creatività ad affermarsi in tutto il mondo.

A seguire l’esperienza della fine degli anni sessanta e poi settanta, denominata “Radicale” che generò una nuova scintilla prolifica ed epica. La riduzione semantica dell’architettura (non stop city, monumento continuo), le visioni utopistiche, fantastiche e macro strutturali (plug-in-city, walking city, instant city, movimento metabolista giapponese) innescarono nel “design” una nuova strada indipendente e sperimentale che si assunse il difficile ruolo di interpretare in forme poetiche le nuove ed emergenti modalità del vivere, del socializzare, dello stare e dell’operare che si tradussero negli oggetti innovativi che ben conosciamo, che tanto abbiamo amato e continuiamo ad amare, celebrati nella grande mostra del 1972 al MoMA di New York “Italy. The New Domestic Landscape”. Da questi eventi si consolidò una lunga stagione di successi, di mosse progettuali giuste, di prolifici connubi tra designers e produttori, di creatività, alta ingegnerizzazione, strategie di mercato e allargamento dei comparti produttivi in aree precedentemente non votate a questo tipo di attività, specialmente nel sud della penisola: insomma tutto ciò che ha fatto del “Design Made in Italy” il settore leader nel mondo. Attualmente questo grande settore industriale attraversa una fase negativa, critica. Le circostanze sono molteplici, oltre la crisi strutturale che attraversiamo, oltre il consolidamento reale del settore che con fatica tiene le postazioni dei buoni risultati raggiunti nei decenni passati. Certo non rimane invisibile lo scollamento dell’industria italiana da quella che doveva essere la ricerca e la promozione delle nuove leve della creatività italiana: dove sono nuovi e futuri designers della scuola italiana? Dove sono le vitali visioni? Sostituiti da una schiera di “autori stranieri”, ci dice Alessandro Mendini nell’introduzione che fa al bel saggio di Chiara Alessi “Dopo gli anni Zero”, senza niente di pregiudi-

Burgon & Ball di Sheffield, 1730 tratto da Design in 1000 oggetti-Phaidon Design Classic Gruppo editoriale L’Espresso 2008

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