Nicola Zagami
IL SOGNO DI UN MONDO UNITO NELLE LINGUE AUSILIARIE INTERNAZIONALI
2012 (prima edizione) - Licenza Creative Commons condizioni su creativecommons.it
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IL SOGNO DI UN MONDO UNITO NELLE LINGUE AUSILIARIE INTERNAZIONALI
INDICE Introduzione:
Il sogno di un linguaggio universale.
pag. 5
Cap.1. I precursori dell'Esperanto. 1.Il Communicationssprache
pag. 10
2.L' Universalglot
pag. 14
3.Il Volap端k
pag. 18
Cap.2. Esperanto.
1.L'Esperanto
pag. 21
1.I. Cenni biografici su Zamenhof
pag. 21
1.II. Le basi dell'Esperanto
pag. 24
1.III. Classificazione dell'Esperanto
pag. 38
2.Esperanto ed Ebraismo: Haskalah e Hilelismo
pag. 40
3.Da Comenius allo Homaranismo
pag. 43
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Cap.3. I tentativi di riforma dell'esperanto: gli Esperantidi.
1.Difetti e limiti dell'Esperanto
pag. 47
2.L'Ido
pag. 50
3.Fioritura e sfioritura degli esperantidi
pag. 53
Cap.4. Dopo l'Esperanto: le lingue pianificate naturalistiche. 1.L' Occidental (Interlingue)
pag. 58
2.Interlingua della IALA
pag. 60
3.Altre lingue ausiliarie internazionali. Tra revival e grammatiche isolanti
pag. 64
3.I.Il Latino sine flexione di Peano ed il Sermo
pag. 64
3.II.Interglossa e Glosa
pag. 65
3.III.Lingua Franca Nova
pag. 66
Cap.5. Conclusioni. 1.L'ipotesi di Sapir-Whorf
pag. 68
2.L'eurocentrismo e l'euroclonia: mali necessari?
pag. 69
3.Una riflessione: ma perchĂŠ l'inglese no?
pag. 70
4.Il valore ideale ed educativo delle lingue ausiliarie internazionali
pag. 71 3
BIBLIOGRAFIA
pag. 73
Introduzione
Il processo di globalizzazione, legato nella sua accezione più usuale alla postmodernità, è, in realtà, come sostenuto dall'economista e premio nobel indiano Amartya 4
Kumar Sen, in corso da millenni. E' vero infatti che, se il rinvenimento di monete romane in Indocina non è una prova sufficiente ad affermare che mercanti romani vi si siano recati in epoca imperiale, tanto basta ad affermare con ragionevole certezza che vi erano sin da quei tempi scambi commerciali indiretti tra la zona euromediterranea e l'estremo oriente. Fanno invece parte delle certezze scientifiche assolute le dinamiche migratorie che hanno caratterizzato la storia dell'umanità. Uno sguardo d'insieme ai numerosissimi spostamenti di popolazioni e culture umane fin dai tempi più remoti della preistoria, ci fornisce convinzione nel dire che a questo mondo siamo in qualche modo tutti “immigrati”. Gli indoeuropei, che ci hanno lasciato in eredità la maggior parte delle lingue nazionali europee occidentali, salvo poche eccezioni come ungherese e finlandese (lingue ugro-finniche), secondo le teorie più accreditate dalla comunità scientifica, provenivano da una Urheimat, una casa comune ubicata probabilmente in una zona imprecisata tra il Caucaso e gli Urali, da cui si sarebbero in seguito irradiati in più ondate migratorie in Europa, India e Persia, per arrivare con i tocari addirittura nella Cina occidentale. Gli indoeuropei si sarebbero successivamente gradualmente integrati con le popolazioni autoctone preesistenti, portando in dote la loro lingua, che successivamente si sarebbe differenziata, per isolamento e mescolanza con le altre lingue con cui sarebbe venuta a contatto, nei suoi dialetti, che si sarebbero gradualmente trasformati nelle lingue indoeuropee. Le ovvie riflessioni su questi continui spostamenti di popolazioni, che costituiscono una delle più importanti cifre della preistoria e della storia dell'umanità, evidenziano da un lato come la lingua sia una dei principali patrimoni culturali che un popolo porta con sé e, dall'altro, il fatto che le lingue si siano formate per differenziazione progressiva a partire da un numero ridottissimo di protolingue. Ma se guardiamo la storia dell'uomo da un punto di vista meramente biologicoevoluzionistico, è pacifica la considerazione che la specie homo sapiens si sia sviluppata a partire da un unico focolaio, probabilmente in Africa, per poi diffondersi nel resto del mondo. Una delle caratteristiche salienti della nostra specie è, com'è noto, una fonazione che si articola in suoni ripetibili e controllabili, ma anche lo straordinario legame tra la fonazione stessa e una sviluppatissima intelligenza simbolica. Per questo motivo è lecito supporre, seppur sulla scorta di debolissime evidenze scientifiche, che, insieme al primo 5
focolaio di homo sapiens, sia arrivata anche la prima rudimentale lingua dalla quale siano discese, così come tutti gli uomini moderni discendono da quell'antico nucleo, tutte le lingue. L'unica flebile prova scientifica di un ragionamento deduttivo per alcuni versi ardito come questo, risiede in alcuni tenui legami, non imputabili a prestiti linguistici, tra famiglie linguistiche diverse. Queste ipotesi sull'unità linguistica primordiale sono state in qualche modo precorse dal mito, che si fa portavoce della “sapienza degli antichi” o “tradizione primordiale”, sorta di junghiana memoria di specie, in parte tramandata, in parte perduta ed in parte sepolta negli strati più profondi dell'inconscio. Il celeberrimo episodio della “Torre di Babele”, entrato prepotentemente nell'immaginario collettivo dei paesi occidentali, grazie al fatto che la sua narrazione è contenuta in un testo sacro cristiano tanto affascinante quanto la Genesi, traspone in modo apparentemente semplice e assolutamente efficace il mito di una umanità primordiale unita in un'unica lingua. L'enorme ziggurat di Babilonia, antica città della quale il nome Babele costituisce semplicemente una traslitterazione arcaica, è il tentativo dell'uomo di avvicinarsi a Dio, quasi di “toccarlo”. In un'eco di simbolismi stupefacente, lo stesso nome di Babilonia, “Bab – Ilani”, cioè in accadico “La porta degli Dei”, sembra designare il luogo perfetto per l'inizio del viaggio dell'uomo verso l'elevazione e la trascendenza. Ma che venga considerata superba sfida ai propri limiti di creatura mortale o semplicemente la necessaria evoluzione dell'umanità, questo percorso implica la rinuncia ad una primitiva e leggendaria età dell'oro, in cui vi erano un solo popolo ed una sola lingua, in favore delle molteplici lingue e delle molteplici forme che l'uomo genera nella sua espansione, rendendo tutto il mondo una “Babele”. Non sorprende, dunque, che, viste le grandi emozioni che mette in gioco nell'immaginario della nostra specie, l'idea di una umanità finalmente “riunificata”, quasi a compimento di un ciclo esistenziale e storico, abbia affascinato ed affascini numerosissimi intellettuali in tutto mondo. E, sicuramente, uno dei tasselli indispensabile, ma sicuramente non l'unico, sulla strada del ritorno a questa mitica comunione, è l'adozione di una lingua comune. Ma quale lingua comune può essere scelta? Sicuramente non una lingua attualmente parlata da un popolo: ciò sarebbe emblematico della perpetrazione dei meccanismi di dominio peculiari del “vecchio uomo”, laddove si aspira, invece, ad una nuova umanità. Bisogna creare una lingua che sia sufficientemente neutra ed equidistante, 6
cioè facile da apprendere per tutti, indipendentemente da quale sia l'idioma di partenza. Considerata, dunque, la fortissima componente di idealità che caratterizza la ricerca di una lingua universale per l'umanità, essa deve sfociare necessariamente nel processo di creazione di una lingua artificiale, una lingua costruita appositamente per un futuro migliore. La creazione di una lingua è forse il processo creativo più complesso ed articolato che l'uomo conosca. Quasi tutto il pensiero dell'uomo, quantomeno quello conscio e strutturato, viene formulato in parole nella lingua preferita. Per questo motivo, non è errato affermare che creare lingua vuol dire creare pensiero o quantomeno una serie di modalità attraverso le quali un pensiero può essere declinato. Non è difficile, quindi, immaginare quanto il lavoro di creazione di una lingua artificiale possa essere complicato, ma allo stesso tempo suggestivo e stimolante. I glottoteti, ovvero gli ideatori e sviluppatori delle lingue artificiali, tramite un processo detto appunto “glossopoiesi”, si cimentano in questa ardua impresa per i motivi più svariati. Non sempre c'è lo scopo di creare una lingua mondiale, anzi, spesso vengono ideate lingue per le quali si esclude la possibilità che vi siano locutori reali. Basti pensare alle lingue artificiali create appositamente per arricchire di particolari universi fantastici come quelli delle saghe di Tolkien (“Il signore degli anelli”) o di Roddenberry (“Star Trek”), senza contare la “neolingua” con cui Orwell perfeziona la sensazione di straniamento trasmessa dal mondo futuribile rappresentato nel suo celeberrimo romanzo “1984”. Ma le lingue artificiali più note e più utilizzate al mondo sono le LAI (Lingue Ausiliarie Internazionali), lingue in qualche misura realistiche, create con il precipuo scopo di fornire uno strumento per la comunicazione tra tutti i popoli del mondo. Lo scopo delle lingue ausiliarie internazionali oscilla tra due poli: quello di candidarsi ad essere la prima lingua parlata da tutte le genti del nostro pianeta o quello di proporsi come seconda lingua per tutti i popoli del mondo. Queste due posizioni ideologiche, seppure in determinati momenti radicalmente contrapposte tra loro fino al punto di provocare paradossali conflitti all'interno di movimenti che, invece, ambiscono a creare una armonia generalizzata nell'umanità, sono saldamente concordi su una cosa: la lingua “tipica” di ogni popolo va preservata e va, dunque, abolita ogni pretesa di utilizzo della lingua quale strumento di 7
dominio. Caposaldo ideologico e conditio sine qua non di questa posizione è la reale o presunta neutralità od equidistanza delle lingue artificiali. Come vedremo questo elemento è pressoché inesistente nelle LAI, quasi tutte “viziate” da grave eurocentrismo, fin da quando la condizione di neutralità era programmaticamente esposta con chiarezza da Ludwik Zamenhof, creatore della più famosa delle lingue ausiliarie internazionali: l'Esperanto. Ma l'idea di lingua mondiale nasce prima dell'Esperanto e continua a svilupparsi in mille forme anche oggi, ad oltre un secolo dell'inizio dell'avventura esperantista. In questo viaggio ci apprestiamo a toccare molte lingue ausiliarie internazionali, restituendo alla memoria storica autorevoli lavori di glossopoiesi pre-esperanto, ma sicuramente escludendo al contempo l'idea dell'esaustività, visto l'ormai elevatissimo numero di LAI, che renderebbe una trattazione completa un'opera pressoché enciclopedica. Sebbene la glossopoiesi finalizzata alla creazione di lingue ausiliarie internazionali sia un'operazione in un certo senso realistica e concreta rispetto alla creazione di lingue funzionali a scopi esclusivamente artistici, bisogna ammettere l'esistenza, ad oggi, di una forte componente utopica in quest'attività. Infatti, creare una lingua per un mondo “nuovo” nel quale l'umanità è ben disposta rispetto all'idea di mettere in comune pacificamente il proprio destino, rinunciando agli odi ed ai particolarismi, vuol dire guardare ad un mondo che non esiste o che, in un'ottica ottimistica, deve ancora arrivare, quindi purtroppo, ad un mondo per molti aspetti ancora “fantastico”. Tuttavia, ad onor del vero, negli ultimi anni è necessario rilevare un fortissimo impulso allo studio, all'utilizzo ed alla progettazione di lingue ausiliarie internazionali. Malgrado il fatto che costituisca ormai una inconfutabile evidenza l'esito sostanzialmente fallimentare di quanto fin'oggi prodotto, sia a causa del mancato attecchimento rilevante di qualsivoglia LAI esistente nel tessuto linguistico mondiale, sia a causa del paradossale fenomeno delle continue scissioni tra gruppi di glottoteti, che genera una frustrante dispersione di energie ed un frastornante numero di possibili scelte, è empiricamente registrabile una certa intensificazione dell'interesse che questo argomento suscita. Si può, infatti, facilmente constatare la moltiplicazione dei forum, dei newsgroup, de blog, delle mailing list e dei gruppi di discussione su facebook e su altri social network, aventi per argomento le lingue ausiliarie internazionali. Addirittura vi è facile riscontro della intensa progettazione di nuove lingue ausiliarie internazionali e 8
del revival di LAI considerate morte o dormienti, ovvero senza piĂš locutori. Probabilmente internet ha impresso una brusca accelerazione al processo di globalizzazione, rendendo semplice e celere la circolazione delle idee e creando un fenomeno che potremmo battezzare “globalizzazione del pensieroâ€?, che grande giovamento trarrebbe dall'esistenza di una LAI efficiente e che ampiamente giustifica il risveglio e la nuova fioritura di queste particolari lingue pianificate.
CAPITOLO I I precursori dell'Esperanto.
1.Il Communicationssprache
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Il Communicationssprache è il primo serio tentativo in epoca moderna di costruzione di una lingua ausiliaria internazionale, secondo in ordine di tempo solo al Solresol (1817), opera dell'originale glottoteta francese François Sudre, che più che essere una vera LAI è il tentativo di enfatizzare il valore universale della musica nell'ambito della comunicazione umana, qundi, sostanzialmente una lingua artistica costruita a priori, ovvero non tenendo conto di nessuno dei costrutti linguistici preesistenti, né di lessico, alfabeto od ortografia di altre lingue. Il Communicationssprache, invece, è una lingua costruita evidentemente a posteriori, ovvero basata sulla grammatica e sul lessico di una o più lingue naturali. Glottoteta del Communicationssprache è l'intellettuale tedesco Joseph Schipfer. Questo poliedrico umanista mitteleuropeo nasce da famiglia agiata nel 1761 a Wiesbaden, capitale dell'allora provincia prussiana di Nassau (oggi: Assia), provincia nella quale entra a far parte del parlamento locale intorno al 1820, nella quota di deputati riservata ai proprietari terrieri. Egli si distingue per l'originalità dei suoi scritti, dei quali alcuni colpiscono particolarmente per quella che si potrebbe eufemisticamente definire estrema stravaganza dei temi trattati, come ad esempio nello scritto “Idee per evitare i sepolti vivi” del 1840. Ad ogni modo Joseph Schipfer era sicuramente, oltre che un eccentrico intellettuale, anche una persona animata dai più profondi e sinceri sentimenti umanitari e filantropici, proprio come il suo mecenate, il principe Emanuele di Salm-Salm, conosciuto come protettore dei poveri. Nel 1840 una grave calamità colpisce la Francia: i fiumi Saona e Rodano tracimano a causa di intense piogge provocando una devastante alluvione lungo le loro rive. Lo spirito umanitario di
Joseph Schipfer è immediatamente scosso dall'evento.
L'intellettuale tedesco si attiva per portare soccorso alle popolazioni colpite dal tragico evento e propone in una sua lettera aperta del 20 Febbraio intitolata “Appello generale all'umanità compassionevole” che i proventi delle vendite di suoi libri vengano interamente devolute in favore delle vittime della grave calamità. La lettera in questione contiene l'elencazione delle opere di Schipfer, o quantomeno la lista dei suoi scritti messi a disposizione di questa sorta di fund rising ante litteram. In tale elenco, vi sono diversi riferimenti al Communicationssprache, riscontrabili in titoli di opere messe in vendita per beneficenza come “Sintetiche istruzioni per imparare ed insegnare ad altri il 10
Communicationssprache” e “Piccola grammatica di questa lingua in domande e risposte per la comprensione di bambini dai 12 ai 14 anni”. Grazie a questa missiva, databile senz'ombra di dubbio al 1840 per il suo esplicito riferimento alla calamità naturale che colpì la Francia nello stesso anno. Il Communicationssprache è una lingua derivata in gran parte dal francese, del quale rappresenta innegabilmente una versione semplificata. Ciò è notevole anche per il fatto che, sebbene la temperie culturale di quel periodo fosse in qualche modo “favorevole” al francese, che dominava culturalmente l'Europa ed il mondo, è pur vero che Joseph Schipfer era un tedesco e che Germania e Francia videro, purtroppo, i loro rapporti funestati da conflitti per molti anni a venire. In altre parole sebbene Francia e Germania fossero vissute all'epoca come “rivali naturali”, Schipfer ebbe la grandezza di capire che nessuna lingua internazionale poteva essere accettata come tale senza il superamento di odi e diffidenze tra le nazioni ed a suo modo dette il buon esempio. E' un vero peccato che gran parte della produzione in questa lingua ausiliaria internazionale dal grande valore storico sia andata perduta o magari giaccia sepolta in qualche scaffale nascosto della biblioteca di stato dell'Assia o di qualche collezione privata. Per fortuna si è salvata la versione in Communicationssprache del Padre Nostro . Questa preghiera, che spesso si trova, tradotta in tutti gli idiomi conosciuti, affissa a quadri in ben noti luoghi di culto, viene, proprio per il suo valore religioso, frequentemente tradotta dai glottoteti nelle lingue artificiali da loro create. Il Padre Nostro contiene una serie di interessanti strutture grammaticali e, dunque, ben si presta ad operazioni di comparazione tra lingue. Si riporta di seguito il testo della famosa preghiera in Communicationssprache:
No Pera, wia ete Cielu ta Noma sanctiferii; ta Royoma Ais arrivii; ta volonta färerii com Cielu änsi Terru. Donne Ais noa Päno quotidien; pardonne Ais noa offansos, 11
com pardonnas Aos offanding; non permette que succombias tantationi; mä delivre Aos malu.
Ed ecco il Padre Nostro in Francese:
Notre père, qui es aux cieux, que ton nom soit sanctifié. Que ton règne vienne. Que ta volonté soit faite sur la terre comme au ciel. Donne-nous aujourd'hui notre pain quotidien. Et pardonne-nous nos offenses, comme nous pardonnons à ceux qui nous ont offensés. Et ne nous induis point en tentation, mais délivre-nous du mal.
Come si può notare, sebbene il lessico in Communicationssprache riportato nel testo derivi quasi totalmente dal francese, ad eccezione della particella pronominale “wia” di chiara derivazione germanica per il francese “qui”(“che”), vi sono importanti differenze nella grammatica, non sempre da intendersi come una semplificazione rispetto alla grammatica francese. Di seguito si elencano le più significative: 1) la
coniugazione
passiva dei
verbi, simile a quella latina, presente nel
Communicationssprache. Per es.: “ sanctiferii”(congiuntivo passivo) per il francese “ soit sanctifié”(“sia santificato”), passivo, invece, costruito con l'ausiliare “essere” come in italiano; 2) la presenza di declinazione dei sostantivi, come in latino ed in tedesco, nel Communicationssprache. Per es.: “terru” (ablativo locativo) per il francese “sur la terre”(“in terra” o “sulla terra”); 3) l'uso anglosassone della forma in -ing; si veda l'agile “ offanding” (si confronti con l'inglese “offending”), per la lunga perifrasi francese “qui nous ont offensés”. 12
Al di là dei meriti o dei demeriti nel suo lavoro di glottoteta, Joseph Schipfer è un precursore di un' idea umanitaria positiva, che, per fortuna, dopo di lui ha continuato a camminare sulle gambe di altri uomini. Egli ha visto con gli occhi del sognatore un mondo in cui ci potesse essere una fratellanza umana universale, partendo anche dai confini “caldi” di nazioni in conflitto cronico, come Francia e Germania.
2. L' Universalglot
E' difficile per chi studi le LAI non essere colto da un moto di stupore ed ammirazione approcciandosi all'Universalgot per la prima volta. Nel 1868, 11 anni prima della prima pubblicazione in Volapük (1879), prima lingua a suscitare una vasto interesse e 13
seguito di pubblico, e addirittura 19 anni prima della prima pubblicazione nel celeberrimo Esperanto (1887), il geniale linguista francese Jean Pirro (1831-1886), ingiustamente passato nell'oblio della storia e ricordato molto meno del fratello musicologo Andrè, pubblica il suo libro “Tentative d'une langue universelle, Enseignement, grammaire, vocabulaire”. In questo libro Jean Pirro, come si può intuire dal titolo stesso dell'opera, presenta al pubblico attraverso l'elencazione dei lemmi e l'esposizione delle strutture grammaticali, le principali caratteristiche della lingua da lui creata. Come opportunamente evidenziato da Frederick Bodmer nel suo libro “The Loom of Language: An Approach to the Mastery of Many Languages”, l'Universalglot, detto anche Universal-Sprache, rappresenta una lingua artificiale che utilizza una struttura a posteriori pura di un tipo davvero avanzato ed è paragonabile a lingue “ben progettate” come Esperanto, Ido ed Interlingua. In particolare, è notevole il fatto che tutte le radici dei lemmi utilizzati in Universalglot, che sono circa 7.000, sono frutto di un approfondito studio del substrato comune alle più diffuse lingue europee occidentali, ovvero inglese, francese, spagnolo e portoghese. La ricerca e la selezione delle parole (e quindi delle radici) che si trovano nella maggior parte delle lingue europee occidentali moderne e, quindi, più diffuse nel mondo, è sicuramente una delle operazioni più scientificamente corrette che si possa intraprendere nella costruzione di una lingua artificiale. Visto che la somma dei locutori basici di queste lingue costituisce una sorta di superlingua, che rappresenta virtualmente di gran lunga la più numericamente rilevante comunità linguistica del mondo, e considerato il fatto che in realtà queste lingue (“di controllo”) hanno sicuramente un substrato comune, selezionare le radici comuni tra questi idiomi permette di raggiungere un amplissimo numero di persone senza la necessità che gli stessi studino ex novo il vocabolario della LAI. E' proprio questa l'operazione intrapresa da Jean Pirro a metà '800, in straordinario anticipo rispetto al sorgere delle LAI a posteriori naturalistiche moderne, tra le quali l'Interlingua è la più rappresentativa. Questa operazione di selezione delle radici, attraverso il costante confronto con il vocabolario di lingue di controllo, porta ad un fenomeno che potremmo battezzare “latinizzazione” delle LAI, già ampiamente rilevabile nell'Universalglot. Il motivo di questo fenomeno sviluppato nelle lingue ausiliarie internazionali a posteriori moderne a tal punto da portare la maggior parte degli studiosi a classificare queste ultime in blocco tra le 14
lingue neolatine, ha delle precise e facilmente individuabili motivazioni storiche e scientifiche. Infatti lo spagnolo, il francese ed il portoghese, lingue diffusissime a causa del passato colonialista di questi popoli, sono evidentemente lingue romanze e proprio a causa della loro diffusione sono sistematicamente incluse tra le lingue di controllo per la costruzione di un vocabolario internazionale. L'inglese, altra lingua di controllo, sempre presente per motivi facilmente intuibili, pur essendo solitamente classificata come una lingua germanica a causa della sua derivazione anglosassone, ha un numero di parole derivate dal latino insolitamente elevato per essere una lingua appartenente a tale categoria, in ragione di due cause storiche chiaramente rintracciabili: 1) nella Britannia invasa dagli Angli e dai Sassoni, vivevano i bretoni ormai romanizzati che parlavano un volgare celtoromano le cui tracce sono gradualmente riemerse nella base germanica dell'inglese, man mano che gli invasori germanici si integravano con gli autoctoni; 2) l'Inghilterra è stata per periodi medio-lunghi dominata da elites di corte francesi, fino ad adottare il francese, che ha trasmesso una ulteriore eredità di termini provenienti dal latino, come lingua giuridica e diplomatica in epoca plantageneta. Per le succitate ragioni è evidente che la base comune tra le lingue occidentali di uso internazionale non può che essere una sorta di rivisitazione moderna del sermo vulgaris. Questo fa sì che le LAI create con tale criterio risultino di immediata comprensione da parte di locutori di lingue neolatine di cultura medio-alta, ma allo stesso tempo violi il principiò di neutralità che dovrebbe essere uno dei capisaldi ideologici delle lingue ausiliarie. Anche l'Universalglot, in quanto antesignano di tale tendenza, presenta un'elevatissima comprensibilità “all'impronta” per i lettori di madre lingua romanza. Vediamo alcuni esempi di frasi in Universalglot: Men senior, I sende evos un gramatik e un varb-bibel de un nuov glot nomed universal glot. In futur, I scriptrai evos semper in dit glot. I pregate evos responden ad me in dit self glot. (Mio)Gentile signore, vi mando una grammatica ed un vocabolario in una nuova lingua chiamata “lingua universale”(“universalglot”). Vi scriverò sempre in questa lingua. Vi prego di rispondermi in questa stessa lingua.
Men senior, I grate vos pro el servnes ke vos habe donated ad me. Kred, men senior, ke in un simli fal 15
vos pote konten up me. Adcept el adsekurantnes de men kordli amiknes.
(Mio) Gentile signore, Vi sono grato per i servigi che mi avete reso. Credo, caro signore, che in simili difficoltà possiate contare su di me. Accetti l' assicurazione della mia cordiale amicizia.
Ben dai, Meni senior, i ese inkanted reinkontra evos; i habe videt evos in London, e ditdai nos finde enos in Skotland. dikt me ex ke land vos ese. Un ex enos ese ruser e du ese italier e el quatli ese deutsch; ma nos pote toti parlen insamel, den nos parle el universal glot.
Buon giorno, (Miei) Cari Signori, sono felice di rincontrarvi, vi ho visti a Londra e quest'oggi ci incontriamo in Scozia; ditemi da quale paese venite. Uno di noi è russo, due sono italiani ed il quarto è tedesco, ma possiamo parlare tutti insieme, dunque parliamo la “lingua universale” (“universalglot”).
Come si può notare i sostantivi sono totalmente invarianti e privi persino di qualunque suffisso o desinenza indicante il numero, che si desume dall'articolo, determinativo od indeterminativo che sia, o dall'aggettivo possessivo che lo precede. Per es. “Men senior”(= mio signore) e “Meni senior”(=miei signori). Ovviamente, non essendo presenti le flessioni di caso, le funzioni di ogni parola nella frase sono chiarite esclusivamente dalle preposizioni e/o dalla posizione, in modo anche più perentorio di lingue moderne , come l'italiano, che nella loro evoluzione hanno perso la declinazione dei casi. I verbi hanno una declinazione molto semplice, ottenuta con dei suffissi, come segue: 1)
-en: per l'infinito
2)
-e: per il presente
3)
-ed: passato e participio passato; 16
4)
-(e)rai: futuro;
5)
-(e)rais: conginiuntivo/condizionale;
6)
la radice pura per l'imperativo
Per
esempio,
consideriamo
la
coniugazione
del
verbo
“graten”(=ringraziare): I grate (presente), I grated (passato), I graterai (futuro), I graterais (forma potenziale/dubitativa), grat! (imperativo). Inoltre, come si può notare, gran parte del lessico dell'Universalglot è di derivazione latina. Sebbene la sua comprensione risulti quasi immediata da parte di locutori di lingue romanze di estrazione culturale medio-alta, essa è leggermente più difficoltosa di quanto non avvenga per lingue ausiliarie internazionali più tarde, progettate a posteriori seguendo gli stessi criteri dell'Universalglot, come ad esempio la famosa Interlingua IALA: ciò avviene perché in questa lingua artificiale è più forte l'influenza della grammatica inglese da un lato, ma anche l'utilizzo di preposizioni e suffissi di origine inglese. Si notino “up” per “su/sopra” e il suffisso -nes in “amiknes” usato in modo analogo a -ness in inglese, per esempio nella parola “happiness”. Nel suo complesso l'Universalglot è una lingua di semplice apprendimento e comprensione, costruita in modo solido e fornita di una pronuncia lineare. Essa ha costituito una costante fonte di ispirazione e un importante parametro di confronto per chiunque si sia cimentato con una certa serietà alla costruzione di una LAI. In quest'ottica appare assolutamente condivisibile il giudizio dato dall'eminente linguista ed anglista Otto Jespersen, creatore a sua volta di un'altra LAI, il Novial, sull'Universalglot: ”it is one to which I constantly recur with the greatest admiration, because it embodies principles which were not recognized till much later” (Otto Jespersen, Selected Writings of Otto Jespersen, Allen & Unwin, 1960, Oxon, pag. 401).
3. Il Volapük
Il Volapük è il miglior esempio di come, nella diffusione di una lingua ausiliaria internazionale, spesso i fattori legati all'efficienza, intesa come facilità di 17
apprendimento e locuzione, cedano il passo ad aspetti emotivi. Il Volapük viene creato tra il 1879 ed il 1880 dal sacerdote cattolico tedesco originario del Baden, Johann Martin Schleyer. Questo religioso, già noto per la sua vis polemica anti-socialista esplicitata durante alcuni sermoni, che addirittura gli sarebbe costata una breve permanenza in carcere, probabilmente spinto a questo tipo di riflessioni dalla difficoltà a comunicare con congiunti emigrati all'estero di alcuni suoi parrocchiani illetterati, nel 1879 pubblica sulla rivista cattolica locale “Sionsharfe” un articolo che presenta il
Volapük, descrivendone le caratteristiche generali ed abbozzandone
grammatica e lessico. Nel 1880 Johann Martin Schleyer pubblica un intero libro sulla lingua artificiale da lui creata, utilizzando la lingua tedesca, per spiegarne ulteriori particolari. Secondo quanto dichiarato dallo stesso Schleyer, egli avrebbe composto questa lingua in base ad una precisa richiesta avanzata addirittura da dio in personadurante un sogno. Malgrado l'alto compito cui Schleyer si sente chiamato, il risultato non è dei migliori. Infatti, una breve analisi dei costrutti del Volapük evidenzia una grammatica farraginosa e sicuramente non meno complicata di quella di lingue naturali come il tedesco, e un lessico, perlopiù derivato dall'inglese ma attraverso meccanismi che alterano pesantemente le radici, incomprensibile. Quando si tratta di imparare la coniugazione dei verbi la faccenda si fa addirittura tragicomica: Schleyer decide di utilizzare dei morfemi che caratterizzino i verbi oltre che in base ai criteri propri della lingua tedesca, anche in base al genere (maschile, femminile e neutro), alla diatesi (attiva, passiva o riflessiva) ed all'aspetto (perfettivo, imperfettivo, puntuale) con il risultato paradossale di produrre una coniugazione verbale che conta oltre 500.000 forme per verbo. Naturalmente i sostantivi sono tutti declinati, secondo regole che ricalcano quelle della lingua tedesca, prevedendo, quindi, i casi nominativo, accusativo, dativo e genitivo. La stessa parola Volapük dà un'idea del modo in cui vengono ricavate le radici da utilizzare: essa infatti deriva comprovatamente dalle parole inglesi “world” e “speak” ed ha, dunque, di fatto il significato di “lingua del mondo”. Si noti come la parola “world” inglese diventi “vol”(di cui “vola” rappresenta il genitivo singolare), attraverso un processo di troncamento, mentre la parola “speak” diventi addirittura “pük”, in virtù della caduta della consonante “s” e dell'apofonia del gruppo “ea”[i:] con “ü”. Unica nota positiva 18
di questo modo di procedere è che esso, rendendo sostanzialmente irriconoscibile la fonte d'ispirazione delle parole, rende il Volapük più neutrale ed equidistante della maggior parte delle LAI create prima e dopo di esso. Il primo verso del Padre Nostro in Volapük:
“O Fat obas, kel binol in süls”
evidenzia le caratteristiche salienti della lingua. Si noti “fat” per l'inglese “father”, “süls” probabilmente per il francese “ciel” e la declinazione del verbo essere con “binol” per il tedesco “du bist”, la cui radice deriva probabilmente però dalla prima persona “icht bin”. I problemi del Volapük non finiscono con le difficoltà di apprendimento grammaticali e lessicali. Sebbene l'idea di creare nel 1882 una società per la promozione del Volapük con sede a Vienna, la cui direzione è affidata all'accademico belga Kerckhoffs, si riveli vincente determinando un'ampia diffusione di questa lingua artificiale in quegli anni, il rifiuto da parte di Schleyer di cedere i diritti intellettuali sulla lingua da lui inventata all'accademia appositamente istituita, crea forti tensioni con lo stesso Kerckhoffs, che sfociano nel 1902 in uno scisma nel movimento. Il Kerckhoffs ritiene giustamente in stridente contrasto con l'aspirazione di Schleyer di far diventare il Volapük una lingua mondiale l' idea dello stesso di detenerne i diritti d'autore. E' impossibile contestare il merito delle osservazioni di Kerckhoffs, ma Schleyer non cede a questa proposta e questo porta, a partire dal 1902 all'abbandono da parte della stessa “Kadem bevünetik Volapüka”, ovvero l'accademia internazionale per il Volapük, della lingua che ne era stata motivo della costituzione. Quindi, nel 1902, l'Accademia internazionale per il Volapük muta la propria denominazione in “Akademi Internasional de Lingu Universal” cioè “Accademia Internazionale per la Lingua Universale” ed adotta una nuova LAI progettata con caratteristiche lessicali, morfo-sintattiche e grammaticali simili all'Universalgot ed alle lingue ausiliare internazionali più recenti di impronta naturalistica, ovvero l'Idiom Neutral. Glottoteta principale dell'Idiom Neutral è l'ingegnere russo Waldemar Rosenberger, che assume fin da subito la presidenza dell'Accademia dedicata alla diffusione di una lingua universale. Il Volapük avrà un'ultima piccola fiammata grazie al medico militare olandese 19
Arie de Jong, che ne presenterà una versione riformata e molto semplificata, sopratutto per quanto riguarda la coniugazione dei verbi ed il lessico, nel 1931. Circoli fedeli alla versione riformata da de Jong del Volapük sono rimasti in attività nei Paesi bassi, in Germania e nell'Europa dell'Est fino alla fine degli anni '70 del '900, praticamente fino all'estinzione per morte naturale dei membri, dimostrando quanto coriaceo fosse l'attaccamento affettivo a questa lingua.
Capitolo 2. Esperanto
1. L'Esperanto
L'Esperanto è attualmente considerato dalla maggior parte degli studiosi di 20
LAI di gran lunga la lingua artificiale più studiata e più parlata al mondo. Tuttavia, bisogna ammettere che quasi tutte le statistiche entusiastiche sull'uso dell'Esperanto, che arrivano nei casi più ottimistici a stimare 3.200.000 locutori, provengono da fonti “interne”, ovvero da organizzazioni esperantiste e, pertanto, non soddisfano minimamente il requisito di neutralità richiesto per i curatori delle indagini statistiche. Ma, al di là delle esagerazioni, non vi è alcun dubbio che l'Esperanto sia la vera “regina” delle LAI e sicuramente un autorevole indicatore di ciò è rappresentato dalla relativamente ampia letteratura prodotta nativamente in Esperanto. Il legame tra l'Esperanto ed il suo creatore, Ludwik Lejzer Zamenhof, è talmente forte che, sebbene questi gli avesse dato il nome di Lingvo Internacia (=lingua internazionale), la comunità dei locutori gli ha attribuito con entusiasmo il nome attualmente in uso, attingendo lo stesso da uno degli pseudonimi usati dallo Zamenhof in vita, ovvero quello di Doktoro Esperanto. Sarebbe impossibile comprendere l'Esperanto senza conoscere il contesto in cui esso è stato ideato e la personalità del suo glottoteta.
1.I. Cenni biografici su Zamenhof.
Ludwik Lejzer Zamenhof nasce nella Polonia orientale ancora assoggettata all'Impero Russo nel 1859. La sua città natale, Bia łystok, era un posto piuttosto cosmopolita nel quale convivevano diversi gruppi etnici e religiosi e nel quale venivano parlate diverse lingue. La famiglia Zamenhof è di origine ebraico-lituana, sebbene l'autore dell'esperanto abbia parlato di sé stesso sempre come di un ebreo russo ed è probabile che egli non parlasse se non i rudimenti del lituano. A Białystok i rapporti tra i vari gruppi etnici presenti non erano sempre amichevoli e, malgrado i momenti di scontro aperto vero e proprio fossero piuttosto rari, sicuramente le etnie più largamente rappresentate in questa città (russi, polacchi, tedeschi ed ebrei), vivevano in reciproca diffidenza e si dividevano ruoli e responsabilità nella società rigidamente come caste. In una simile situazione parlare una determinata lingua rappresentava sicuramente un tratto distintivo anche della propria appartenenza sociale, oltre che di quella culturale. Il giovane Zamenhof vive male queste divisioni, anche in virtù dell'esemplare educazione ricevuta dal padre, il docente di lingue e letterature straniere Mordechai detto Marko, il quale gli aveva insegnato a considerare 21
l'intero genere umano come parte della stessa famiglia.
"Il luogo dove sono nato e degli anni della mia gioventù ha influenzato sin dall'inizio tutte le mie aspirazioni successive. La popolazione di Białystok è formata da quattro gruppi etnici: russi, polacchi, tedeschi, ebrei. Ciascuno di questi gruppi parla una lingua diversa e ha relazioni non amichevoli con gli altri gruppi. In questa città, molto più che in altri luoghi, un temperamento sensibile percepisce la grave infelicità provocata dalla diversità linguistica e si convince ad ogni passo che la diversità di lingue è la sola o la principale causa delle divisioni in seno alla famiglia umana tra fazioni nemiche. Sono stato educato all'idealismo; mi hanno insegnato che tutti gli uomini sono fratelli e purtroppo nelle strade e nei cortili tutto a ogni passo mi ha fatto sentire che non esistono uomini, ma esistono soltanto russi, polacchi, tedeschi, ebrei, ecc. Questo ha sempre tormentato il mio animo da bambino, anche se in molti potrebbero sorridere a proposito di questo dolore per il mondo intero da parte di un fanciullo. Visto che, allora, a me pareva che gli adulti fossero onnipotenti, mi ripetevo che quando sarei diventato grande anch'io senz'altro avrei eliminato questo male"
(dalla Lettera a Borovko in: L.L. Zamenhof,
“Eltiro el privata letero de D-ro. L.L.
Zamenhof al N. Borovko”, E.A.N.A. Libraro, New York, 1930, pagg. 6-7).
Inoltre, la condizione di ebrei alla periferie dell'Impero russo non è semplice: c'è sempre il timore di un progrom e, comunque, la popolazione è continuamente sobillata dagli stessi organi governativi a coltivare l'odio antisemita. Per Zamenhof, profondamente intriso di cultura ebraica progressista, grazie anche agli insegnamenti del padre che fin da bambino gli insegna la lingua ebraica e lo inizia allo studio della Torah, del Talmud e dei pilastri dell'Haskalah, il periodo dello studio universitario, trascorso quasi interamente a Varsavia, si rivelò irto di insidie e di difficoltà proprio legate alla sua origine ebraica. In questo periodo, a partire dal 1882, Zamenhof si avvicina a diversi gruppi protosionisti e scrive su diversi giornali della stessa ispirazione, partecipando con alterne opinioni al dibattito sull'individuazione della nuova Terra Promessa. L'appartenenza inequivocabile del glottoteta dell'Esperanto a gruppi 22
riconducibili al sorgente sionismo ha provocato e provoca tutt'oggi il boicottaggio dell'opera del medico russo da parte delle organizzazioni e dei governi che più rabbiosamente avversano questa ideologia. D'altro canto bisogna ammettere che l'appartenenza del Doktoro Esperanto ad un movimento fondamentalmente nazionalista, radicalmente contrario all'integrazione degli ebrei nell'ambito degli stati e propenso, invece, all'idea della separazione come unico mezzo di coesistenza pacifica, appare non del tutto coerente con gli ideali di fratellanza universale umana declamati in altre sedi dallo stesso Zamenhof. Ad ogni modo, la sentita appartenenza alla comunità ebraica di Zamhenof, unitamente alla sua passione per la linguistica, portano l'oftalmologo ebreo a scrivere la prima grammatica standardizzata dello yiddish, pubblicata nel 1909. La creazione dell'Esperanto può essere invece considerata a tutti gli effetti un'opera giovanile di Zamhenof: egli completa la prima versione (“Lingwe Universala”) di questa famosa LAI ad appena 19 anni e riscrive, dopo la distruzione per motivi poco chiari dei manoscritti contenenti questo protoesperanto da parte del padre Mordechai, la versione definitiva dell'Esperanto negli anni successivi, fino a pubblicare nel 1887 l' “Unua Libro”(=libro primo), che sancisce ufficialmente la nascita della nota lingua artificiale. Grazie alle eccellenti capacità organizzative di Zamenhof, l'esperanto diventa rapidamente una lingua internazionale sostenuta da migliaia di ferventi estimatori, affascinati oltre che dalla facilità di apprendimento dello stesso, anche dagli ideali di pace, fratellanza e condivisione tenacemente propugnati dal creatore della “ Lingvo Internacia”, in un periodo nel quale purtroppo i funesti presagi di guerra sono una triste quotidianità. Ludwik Lejzer Zamenhof muore in un quartiere popolare di Varsavia nel 1917, quando ancora il primo conflitto mondiale non è finito. Malgrado abbia lavorato per tutta la vita come oftalmologo muore fondamentalmente da povero, avendo speso gran parte delle sue sostanze per portare avanti il suo ideale attraverso varie pubblicazioni, e con un senso di sconfitta morale poiché, malgrado il suo sforzo per diffondere la pace tra gli uomini, L'Europa è dilaniata da un tragico conflitto.
1.II. Le basi dell'Esperanto
23
L'Esperanto è la prima lingua ausiliaria internazionale per la quale, per bocca del suo glottoteta, viene affermato il principio della neutralità.
“Non ricordo quando, comunque piuttosto presto, cominciai a rendermi conto che l'unica lingua (soddisfacente per tutto il mondo) sarebbe dovuta essere neutrale, non appartenente, cioè, a nessuna delle nazioni attualmente esistenti”
(dalla Lettera a Borovko in: L.L. Zamenhof,
“Eltiro el privata letero de D-ro. L.L.
Zamenhof al N. Borovko”, E.A.N.A. Libraro, New York, 1930, pagg. 8).
L'Esperanto viene definito dalla linguistica moderna una lingua artificiale a posteriori schematica, poiché la sua grammatica, benché parzialmente ispirata a regole grammaticali esistenti in varie lingue, se ne discosta significativamente adottando comportamenti caratterizzati da un elevato grado di schematicità che permette di desumere tutte le parole correlate ma con una diversa funzione semantica a partire da una radice, agglutinando a questa diversi suffissi. E' proprio questa la caratteristica più evidente dell'Esperanto:
lern (radice del concetto “apprendimento”) lerni (verbo: imparare) lerno (sostantivo: apprendimento) lerna (aggettivo: didattico, relativo all'apprendimento) lerne (avverbio: didatticamente, in modo relativo all'apprendimento).
Ma la forte tendenza all'agglutinamento di questa lingua ausiliaria internazionale non si ferma certo a questo. Esistono, infatti, altri suffissi utilizzati per dare ulteriori caratterizzazioni o sfumature di significato alle radici:
adolesk (radice del concetto “adolescnza”) adoleskulo (caratterizzato dall'adolescenza: adolescente) skeptik(radice del concetto “scetticismo”) 24
skeptikulo (caratterizzato dallo scetticismo: scettico)
Quindi, aggiungendo il suffisso -ulo a radici che hanno significati concettuali, come adolescenza e scetticismo, si ottengono sostantivi che inquadrano le persone (come in questo caso) o le cose caratterizzate da quel concetto. Vediamo ulteriori suffissi:
afin (radice per “affine”) afineco (concetto per affine: affinità) hom (radice per “uomo”) homararo (nome collettivo per uomo: umanità o genere umano)
Dunque, il suffisso -eco viene usato per ricavare a partire dalla radice dell'aggettivo o del sostantivo concreto il sostantivo che denota il concetto, mentre il suffisso -aro viene utilizzato per formare i nomi collettivi. Non bisogna, infine, dimenticare che l'Esperanto contempla il genere femminile che si forma aggiungendo il suffisso -in: viro = uomo virino = donna Il solo “ina” in esperanto vale per “femminile”. Un altro suffisso da tenere ben presente è quello che indica il plurale -j:
virinoj belaj = belle donne
Inoltre, in Esperanto, al fine di poter permettere una più flessibile distribuzione delle parole senza dover necessariamente tener conto di un ordine rigido tra soggetto e complemento oggetto, il glottoteta ha inserito un'unica flessione di caso per l'accusativo, marcata dal suffisso -n:
mi amas virinojn belajn = amo le belle donne
25
Si noti che il sostantivo e l'aggettivo ad esso riferito concordano sempre in numero e flessione di caso, mentre l'aggettivo non segue il genere. In realtà, però, non ci sono solo prefissi. Abbiamo, per esempio, anche l'usatissimo prefisso mal- , che viene utilizzato per formare in modo rapido ed intuitivo il contrario del sostantivo, dell'aggettivo, dell'avverbio o del verbo prescelto, nonché molti altri prefissi e suffissi, che possono essere utilizzati in modo combinato ed agglutinato, fino a rendere quasi irriconoscibile la radice. Segue uno schema illustrativo dei principali suffissi e prefissi della lingua Esperanto.
PREFISSI "al-": donazione, aggiunta al = a (preposizione) diri (dire) → aldiri = soggiungere
"bo-": parentela acquisita patro (padre) → bopatro (suocero)
"dis-": dispersione, spargimento dise = sparpagliatamente semi (seminare) → dissemi = seminare (spargere semi)
"ek-": inizio di qualcosa; cosa istantanea eki = incominciare ami (amare, voler bene) → ekami = affezionarsi
"eks-": condizione o stato passato
ekse = in precedenza, precedentemente edzo (marito) → eksedzo (ex-marito) 26
"el-": azione completa diro (detto, atto del parlare) → eldiro = affermazione, esposizione (di un argomento)
"en-": interno o movimento verso l'interno en = in (preposizione) havi (avere) → enhavi = contenere (avere dentro)
"fi-": dispregiativo (morale)
Il prefisso fi- è usato per esprimere disprezzo dal punto di vista del comportamento e morale (in italiano corrisponde a prefissi dispregiativi, cambi di parola).
fi! = vergogna! (esclamazione) virino (donna) → fivirino (donnaccia)
"for-": via, lontano
fora = lontano/a iri (andare) → foriri = andar via
"ge-" indica gruppo di ambosessi gea = promiscuo/a frato (fratello) → gefratoj = fratelli e sorelle edzo (marito) → geedzoj = sposi (marito e moglie) patro (padre) → gepatroj = genitori (padre e madre)
"mal-": contrario
Il contrario di una parola di esperanto può essere ottenuto aggiungendo il prefisso mal-. Se ovviamente incontriamo una parola che già inizia per mal-, basterà 27
eliminare tale suffisso per avere il significato opposto. Qualche esempio:
mala = opposto/a, contrario/a amiko (amico) → malamiko (nemico)
SUFFISSI
aĉa = spregevole herbo (erba) → herbaĉo (erbaccia)
"-ad": risultato di azione o stato prolungati
parolo (favella) → parolado (discorso, ripetizione dell'azione di parlare)
"-aĵ": una concretizzazione di una concetto generale o azione (risultato di un procedimento) aĵo = cosa pentri (dipingere) → pentraĵo (dipinto)
"-an": membro di un'organizzazione o abitante di un Paese
ano = aderente, associato Eŭropo (Europa) → eŭropano (europeo/a)
28
"-ar": raccolta, insieme
Indica una raccolta o insieme della cosa indicata dalla radice.
aro = aggregato, insieme, gruppo vorto (parola) → vortaro (dizionario) "-ĉj": vezzeggiativo maschile
La radice,viene adattata (può essere troncata) per rendere la parola risultante più "dolce". patro (padre) → paĉjo (papà)
"-ebl": che si può...
ebla = possibile kompreni (capire) → komprenebla (comprensibile)
"-ec": proprietà astratta eco = caratteristica, proprietà granda (grande) → grandeco (grandezza)
"-eg": massimo accrescitivo
ege = immensamente granda (grande) → grandega (immenso/a)
"-ej": luogo in cui si compie un'azione ejo = luogo lerni (imparare) → lernejo (scuola, luogo dove si impara) 29
"-em": propensione ŝerco (scherzo, burla)) → ŝercema (scherzoso/a)
"-end": da essere...
disfaligi (distruggere) → disfaligenda (da distruggere)
"-er": granello, particella di composto omogeneo
ero = piccola parte, granello, frammento, frazione greno (grano) → grenero (chicco di grano) mono (denaro) → monero (moneta)
"-estr": a capo di...
estro = capo urbo (città) → urbestro (sindaco, "capo" della città)
"-et": diminutivo
eta = piccino/a birdo (uccello) → birdeto (uccellino)
"-id": discendenza
ido = discendente, cucciolo
30
koko (pollo), ŝafo (pecora) → kokido (pulcino), ŝafido (agnello)
"-ig": rendere, far fare ...
igi = rendere/far ... (causativo: causare un cambiamento in qualcuno o qualcos'altro, o far fare un'azione a qualcun altro) manĝi (mangiare) → manĝigi (far mangiare, rifocillare) "-iĝ": diventare, portarsi ad uno stato iĝi = diventare konsumi (consumare) → konsumiĝi (consumarsi)
"-il": strumento, attrezzo per...
ilo (strumento, attrezzo) muziko (musica) → muzikilo (strumento musicale per fare musica)
"-in": genere femminile
ina = femminile kato (gatto) → katino (gatta)
"-ind": degno di...
In italiano in genere corrisponde al suffisso -evole
inda = meritevole, degno/a 31
laŭdo (lode) → laŭdinda (lodevole) )
"-ing": avvolgitore, fodero, contenitore non totale
ingo = fodero glavo (spada) → glavingo (fodero della spada)
"-ism": teoria o movimento (politico, religioso...)
ismo = ismo, movimento (culturale, di pensiero, religioso...) Kristo (Cristo) → kristanismo (cristianesimo)
"-ist": chi fa il mestiere di... instruo (insegnamento) → instruisto (insegnante)
"-nj": vezzeggiativo femminile
La radice, vista la particolarità di questo suffisso, può essere adattata per rendere la parola risultante più "dolce", secondo i gusti di chi parla. fratino (sorella) → franjo (sorellina, il sesso si capisce dal suffisso).
"-obl": moltiplicazione cent (cento) → centoblo (cento volte tanto)
"-on": frazionamento 32
ono = parte du (due) → duono (la metà)
"-op": insieme di N oggetti (con numerali)
opa = collettivo/a (fatto/a insieme) du (due) → duopo (duo)
"-uj": contenitore di...; (nazione) ujo = contenitore juvelo (gioiello) → juvelujo (portagioie)
"-ul": soggetto dotato della caratteristica ...
ulo = soggetto, individuo blonda (biondo/a) → blondulo (individuo coi capelli biondi)
"-um": rapporto di ...
Questo suffisso è molto generale (pertinentivo), usato quando si vuole indicare che la parola è derivata dalla radice, ma il tipo di derivazione non è esprimibile con gli altri suffissi particolari. cerbo (cervello) → cerbumi (scervellarsi)
Combinazione di più suffissi
33
È possibile apporre anche più di un suffisso. Ecco qualche esempio: nutri (nutrire, alimentare) → nutrado (alimentazione) → nutradisto (nutrizionista) danki (ringraziare) → dankema (grato, riconoscente) → dankemeco (riconoscenza) flamo (fiamma) → flamiĝi (infiammarsi) → flamiĝema (infiammabile) labori (lavorare) → laboristo (lavoratore, operaio) → laboristaro (classe operaia) bela (bello/a) → beligi (abbellire) → beligaĵo (cosmetico) blinda (cieco/a) → blindulo (un cieco) → blindulejo (istituto per ciechi) lerni (imparare) → lernejo (scuola) → lernejestro (direttore) → lernejestrino (direttrice)
(liberamente tratto dall' iperlibro “Esperanto”, disponibile su www.wikibooks.org e curato dalla comunità esperantista italiana)
Per quanto riguarda la coniugazione dei verbi, è chiaro che Zamenhof trae ispirazione dall'inglese. Infatti in Esperanto non esiste la coniugazione personale, e per questo motivo, ai fini della chiarezza è sempre necessario indicare il soggetto esplicitamente. Inoltre, il sistema dei tempi e dei modi è estremamente semplificato e corrisponde parzialmente, ma non totalmente a quello in uso in inglese.
amas = indicativo presente; amis = indicativo passato; amos = indicativo futuro; amus = condizionale (condizionale,congiuntivo); amu = volitivo (imperativo, esortativo); amanta = participio presente attivo; amata = participio presente passivo.
Esistono, inoltre, in Esperanto delle forme di participio del verbo che non trovano corrispondenze né in italiano, né in inglese: i participi passivi. Essi non coincidono nell'uso comune con il participio passato, così come avviene per la nostra lingua nazionale e per la lingua più parlata al mondo, ma presentano piuttosto delle similitudini con il 34
participio medio-passivo in uso nel greco classico. Ad ogni modo non si può negare che questa trovata di Zamenhof complichi e non poco la vita a quelle persone che intendano intraprendere lo studio dell'Esperanto avendo come lingua madre una lingua europea occidentale oppure che abbiano, comunque, come sovente avviene per i non europei, come punto di riferimento e termine di paragone una lingua europea occidentale. La coniugazione completa del modo participio, dunque, appare così in questa LAI:
amanta = participio presente attivo; amata = participio presente passivo; aminta = participio passato attivo; amita = participio passato passivo; amonta = participio futuro attivo; amota = participio futuro passivo.
Oltre agli avverbi formati dalle radici con l'aggiunta della desinenza -e, , come abbiamo già visto, esistono degli avverbi detti “originari”, ovvero non derivati da altre parole, che posso terminare con qualunque lettera, ma più spesso terminano in - ŭ, come per es. morgaŭ, hodiaŭ e hieraŭ. Nella LAI più usata al mondo esiste un solo articolo determinativo “la”, totalmente invariante, mentre gli articoli indeterminativi non sono previsti. Le congiunzioni in Esperanto hanno grossomodo uso e funzioni simili a quelle esistenti in italiano, latino ed inglese. Le derivazioni di queste sono abbastanza variegate: vi sono congiunzioni che derivano dal latino, altre dal greco classico, altre ancora dal francese.
kaj = e nek = né (negativo di kaj) aŭ = o/oppure sed = ma, però ke = che por ke = affinché 35
ĉar = perché
Anche il sistema degli accenti in Esperanto è molto semplice: l'accento tonico, secondo una regola inderogabile, ricade sempre e soltanto sulla penultima sillaba, come avviene in molte parole italiane. Vediamo ora il “Padre Nostro” in Esperanto: Patro nia, Kiu estas en la ĉielo, sanktigata estu Via nomo. Venu Via regno, fariĝu Via volo, kiel en la ĉielo tiel ankaŭ sur la tero. Nian panon ĉiutagan donu al ni hodiaŭ kaj pardonu al ni niajn ŝuldojn, kiel ankaŭ ni pardonas al niaj ŝuldantoj. Kaj ne konduku nin en tenton, sed liberigu nin de la malbono.
Si noti l'aggettivo possessivo “nia”(=nostro), che come tutti i suoi omologhi nella lingua di Zamenhof viene costruito semplicemente agglutinando la desinenza degli aggettivi -a al corrispondente pronome personale (in questo caso ni, cioè noi). Inoltre, è subito presente il pronome relativo/interrogativo universale “kiu”, che in Esperanto può fare le funzioni degli inglesi who, which, that e which one. Al secondo rigo si nota la costruzione del passivo volitivo sanktigata estu (=sia santificato), costruito col participio presente passivo seguito dal volitivo di esti (=essere). Al terzo rigo in “sia fatta la tua volontà” la parte predicativa “sia fatta” è resa col volitivo del verbo fariĝi, che letteralmente vuol dire “avvenga, si realizzi”. Al quinto rigo troviamo la coppia di avverbi kiel/tiel, usati in modo omologo alla coppia italiana così/come. Il gruppo “Nian panon ĉiutagan”(= il nostro pane quotidiano) evidenzia la 36
concordanza tra sostantivo e gli aggettivi ad esso correlati, che in questo caso sono tutti in accusativo. “Malbono”, parola presente all'ultimo rigo, vuol dire semplicemente “male” ed è formata dal prefisso mal-, che contraddistingue gli opposti in Esperanto, e la parola “bono”(= bene). Ciò che non si evince completamente dal Patro Nia è la composizione dell'alfabeto esperantista e la sua complessità. L'esperanto aderisce con nettezza ad uno dei principi che caratterizza la quasi totalità delle LAI, ovvero quello della univocità fonemica. Tale principio prevede, al fine di facilitare e rendere in qualche modo automatica la lettura/pronuncia accurata a partire dallo scritto, una corrispondenza 1:1 tra i grafemi ed i fonemi. Vi sono lingue, come ad esempio proprio il nostro italiano, che naturalmente si avvicinano al soddisfacimento di questa condizione, così come altre, tipo l'inglese, che se ne discostano sensibilmente. Spesso il problema principale è l'insufficienza dei grafemi, presenti sotto forma di lettere nell'alfabeto latino, a rappresentare tutti i fonemi di cui è dotata una lingua o di cui si vuol dotare una lingua pianificata. La soluzione che più di frequente viene adottata nell'ambito dell'evoluzione naturale delle lingue è la creazione di nuovi grafemi formati da combinazioni fisse di lettere, che ritroviamo ad esempio in italiano nei gruppi “chi” e “che”. Vi sono molte lingue, però, sopratutto tra quelle slave e quelle germaniche nordiche, che hanno introdotto un ampio utilizzo di segni diacritici mirati a distinguere segni ritenuti intuitivamente prossimi (anche se in realtà da un punto di vista meramente linguistico-fonologico, spesso non è così). Zamenhof opera questa scelta per l'Esperanto, introducendo un unico tipo di segno diacritico somigliante ad un accento circonflesso e collocato sopra alcune lettere. Per via di questo escamotage, l'Esperanto risulta essere, come molte altre LAI, una lingua perfettamente monogrammatica, ovvero una lingua nella quale ad ogni grafema corrisponde uno ed un solo fonema. Di seguito si riporta l'alfabeto esperantista, con lo specifico fonema IPA (alfabeto fonetico internazionale) corrispondente ad ogni grafema:
Aa
Bb
Cc
Ĉĉ
Dd
Ee
Ff
[a]
[b]
[ts]
[ʧ]
[d]
[e]
[f] 37
Gg
Ĝĝ
Hh
Ĥĥ
Ii
Jj
Ĵĵ
[g]
[ʤ]
[h]
[x]
[i]
[j]
[ʒ ]
Kk
Ll
Mm
Nn
Oo
Pp
Rr
[k]
[l]
[m]
[n]
[o]
[p]
[r]
Ss
Ŝŝ
Tt
Uu
Ŭŭ
Vv
Zz
[s]
[ʃ]
[t]
[u]
[w]
[v]
[z]
Si noti la presenza del fonema [x], assente dalle principali lingue europee occidentali (è assente da: inglese, francese, spagnolo, portoghese, italiano) ad eccezione del tedesco, sicuramente di non semplice pronuncia per i locutori di lingue romanze. E' evidente, da un lato, la relativa ricchezza di suoni della LAI più popolare al mondo, e, dall'altro, la relativa complessità di pronuncia, nonché la scomodità (ed ambiguità, nei manoscritti) della scrittura, a causa dei segni diacritici.
1.III.
Classificazione dell'Esperanto.
L'Esperanto, almeno nelle sue prime versioni, trae sostanzialmente la quasi totalità del proprio lessico dalle lingue indoeuropee, con una preponderanza delle lingue romanze. Bisogna subito sottolineare, però, che la costruzione del lessico esperantista, diversamente da quanto già avvenuto nell'Universalglot e da quanto avverrà posteriormente per lingue ausiliarie internazionali naturalistiche di tipo più evoluto, non è frutto di un accurato processo di studio, “filtraggio” e selezione di quei termini che risultano essere i più concordemente utilizzati tra le lingue più diffuse al mondo. Diversamente, in Esperanto, il lessico sembra essere stato costruito in modo piuttosto disordinato, ma questa apparente caoticità senza dubbio ha costituito anche motivo di fascino e di attrazione per questa lingua. In un periodo relativamente recente, quasi a voler riparare lo sbilanciamento dell'Esperanto verso il lessico indoeuropeo, che secondo l'opinione di alcuni renderebbe l'apprendimento e la comprensione di questa lingua di gran lunga più agevole per gli occidentali e che, senza alcun dubbio, viola il principio di neutralità enunciato con grande chiarezza dallo stesso Zamenhof in una fase precoce dell'elaborazione della Lingvo 38
Internacia, sono stati introdotti nella nota LAI molti termini provenienti da lingue non indoeuropee, tra le quali spiccano cinese, giapponese e arabo, lingue ugro-finniche ed ebraico. A causa della provenienza prevalentemente indoeuropea dei termini utilizzati da questa famosa LAI, i linguisti che l'anno studiata sin dagli albori, non hanno esitato a classificarla come lingua indoeuropea, ed in alcuni casi qualcuno si è spinto oltre, classificandola addirittura lingua romanza. Ma a ben vedere, oltre ai motivi lessicali già esposti sopra, ci sono altre ragioni morfo-sintattiche che portano certi studiosi a ritenere questa classificazione un po' riduttiva. Vista come lingua artificiale, l'Esperanto senza dubbio è una lingua pianificata a posteriori schematica. La sua schematicità è dovuta alla presenza di innumerevoli prefissi e suffissi, o più in generale morfemi, che caratterizzano la funzione della parola o ne definiscono meglio il significato a partire dalla genericità della radice. Ma proprio questa grande tendenza ad agglutinare mediante la sedimentazione di più affissi, differenzia nettamente l'esperanto dalle lingue indoeuropee, che sono invece flessive, stante la loro generale tendenza ad accoppiare un solo affisso alla radice. Questa caratteristica dell'Esperanto rende lo stesso per molti versi più simile alle lingue uralo-altaiche ed a quelle ugro-finniche.
2. Esperanto ed Ebraismo: Haskalah e Hilelismo.
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E' evidente che l'ebraicità di Zamenhof sia stato una dei fattori salienti nel determinare lo slancio creativo di quello che ai suoi occhi rappresentava, in fin dei conti, un diverso modo di comunicare tra gli uomini. Sicuramente la condizione di ebreo e suddito dell'Impero Russo risultava essere illo tempore estremamente discriminatoria e sicuramente giustifica la doppia scelta apparentemente incoerente di Zamhenof di proporre al mondo una lingua universale, come l'Esperanto, e di aderire ad un movimento nazionalista come il sionismo. In realtà lo spazio di conciliazione di questa doppia appartenenza soprattutto giovanile del glottoteta dell'Esperanto risiede nel semplice fatto che l'oftalmologo russo probabilmente ritenesse minimale l'adesione al sionismo e massimale la ricerca di una nuova comunione umana. In altre parole egli riteneva giustificata la propria adesione al sionismo dall'esigenza che al popolo ebraico fosse riconosciuta nell'immediato pari dignità rispetto alle altre nazioni ed allo stesso tempo necessario il sorgere di una nuova fratellanza umana per oltrepassare, in una seconda fase, anche le divisioni tra nazioni. Non bisogna dimenticare che Zamenhof fu educato dal padre Mordechai, oltre che ad una approfondita conoscenza dei principali testi sacri ebraici, anche alla Haskalah, interessante corrente di pensiero in seno all'ebraismo. La Haskalah, definita sovente anche illuminismo ebraico, è una corrente di pensiero sorta in Germania nella seconda metà del '700 per opera del pensatore tedesco di origini ebraiche Moses Mendelssohn. Tale corrente è caratterizzata dal suo razionalismo e progressivismo ma, anche, da un marcato cosmopolitismo e da un approccio identitario “morbido” e decisamente proiettato verso l'integrazione della cultura ebraica, vista come contributo di arricchimento nell'ambito di un incipiente nuova fase, con le culture europee. I maskilim, ovvero coloro che aderiscono o simpatizzano per questa corrente filosofica, sono strati i primi a tradurre i testi sacri ebraici in lingue nazionali europee, in primis il tedesco, proprio in un'ottica di progressivo innesto della cultura ebraica nel più ampio contesto della tradizione europea. In quest'ansia di multiculturalismo molti esponenti della Haskalah, tra cui finanche la consorte del Mendelssohn, si convertirono al cristianesimo evangelico, con il quale una intensa relazione dialogica fu aperta sin dagli albori di questo importante movimento riformista ebraico: questo confronto è inconfutabilmente provato dall'amicizia tra il fondatore dell'Haskalah ed il pastore protestante tedesco e filosofo 40
illuminista Ephraim Lessing. Almeno ai suoi albori la Haskalah è una scuola di pensiero estremamente interessante per la sua originalità. Sebbene sia profondamente pervasa di uno spirito illuministico ed il suo fondatore Mendelssohn abbia come principale punto di riferimento nell'ambito dell'Illuminismo stesso il grande filosofo e pedagogo Voltaire, il fondatore della Haskalah si discosta significativamente dalla visione dell'autore del Candido per quanto attiene la visione teologica del mondo. Mendelssohn non rinuncia alla tradizione ebraica e di conseguenza rifiuta nettamente l'impostazione deista che, invece, Voltaire propugna con grande forza e secondo la quale le religioni rivelate sono divenute ormai obsolete, considerando il fatto che l'Età dei Lumi svela all'uomo un nuovo e corretto modo di utilizzare la ragione, attraverso la quale, ogni dilemma, anche di natura teologica potrà essere sciolto. In sostanza, secondo il deismo l'uomo è ora perfettamente in grado di disvelare da solo quale sia l'unica vera religione naturale, smascherando impietosamente ogni contaminazione della superstizione e della strumentalizzazione della credulità popolare presente nelle religioni tradizionali, sottraendo alle stesse la loro funzionalità al dominio del sistema di potere vigente, ma, allo stesso tempo l'uomo sarà in grado adesso autonomamente di investigare ed individuare ogni antico legame ed ogni connessione tra le religioni al fine di evidenziare i valori positivi in esse presenti e di codificarne una sorta di minimo comune denominatore. E' proprio quest'ultima parte dell'Illuminismo, ovvero quella relativa al deismo, quella che Mendelssohn respinge, preferendo mantenersi fedele alla teologia della tradizione ebraica, che egli non mette assolutamente in discussione. Mendelssohn, invece, supporta fervidamente l'ideale di tolleranza tra le religioni diffuso dall'Illuminismo, trovando una conciliazione, non solo di superficie ma realmente profonda, tra il suo sentirsi ebreo e quest'ideale di umanità pacifica nelle sue differenze. Educato fin da giovanissimo agli ideali della Haskalah, Zamenhof, proprio come Mendelssohn, sogna fin da piccolo una reale integrazione tra l'ebraicità ed il resto delle culture europee, ma aderisce probabilmente in modo “difensivo” nei suoi anni giovanili al sionismo, che invece sogna una patria propria degli ebrei, postulando la fine dei problemi di questo travagliato popolo mediante la mera separazione fisica dalle altre nazioni. Tuttavia non si può in alcun modo ignorare che malgrado le enormi difficoltà che 41
gli ebrei affrontano nell'Europa dell'est a quel tempo, la corrente del sionismo cui Zamenhof aderisce è egemonizzata dalla predicazione del rabbino Asher Ginzberg, a capo della fazione cosiddetta spiritualista del di questo movimento ideologico. Ginzberg si oppone all'idea dell'invasione militare di terre, ma piuttosto predica il ritorno alla tradizione spirituale ebraica a discapito dell'assimilazione nelle culture europee. Ad ogni modo, ai primi del '900 Zamenhof rinuncia completamente all'idea di creazione di una patria ebraica, abbandonando di fatto il sionismo, ma ciononostante cerca di tenersi fedele alle sue origine, ritenendo lo “imprinting” culturale originario di un uomo un elemento imprescindibile. Per questo motivo, pur riconoscendo come caratteristica dell'ebraismo il monoteismo rivolto al solo popolo eletto, va alla ricerca in seno alla cultura ebraica di una figura esemplare che incarni valori universali e conciliabili con altre culture. Molto presto questa figura esemplare viene individuata nel rabbino, contemporaneo di Gesù, Hillel il Vecchio, già considerato un maestro dalla Haskalah. I precetti di Hillel, che frequenta la scuola del Sinedrio di Gerusalemme governata da maestri convertiti all'ebraismo e provenienti da famiglie non israelite, sono basati su un approccio ritenuto dagli ultraortodossi ed i tradizionalisti troppo accomodante nei riguardi delle conversioni e su una concezione “nucleare” della Torah, vista in sintesi come applicazione della regola aurea della morale della reciprocità: “non fare agli altri ciò che non ritieni giusto venga fatto a te”, che riecheggia l'evangelico: “ecco il mio comandamento: che vi amiate l'un l'altro come io ho amato voi” (Giovanni, 15,12). Secondo Goro Christoph Kimura, professore associato di sociologia del linguaggio presso l'Università di Keio, in Giappone, gli ideali di fratellanza universale e di tolleranza, nonché l'obiettivo di evitare tutte le falsità e gli impedimenti che ostacolano una corretta comunicazione tra culture e religioni diverse, guidano la scelta di Zamenhof alla formulazione dei principi dello Hilelismo, che evolvono e meglio si esplicitano nel successivo Homaranismo. Per citare lo studioso nipponico: “At first Zamenhof named his philosophy Hilelismo (Hillelism), after the rabbi Hillel, a contemporary of Jesus. He described it as <<a doctrine that, without separating a person from his native country, or language, or religion, gives him the possibility of avoiding all untruths and antagonisms in the 42
principles of his national religion and of communicating with people of all languages and religions on a basis that is neutrally human, on principles of common brotherhood, equality and justice>> (Dogmo de hilelismo, English translation cited from Janton 1993: 31). Hillelism was later renamed homaranismo. As Lee clarifies, the basic core of homaranismo is <<amo>> (love), upon which four columns are set: equality, neutrality, justice and brotherhood” (Goro Christoph Kimura, The metacommunicative ideology of Esperanto, in: Language Problems & Language Planning, John Benjamins Publishing Company, Amsterdam, 2003, pag.83).
3. Da Comenius allo Homaranismo
Il cosiddetto Hilelismo, in realtà, non è che una breve fase transitoria nell'evoluzione ideologica di Zamhenof. Fin dal lancio di questa ideologia, il glottoteta dell'Esperanto subisce, immediatamente dopo la pubblicazione dei primi scritti contenenti accenni allo Hillelismo, gli strali dei primi esperantisti cristiano-cattolici ed evangelici, i quali sospettano che dietro il diffusione di questa ideologia ci sia il tentativo di lanciare una nuova setta ebraica in diretta competizione con il cristianesimo e con la figura di Gesù Cristo. Già nell'opera “Originala Verkaro: Antauparoloj - Gezetartikoloj - Traktajoj Paroladoj -Leteroj – Pemoj” (1905) che Zamenhof scrive in risposta a queste accuse, egli esplicita in modo inequivocabile che lo Hilelismo non deve in alcun modo essere equiparato ad una nuova religione, ma che al contrario esso rappresenta semplicemente una filosofia tesa a delineare delle regole di condotta utili ad una civile e proficua convivenza, in fin dei conti già insite in ogni religione. Le basi dello Homaranismo sono già gettate, ma sostanzialmente questo concetto che altro non vuol dire in Esperanto se non “umanesimo” era completamente incluso nel precedente Hilelismo. Lo Homaranismo prevede l'adesione a dei generici valori di fratellanza universale, nonché ad una serie di semplicistici precetti morali basati sullo hilelistico “non fare agli altri ciò che non ritieni giusto venga fatto a te”, come abbiamo già visto. Alla luce di ciò appare corretto affermare che lo Homaranismo è un semplice “restyling” del nome della già esaminata filosofia derivata dai precetti del rabbino Hillel il Vecchio. Semplicemente Zamenhof decide, al fine di rendere il messaggio di tale filosofia ben 43
accetto a tutti i seguaci del sorgente movimento esperantista a prescindere dalla loro provenienza culturale e religiosa, di tradurre in termini più neutri (difatti lo stesso glottoteta della LAI più diffusa al mondo utilizzerà il termine “neutralismo” quale sinonimo di “homaranismo”) dei concetti che, così come presentati precedentemente, apparivano molto più facilmente comprensibili ad una platea esclusivamente ebraica. L'apoteosi dello Homaranismo è segnata dal congresso esperantista svoltosi nella località turistica francese di Boulogne-sur-Mer nel 1905, durante il quale Zamenhof recita al pubblico il famoso inno da lui composto “Preĝo sub la verda standardo” che contiene l'invito a superare le differenze apparenti e rituali tra le varie fedi, per ritrovarsi sotto l'unico stendardo dei valori comuni. Questo inno, inoltre, contiene vari riferimenti ad opere di Lessing, amico ed ispiratore di Mendelssohn, padre della Haskalah, a sottolineare il legame tra gli ideali propugnati da Zamenhof e la sua primissima formazione di ispirazione ebraico-liberale. In realtà Zamenhof, certamente non unico tra i semi dispersi al vento dalla diaspora israelitica, è per tutto il corso della sua vita un uomo diviso tra la sua appartenenza culturale alla comunità ebraica e il suo sentirsi parte del più ampio contesto culturale dell'Europa e del mondo, ormai sulla strada della globalizzazione. L'identità del glottoteta dell'Esperanto è in continua oscillazione tra questi due poli di attrazione, che, a fasi alterne nella sua vita assumono il ruolo, pur sempre presenti entrambi, di appartenenza forte ed appartenenza debole. Alla fine Zamenhof sembra propendere decisamente per la comunione umana globale e nei primi anni del '900 abbandona definitivamente anche il sionismo, seppur moderato, che, come abbiamo visto aveva abbracciato nei suoi anni giovanili. Zamenhof decide fin da adolescente di connotare la sua duplice appartenenza adottando un nome da “gentile” che si affianchi al suo nome ebraico di Lejzer. Il secondo nome prescelto è Ludwik, ispirato, secondo molti biografi, dal mercante inglese di origini olandesi Francis Lodowick, vissuto nella Londra del '600. Questo mercante dei Paesi Bassi, sebbene di umili natali, si distinse nel già fervido panorama culturale della sua epoca per gli studi linguistici basati sulla fonologia (è suo l'alfabeto fonologico denominato Universall Alphabet), nonché per la creazione di uno delle prime lingue artificiali a priori conosciute dalla storia, progettata per motivazioni filosofiche, 44
logiche e pedagogiche e battezzata dall'autore stesso philosophical language. E' molto interessante notare che la figura di Lodowick, per quanto straordinaria ed affascinante (questo genio poliedrico ha scritto anche di teologia e cosmologia, essendo parte attiva dell'Accademia di Roscommon), sia caduta per un lungo periodo nel dimenticatoio della storia, sopratutto a causa della scarsa diffusione delle sue opere che, a tutt'oggi, si possono trovare esclusivamente manoscritte e conservate in musei. L'opera di Lodowick non sfuggì però al grande pedagogista ceco Comenius, grossomodo contemporaneo dell'intellettuale anglo-olandese. In particolare Comenius in una delle sue opere più famose “Janua linguarum reserata”, conosciuta dal grande pubblico per l'introduzione allo studio della lingua nazionale, ma in realtà molto importante per la critica alle metodologie didattiche pedanti utilizzate ai suoi tempi per insegnare le lingue, cita la lingua filosofica di Lodowick quale esempio di lingua costruita logicamente per rinforzare la sua tesi secondo la quale le lingue sono basate su una logica naturalmente insita all'uomo e, quindi, possono essere apprese in modo naturale. Impossibile non notare la somiglianza tra le pionieristiche ipotesi sul linguaggio formulate da Comenius, che poi hanno influenzato tramite Zamenhof tutto il sistema delle LAI, e le più recenti teorie innatiste di Noam Chomsky, che vede nel Language Acquisition Device (LAD) il fattore comune di apprendimento, riconoscimento e formazione di sintassi e morfologia nelle lingue umane. Resta comunque chiaramente dimostrato il fil rouge che congiunge idee e scritti di Lodowick e Comenius. Questi ed altri indizi portano molti biografi di Zamenhof a ritenere che egli abbia letto le opere di Comenius in età giovanile e ne sia stato profondamente influenzato. Risulta infatti difficile ignorare l'enfasi che da Comenius viene data allo studio delle varie lingue, viste come parte fondamentale dell'educazione per la loro capacità di fornire un adeguato corredo comunicativo e di addestrare la mente al ragionamento influenzando, al contempo, la mente stessa sul modo in cui i ragionamenti vengono formulati. Inoltre, risulta abbastanza evidente il fatto che Comenius si sia occupato, in uno dei suoi rari libri scampati ad un tremendo incendio che purtroppo ha cancellato gran parte della corposa e sicuramente importantissima opera del boemo, in un libro intitolato emblematicamente “Unum necessarium”, del problema della pace e della fratellanza universale tra gli uomini, temi questi che costituiranno una vera e propria ossessione per Zamenhof. Non va infine 45
sottaciuto il fatto che Comenius si sia a più riprese occupato del problema religioso, e, in questa sede giova ricordare che egli stesso è stato vittima di ripetute persecuzioni, a causa della sua appartenenza alla comunione evangelica dei Fratelli Moravi, cercando anche in questo caso di trovare dei punti di incontro e di pacificazione tra gli uomini e proponendo, cosa rivoluzionaria anche tra i protestanti, addirittura una sorta di religione umana, basata sì sui precetti del Cristo, ma valida nel suo potere salvifico a prescindere dalla conoscenza stessa del testo evangelico e della figura storica di Gesù di Nazareth: una sorta di homaranismo ante litteram. Va inoltre tenuto in debito conto il fatto che sia Comenius che Zamenhof, quando parlano di fratellanza universale e di tolleranza religiosa richiamano dei valori ampiamente enfatizzati dalla cultura massonica e considerati fondativi della stessa. Pare certo infatti che Zamenhof fosse massone. Per citare Astori: “Benché non si posseggano documenti di affiliazione (ciò che è facilmente spiegabile con le circostanze del tempo), è accettato il fatto che Zamenhof fosse massone. Già nel 1905, all’interno del primo congresso universale, fu fondata la Universala Framasona-Ligo, successivamente ampliata a Berna nel 1913, e nell’occasione si tenne un’intera tornata in esperanto. Oltre ai rimandi più culturali di tolleranza, internazionalità, fratellanza tipici della visione massonica emersi nella generalità del discorso sino a qui condotto, numerosi sono gli ambiti di analisi che possono suffragare tale ipotesi di lavoro interpretativo. In primis, forti sono i riscontri dei Dogmoj de la Homaranismo con i testi fondamentali dell’istituzione massonica, che in questa sede non possono essere dettagliati per questioni di spazio.” ((Davide
Astori,
“Pianificazione
linguistica
ed
identità:
il
caso
emblematico
dell'Esperanto” in: Metabasis n.5/2008, 2008, Varese, pag. 5).
Capitolo 3. I tentativi di riforma dell'esperanto: gli Esperantidi.
1.Difetti e limiti dell'esperanto.
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Malgrado l'Esperanto abbia raggiunto rapidamente una vasta popolarità e continui a mantenersi stabilmente sin dal suo lancio, anche grazie allo stra Lidia ordinario carisma e pathos di Zamenhof, la LAI più praticata al mondo, è probabile che essa sia rimasta relegata all'utilizzo di un numero ridotto di appassionati anche a causa di alcuni difetti che ne scoraggiano l'apprendimento e ne rallentano la diffusione. Il glottoteta dell'Esperanto, già in vita, fu più volte investito dagli strali polemici di chi non condivideva certe scelte apparentemente singolari e, dunque, ritenute da alcuni poco funzionali ma facilmente rimediabili. Sebbene Zamenhof si fosse prefissato con decisione l'obiettivo della neutralità linguistica, si può affermare con tranquillità che, nonostante anche negli ultimi anni si sia cercato di rimpolpare il lessico esperantista con un corredo di parole provenienti da lingue non indoeuropee, la grande maggioranza delle parole in Esperanto traggono la loro origine da radici utilizzate nell'Europa Occidentale e, pertanto, non sfiorano nemmeno lontanamente il conseguimento di questo risultato. Ovvia conseguenza di questo difetto, comune alla gran parte delle LAI di una certa diffusione, è, d'altro canto, la facilitazione all'apprendimento per i locutori nativi o acquisiti delle lingue indoeuropee, che, come sappiamo, sono numerosissimi e ben distribuiti. Per cui, malgrado il contrasto con utopistiche dichiarazioni di principio, si tratta in questo caso di un difetto che è al contempo un pregio. Meno superabile appare, invece, la difficile riconoscibilità delle radici ad un'analisi intuitiva dei testi a dispetto del fatto che, come abbiamo già visto, la maggior parte delle radici stesse derivino da lingue molto conosciute e ben diffuse. Addirittura in Esperanto è possibile, a partire dalla stessa radice, agglutinare in modo teoricamente illimitato ben 32 suffissi e 19 prefissi diversi, che in alcuni casi non sono neanche troppo diversi tra loro e che, comunque, producono il risultato di complicare sensibilmente il riconoscimento della radice dalla quale si parte. Inoltre, come già più volte evidenziato, moltissime parole in Esperanto contengono “caratteri speciali”, difficilmente riproducibili in formato file su tastiere standard ed utilizzando sistemi operativi impostati sulla propria lingua nazionale. Ad ogni modo, il problema dei caratteri speciali viene solitamente superato 47
con degli escamotages basati sull'uso di diagrammi, come avviene nel noto sistema di scrittura CX, che fa seguire alle lettere che avrebbero dovuto recare un segno diacritico una “x”, non presente (in quanto grafema che rappresenta un sequenza di due fonemi) nella lingua Esperanto. Critica opposta a quella della mancata neutralità linguistica dell'Esperanto è mossa da chi è persuaso che una LAI dovrebbe avere un lessico facilmente riconoscibile da parte di coloro i quali conoscano già una o più lingue internazionali de facto come inglese, francese, spagnolo etc. In sostanza, chi muove questa critica avrebbe preferito che il lessico di questa lingua pianificata fosse costruito secondo i criteri già seguiti per l'Universalglot ed in seguito adottati anche per alcuni esperendidi tra i quali spicca per la serietà del tentativo il Novial. Infine, ben rappresentata è la posizione di chi pensa che una lingua, per potersi definire semplice, non possa prevedere flessioni di caso. Per questo motivo, i sostenitori di tale punto di vista osteggiano apertamente anche la sola declinazione dell'accusativo in -n, utilizzata nella lingua di Zamenhof. Sulla base di questi rilievi, nel 1894 l'oftalmologo polacco decide di dedicarsi ad una profonda revisione della lingua artificiale da lui stesso creata. Sebbene in un primo momento Zamenhof citi quale causa della sua decisione l'individuazione dei limiti dell'Esperanto e la volontà di superare gli stessi, permane il sospetto che la decisione di procedere a questa svolta piuttosto repentina nasconda delle fortissime pressioni, maturate idealmente tra la comunità scientifico-linguistica e spostatesi in seguito su un piano più schiettamente materiale. Infatti, tra i biografi del famoso glottoteta, partendo dalla scontata considerazione che le finanze dello Zamenhof non furono mai troppo floride (e ciò, come abbiamo visto, fu dovuto in gran parte alle ingenti spese sostenute dallo stesso per la diffusione delle sue pubblicazioni sull'Esperanto), non manca chi afferma che egli fosse stato allettato da ingenti offerte in denaro avanzate da qualche filantropo interessato alla diffusione di una LAI “perfetta”. Quale che ne sia la causa, Zamenhof apporta dei cambiamenti alla sua “creazione” che vanno esattamente nella direzione indicata dalle numerose sollecitazioni ricevute dallo stesso: •
Lessico basato sulle lingue romanze; 48
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abolizione della flessione dell'accusativo;
•
abolizione dei segni diacritici, sostituiti da combinazioni di lettere (con soppressione di alcuni fonemi “complessi”);
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abolizione del sistema a 6 participi, in favore di un sistema a 2 participi (solo presente e passato);
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abolizione dell'articolo determinativo;
•
abolizione della concordanza in numero, genere e caso tra sostantivi ed aggettivi, ora invarianti;
•
abbandono del sistema dei correlativi in uso, in favore del sistema in uso nelle lingue romanze.
Ogni dubbio sulle reali intenzioni di Zamenhof viene accantonato, comunque, quando egli stesso, mostrando una retorica quanto scontata arrendevolezza alla comunità degli esperantisti che si mostrava oltremodo recalcitrante ad accettare queste innovazioni, nel 1904 definì il 1894 (anno dedicato alla revisione dell'esperanto) “un anno sprecato”. Il grande glottoteta rifiutò inoltre da allora in avanti il permesso a far pubblicare opere riferite a questo tentativo di riforma. Molte delle istanze prese in considerazione per il cosiddetto “Esperanto Riformato” zamenhoviano, sono divenute fondamenta di un altro e ben più famoso esperanto riformato: l'Ido.
4.L'Ido
Nel 1901 un gruppo di scienziati e linguisti riuniti a Parigi, su invito del
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matematico Leopold Leau e del filosofo e logico Louis Cuturat, per risolvere il problema delle comunicazioni tra i popoli, inizia un lavoro per l'individuazione di una LAI efficace, da scegliersi tra quelle già prodotte o da crearsi ex novo. Per la verità l'organizzazione di questo meeting è piuttosto complessa: sebbene appoggino l'iniziativa grossi nomi della cultura dell'epoca (1.200 professori universitari di tutto il mondo: Bergson, Poincarè, Tarde e altri), le vere adesioni sono quelle di ben 310 società scientifiche dell'intero pianeta. I lavori di questo interminabile gruppo di studio, che assume la denominazione di “Delegazione per l'adozione di una lingua ausiliaria internazionale”, subiscono una svolta a partire dal 1907, anno in cui si chiede un responso esterno sulla migliore LAI da adottare alla “Associazione Internazionale delle Accademie” (organismo che annoverava tra i suoi membri le maggiori accademie europee, la Royal Academy britannica e la National Academy of science di Washington), che, pur confermando il proprio appoggio all'adozione di una lingua ausiliaria internazionale, decide di non esprimersi. A questo punto la “Delegazione” decide di promuovere al proprio interno la costituzione di un comitato esecutivo ristretto, composto da 18 membri, che, dopo aver ascoltato i difensori di ben 180 sistemi linguistici, decide nell'autunno del 1907 di adottare l'Esperanto quale lingua internazionale, ma non prima di averlo “depurato” di una serie di imperfezioni o presunte tali. Nasce così la “Lingua della Delegazione”, che configurandosi fondamentalmente come un esperanto Riformato, assume immediatamente la denominazione di “Ido”, che in Esperanto vuol dire “discendente”. La scelta di adottare una versione rivisitata della lingua di Zamenhof, provoca immediatamente un vespaio di roventi polemiche, animate sopratutto dagli esperantisti ortodossi, che negano la possibilità che questa lingua venga riformata e contestano anche nel metodo la genesi della scelta, appellandosi ad evanescenti irregolarità procedurali. Quindi, l'Ido non fa che provocare scissioni nei circoli esperantisi. Ma a proposito dell'Ido bisogna giustamente rilevare che esso è “frutto come si vede, non dell'attività di pochi entusiasti e dilettanti, ma di defatigante lavoro collettivo per la costruzione scientifica di una lingua agli scienziati destinata; un lavoro il cui energico propulsore è Louis Couturat, filosofo del circolo della Revue de Metaphysique et de Morale, […] che ha fortemente contribuito alla definizione ed all'affermazione di una nuova disciplina, la logica matematica di Whithead, Peano e Russel” (Carlo Fumian, Verso una società planetaria. Alle origini della globalizzazione, Donzelli Editore, 2003, Roma, 50
pag. 62, primo capoverso). La grammatica ed il lessico dell'Ido sono il tentativo di correggere quelli che venivano percepiti dai critici come difetti dell'Esperanto. Queste correzioni vengono effettuate utilizzando un metodo scientifico rigoroso, laborioso ed estenuate, ma sempre utilizzando come base l'Esperanto, poiché, come abbiamo visto, la Delegazione stessa definisce l'Ido prima di tutto un Esperanto riformato. Infatti, “Il nome Ido si basa sul suffisso -ido sia dell’Esperanto che dell’Ido, che significa discendente: Ido pertanto è l’abbreviazione di Esparantido.” (Gennaro Cappelluti, Ido in breve, il primo passo verso una lingua ideale, 2006, Bari, pag. 2). Per questi, motivi non ha senso analizzare le forme e le strutture dell'Ido, senza avere come costante punto di riferimento e di comparazione la forma originaria dell'Esperanto. “L’alfabeto dell’Esperanto utilizza sei lettere non latine. Come risultato i testi in Esperanto sono scritti utilizzando molti schemi grafici, producendo difficoltà e confusione. L’Ido, invece, utilizza solo lettere latine. In Esperanto un aggettivo deve concordare con il sostantivo che identifica. In Ido, come Inglese, questo non avviene. L’Esperanto richiede l’utilizzo del suffisso -n nel caso accusativo. In Ido tale suffisso va utilizzato solo nelle situazioni ambigue, dove l’oggetto di una frase non segue il soggetto. L’Ido impone regole costanti riguardo l’uso dei suffissi per la trasformazione di una parola da una categoria grammaticale all’altra, semplificando in tal modo la memorizzazione dei vocaboli ed aumentando notevolmente la riconoscibilità delle diverse parti del discorso. L’Ido, diversamente dall’Esperanto, non assume il maschile come genere standard per le parole e quindi, ad esempio, non deriva la parola sorella da fratello attraverso il suffisso femminile. In Ido, invece, molte radici sono di genere indefinito e due differenti suffissi derivano il maschile e il femminile. Esempio: frato (fratello generico) , fratulo (fratello maschio), fratino (sorella). Il vocabolario Ido tenta di usare i consanguinei (in inglese cognates) che sono in comune con il maggior numero delle lingue su cui si basa.” (Gennaro Cappelluti, Principali vantaggi dell'Ido rispetto all'Esperanto in: Ido in breve, il primo passo verso una 51
lingua ideale, 2006, Bari, pag. 2). Sebbene Cappelluti enfatizzi i vantaggi dell'Ido rispetto al suo progenitore Esperanto, lo stesso autore in un diverso periodo dell'articolo già citato, afferma che “Il suo lessico colloca l’Ido nel gruppo delle lingue indoeuropee, ma la sua morfologia, prevalentemente agglutinante, la porta ai margini di questo gruppo, avvicinandola a lingue come ungherese e giapponese”, evidenziando in questo modo il fatto che in questa lingua permanga uno dei problemi che più scoraggia nell'apprendimento del suo precursore ideato “artigianalmente” dall'oftalmologo polacco. Notiamo, ancora una volta, come nell'Ido si seguano, nella stesura del vocabolario,
criteri
assolutamente
razionali
e
comparabili
e
quelli
utilizzati
nell'Universalglot e successivamente nell'Occidental/Interlingue e nell'Interlingua IALA, nonché, in parte, in un altro esperandito promosso da uno dei padri dell'Ido, ovvero nel Novial di Otto Jespersen. Per ironia, quasi tutte le variazioni adottate dalla Delegazione, in realtà, erano state proposte da più parti già durante la vita di Zamenhof ed erano state respinte a “furor di popolo” dalla comunità esperantista, che già all'epoca aveva sviluppato un fortissimo, forse a tratti esasperato, sentimento identitario, come acutamente notato da Davide Astori. Infatti, riferendosi proprio all'Esperanto, egli scrive “Nulla vi è di più pregiudiziale della convinzione che una lingua pianificata non contempli un’operazione identitaria: ne sono chiari esempi almeno lo ’ivrit, rinato proprio su istanze di identità nazionale, o in altra ottica le lingue tolkeniane, che poggiano sulla base mitologica del Silmarillion, o ancora il kiswahili, strumento di unificazione politico-culturale, per non affrontare tutti quegli esempi di pianificazione operata all’interno di lingue cosiddette naturali (un solo esempio a noi particolarmente vicino per luogo e tempo, la “fascistizzazione” dell’italiano negli anni Trenta e Quaranta), testimoni della matrice ideologica di ogni possibile volontà pianificatrice.” (Davide Astori, “Pianificazione linguistica ed identità: il caso emblematico dell'Esperanto” in: Metabasis n.5/2008, 2008, Varese, pag. 1). Molti esperantisti vivono, dunque, l'introduzione dell'Ido come un autentico attacco alla propria identità ed ai propri valori e questa accoglienza ostile e polemica (con contestazioni “legali” anche sul metodo adottato per designare il comitato ristretto) 52
costituisce una delle principali motivazioni del mancato take-off dell'Ido, ma non l'unica. Infatti, la storia dell'Ido è anche costellata da accadimenti tanto imprevedibili quanto nocivi, quale ad esempio l'improvvisa morte, avvenuta a causa di un incidente stradale nel 1914, di uno dei leaders carismatici del movimento idista, nonché indefesso organizzatore e principale animatore di riviste e spazi culturali, Louis Couturat. Inoltre, lo scoppio di lì a poco della prima guerra mondiale, com'è facile immaginare, sottrasse inesorabilmente importanti energie al movimento. Il colpo di grazia arrivò invece dalla defezione di Otto Jespersen, altro grande promotore dell'Ido, che nel 1928, dopo che la IALA aveva già iniziato il proprio lavoro di studio e progettazione di una lingua ausiliaria internazionale “perfetta”, presenta la propria LAI, il Novial, sancendo il suo abbandono definitivo del movimento idista, precedentemente sostenuto con forza. Malgrado i molti “incidenti di percorso” e le numerose valutazioni rinvenienti da pubblicazioni di nicchia che danno ormai per “morta” la lingua Ido, è notevole il fatto che a tutt'oggi siano attive, senza aver mai subito discontinuità nella periodicità dei propri numeri, varie riviste culturali in questa lingua, come: Kuriero Internaciona, Progreso, Ido Saluto! e G.I.S. Arkivi. E' inoltre attualmente attiva la casa editrice ufficiale della lingua Ido (Librerio Tia Libro di Amsterdam), gestita e controllata dalla U.L.I. (Uniono por la Linguo Internaciona Ido), associazione votata alla tutela ed alla diffusione di questa lingua internazionale, più che mai viva ed attiva anche sul web, sulla pagina ufficiale costantemente aggiornata http://www.ido.li/ A dispetto della grande vivacità culturale, le stime attuali attribuiscono all'Ido dai 250 ai 5.000 locutori, con una tendenza in leggera crescita grazie al web.
5.Fioritura e sfioritura degli esperantidi.
Una delle principali critiche mosse dagli esperantisti ortodossi
agli 53
“scismatici” dell'Ido era quella che, sebbene i difetti che essi riconoscevano nell'Esperanto fossero autentici e fosse parzialmente vero il fatto che porvi rimedio richiedesse degli interventi tutto sommato poco dispendiosi, la loro ricerca di una lingua pianificata perfetta non avrebbe avuto mai termine, come accade per tutte le ricerche che si pongono per obiettivo il raggiungimento di utopie. In effetti la spinta riformatrice del gruppo che aveva dato avvio all'Ido non si esaurisce certo con la pubblicazione del “primogenito” dell'Esperanto e continua lungo strade precedentemente impensate ed apparentemente infinite. E' chiaro che oggi la comunità idista è divenuta piuttosto conservatrice, ma i numerosi “transfughi”, ad iniziare da Otto Jespersen, hanno dato origine a gruppi che ne hanno generato a loro volta altri, in un susseguirsi di gemmazioni che non sembra neppure oggi voler trovare il proprio punto di approdo definitivo. Occorre specificare, però, che anche prima dell'Ido vi sono stati tentativi di apportare degli “aggiustamenti” all'Esperanto, come per esempio avviene con il Mundolinco, creato dell'appassionato olandese Braakman, che nel 1984 pubblica "El Mundolinco. Gramatico del Mundolinco pro li de Hollando Factore" ( Ed. Noordwijk), che espone i fondamenti di questo esperantido precoce. Sebbene la maggior parte dei cosiddetti esperantidi potrebbero esser meglio classificati come ididi, ovvero gemmazioni dell'Ido sullo slancio della spinta riformatrice non ancora esaurita di questa lingua, esiste un certo numero di esperantidi puri, ovvero derivati direttamente dall'Esperanto di Zamenhof. Tra questi ricordiamo, oltre ovviamente all'Ido, all'Esperanto Riformato ed all'Esperanto II: •
Il Mundolinco;
•
L'Antido: di Renè de Saussurre, una sorta di via di mezzo tra Ido ed
Esperanto, che tende a mitigare i cambiamenti apportati nel primo, giudicati dal matematico svizzero troppo radicali; •
L'Adjuvilio: creato dal francese Claudus Colas. Sebbene fosse una
lingua completa, non è stata mai utilizzata, visto che, a quanto pare, aveva l'esclusivo scopo di creare dissenso all'interno del movimento idista; •
Idiomo Mondialo: datato 1932, altro frutto del genio creativo mai
pago di Renè de Saussurre, è il risultato di ulteriori revisioni di due 54
esperantidi precedentemente creati dallo stesso autore, ovvero il NovEsperanto ed il Nuv-Esperanto, rispettivamente del 1925 e del 1928. •
Esperanto sen fleksio (Esperanto privo di flessione): creato da
Richard Harrison nel 1996, elimina tutte le flessioni di caso (l'accusativo -n) e di numero presenti nell'Esperanto originale, nonché i tempi ed i modi verbali, in questo esperantido desumibili dall'infinito accompagnato da particelle già presenti nella lingua di Zamenhof. Queste modifiche vogliono accogliere alcune istanze di esperantisti cinesi che non usano nella propria lingua nativa le flessioni di cui sopra. Questa LAI è anche molto interessante da un punto di vista prettamente linguistico, in quanto introduce degli elementi isolanti in una lingua che, come abbiamo visto, è invece agglutinante. •
Arcaicam Esperantom: è il risultato di un esperimento ludico-
artistico piuttosto interessante del glottoteta Manuel Halvelik. L'idea di Havelik nasce probabilmente dal tentativo di emulazione degli stili arcaicizzanti utilizzati nella tradizione anglofona per i testi sacri, enfatici o altisonanti. Questo originale sperimentatore ha quindi deciso di simulare un passato di lingua romanza per l'Esperanto, creando così una vera e propria ucronia, e di ripercorrere a ritroso tutte le evoluzioni linguistiche alle quali questo protoesperanto fantastico sarebbe andato incontro, fino ad ottenere il risultato di un ipotetico progenitore arcaico della LAI più diffusa al mondo.
La maggior parte degli esperantidi sono, invece, in realtà tecnicamente ididi, ovvero derivati dell'Ido, oppure esperantidi di terzo livello, quindi lingue artificiali che derivano addirittura da ididi, come ad esempio il Mondlango composto nel 2002 dal cinese He Yafu. In molti casi, però, la definizione di esperantidi è comunque spuria e riduttiva, in quanto le LAI che attraverso vari passaggi si fondano sull'Esperanto spesso attingono in una certa misura, o addirittura in egual modo, da lingue naturalistiche, che come vedremo, sono l'altro grande filone delle lingue ausiliarie internazionali che, imprevedibilmente, scaturirà dal movimento volapukista. 55
Il Romanal pubblicato nel 1909 da Alfred Michaux (e leggermente ritoccato nel 1912) è sicuramente un esempio precoce di questa promiscuità tra derivati dell'Esperanto e prime lingue naturalistiche. Come giustamente rileva il linguista italostatunitense Mario Andrew Pei nel suo saggio “One Language for the World”, il Romanal è un tentativo di conciliare l'internazionalità del lessico latino, che in quelli stessi anni veniva portata all'attenzione del pubblico anche grazie al Latino sine flexione di Giuseppe Peano, e la regolarità grammaticale delle lingue ausiliarie schematiche come l'Esperanto. Oltretutto è evidente che lo sforzo di Michaux non è isolato, visto che negli stessi anni l'italiano Vanghetti scrive il Latin-ido, fondato sulle identiche premesse, ed in tempi recenti ancora si lavora su questa falsariga (si veda il Romániço). In questo stesso ordine di idee si muove il grande linguista Otto Jespersen, che nel 1928 pubblica il Novial, abbandonando in modo repentino il movimento idista del quale fino a quel momento era stato uno degli ideologi. Jespersen, pur essendo danese, è un grande studioso della lingua inglese. Infatti, rispettivamente nel 1905 e nel 1909 vengono pubblicati in Gran Bretagna due sue opere, ovvero “Growth and Structure of the English Language” e “A Modern English Grammar”. Queste due opere diventano ben presto importanti punti di riferimento per gli studiosi della lingua inglese ed in particolare la grammatica scritta da Jespersen, che consta di ben 7 tomi, si caratterizza per essere una delle opere più esaustive sull'argomento fin lì date alle stampe. Anche la conoscenza delle LAI del linguista danese non è trascurabile: infatti egli è profondo ed appassionato conoscitore dell'Universalglot e dell'Esperanto (e naturalmente dell'Ido) e ben presto acquisisce una approfondita conoscenza del sorgente Occidental. Jespersen decide di fornire alla nuova lingua da lui creata, il Novial (= Nov + IAL, ovvero International Auxiliary Language), una grammatica del tutto simile a quella inglese, ritenuta a giusta ragione dall'insigne linguista tra le più semplici al mondo. Vi è, tuttavia, una certa influenza della morfologia dell'Esperanto:
Nusen Patro Nusen Patro kel es in siele, 56
mey vun nome bli sanktifika, mey vun regno veni, mey vun volio eventa sur tere kom in siele. Dona a nus disidi li omnidiali pane, e pardona a nus nusen ofensos kom anke nus pardona a nusen ofensantes, e non dukte nus en li tento ma fika nus liberi fro li malum.
Come si può notare dal Padre Nostro in Novial, il lessico di questa lingua predilige i consanguinei e suona famigliare anche ai locutori di lingue romanze che conoscano le principali parole inglesi.
57
Capitolo 4. Dopo l'Esperanto: le lingue pianificate naturalistiche.
E' paradossale pensare che l'altro grande filone delle LAI attualmente attivo, ovvero quello delle lingue pianificate naturalistiche, tragga la propria genesi storica dal movimento volapukista. E' stato di fatto l'abbandono di questa contorta lingua artificiale da parte della corrente principale del movimento che la seguiva a dare il via, passando attraverso una serie di sperimentazioni, ad un diverso modo di intendere le lingue ausiliarie, un modo meno logico, ma decisamente più pragmatico. Ricordiamo che, già a partire dal 1902, la Kadem Bevünetik Volapüka (Accademia Internazionale di Volapük), muta, sotto la guida del neo presidente Waldemar Rosenberger, la propria denominazione in Akademi Internasional de Lingu Universal (Accademia Internazionale della lingua universale) ed adotta l'Idiom Neutral. In seguito la presidenza della predetta organizzazione verrà affidata al matematico italiano Giuseppe Peano, che promuoverà l'adozione del Latino sine flexione. Lo stesso Giuseppe Peano, più tardi, ricoprirà la carica di direttore della IALA (Internalional Auxiliary Language Association), portando il suo contributo nella creazione della lingua ausiliaria internazionale naturalistica attualmente più diffusa e più studiata al mondo, ovvero la cosiddetta Interlingua della IALA. Apparentemente a margine di questo fil rouge rimangono l'Universalglot, che seppure in una forma spuria si può considerare a giusta ragione la prima LAI naturalistica, ma che malgrado l'elevatissima qualità e la straordinaria intuizione per i tempi del suo glottoteta Jean Pirro non conoscerà mai le attenzioni del grande pubblico, ma esclusivamente quelle degli specialisti, e l'Occidental/Interlingue di Edgar de Wahl.
L'Occidental (Interlingue)
L'Occidental o Interlingue è una lingua ausiliaria internazionale di tipo naturalistico pubblicata nel 1922 dal glottoteta prussiano-orientale Edgar de Wahl, autore anche del gruppo regole di conversione linguistica passate sotto il nome di “Regola di de Wahl”. L'Occidental, ribattezzato a partire dal 1949, per ridurre le critiche 58
ideologiche mosse dai fautori dell'emancipazione coloniale, Interlingue, è una lingua naturalistica, il cui vocabolario è frutto di uno studio attentissimo mirato al mantenimento di un equilibrio tra i termini di provenienza latina e quelli di provenienza germanica. La produzione in questa lingua appare immediatamente comprensibile ad i locutori di lingue romanze ed a quelli di lingua inglese di cultura medio-alta. A differenza dell'Interlingua IALA, l'Interlingue di de Wahl presenta il medesimo grado di difficoltà all'apprendimento da parte di parlanti proventi da entrambi i gruppi di controllo principali (neolatino ed anglosassone), laddove l'Interlingua della IALA si presenta decisamente più facile per i madrelingua romanza meridionale, in primis gli italiani. Ad occhio questa lingua presenta una spiccata somiglianza con l'esperantido “anomalo” denominato Novial, ma allo stesso tempo appare più semplice ed intuitiva. De Wahl ha aspramente criticato in vita l'Esperanto, l'Ido ed il Novial per la loro regolarità schematica, ma per paradosso al giorno d'oggi la LAI dai lui creata riceve ampie critiche dai sostenitori dell'Interlingua IALA giustappunto per il suo regolarismo, che la farebbe apparire innaturale, simile all'Esperanto ed all'Ido, quindi, anacronistica. Si legge infatti sulla recensione a questa lingua che si trova sul sito www.auxlingua.org, sito dedicato alla storia delle lingue ausiliarie internazionali e curato da alcuni sostenitori dell'Interlingua della IALA, : “Occidental, postea appellate Interlingue, es multo similar a Interlingua. In illo on recognosce le vocabulario international a grande mesura. Regrettabilemente su autor, Edgar de Wahl, non toto se disintricava de certe principios dominante durante le pasate decennios in le campo del construite linguas auxiliar.” (dal sito www.auxlingua.org). Vediamo un esempio di testo in questa lingua, il più classico: il Padre Nostro: Patre nor
Patre nor, qui es in li cieles. Mey tui nómine esser sanctificat, mey tui regnia venir. Mey tui vole esser fat qualmen in li cieles talmen anc sur li terre. 59
Da nos hodie nor pan omnidial, e pardona nor débites, qualmen anc noi pardona nor debitores. E ne inducte nos in tentation, ma libera nos de lu mal.
Dal campione della LAI in esame, si evidenziano tre aspetti fondamentali di questa lingua: 1) lo stretto legame, malgrado l'appartenenza a differenti famiglie interlinguistiche, tra l'Interlingue di Edgar de Wahl ed l'immediatamente successivo Novial di Otto Jespersen; 2) il legame evidente con lessico, grammatica e fraseologia della lingua inglese, anche nei suoi aspetti non derivati dal latino, ma derivati dalla lingua tedesca arcaica, o dalla creolizzazione di quest'ultima con il latino; 3)L'immediata comprensibilità da parte di locutori di lingue neolatine e/o di lingua inglese.
2. Interlingua della IALA.
Il termine Interlingua ha assunto nella linguistica moderna tre diversi significati: 1)
Lingua “di passaggio” o intermedia, che viene sviluppata da chi sta
apprendendo una seconda lingua e, non conoscendo quest'ultima in modo sufficientemente approfondito tende ad “esportare” strutture e concetti della sua lingua-madre in questa seconda lingua; 2)
Una lingua de facto, composta dai termini di uso internazionale,
generalmente universalmente comprensibili senza bisogno di traduzione; 3)
Nella teoria delle traduzioni, una lingua “di passaggio”, da
utilizzarsi nelle traduzioni automatizzate od informatizzate. Con specifico riferimento al secondo significato, dalla parola interlingua è derivata anche la parola interlinguistica, che è quella branca della linguistica che studia la comunicazione verbale tra locutori di lingue diverse o appartenenti a comunità culturali diverse, quindi, anche le lingue ausiliarie internazionali. In quest'accezione, dunque, interlingua è un termine generico che può designare qualunque lingua ausiliaria internazionale. Proprio in questa accezione Giuseppe 60
Peano, futuro direttore della IALA, la userà per attribuire un nome ufficiale al suo Latino sine flexione (“Interlingua” di Peano), quanto lo imporrà, in qualità di presidente, alla Akademi Internasional de Lingu Universal. L'Interlingua della IALA, invece, viene pubblicata dopo un estenuante lavoro durato all'incirca 26 anni, nel 1951, anno a cui si fa risalire la nascita ufficiale di questo idioma internazionale a seguito della presentazione al pubblico dello “InterlinguaEnglish Dictionary (IED)”, primo vocabolario completo della nuova lingua ausiliaria, contenente 27.000 lemmi. La genesi dell'Interlingua, coincide con la genesi della International Auxiliary Language Association (IALA). Negli anni '20 del '900, la ricca ereditiera e filantropa statunitense Alice Vanderbilt Shepard inizia ad interessarsi di interlinguistica. Così, con l'assistenza del marito David Hennen Morris, fonda nel 1924 la International Auxiliary Language Association, istituita allo scopo di approcciarsi con metodo scientifico allo studio delle lingue ausiliarie internazionali e scegliere, tra le molte sin lì prodotte, quella ritenuta più valida proprio da un punto di vista scientifico, appunto. David Hennen Morris crea, dunque, in seno a quest'associazione, una commissione di studio sulla materia, nella quale si fa affiancare da grossi nomi della linguistica e dell'interlinguistica come Otto Jespersen, Edward Sapir (famoso per la cosiddetta ipotesi di Sapir-Whorf), William Edward Collinson e Morris Swadesh, che più tardi, durante il maccartismo, sarà costretto ad abbandonare gli Stai Uniti d'America a causa di un'accusa di comunismo. Il lavoro della “Commissione Morris” si fa più intenso dopo il 1931, anno in cui, in occassione del Congresso di Ginevra, viene presa la decisione di non adottare nessuna delle LAI già esistenti, ma di creare una nuova interlingua, l'Interlingua (in quanto tale par excellence) . Nel 1937 viene istituita una nuova commissione composta da ben 24 autorevoli linguisti e dai delegati di 19 università. Come primo atto, questa commissione pubblica il libro “Some Criteria for an International Language and Commentary”, che fornisce le linee guida di lì innanzi seguite per la selezione del lessico e la compilazione delle regole grammaticali dell'istituenda nuova LAI. Come abbiamo già detto, nel 1951 l'opera di costruzione dell'Interlingua si ritiene completa e pertanto nel 1953, non senza polemiche, inizia la graduale messa in liquidazione della IALA, che si conclude formalmente soltanto negli ultime mesi del 1956, 61
quando già da un anno l'ex occidentalista Ric Berger aveva fondato la “Union Mondial pro Interlingua”, tutt'ora in attività, con il compito di proseguire il lavoro fin lì proficuamente svolto dalla IALA. Per quanto attiene gli aspetti puramente linguistici, è evidente che l'Interlingua IALA non ambisce minimamente a mantenersi neutrale, ma punta molto più pragmaticamente ad essere automaticamente comprensibile ad ogni locutore di lingue neolatine (con un vantaggio discreto, però, dei locutori di lingue romanze occidentali e meridionali, in particolar modo l'italiano). L'interlingua IALA, inoltre, non è monogrammatica, poiché la stessa lettera può essere pronunciata in modo diverso a seconda della posizione. Il Padre Nostro in Interlingua IALA è però immediatamente comprensibile agli italiani, ai francesi, agli spagnoli ed ai portoghesi:
Patre nostre
Patre nostre, qui es in le celos, que sia sanctificate tu nomine; que veni tu regno; que sia facite tu voluntate in le celo como etiam super le terra. Da nos hodie nostre pan quotidian, e pardona a nos nostre debitas como nos pardona a nostre debitores, e non duce nos in tentation, sed libera nos del mal.
Tuttavia, si intuisce il fatto che la comprensione immediata di questo testo risulta piuttosto ostica, se non impraticabile, per anglofoni di levatura culturale mediobassa, e rimane pertanto appannaggio di una ristretta élite di eruditi ed intellettuali delle isole britanniche e delle loro ex colonie. Malgrado il lunghissimo lavoro ed il metodo ortodossamente scientifico 62
usato per la sua formulazione, l'Interlingua IALA rimane ben lontana dall'essere la LAI più diffusa al mondo: la maggior parte delle stime la danno al terzo posto dopo Esperanto ed Ido. Sebbene ogni lingua ausiliaria abbia i suoi punti deboli ideologici, veri o presunti che siano (si pensi alle numerose accuse, per quanto riguarda l'Esperanto, mosse a Zamenhof, rispetto alla sua adesione al primordiale movimento sionista ed alla massoneria), l'Interlingua della IALA è probabilmente tra le più ricce di zone d'ombra e di situazioni potenzialmente non condivisibili. L'Interlingua della IALA nasce, come abbiamo visto, su impulso di Alice Vanderbilt Shepard, ricca ereditiera, che a suon di dollari sponsorizza un'impresa che, seppur animata probabilmente dai più nobili intenti, sicuramente impallidisce se paragonata all'Esperanto per quanto attiene agli aspetti emozionali, affettivi e valoriali che la stessa sottende. Inoltre, non può sicuramente essere passato sotto silenzio il fatto che la IALA, dopo essere stata fondata con un grande sforzo finanziario da parte di chi poteva permettersi tali esborsi, ha attirato a sé un gran numero di linguisti, una parte dei quali stava anche percorrendo strade autonome, per motivi meramente economici e materiali, in quanto questa organizzazione ha sovente sovvenzionato studi e ricerche degli stessi, anche quando queste non erano strettamente attinenti con il progetto di lingua pianificata che si stava perseguendo. Oltretutto pare dimostrato che, dopo il conferimento della dotazione iniziale stanziata dai coniugi Shepard-Morris, molte delle risorse sulle quali la IALA ha potuto contare durante la sua esistenza provenissero da fondazioni di origine finanziaria facenti capo a discussi magnati americani come la Fondazione Rockfeller, la Fondazione Cottrell, la Fondazione Ford e la Fondazione Carnegie. Tutti questi motivi, unitamente all'assenza di un qualsivoglia sforzo per la neutralità, hanno probabilmente finito per minare in parte la fiducia del pubblico e degli studiosi verso questo idioma internazionale.
63
3.Altre lingue ausiliarie internazionali. Tra revival e grammatiche isolanti.
Le lingue ausiliarie internazionali fin qui esaminate non arrivano neppure ad un centesimo di quelle realmente prodotte, che sono un circa 670 . Tuttavia bisogna ammettere che solo un piccolissimo numero di queste ha varcato una soglia di notorietà che andasse al di là dell'attenzione dei parenti più stretti e degli amici più intimi dei glottoteti che le hanno prodotte. Vi sono, comunque, delle LAI che non hanno mai “preso quota”, ma sono rilevanti in ragione della loro influenza su lingue pianificate successive o per le innovazioni/riflessioni che hanno apportato.
3.I. Il Latino sine flexione di Peano ed il Sermo.
Giuseppe Peano, come abbiamo visto, oltre ad esser stato un matematico di fama internazionale, ha guidato la Akademi Internasional de Lingu Universal ed è stato membro della IALA. Nei suoi lunghi ed approfonditi studi di interlinguistica, prima di essere chiamato a far parte della International Auxiliary Language Association, Peano è giunto alla conclusione che la costruzione di un lessico internazionale attraverso la selezione di radici utilizzate nella maggior parte di lingue di controllo possibile (inglese, francese, spagnolo, portoghese ed italiano), porta al riemergere di parole latine, che sono giunte alle lingue moderne perché esse sono quasi tutte di origine neolatina, mentre l'inglese, pur essendo una lingua germanica, porta nel suo lessico un ricco corredo di parole di origine latina, mutuate perlopiù dal franco-normanno, lingua erudita dell'Inghilterra medievale per lunghi periodi, a causa di ben note vicissitudini storiche. Per questi motivi, nel 1903 Peano pubblica il Primo Libro dell'Interlingua, tenendo anche a battesimo l'Academia Pro Interlingua, erede della Akademi Internasional de Lingu Universal. L'Interlingua di Peano è il Latino sine flexione, ovvero una lingua artificiale che, sulla scorta delle riflessioni precedentemente esposte, attinge il lessico e la grammatica direttamente dal latino classico, apportando ai suddetti esclusivamente delle modifiche esemplificative, che ne aboliscono le flessioni di caso e qualche complicazione nella coniugazione dei verbi. In tempi recentissimi, invece, mosso dalle stesse riflessioni, il brasiliano 64
José Soares da Silva, affina ulteriormente il ragionamento di Peano, rilevando opportunamente che pressoché tutti i termini pervenuti alle lingue moderne dal latino, giungono ad esse per tramite del latino volgare, o sermo vulgaris, piuttosto che tramite il latino letterale arrivatoci per mezzo delle opere classiche trascritte dagli amanuensi durante il medioevo. Quindi, il glottoteta brasiliano ha creato la propria LAI, il Sermo (che sta per sermo vulgaris, appunto), per il momento non ottenendo alcun seguito.
3.II.Interglossa e Glosa.
Interglossa e Glosa sono due progetti di lingua artificiale, strettamente correlati tra loro, in quanto il secondo, coordinato da Ron Clark e Wendy Ashby, risulta essere la revisione ed il completamento del primo che era stato abbandonato dal suo glottoteta Lancelot Hogben, dopo pochi anni dalla pubblicazione dello stesso. Entrambi questi progetti sono caratterizzati da una grammatica totalmente isolante, che abolisce ogni possibile tipo di flessione o combinazione della radice con affissi o morfemi. Le funzioni della parola sono date quasi sempre da particelle operatrici che generalmente precedono la radice cui si riferiscono; più raramente la funzione è chiarita da posizionamento. Queste caratteristiche rendono la morfo-sintattica del Glosa talmente semplice da essere definita dagli stessi autori “meccanica del Glosa”. Il lessico deriva quasi interamente da radici greche e latine, in conseguenza del fatto che i due coautori della lingua artificiale considerano, non a torto, queste due civiltà alla base della cultura occidentale. Di recente sono state aggiunte alcune radici ricavate sopratutto da lingue estremo-orientali e, in alcuni casi, anche da altre lingue. Il Padre nostro, illustra efficacemente le strutture presenti in questa LAI così particolare: Na parenta
Na parenta in Urani; na volu; Tu nima gene revero. Tu krati veni; Tu tende gene akti 65
epi Geo homo in Urani Place; don a na nu-di na di-pane; e Tu pardo na plu mali akti. Metro na pardo mu; qui akti mali de na. E ne dirige na a plu moli ofere; sed libe na ab mali. Ka Tu tena u krati, u dina e un eufamo pan tem.
3.III. Lingua Franca Nova.
L'idea di George Boeree, glottoteta della lingua Franca Nova e ricercatore di linguistica all'università di Shippensburg in Pennsylvania, è quella di seguire quanto già precedentemente tracciato dall'Interlingua IALA in tema di lessico, ma allo stesso tempo di seguire, per quanto attiene alla grammatica ed alla morfologia, il percorso indicato da Interglossa e Glosa, ovvero quello di una struttura totalmente isolante. Per la verità le riflessioni del Boeree partono dallo studio dei creoli e dei pidgin dell'area mediterranea. In particolare, l'attenzione del suo studio si focalizza sul Ferenghi o Sabir o Lingua Franca Mediterranea, utilizzata nel periodo d'oro delle Repubbliche Marinare per le comunicazioni internazionali che avvenivano per motivi commerciali nell'ambito del Bacino Mediterraneo. Com'è intuibile il Ferenghi era una lingua dotata di un lessico marcatamente neolatino, con qualche parola araba ed una grammatica semplificatissima. Per ricalcare il lessico originale, George Boeree ha deciso di “filtrare” il lessico dell'istituenda Lingua Franca Nova tra un gruppo di lingue di controllo estremamente vicine tra loro e provenienti da un'area geografica molto ristretta, come italiano, francese, spagnolo, portoghese e catalano. La grammatica della Lingua Franca Nova sarebbe, quindi, basata su quella dei creoli romanzi, contemplando una struttura isolante che richiede per il riconoscimento della funzione delle parole una disposizione piuttosto rigida delle stesse all'interno della frase. La fonologia della Lingua Franca Nova comprende un numero ridottissimo 66
di fonemi, appena 21, e, pertanto, non suscita sorpresa il fatto che essa sia perfettamente monogrammatica, ovvero che ad ogni fonema corrisponda biunivocamente un grafema. Infine, è rimarchevole il fatto che, prima tra le lingue ausiliarie internazionali, la Lingua Franca Nova sia stata lanciata esclusivamente su internet ed i suoi locutori utilizzino questo mezzo quale principale veicolo per la comunicazione reciproca e per la diffusione di questo idioma internazionale. Proprio in virtÚ di questa sua caratteristica, è molto semplice calcolare il numero dei suoi effettivi locutori, tutti iscritti all'omonimo gruppo sul noto sito yahoogroups, che sono attualmente circa 100.
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Cap.5. Conclusioni.
1.L'ipotesi di Sapir-Whorf
L'ipotesi di Sapir - Whorf è così denominata in quanto formulata dall'autorevole linguista tedesco-americano Edward Sapir, che già abbiamo incontrato in veste di esperto per la IALA, e dal suo allievo ed assistente Benjamin Whorf. Questa affascinante ipotesi linguistica vede la lingua coinvolta in una doppia relazione con il pensiero. La prima relazione è quella ovvia secondo la quale il linguaggio viene formulato a partire dal pensiero. La seconda relazione è uguale alla prima, ma ha verso opposto ed è la parte davvero innovativa di questa teoria. In sostanza si afferma che la lingua parlata influenza il modo in cui il pensiero viene formulato, nonché le categorie attraverso cui la realtà viene classificata. A suffragio di ciò, anche la semplice riflessione secondo la quale quasi ogni pensiero viene formulato nella lingua alla quale si è più adusi o con la quale si è più a proprio agio. E' chiaro che l'ipotesi di Sapir - Whorf affonda le sue radici filosofiche in quella pietra miliare del pensiero moderno rappresentata dalla “Critica della ragion pura”, di Immanuel Kant, che postula la continua “distorsione” della realtà da parte delle “lenti” della mente per mezzo delle categorie, e nella moderna antropologia che si fonda sull'interdipendenza tra pensiero e cultura. Della cultura, intesa come sedimentazione di informazioni, tradizioni e costumi a lungo termine, fa parte naturalmente anche la lingua che, pertanto, rientra nei fattori che influenzano la produzione di pensiero. Le lingue ausiliarie internazionali, viste sotto la luce gettata dall'ipotesi di Sapir – Whorf, si candiderebbero, qualora raggiungessero un livello di diffusione e di uso tale da entrare realmente nella quotidianità a fianco della prima lingua, quindi, a giocare un ruolo importantissimo nella creazione delle fondamenta di un pensiero comune e di una sensibilità comune tra gli uomini. Un primo passo verso quella globalizzazione delle coscienze da tanti invocata e un primo sforzo verso la costruzione di un lessico della pace di cui davvero avremmo bisogno.
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2.L'eurocentrismo e l'euroclonia: mali necessari?
Come abbiamo visto, anche quelle lingue ausiliarie che, come l'Esperanto, investono una maggiore tensione morale nella ricerca della neutralità linguistica, difficilmente riescono a centrare questo obiettivo. Sebbene ciò sia probabilmente ingiusto da un punto di vista etico, è un dato di fatto che la stragrande maggioranza dei termini di uso internazionale derivino da lingue europee occidentali. Ciò, com'è facilmente intuibile, è dovuto ai trascorsi coloniali di alcune nazioni europee come in primis Francia, Gran Bretagna, Spagna e Portogallo, che nel loro dominio di territori d'oltremare, finalizzato sicuramente scopi tutt'altro che nobili, hanno imposto la propria lingua nazionale come lingua ufficiale delle terre e dei popoli sottomessi. I realtà solo una lingua artificiale a priori risolverebbe la questione. Infatti solo creando ex novo il lessico e la grammatica di una lingua (e sforzandosi di non farsi influenzare dalla propria lingua) si riuscirebbe ad ottenere un idioma totalmente neutro ed equidistante. Ma allora perché si è scelto di perseguire la strada delle lingue pianificate a posteriori? Proprio perché esse sono più facili da apprendere in virtù della loro somiglianza con qualcosa di già conosciuto, di familiare. Le lingue europee occidentali, per motivi storici la cui eticità non è possibile discutere nel contesto delle LAI, sono appunto in misura variabile le più familiari al più vasto numero di persone al mondo. Si può affermare, dunque, che l'eurocentrismo nelle lingue ausiliarie internazionali, fintanto che esse saranno a posteriori, è inevitabile. Ciò che invece è possibile ridurre è la cosiddetta euroclonia, vale a dire il pianificare una lingua ausiliaria in modo da renderla incredibilmente somigliante ad una lingua europea in uso. E' questo il caso, ad esempio, dell'Interlingua IALA e del Basic English: entrambe avvantaggiano eccessivamente i locutori rispettivamente di italiano e di inglese. Probabilmente un maggiore equilibrio (e perché no, una maggiore fantasia) è possibile ed utile a mettere nelle stesse condizioni di partenza tutti coloro i quali parlino, anche in modo rudimentale, una lingua europea occidentale.
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3.Una riflessione: ma perché l'inglese no?
La domanda più frequente nella quale ci si imbatte quando si espone ad un neofita poco convinto l'argomento delle lingue ausiliarie internazionali è : ma a che cosa serve un idioma per la comunicazione internazionale se esiste già l'Inglese? Sarebbe infatti semplicissimo utilizzare una lingua che di fatto è già un lingua franca internazionale. In realtà ci sono parecchie obiezioni fondate e ben dimostrabili a questo punto di vista. Intanto, come abbiamo visto, qualunque tentativo di lingua pianificata internazionale ha cercato in qualche modo di discostarsi dalle lingue esistenti, seppur sovente con scarsi risultati, quantomeno al fine di non fornire un avvallo al sentimento di dominio o di egemonia di un popolo su tutti gli altri. Ma al di là delle obiezioni meramente ideologiche l'inglese presenta dei difetti che oggettivamente ne sconsiglierebbero l'utilizzo per una comunicazione chiara ed efficace tra popoli diversi. E' vero che la lingua di Sheakspeare è dotata di una delle grammatiche più semplici tra quelle presenti negli gli idiomi europei, essendo la stessa tendenzialmente isolante, e di un lessico piuttosto equilibrato tra parole di origine latina e parole di origine germanica. Purtroppo, però, vi è una notevole discrepanza tra grafemi e fonemi che si traduce non solo in un'ampia variabilità di pronuncia delle stesse lettere o degli stessi gruppi a seconda della posizioni, ma anche in situazioni nelle quali parole che si scrivono esattamente nello stesso modo (omografe) si pronunciano in modi differenti. Vi è, in verità, una sostanziale imprevedibilità della pronuncia che può essere superata in modo certo solo studiando separatamente, man mano che si apprendono nuovi termini, scrittura e fonetica, in netta contrapposizione con quanto avviene con qualsivoglia LAI. Spessissimo accade che le stesse parole vengano pronunciate in modo talmente diverso, tra locutori dell'inglese provenienti da zone diverse, che la comprensine reciproca ne risulti minata o quantomeno seriamente rallentata. Queste complicazioni attinenti alla pronuncia rendono molto difficile per gli stranieri apprendere un inglese che suoni “naturale” alle orecchie dei madrelingua. Probabilmente questo è il maggior ostacolo all'utilizzo dell'inglese come LAI. 70
4.Il valore ideale ed educativo delle lingue ausiliarie internazionali
Forse quello ideale è il maggior stimolo alla creazione di LAI. Chi concepisce una lingua ausiliaria internazionale e, più tardi, chi la studia e la parla, crede in un futuro comune e migliore per l'umanità e si fa guidare dall'utopia.
“La tero esan un biga vilajo, ay ciu humo esan jia vilajano” “La terra è un grande villaggio e gli uomini sono i suoi abitanti” (He Yafu, creatore del Mondlango, 2006).
I tempi che ci separano da questo futuro in cui si ritroverà la leggendaria unità, pace ed armonia dell'umanità sono sempre precorsi con sorprendente celerità.
“Incremento de relationes internationale per rapido methodo de communicatione quale telegrapho, telephono, radio, pyronave, ferrovia, aeroplano, reddo problema do Interlingua plus urgente et objecto de studio numeroso”
“L'aumento delle relazioni internazionali, grazie a mezzi di comunicazione rapidi come telegrafo, telefono, radio, piroscafi, ferrovie, aeroplani, rendono il problema di una lingua internazionale più urgente e oggetto di numerosi studi”
(Giuseppe Peano, creatore del Latino sine flexione, 1931)
Avvicinarsi ad una lingua ausiliaria internazionale, vuol dire dunque, unirsi a questo sogno, ma allo stesso tempo condividere ideali di pace, fratellanza, uguaglianza e libertà. Da ciò consegue che, al di là della utilità immediata e pratica dello studio di questa particolare materia, avvicinarsi ad essa, anche e sopratutto in età evolutiva, sicuramente è un mezzo per essere “contaminati” da valori positivi, che successivamente potranno essere trasmessi ad altri. 71
Esiste anche un'utilità pedagogica nell'apprendimento delle lingue ausiliarie internazionali. Infatti, come giustamente rilevato da molti docenti, lo studio di lingue non più di uso corrente come latino e greco, ancora previste dai programmi ministeriali italiani per il Liceo Classico, lungi dall'essere un'inutile pedanteria, se affrontato con le giuste metodologie, evidenzia i processi di trasformazione linguistica che hanno portato queste lingue ad evolversi in lingue attuali oppure ad influenzarle. Inoltre, il contatto diretto con gli scritti e le opere di grandi pensatori del passato, che con la loro sensibilità senza tempo hanno influenzato considerevolmente la nostra civiltà, costituisce senza dubbio un punto prospettico qualitativamente più elevato di quello del contatto che può avvenire attraverso il filtro di una traduzione. In sintesi, si potrebbe affermare che lo studio del greco classico e del latino classico aprono una finestra su processi trasformativi, linguistici e culturali, che hanno pervaso la nostra storia. Allo stesso modo, gran parte delle lingue ausiliarie prodotte, come anche notato e confermato da vari glottoteti, percorre a ritroso i meccanismi evolutivi delle lingue alla ricerca del principio unificatore, astraendone la logica linguistica che ne è sottesa. Le regole delle LAI sono un concentrato razionale delle regole fondamentali che governano le lingue, quindi, in definitiva, della stessa mente umana. Studiare questi idiomi permette allora di approfondire i meccanismi che stanno dietro le parole, restituendo importanza a quello che da sempre è il più grande mezzo di comunicazione di massa.
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