Arte e storia delle Madonie. Studi per Nico Marino, Vol. VI

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Il dialetto nelle canzoni di autori madoniti tra funzione lirico-espressiva e funzione ludica ROBERTO SOTTILE Dialetto e canzone: aspetti generali Al fenomeno di “rivalutazione” del dialetto, che Alberto Sobrero ha chiamato “sdoganamento”1 e al quale si è assistito in Italia a partire dagli anni Novanta, ha contribuito anche l’allentamento della sua censura nello stesso momento in cuiil compimento del processo di italofonia permetteva ormai di instaurare un rapporto non più conflittuale con il codice della tradizione: «un motto dell’Italia alle soglie del terzo Millennio sembra essere ‘ora che sappiamo parlare italiano, possiamo anche (ri)parlare dialetto’»2. In questo nuovo rapporto col dialetto va inquandrato anche il proliferare, sempre a partire dagli anni Novanta, della canzone dialettale. Ma in Italia la scelta musicale del dialetto comincia ad affermarsi già a cavallo tra gli anniOttanta e gli anni Novanta (S’at ven in meint, di Pierangelo Bertoli, è del 1978, Creuza de ma, di Fabrizio De Andrè, è del 1984)3. È vero però che solo a partire dagli anni Novanta – che sul piano del “consumo” della musica coincidono con la riproposizione in chiave locale dei generi rap e reggae d’Oltreoceano –la canzone dialettale finisce per seguire due linee principali: una «endolinguistica» e un’altra «extralinguistica»4. La prima orienta all’uso del dialetto in quanto codice che offre soluzioni metriche e ritmiche più ampie dell’italiano e, con le sue particolarità fonetiche, lessicali e sintattiche, evoca nel pubblico una realtà più familiare e meno istituzionalizzata. La linea «extralinguistica» si dirige invece verso un approccio ideologico al dialetto per il quale al codice locale viene attribuito, soprattutto nell’ambito della cultura hip hop, un valore simbolico/ideologico che ne fa il “segno” della “protesta” politica e culturale. Così il dialetto si fa linguaggio di «una musica che si pone in alternativa a quella istituzionale»5 con i suoi forti connotati di «controcultura». Un caso emblematico, in questo senso, è rappresentato dai Pitura Freska. Ma si pensi anche ai 99 Posse per i quali, secondo Arno Scholz, il dialetto assume«una funzione simbolica quale codice della protesta contro le istituzioni ufficiali»6. Ma linea «extralinguistica» significa anche 1 2 3

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A. A. SOBRERO, Nell’era del post-italiano, in «Italiano & Oltre», 5, 2003, pp. 1-5. G. BERRUTO, Parlare dialetto in Italia alle soglie del duemila, in Scritti per Bice Mortara Garavelli, a cura di G. Beccaria e C. Marello, Alessandria2002, pp. 33-49: 48. Terra Mia di Pino Daniele è del 1976. Ma, in buona parte, la scelta dialettale dell’artista partenopeo va letta, almeno all’inizio, in continuità con la tradizione, di lunga durata e ben definita, della canzone napoletana. Di contro, Bertoli e De André sono artisti la cui produzione in lingua si integra in questo caso con un’apertura al dialetto che potremmo considerare il risultato di una sceltauna tantumpiuttosto che sistematica. Cfr. L. COVERI,Per una storia linguistica della canzone italiana. Saggio introduttivo, in Parole in musica. Lingua e poesia nella canzone d’autore italiana, a cura di Id., pp. 13-24. ACCADEMIA DEGLI SCRAUSI, Versi rock. La lingua della canzone italiana negli anni ’80 e ’90, Milano 1996, p. 298.

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