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CappuCCino di seppie al nero Un piatto che invita a sentirsi perfetti

Questo classico di Massimiliano Alajmo sconfigge i fantasmi del passato Testo Sara Porro Foto Francesca Moscheni Styling Sissi Valassina

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er mio padre è un punto d’onore non giudicare le azioni altrui, e questo include me. Così ha assistito imperterrito a cambi di fidanzati, carriere, case, adozioni di cani rognosi senza esprimere perplessità. Finché non ho deciso di andare da un’analista junghiana. «Benissimo», ha detto con frustrazione, «allora perché non da un’astrologa?». Ovviamente ha ragione lui - la terapeuta ha una fissa per la numerologia e ritiene che io sogni balene perché specchio dell’inconscio, anche se ho provato a spiegare che i documentari sulle zone artiche mi conciliano il sonno. Quando ci vado sto meglio, anche se in buona parte è un effetto placebo: le sedute sono le pillole di zucchero più costose nella storia dell’industria dolciaria. Tuttavia, Jung mi ha ispirato una considerazione: la nevrosi è imprescindibile per la grandezza. Nessun sano di mente si immola a un’impresa, ci vuole un nevrotico. Altro che legarsi a una sedia: a me basta scrivere due paragrafi in italiano corretto

per darmi pacche sulle spalle, uscire per un gelato e poi fare un sonnellino. Per trovare la motivazione è sufficiente ricordare quando all’asilo tutti sapevano allacciarsi le scarpe e io no: la suora baffuta mi costringeva a tentare e ritentare di fronte ai compagni. Così ho maturato una duratura avversione per le stringate e un salutare terrore del fallimento che motiva a fare del mio meglio. Per raggiungere la perfezione di questo piatto cult della cucina italiana moderna, il cappuccino di seppie di Massimiliano Alajmo del tristellato Le Calandre, a Sarmeola di Rubano (Padova), c’è voluta una mezza dozzina di suore sadiche.


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