Originale, copia, riproduzione, edizione.

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meta osservatorio

Fausta Squatriti go della città e degli schermi, sostituendosi alle riproduzioni fedeli-infedeli, di opere nate per essere uniche e divenute paradigma del sentimento collettivo del bello. Per alcune opere d’arte famosissime, l’accanimento protrattosi sulla loro icona, Gioconda, angioli di Raffaello, la testa di Adamo della Cappella Sistina, tanto per citarne alcune, rende quasi insopportabili anche gli originali. Da tempo anche Magritte, Mirò, Dalì, Man Ray, sono entrati nell’iconologia di massa. Assai meno Picasso, probabilmente troppo secco; rimangono favorite immagini “leccate”, dalle quali è più facile slittare allo stilema di un gusto che cerca anche oggi, nell’arte, il sublime e non il violento, il sognato e non la denuncia. Fino alla riproducibilità dell’immagine con mezzi fotomeccanici, nella seconda metà dell’ottocento ma evolutisi dalla metà degli anni cinquanta ad oggi in maniera straordinaria, l’immagine per essere diffusa in più copie aveva bisogno di un altro artista, incisore, che la copiasse diligentemente sulla lastra di rame, trasformando in tratti ogni lumeggiatura di colore osservata nell’originale. I risultati, ovviamente in bianco e nero, sono straordinari, perché ci dicono anche del sentimento dell’artistaincisore di fronte all’originale da copiare, e dunque, si presume, anche del sentimento dell’epoca nella quale l’incisore ha vissuto. E queste copie servivano da modello ai pittori di provincia, al cui bagaglio culturale si aggiungevano, probabilmente, i racconti di coloro i quali avevano avuto la fortuna di viaggiare e vedere gli originali dal vero, e ne sapevano raccontare i colori, le suggestioni, con quella precisione necessaria a chi non ha altri mezzi se non la propria memoria. Di copia vera e propria non si può parlare, per la diversissima strumentazione adoperata, per il cambio di supporto, dimensione, e, come già detto, cromia. E si tratta di modelli idealizzati, nel settecento, quando la committenza si allarga ai borghesi di media ricchezza, che alla veduta realistica preferiscono quella di fantasia, mentre la passione per il viaggio iniziatico dilaga in tutta Europa. Il commercio delle stampe è stato fiorente nei secoli passati, prima dell’industrializzazione, lo è massimamente oggi, nell’epoca della riproducibilità tecnica, perché questa è in grado di saziare la fame di “visione” a proposito di qualsiasi argomento, diventando il perno della comunicazione. La tecnica della riproduzione fotomeccanica, figlia della vecchia litografia, ha conosciuto i propri momenti di splendore anche artigianale, dalla fine degli anni cinquanta fino agli anni novanta. In questo lasso di tempo l’editoria d’arte ha vissuto un grande sviluppo e si sono stampate riproduzioni di altissimo livello per una editoria così detta di lusso,

in quanto i costi della buona riproduzione e della buona stampa sono elevati. La buona qualità è stata possibile dall’azione congiunta di figure professionali scomparse, specie quella del cromista, in grado di apporre ritocchi manuali alle pellicole, alle lastre, osservando e interpretando il fotocolor fornito per la selezione cromatica, e nei casi migliori confrontando quest’ultimo con l’originale. L’evoluzione tecnologia ha portato ad avere macchine che fanno tutto da sole, macchine con le quale non si riesce ad interloquire tecnologicamente, non lo si sa fare, non c’è tempo per farlo.

Marcel Duchamp, L.H.O.O.P., 1919 (replica 1930). Ready made rettificato, matita su una riproduzione della Monna Lisa.


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