Gran Torino Catalogo

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Gran Torino A city’s art and time

Alessandro Demma

gran torino

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La questione dell’immagine nella nostra epoca della globalizzazione diventa figura di grande interesse teorico, estetico e culturale, un sintomo che s’impone alla nostra attenzione nel momento attuale, quello del confronto con il fenomeno dell’immagine sociale, con l’immagine prodotta dall’universo mediatico, che ha trasformato la società della macchina in “società dell’immagine”. Questa definizione assume un significato complesso che percorre esperienze evolutive in campo tecnico e tecnologico, ponendosi, nell’attuale periodo storico della “surmodernità” 1, come messa in scena di un “ambiente elettronico” che svolge una funzione comunicativa, informativa e creativa per la nostra società. Così, nell’era della globalizzazione, del cyberspazio, di Internet e degli avatar, si rende necessaria una analisi, una riflessione attorno al linguaggio visivo, all’iperconsumo simbolico-visuale che avvolge e travolge il nostro “essere nel mondo” e il rapporto tra arte e tempo presente. «La durata si costruisce in ogni istante attraverso un particolare rapporto tra storia e memoria, presente e desiderio» 2. Con queste parole Georges Didi-Huberman invitato ad una conferenza all’Accademia di Belle Arti di Brera presenta il suo intervento dal titolo Costruire la durata. È proprio sul concetto di durata e di continuità, di rapporto tra arte e tempo, che prende forma la mostra Gran Torino. Un percorso che mette in scena la storia di un sistema dell’arte, quello torinese, che ha segnato e continua a disegnare alcuni dei passaggi fondamentali sulle scene dell’arte contemporanea internazionale. A partire da quell’esperienza fondamentale che con grande lucidità Germano Celant ha definito Arte povera, la mostra, incentratata soprattutto sulle nuove generazioni, propone una ricognizione di alcuni passaggi fondamentali della storia dell’arte contemporanea torinese, mettendone in scena alcuni dei momenti più significativi. La mostra si presenta come traccia evidente di una produzione di forme che offrono una possibilità di mondi differenti, di visioni, una costellazione di artisti che seppure accomunati da uno stesso territorio e da un lasso di tempo di soli quarant’anni, ci presentano intensioni, riflessioni, sperimentazioni totalmente singolari, nonostante la matrice sociale, politica e culturale comune. È proprio questa, probabilmente, la forza di questa mostra, la costruzione di una storia, della storia dell’arte contemporanea torinese, attraverso differenti generazioni messe a confronto. Una storia in cui s’intrecciano differenti linguaggi, tecniche, segni e simboli, una storia in cui il disegno, la pittura, la scultura, la fotografia e il video, rappresentano un complesso campionario che riproduce un mondo, o meglio i mondi possibili che gli artisti torinesi, dagli anni sessanta ad oggi, hanno esplorato; gli spazi di riflessione e di ricerca del sistema dell’arte contemporanea torinese. «Noi viviamo nella riproduzione indefinita di ideali, di fantasmi, di immagini, di segni» 3. Così, Baudrillard ci ha avvertito del processo che stiamo vivendo, quello della “spettacolarizzazione” del tutto nella società dell’iperconsumo delle immagini. Una condizione che sempre più ci proietta verso la messa in discussione dell’identità dell’individuo. I concetti d’interiorità, passato, memoria, autenticità, per secoli alla base delle riflessioni e del pensiero della società come strumento di definizione dell’individuo, si sono modificati e addirittura capovolti; sempre più si è alla ricerca, dell’esteriorità,


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